L'Africa islamica: Egitto
di Maria Antonietta Marino
Il nome arabo che designa il Paese del Nilo deriva dal termine usato per indicare gli accampamenti militari dei primi conquistatori musulmani: miṣr (pl. amṣar). Questo spiega perché anche la capitale dell'Egitto, nata per l'appunto nel luogo del primo campo militare, venisse chiamata con lo stesso nome.
L'Egitto bizantino, abitato per lo più da Copti di cultura ellenistica, era in una condizione di debolezza politica essendo lontano dal potere imperiale ed essendo, qualche anno prima dell'invasione araba, già stato occupato dalle forze sasanidi; causa di instabilità erano anche la dilagante corruzione nell'amministrazione e il credo religioso monofisita dei Copti ripetutamente contrastato da Bisanzio. Gli eserciti arabi, composti da circa 4000 uomini a cavallo sotto il comando del generale Amr ibn al-As, entrarono in Egitto nel 639 e, sconfiggendo l'esercito bizantino, conquistarono nel 641 la fortezza di Babilonia, situata nella parte meridionale della città del Cairo. Nello stesso anno gli Arabi intrapresero la conquista del Fayyum e dell'Alto Egitto (il Said), mentre allo stesso tempo assediavano la capitale dell'Egitto bizantino, Alessandria, che cadde poco dopo senza opporre una strenua resistenza. Il comandante Amr ricevette infine la visita del patriarca melchita copto, Ciro, agli Arabi noto col nome di al-Muqawqis, per firmare il trattato della resa dell'Egitto.
La nuova capitale, Fustat, fu fondata nel luogo della fortezza di Babilonia per motivi strategici: Alessandria, centro vitale dell'Egitto ellenistico e romano, era più lontana dal fulcro del mondo musulmano, che all'epoca era ancora costituito dall'Arabia delle città sante, anche se in procinto di essere spostato verso la Siria; il Delta del Nilo era poi un ostacolo non trascurabile per un esercito composto di cavalieri ed è emblematico il racconto secondo cui il califfo Umar avrebbe affermato di non voler fondare una città in alcun luogo separato da Medina dalle acque (in questo caso le acque del Nilo). Fustat si trovava inoltre in una posizione più favorevole al controllo dell'Alto e Basso Egitto ed era più direttamente connessa all'Arabia grazie alla riapertura del canale che collegava Babilonia al Mar Rosso, ma soprattutto grazie al continuo uso delle piste desertiche.
Nel periodo omayyade la società egiziana era composta prevalentemente da Copti, da Arabi e da mawālī, cioè nuovi convertiti all'Islam. Agli inizi le strutture amministrative non furono alterate e l'importante compito della raccolta delle tasse era affidato a notabili copti. La società non fu dunque sconvolta dalla conquista islamica e avviò il processo di trasformazione solo gradualmente. È utile ricordare che la presenza copta nella società islamica era diffusa anche all'esterno dell'Egitto: sono molti gli autori arabi che riferiscono di artigiani copti impiegati nei cantieri delle prime moschee; è stato persino proposto di vedere nell'eredità architettonica copta la nascita del miḥrāb (nicchia di preghiera che indica la direzione della Mecca) e in particolare del minbar (pulpito da cui l'imam procuncia il sermone del venerdì) per analogia alle nicchie d'onore e ai pulpiti delle chiese copte. Con l'avvento del califfo Abd al-Malik vi furono i primi grandi cambiamenti: l'arabo divenne lingua ufficiale; i musulmani cominciarono a sostituire i Copti agli alti vertici dell'amministrazione; la riforma monetaria previde che le immagini dei sovrani bizantini sulle monete venissero sostituite dall'epigrafia araba, fatto che dal punto di vista iconografico fu di enorme rilevanza. Tutto questo portò a una rapida arabizzazione e islamizzazione del territorio che toccò in primo luogo i centri urbani.
Con l'avvento della dinastia abbaside non furono molti i cambiamenti nella società egiziana che continuava ad essere governata da incaricati del califfo, non più provenienti da Damasco ma dalla nuova capitale Baghdad. Il primo periodo abbaside è caratterizzato da una continuità politica, economica e sociale, disturbata solo da alcune rivolte popolari dovute alla crescente oppressione fiscale. Alla morte del califfo Harun ar-Rashid (809) la situazione del mondo islamico cominciò a cambiare e, a causa dell'ascesa di dinastie autonome a est e a ovest del califfato, l'unità politica del dār al-islām venne a incrinarsi. Fino a quel momento in Egitto il vero potere risiedeva nelle mani delle famiglie arabe discendenti dai primi conquistatori, i wuǧūh; queste famiglie cominciarono a perdere la loro influenza quando gli Abbasidi inviarono i primi governatori stranieri, solitamente di origini turche o centro-asiatiche, provenienti dagli ambienti militari. Così avvenne per il primo governatore autonomo dell'Egitto islamico, Ahmad ibn Tulun (868-884), liberto turco, originario di Bukhara, che si era distinto nella capitale abbaside per la sua sfavillante carriera nell'esercito ed era stato così premiato con il governo della provincia egiziana. Ibn Tulun, pur riconoscendo ufficialmente il califfato, riuscì a rendersi indipendente dal potere centrale cessando d'inviare al califfo abbaside gli introiti delle tasse che rimanevano in questo modo nel Paese: questo consentì di accumulare grandi ricchezze che vennero in gran parte utilizzate da Ibn Tulun per radunare un esercito consistente, composto soprattutto di schiavi turchi, greci e nubiani, e per fondare il nuovo centro del governo, al-Qatai, edificato a nord-est di Fustat e provvisto di una moschea congregazionale di enormi dimensioni e di un palazzo ad essa connesso. Ibn Tulun diede così origine alla dinastia dei Tulunidi che, sebbene di non lunga durata (868-905), fu associata dagli storici arabi a un periodo di pace e prosperità; i confini territoriali furono allargati fino alla Siria settentrionale con il vantaggio che la zona palestinese, regione strategicamente importante per la quale passavano gli eserciti che volevano invadere l'Egitto, era ben controllata e protetta. La prosperità del regno durò fino alla morte di Khumarawayh, figlio di Ibn Tulun e secondo sovrano tulunide, noto per la sua passione per l'architettura lussuosa e per le sue stravaganze caratteriali, dopo il quale si ripresentarono i disordini nell'amministrazione e il controllo politico venne a mancare. La dinastia dei Tulunidi regnò fino al 905 quando un esercito inviato dagli Abbasidi riuscì a riprendere il controllo della provincia egiziana.
Nonostante gli Abbasidi si fossero riappropriati del territorio egiziano, dal punto di vista amministrativo non vi furono sostanziali modifiche e sembra che della ricchezza proveniente dalle tasse solo una minima parte venisse effettivamente inviata a Baghdad. Nel 935 un nuovo capo militare designato dal califfo abbaside venne inviato come governatore dell'Egitto: Muhammad ibn Tughj fondò la nuova dinastia degli Ikhshidi la quale ebbe però vita piuttosto breve e fama non proprio favorevole dato il conservatorismo dei sovrani e le loro ristrette ambizioni; unico periodo degno di memoria fu il regno di Kafur, eunuco nero che governò in luogo del figlio di Muhammad ibn Tughj fino al 968: sotto la sua reggenza la corte della capitale egiziana divenne un vitale centro culturale, un polo di attrazione per artisti e letterati tra cui figura il noto al-Mutanabbi, considerato uno dei più grandi poeti arabi di tutti i tempi, il quale, d'altra parte, sembra non avesse un'alta opinione di Kafur.
Il X secolo fu un periodo di grandi novità che risentì in parte dei cambiamenti sociali e politici che avvenivano contemporaneamente in tutto il mondo musulmano. Uno dei maggiori fenomeni sociali fu l'immigrazione proveniente dall'Iraq che intensificò considerevolmente il processo d'islamizzazione e di arabizzazione del paese. Tra gli immigranti vi erano anche alcune famiglie di Ebrei che, stabilitesi a Fustat, diedero vita a quella importante e ricca comunità ebraica descritta accuratamente nei documenti della Geniza. Dal punto di vista artistico l'arrivo di famiglie di artigiani iracheni potrebbe spiegare l'introduzione e la diffusione di nuove forme d'arte. L'industria del ṭirāz si occupava della produzione di tessuti pregiati che riportavano il nome del califfo regnante ed era un monopolio di stato come la zecca; sotto il califfato abbaside il ṭirāz (termine che indica indifferentemente l'industria, i tessuti e le bande epigrafiche che li caratterizzano) aveva guadagnato un'enorme importanza e proprio l'immigrazione irachena avrebbe provocato l'aumento di questa produzione in Egitto. Anche l'annoso problema dell'origine della ceramica fatimide potrebbe in parte essere spiegato con la presenza in Egitto di ceramisti iracheni che in periodo abbaside avevano inventato la tecnica della decorazione ceramica a lustro metallico.
Il X secolo vide anche la diffusione del credo religioso sciita che già aveva avuto conseguenze politiche nelle varie rivolte avvenute nei territori iranici del califfato abbaside. L'attività degli sciiti zayditi, la successiva nascita della setta dei Qarmati, che si distaccano dal movimento ismailita, e l'ascesa al potere nell'Iran occidentale della dinastia sciita dei Buyidi, rivelano il fervido clima religioso nel quale avvenne la nascita dei Fatimidi: appartenente alla corrente ismailita, Ubayd Allah si proclama imam assumendo il titolo di al-maḥdī, e nel 909 da origine in Ifriqiya alla importante dinastia fatimide che controllerà per alcuni secoli gran parte del Nord Africa e della regione siro-palestinese.
Nel 969 il comandante dell'esercito fatimide Giawhar, al servizio del quarto califfo al-Muizz, entra trionfante nella città di Fustat, a nord-est della quale fonda la nuova capitale di al-Qahira, "la Vittoriosa", dove il califfo si trasferirà nel 973. I Fatimidi, professandosi califfi, erano dunque antagonisti del califfato abbaside che consideravano illegittimo. A sostegno della loro legittimità vi era anche il fatto che le città sante di Mecca e Medina erano presto entrate a far parte dei loro domini, che al massimo della loro espansione si estendevano dall'Ifriqiya all'Arabia e dalla Siria alla Nubia. In pochi anni l'Egitto si trasformò in uno dei centri politici ed economici più rilevanti del mondo islamico. Il dominio del Mar Rosso era centrale nella politica economica fatimide poiché significava esercitare il controllo sui commerci marittimi con l'Oceano Indiano e il Sud-Est asiatico, da cui provenivano spezie e merci pregiate, e inoltre poiché le tasse doganali, oltre a quelle sulle proprietà territoriali (ḫarāǧ), erano tra le entrate più consistenti. Dal punto di vista religioso i Fatimidi non imposero mai la loro fede ismailita alla popolazione che era prevalentemente sunnita e in parte cristiana ed ebraica. Questo atteggiamento fu dettato da un'acuta percezione politica, ma anche dall'intrinseca caratteristica dell'ismailismo di essere una religione esoterica e dunque riservata agli iniziati: solo alcuni cambiamenti, significativi ma non gravosi, furono messi in atto, tra cui l'introduzione di formule specificamente sciite nelle preghiere pubbliche, il metodo per stabilire la fine del ramaḍān in base a calcoli scientifici, e non tramite osservazione, e l'introduzione di alcune feste tipicamente sciite come l'῾āšūrā'. Tra le manifestazioni visive con cui viene espressa la nuova fede vi è un attento programma epigrafico che si realizza nella monetazione e nella decorazione architettonica. Sulle monete apparve il formato a cerchi concentrici con scritte al loro interno e al centro un punto isolato in rilievo: oltre all'evidenza del significato simbolico cosmico del cerchio, è possibile una lettura legata alle concezioni filosofico-religiose ismailite che vedono il centro del cerchio rappresentare il califfo-imam vivente. La decorazione epigrafica ha sempre avuto nell'architettura islamica un posto di preminenza e i Fatimidi ne fecero un attento strumento di propaganda, diffusosi soprattutto a partire dal califfo al-Hakim che utilizzò l'epigrafia per manifestare pubblicamente l'appartenenza alla fede ismailita della classe sovrana. Nella moschea da lui terminata all'esterno di Bab al-Futuh, dunque fuori dalla città califfale in una posizione che la rendeva un monumento liberamente accessibile al pubblico, per la prima volta in Egitto scritte epigrafiche compaiono sulle mura esterne di una moschea: queste sono in alcuni casi riportate in medaglioni a centri concentrici, che, come nel caso delle monete, sono ispirati dai trattati di alcuni dā῾ī (teologi dediti allo studio e alla propaganda ismailita) fatimidi. È interessante notare che l'uso della scrittura pubblica è perfettamente bilanciato per differenti letture: i versetti coranici che spesso vengono riportati hanno evidentemente valore per tutti i musulmani, siano essi sciiti o sunniti, ma la scelta dei versetti è data dal significato che essi hanno per la teologia ismailita, così permettendo vari livelli di lettura, dal più letterale e manifesto (ẓāhir), che si trova espresso nei cerchi esterni, al più simbolico ed esoterico (bāṭin), nei cerchi interni e al centro (Bierman 1998).
Intorno alla metà dell'XI secolo l'Egitto soffrì gravemente a causa di alcune mancate inondazioni del Nilo che produssero fame ed epidemie; questo, associato allo sperpero della sfarzosa corte, portò all'impossibilità di pagare gli eserciti e al caos amministrativo. Uno degli episodi più memorabili di questi anni fu la svendita dei tesori conservati nei magazzini califfali: pregiati oggetti di materiali preziosi come ori, argenti, cristalli di rocca, avori, tessuti, furono riversati per le strade di Fustat dove vennero acquistati e spesso esportati all'estero. La disastrosa situazione economica e politica portò il califfo al-Mustansir a chiamare nel 1073 il generale armeno cristiano Badr al-Giamali per ristabilire il controllo sul territorio e risanare le finanze del califfato fatimide. Il potere di Badr al-Giamali era pressoché totale e rispecchiava le sue due cariche ufficiali: quella di wazīr (primo ministro) e quella di amīr al-ǧuyūš (comandante dell'esercito). Il potere politico dello Stato fatimide passò da quel momento in poi nelle mani dei visir che avrebbero mantenuto il governo effettivo del Paese, pur riconoscendo l'autorità religiosa del califfo-imam, fino alla fine della dinastia. Sotto Badr al-Giamali l'Egitto venne riorganizzato in 23 grandi province, struttura che fu mantenuta fino in epoca moderna, e il sistema fiscale riprese a funzionare tanto che gli introiti delle tasse aumentarono considerevolmente. Tra le novità avvenute nella capitale vi fu una consistente immigrazione di Armeni, che costituivano soprattutto la forza militare del nuovo esercito fedele al visir; Armeni dovevano anche essere gli architetti che progettarono le nuove mura di al-Qahira che riflettono molte similarità con coeve costruzioni dell'Anatolia, della Siria e dell'Armenia. La ricostruzione delle mura fu considerata necessaria a causa della minaccia dell'invasione crociata. Nonostante la città del Cairo non sia mai stata assediata, gli sconvolgimenti politici che interessarono l'intero Vicino Oriente islamico dovuti alla guerra contro i Crociati, che nel XII secolo occupavano già parte della Terra Santa, portarono alla caduta della dinastia.
La storia fatimide è stata oggetto di una damnatio memoriae da parte delle successive dinastie sunnite che però non sono riuscite a cancellare la fondamentale importanza politica ed economica e la fama di lusso e ricchezza che l'hanno caratterizzata. I documenti della Geniza (Goitein 1999), relativi nello specifico alla comunità ebraica di Fustat, ma testimoni di un più ampio periodo storico, dipingono una società nel pieno della fioritura economica con un alto livello culturale e un'apertura "internazionale". I due porti del Cairo, quello di Fustat e quello di al-Qahira brulicavano di attività e i commerci con paesi anche molto lontani prosperavano. Essendo porto d'arrivo in Egitto per tutti le genti del Mediterraneo, anche Alessandria, come Il Cairo, attirava un alto numero di commercianti stranieri, come attesta la presenza di un funduq (fondaco) di Pisani all'epoca di az-Zafir (1149-1154), ma anche di immigranti dagli altri paesi musulmani, in particolare dal Maghreb. Il periodo fatimide fu determinante per una riunificazione politica e sociale dell'Egitto: in particolare con la conquista della Palestina da parte dei Crociati, fu rivalutata la rotta verso il Mar Rosso lungo il Nilo che conduceva i pellegrini verso l'Arabia e i mercanti verso l'Oceano Indiano; Assuan prima e Qus poi ebbero la funzione di importanti centri amministrativi attraverso i quali passavano le carovane per poi attraversare il deserto e raggiungere il porto di Aidhab; la città di Qus, alla quale la riforma delle province di Badr al-Giamali aveva dato un ruolo di centralità a discapito di Assuan, vide nel XII secolo un crescente incremento urbano. Di conseguenza l'Alto Egitto, che fino a quel momento era per la maggior parte abitato da cristiani che parlavano copto, subì un forte processo di arabizzazione che portò verso la fine del XII secolo alla diffusione dell'arabo, come lingua parlata, ma anche come mezzo di scrittura, in tutto l'Egitto.
I Fatimidi crearono una straordinaria cultura del lusso, ostentato in ogni occasione pubblica: le celebrazioni per le feste religiose, ma soprattutto per le grandi e antiche feste associate alle inondazioni del Nilo, come quella per l'apertura del grande canale, al-Khalij, erano avvenimenti memorabili in cui veniva esibito tutto lo sfarzo dell'apparato cerimoniale della corte che sfilava in processione per le vie della città. Questa cultura del lusso pervase anche le classi benestanti che vivevano fuori l'ambito della corte. Tessuti ricamati e ceramica invetriata divennero oggetti di lusso particolarmente apprezzati e gli scavi condotti a Fustat dall'inizio del secolo testimoniano la loro ampia diffusione tanto da aver fatto ipotizzare l'esistenza di una vasta borghesia. Questa cultura sofisticata ebbe eco in gran parte del Mediterraneo: molti degli oggetti preziosi prodotti in questo periodo in Egitto si trovano oggi nei Paesi europei, non tanto per collezionismo ottocentesco, ma perché, essendo probabilmente considerati all'epoca tra i prodotti più pregevoli che si potessero trovare sul mercato, venivano acquistati e riportati in patria per servire a vari scopi tra cui quello religioso di contenitori per reliquie; a questo proposito va ricordato che questi oggetti, provenendo da terre orientali, venivano probabilmente associati alla Terra Santa e possedevano dunque un'aura di sacralità che li rendeva particolarmente adatti a tale scopo.
L'avvento della dinastia ayyubide riportò, con le sue vittorie contro i Crociati, una certa stabilità nel mondo islamico e anche l'Egitto, con la fine della dinastia fatimide, entrò a far parte dei domini ayyubidi. Nel 1171 Salah ad-Din ibn Ayyub (Saladino) depose l'ultimo califfo fatimide restaurando la fede sunnita e riconoscendo l'autorità del califfato abbaside. Uno dei migliori resoconti di questo primo periodo ayyubide ci è giunto grazie alla testimonianza del viaggiatore andaluso Ibn Giubair che attraversò l'Egitto per recarsi in pellegrinaggio alla Mecca percorrendo la via che da Alessandria, passando per Il Cairo e Qus lungo il Nilo, terminava al porto di Aidhab sul Mar Rosso da dove ci si imbarcava per raggiungere Giudda e infine la Mecca. Il periodo di regno di Salah ad-Din è rimasto nella memoria non solo per aver questi respinto i Crociati e per aver riconquistato Gerusalemme e parte della Palestina, ma per la sua fama di sovrano giustissimo. Durante questo periodo i rapporti con l'Occidente cristiano s'intensificarono maggiormente e, nonostante le continue guerre di conquista contro i Crociati, l'Egitto instaurò relazioni commerciali con le principali repubbliche marinare, in primis Venezia e Genova. Il periodo ayyubide vide il ricongiungimento politico dell'Egitto e della Siria, caratterizzato da un paritario bilanciamento d'importanza tra le due aree, contrariamente al periodo precedente quando l'Egitto era il cuore del regno fatimide. La struttura sociale del governo s'improntò su un modello militare: la reale forza di potere era costituita dagli eserciti, formati da schiavi turchi detti "mamelucchi" (dal pl. mamālik, di mamlaka, "proprietà"). Questo sistema di reclutamento portò presto alla caduta della dinastia che avvenne nel 1250 in seguito al colpo di mano del generale mamelucco Aibak al-Turkmani: la prima dinastia di Mamelucchi venne soprannominata bahrī ("del fiume"), poiché le guarnigioni da cui proveniva Aibak erano state stanziate in epoca ayyubide sull'isola di Roda, nei pressi del palazzo del successore di Salah ad-Din, il sultano al-Malik as-Salih.
Uno dei problemi più annosi che questa dinastia, dalle origini compromesse da un passato di schiavitù e infedeltà, dovette fronteggiare fu la legittimazione del loro potere, problema risolto brillantemente grazie alla forza della riconquista territoriale che aveva definitivamente scacciato la presenza crociata in terra musulmana e aveva impedito all'invasione mongola, che in quegli anni devastava le terre orientali del califfato, di abbattersi sull'Egitto. Ciò che rimaneva del califfato abbaside di Baghdad fu trasferito al Cairo e i Mamelucchi si fregiarono dell'incarico di difensori dell'autorità califfale, ormai decaduta a mero titolo onorifico. In ciò li sostenne anche il loro nuovo ruolo di custodi dei luoghi santi di Mecca e Medina che facevano parte dei loro domini territoriali. Con la battaglia di Ain Gialut (1260) in Palestina e la vittoria degli eserciti mamelucchi sui Mongoli cominciò la riconquista della Siria. I ripetuti successi militari, che terminarono nel trattato di pace del 1323, allontanarono definitivamente la minaccia mongola dai confini mamelucchi. Mentre respingevano i Mongoli al di là dell'Eufrate, sconfiggevano allo stesso tempo ciò che rimaneva dei regni crociati. Le vittorie in battaglia venivano a volte celebrate riportando in patria come trofei di guerra le spoglie architettoniche più pregiate delle città conquistate: la Grande Moschea di Baybars al Cairo fu adornata con marmi e legni della cittadella di Yafa, conquistata dai Mamelucchi nel 1268, mentre il portale gotico della madrasa di an-Nasir Muhammad fu trasferito al Cairo dalla cattedrale di Acri dopo la conquista della città nel 1291. Il periodo di regno dei successori di Baybars vide il consolidamento della politica espansionistica mamelucca e i territori siriani divennero definitivamente parte integrante del regno mamelucco: i regni di Sultan Qalawun (1279-90) e soprattutto di suo figlio an-Nasir Muhammad (1294-95, 1299-1309, 1309-40) corrispondono secondo la storiografia all'apogeo del potere mamelucco. Contenuta la minaccia mongola e crociata, la rotta verso le Indie fu resa più sicura con l'allargamento dell'influenza politica sullo Yemen, in particolare nel periodo di regno del sultano an-Nasir Muhammad, così creando tra i due Paesi una serie di contatti culturali significativi comprovati anche dalle testimonianze artistiche e architettoniche. La città portuale di Aidhab in Alto Egitto e i porti nubiani di Suakin e Dahlak prosperavano e i Mamelucchi incentivavano i commerci sostenendo l'importante classe di mercanti, detti Karimi, che gestiva i commerci egiziani a lunga distanza. Aidhab (ar. ῾Ayḏāb) fu nel primo periodo mamelucco un importante centro commerciale e venne descritto da Ibn Battuta nel 1325 come un'ampia e ricca città: le sue rovine sono ancora visibili a nord della moderna città di Halayb. Da sempre il controllo dell'Alto Egitto era strategicamente importante, non solo perché permetteva lo sbocco sul Mar Rosso, e dunque l'accesso ai traffici marittimi, ma anche perché si trovava sulla rotta che portava, attraverso la Nubia, al Sudan ("la terra dei neri") da cui provenivano le necessarie risorse di oro e schiavi neri.
Il sunnismo, già con gli Ayyubidi diventato la corrente religiosa ufficiale, fu abbracciato pienamente e continuò a promuovere lo sviluppo di istituzioni per lo studio di materie religiose e giuridiche: da ciò deriva il proliferare in questo periodo delle madrasa, collegi superiori di teologia e diritto con spazi per l'alloggiamento di insegnanti e studenti. Il sostenimento di una politica religiosa ortodossa fu frutto anche della volontà della dinastia mamelucca di essere considerata il baluardo dell'Islam nel momento in cui i territori musulmani venivano invasi da infedeli, fossero essi cristiani crociati o mongoli dalle credenze religiose ancora incerte. La città di Qus (ar. Qūṣ), che in questo periodo beneficiò dell'attenzione per le vie commerciali e di pellegrinaggio, divenne un significativo centro d'istruzione e di studio del diritto e vide il fiorire di numerose madrasa: queste avevano anche la funzione sociale di attirare studenti dalle campagne e di formare uomini di legge che spesso si muovevano per essere impiegati altrove, veicolando così il controllo statale ma soprattutto promuovendo il contatto tra l'ambiente intellettuale e giuridico della capitale e quello della provincia e tra l'ambiente urbano delle città e quello rurale dei villaggi.
L'ortodossia non impedì d'altronde alle correnti più moderate di sufismo di penetrare la società mamelucca fino ai più alti vertici della gerarchia; la seconda metà del XIII secolo vide la diffusione di una delle più importanti confraternite sufi egiziane, la Shadhiliyya, che riscosse grande consenso per la sua ortodossia teologica e il suo avvicinamento agli elementi più popolari del misticismo, come la santificazione di uomini venerabili, le benedizioni, i miracoli, le pratiche d'invocazione divina, le visite ai mausolei. Molti sultani mamelucchi furono associati a confraternite sufi: noto è il caso di Baybars I e della sua benevolenza per il derviscio criminale, šayḫ (capo di confraternita sufi) Khadir al-Mihrani. La diffusione del sufismo comportò la nascita in Egitto della ḫanqah, edificio in cui si riunivano le confraternite e in cui veniva per l'appunto insegnato e praticato il sufismo: col tempo la ḫanqah divenne un'istituzione parallela e spesso coincidente alla madrasa e il periodo mamelucco rappresentò la conciliazione di due forme religiose spesso separate da alterne tensioni reciproche, quella teologica ufficiale e quella mistica. Il sistema di fondazione e donazione delle numerose istituzioni architettoniche caritatevoli, tra cui comparivano in primo luogo moschee, madrasa, ḫanqah, mausolei e ospedali, era di estrema importanza tanto da essere regolato da un ministero appositamente creato; il termine waqf (pl. awqāf) indica l'atto di fondazione di un edificio che viene donato a scopi di beneficenza. I sultani mamelucchi, che divennero famosi per l'altissimo numero di fondazioni pie che cambiarono l'aspetto urbano delle città egiziane, prima fra tutte Il Cairo, si riservavano però i diritti all'usufrutto, attuando così uno stretto controllo politico sulle attività di queste istituzioni.
A dispetto della memoria storica che ci ha tramandato l'immagine negativa di una dinastia chiusa e tradizionalista, va ricordato che la corte mamelucca era contraddistinta in realtà da un ambiente internazionale e poliglotta. Uno degli aspetti più interessanti di questo periodo fu l'atteggiamento dei Mamelucchi nei confronti della cultura turca (in senso lato) a cui essi, discendenti delle steppe asiatiche, rimasero sempre molto legati: questo si riflette anche nei rapporti intrattenuti con le dinastie mongole che governavano i territori musulmani orientali con le quali vi erano continui scambi culturali; le ambasciate e lo scambio di doni erano tra i mezzi più efficaci per mantenere relazioni costanti. Il diffondersi di motivi iconografici di chiara derivazione mongola ed estremo-orientale è il segno visivo di questi rapporti: motivi come peonie, fenici, pesci, entrano a far parte del repertorio degli artisti egiziani che ne usufruiscono in ogni espressione artistica, in particolare nella produzione ceramica e nella toreutica. Le forme della ceramica mamelucca s'ispirano a quelle delle stem-cups (coppe ad alto piede svasato) mongole e gli scavi di Fustat hanno riportato alla luce enormi quantità di materiale ceramico importato da cui si deduce che i contatti con l'Asia mongola e cinese erano all'ordine del giorno. Anche nella produzione in metallo ricorrono forme, come quelle dei grandi bacini dal profilo carenato, quasi identiche a quelle che si ritrovano nell'Iran di epoca mongola. I rapporti con la Cina, siano essi diretti grazie ai commerci nell'Oceano Indiano, siano essi mediati dai Mongoli attraverso l'Asia Centrale, sono la fonte d'ispirazione per la caratteristica produzione ceramica bianca e blu di epoca mamelucca.
La dinastia dei Mamelucchi si basava sul potere delle armi e, almeno agli inizi, s'ispirava a un ideale cavalleresco e militare molto gerarchizzato in cui il sultano era considerato primus inter pares; questa concezione del governo rese difficile l'accettazione dell'ereditarietà della sovranità per discendenza familiare che fu infatti attuata solo in alcuni casi. L'estrema gerarchizzazione del potere secondo modelli militari, cominciata in periodo ayyubide, portò alla creazione di numerose cariche ufficiali dalle funzioni politiche, giuridiche e cerimoniali; l'ordine della ḫaṣṣakiyya, nato in periodo ayyubide e valorizzato in epoca mamelucca, era costituito da un gruppo di mamelucchi scelti per svolgere importanti funzioni cerimoniali: questi uomini solitamente acquisivano poi alte cariche al governo e venivano nominati amīr. Ogni carica, corrispondente alla funzione cerimoniale, aveva il suo stemma, spesso mantenuto dal suo portatore anche dopo la fine dell'incarico, e l'importanza di questi emblemi fece dell'araldica mamelucca una delle caratteristiche più tipiche delle arti visive di questo periodo. Stemmi araldici cominciarono ad apparire nella decorazione architettonica degli edifici, nei tessuti di rappresentanza, negli oggetti di uso cerimoniale, ma anche quotidiano, come la ceramica, i metalli e i vetri. Gli stemmi rappresentavano spesso l'oggetto del sultano a cui gli emiri erano addetti durante le cerimonie, come la coppa, la spada, l'asta da polo, il portapenne, l'arco con le frecce; più particolari erano il fazzoletto per l'addetto al vestiario o il tavolo per il maestro delle cerimonie. Questi andarono ad accostarsi a stemmi di origine militare o tribale dalle implicazioni più simboliche come il noto leone (o pantera) di Baybars I. Una particolare tipologia ceramica ad impasto argilloso e dipinta sotto invetriatura che data al primo periodo mamelucco presenta i vari stemmi araldici come principali motivi iconografici: rinvenuta in abbondante quantità in quasi tutti i siti archeologici egiziani, a Fustat come ad Alessandria, ma anche in centri provinciali, induce a pensare che gli stemmi fossero entrati a far parte del repertorio comune degli artisti egiziani e non fossero quindi sempre indicativi dell'appartenenza dell'oggetto.
L'ideale della cavalleria militare e la passione per tutto ciò che riguardava il cavallo, nobile mezzo di battaglia e compagno di ogni mamelucco, venivano espresse da ciò che era ritenuta un'arte, la furūsiyya, concetto con il quale s'indicava la conoscenza teorica e pratica dell'ippologia. Si diffusero così i trattati di furūsiyya in cui s'illustravano gli esercizi e gli schemi delle parate da realizzare negli ippodromi: uno dei testi più completi è quello attribuito ad al-Khuttali, vissuto in Egitto nel XIV secolo di cui ancora oggi si conservano alcuni esemplari manoscritti. L'importanza della furūsiyya in periodo bahrī era testimoniata dalla quantità degli ippodromi del Cairo, i più noti dei quali furono fatti costruire da Baybars I e da an-Nasir Muhammad.
La prima metà del XIV secolo fu un periodo particolarmente felice per l'Egitto che beneficiò economicamente del periodo di pace anche perché le risorse dello Stato, che non venivano più spese in spedizioni militari, venivano investite per migliorie nelle infrastrutture e opere pubbliche: an-Nasir Muhammad utilizzò larghe somme di denaro per potenziare il sistema d'irrigazione facendo aprire un nuovo canale a suo nome (al-Khalij an-Nasiri) e realizzando nuovi acquedotti. Solo verso la metà del secolo le condizioni favorevoli cominciarono ad incrinarsi e il sopraggiungere della peste del 1347/8, che decimò la popolazione egiziana, non fece che accelerare il processo. L'avvento del secondo periodo mamelucco, detto "dei Mamelucchi circassi", per via della nuova etnia degli schiavi che venivano acquistati, o burǧī ("della torre"), indicando la loro residenza alla cittadella, avvenne con l'ascesa al potere del sultano Barquq nel 1382. Gli inizi del XV secolo furono segnati dalla breve ma dannosa incursione di Timur (Tamerlano) che nel 1400 saccheggiò Aleppo. La formazione dell'impero ottomano attirò le attenzioni di Timur che abbandonando i territori mamelucchi siriani diresse le sue mire di conquista verso l'Anatolia, concedendo ai Mamelucchi un ultimo periodo di relativa sicurezza. D'altra parte i contrasti interni alla società e in particolare la crisi dell'aristocrazia militare su cui si basava il sistema di governo determinarono le cause delle continue ribellioni nei territori di provincia. Nell'Alto Egitto i Mamelucchi dovettero affrontare il problema della crescente indipendenza degli Hawwara, un gruppo tribale di origini berbere, ma completamente arabizzato e islamizzato, che aveva acquistato potere e riconoscimento dalle popolazioni locali. Le finanze dello Stato cominciavano a scarseggiare e per far fronte alle carenze economiche il sultano Barsbay (1422-38) attuò una politica di controllo statale sul commercio che ebbe però conseguenze nocive: in particolare fece del fruttuoso mercato delle spezie un monopolio statale e stabilì prezzi fissi per le merci mettendo a dura prova il libero mercato su cui si basava l'economia egiziana. Sotto il regno di Barsbay il porto di Aidhab fu distrutto per ordine del sultano a causa dei disordini e dei saccheggi che impedivano la sicurezza delle carovane e venne sostituito nella sua funzione di porto commerciale da Suakin (ar. Sawākin). La città, situata su una piccola isola, divenne così il primo porto commerciale della costa del Mar Rosso e grazie anche ad una comunità di mercanti indiani divenne il principale punto di sbarco delle merci provenienti dall'Asia meridionale; la caratteristica architettura che fa impiego dell'abbondante corallo della costa l'accomuna alle dirimpettaie città dello Yemen con le quali Suakin aveva rapporti privilegiati.
Il sultanato di Qait Bay (1468-96) segna l'ultimo periodo di prosperità del regno mamelucco; Qait Bay fu anche l'ultimo grande protettore delle arti che grazie al suo mecenatismo rifiorirono in tutte le città. La libido aedificandi di questo grande sultano fu tale da rivalutare l'immagine urbana di città come Il Cairo, ma anche di Alessandria che vide il luogo dove si ergeva il Faro risorgere con la costruzione del forte. Nel frattempo, però, le mire espansionistiche dell'impero ottomano cominciavano ad allargarsi e non ci volle molto che gli eserciti del nemico arrivassero a minacciare i territori egiziani.
Nel 1517 gli Ottomani sotto il comando del sultano Selim I sconfissero i Mamelucchi alle porte del Cairo e l'Egitto e la Siria entrarono a far parte del nuovo impero. La transizione di potere che seguì non fu però particolarmente traumatica e alcune famiglie di Mamelucchi trovarono posto nell'amministrazione mantenendo una certa fortuna. La società ottomano-egiziana è caratterizzata da una omogeneità piuttosto singolare: i matrimoni misti erano molto diffusi e la sola presenza veramente straniera era quella del viceré, ovvero il governatore della provincia egiziana inviato dalla capitale ottomana. Il sistema dei bey (governatori), nel XVI secolo nelle mani dei Mamelucchi, era il vero organo di governo. Tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo si verificarono degli scontri molto violenti tra le varie fazioni dei bey (il conflitto dei bey del 1660 e la grande insurrezione del 1711) che destabilizzarono la politica egiziana e portarono all'anarchia militare e alla confusione nell'amministrazione: questa situazione ebbe come conseguenza la negligenza nella retribuzione delle tasse che portò alla decisione ottomana d'inviare truppe in Egitto con l'intenzione di recuperare il potere. Mentre però gli sforzi bellici tra le due fazioni si bilanciavano, sopraggiunse l'invasione di Napoleone Bonaparte che entrò in Egitto nel 1798 e pose fine al potere mamelucco. Il breve periodo di occupazione francese, terminata già nel 1801, creò grandi sconvolgimenti sociali; dal punto di vista scientifico produsse però quella grande opera di riferimento per ogni studioso dell'Egitto che è la Description de l'Égypte.
La prima metà del XIX secolo fu segnata dal risorgimento dell'Egitto grazie alle mire politiche di un ufficiale ottomano, Muhammad Ali: egli, mantenendo una sottomissione nominale all'impero ottomano, rese l'Egitto un paese indipendente politicamente ed economicamente sottoponendolo a un processo di modernizzazione. Il periodo successivo al governo di Muhammad Ali vide la costante ingerenza delle potenze europee, tra cui primeggiavano Inghilterra e Francia, che impedirono lo sviluppo del Paese relegandolo alla dipendenza e infine all'assoggettamento politico ed economico. Nel 1882 l'Egitto divenne un protettorato britannico e riacquistò un'indipendenza politica solo con la proclamazione della Repubblica nel 1952.
L'attività di ricerca archeologica del periodo islamico in Egitto ha focalizzato la sua attenzione sulla città del Cairo. L'enorme area archeologica di Fustat è stata oggetto di scavo di missioni egiziane, americane, polacche, francesi e giapponesi per circa un secolo; il fatto che Fustat abbia quasi monopolizzato l'interesse degli studi non deve stupire essendo questo uno dei più vasti siti archeologici del Vicino Oriente islamico: le ricerche su Fustat hanno dato un enorme contributo allo studio dell'urbanistica e dell'architettura domestica di periodo medievale. L'immensa quantità di materiale ritrovato che comprende ceramica, vetri, metalli, avori, tessuti, frammenti di disegni su carta e altro, non è stata ancora oggetto di uno studio approfondito e completo, ma quando si procederà alla catalogazione e allo studio del materiale darà di certo risultati eccezionali, d'altronde già preannunciati dai numerosi articoli e pubblicazioni riguardanti il sito. L'enorme quantità di materiale ceramico rinvenuto a Fustat sta contribuendo all'identificazione di tipologie ceramiche sempre più precise che si ritrovano poi in altri scavi archeologici come, ad esempio, quelli di Alessandria. La fortuna del sito è dovuta al fatto di essere stato per molto tempo un luogo di accumulo di detriti che hanno dunque preservato ciò che andavano a ricoprire. Il grave rischio che oggi si corre è quello dell'urbanizzazione selvaggia che ha invaso l'area riducendo drasticamente le possibilità di scavo. Quello dell'urbanizzazione è un noto problema dell'archeologia islamica che si confronta costantemente con centri ad alta densità abitativa che solitamente coincidono con le grandi città di periodo medievale di cui gli esempi maggiori sono Il Cairo e Baghdad. Così non è mai stato possibile effettuare un'investigazione archeologica della città fatimide di al-Qahira e solo scavi fortuiti dovuti a restauri di monumenti (ad es., quelli nelle madrasa di Qalawun e di Salih Najm ad-Din) hanno permesso il rinvenimento di materiale proveniente dai palazzi califfali. Le fonti scritte sono a volte l'unico prezioso strumento per ricostruire l'immagine di una delle più splendide città palatine del Medioevo islamico. Per il periodo mamelucco la sorte non è stata migliore. Lo studio del materiale architettonico ancora oggi in opera non è esauriente e manca ancora un catalogo completo degli edifici di questo periodo, fatto che forse ha portato a trascurare la possibilità della ricerca archeologica, avvenuta anche in questo caso in concomitanza con progetti di restauro.
La conoscenza della provincia egiziana ha sofferto dell'impari confronto con la grandezza della capitale con il risultato che molti dei centri urbani importanti in epoca medievale hanno ricevuto poche attenzioni da parte degli studiosi. Le ricerche archeologiche francesi sull'oasi del Fayyum hanno rivelato una società rurale caratterizzata da una continuità d'occupazione tra periodo preislamico e islamico e una realtà di convivenza tra comunità cristiane e musulmane. Le città principali erano situate sull'asse commerciale carovaniero che dal Mediterraneo conduceva al Mar Rosso e da lì verso l'Arabia, le coste dell'Africa, l'India e il Sud-Est asiatico. La fondamentale importanza di questa rotta per i commerci egiziani rendeva le città che la costellavano centri amministrativi e commerciali di grande influenza. Le città che si trovavano lungo il Nilo erano, oltre che centri commerciali, sedi delle amministrazioni locali che gestivano l'organizzazione delle campagne circostanti e quindi la raccolta delle tasse, vera ricchezza dell'economia egiziana. I centri maggiori dell'Alto Egitto furono Assuan, Qus e Akhmim, mentre sulla costa si contesero il primato di porto dell'Egitto Aidhab e Suakin.
Con l'eccezione di Assuan, oggetto di studio per via della sua necropoli fatimide da parte dello studioso italiano U. Monneret de Villard, non sono state realizzate ricerche né storico-artistiche, né archeologiche su questi centri provinciali, almeno fino a un'epoca piuttosto recente. Solo dagli anni Settanta del XX secolo in poi l'interesse per la provincia egiziana ha portato all'investigazione archeologica di alcuni centri minori come il porto di Qusayr al-Qadim, Akhmim e Qasr Ibrim. Quest'ultimo sito, ubicato come l'isola di File al di là della diga di Assuan, è stato in parte ricoperto dalle acque del Lago Nasser. Entrato a far parte dell'impero ottomano agli inizi del XVI secolo, costituisce una interessante testimonianza di un centro nubiano di frontiera in epoca moderna. Gli scavi hanno messo in luce una tipologia di edifici a doppio cortile particolarmente diffusi nel XVI secolo che successivamente, forse con l'incremento della popolazione, vengono suddivisi e abitati da più famiglie. È stata inoltre rinvenuta una grande quantità di materiali tra cui spicca il ritrovamento di circa 3900 frammenti di testi scritti in arabo e turco su carta: per la maggior parte si tratta di documenti di pagamento di militari in turco e di iscrizioni magiche in arabo con funzione di amuleti (ḥiǧāb, termine che significa "velo" e che indica la loro funzione protettiva); interessante è un disegno a colori raffigurante una moschea. I tessuti costituiscono un'eccezione per il loro stato di conservazione e, sebbene la maggioranza sia da attribuire alla produzione locale, alcuni frammenti indicano contatti con aree di fabbricazione siriana e persiana; sono stati rinvenuti persino esemplari di vestiti completi, tra cui un buon numero di vestiti per bambole. La ceramica costituisce, come spesso accade, il grosso dei ritrovamenti e la presenza di vasellame invetriato proveniente dall'Egitto settentrionale e dall'Estremo Oriente rivela, come nel caso dei tessuti, l'esistenza di una società benestante a contatto con le mode cittadine. L'epoca ottomana è inoltre rappresentata, dal punto di vista archeologico, dall'interessante rinvenimento di una nave vicino al porto dell'isola di Sadana sul Mar Rosso, tra Qusayr e Hurgada. L'archeologia subacquea del Mar Rosso, che ha riscosso attenzione solo in tempi recenti, ha portato al riconoscimento di alcuni siti di epoca ottomana, mentre sono rare le scoperte databili prima del XIV secolo. Gli scavi effettuati a Sadana tra il 1995 e il 1998 hanno restituito grandi quantità di ceramica cinese e di contenitori per acqua in terracotta noti come qulāl; un'iscrizione su un contenitore di rame che riporta la data del 1755/6 restituisce il terminus post quem oltre il quale datare il naufragio. Tra i rinvenimenti organici sono da annoverare il gran numero di chicchi di caffè che all'epoca costituivano una parte preponderante del commercio egiziano con il Mar Rosso.
La ricerca scientifica sulla ceramica proveniente dai siti archeologici dell'Alto Egitto e della Nubia (Qusayr al-Qadim, Akhmim, l'oasi di Dakhla, Qasr Ibrim) sta rivalutando lo studio della ceramica non invetriata che rivela l'esistenza di una produzione locale molto diffusa e che, una volta classificata, può risultare molto utile nelle datazioni spesso incerte che caratterizzano i siti in quest'area.
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di Maria Antonietta Marino
Città (gr. ΧέμμιϚ; lat. Panopolis; copto Shmin; ar. Aḫmīm) dell'Alto Egitto e capoluogo di provincia a partire dall'XI secolo.
A. era in periodo copto un importante centro urbano e mantenne una posizione di privilegio per quasi tutta l'epoca islamica fino alla decadenza che seguì la conquista ottomana. Le prime notizie della città in periodo islamico riferiscono che colonne di templi faraonici provenienti da A. furono utilizzate nel recinto sacro della Mecca. Abitata prevalentemente da Copti, A. è nota per aver dato i natali al mistico musulmano Dhu'l Nun (m. 861), autore di trattati di magia e alchimia. La città era circondata da una fertile area coltivata a palme da dattero e canna da zucchero e viene citata da al-Yaqubi nel IX secolo come un luogo di manifattura di stuoie in pelle. Nel primo periodo islamico A. era un centro tessile importante e, come riferisce al-Maqdisi (985), aveva una moschea congregazionale. La sua posizione sulla rotta commerciale e sulla via di pellegrinaggio che da Fustat discendeva lungo il Nilo per poi attraversare il Deserto Orientale verso i porti del Mar Rosso le assicurò, a partire dall'XI secolo, una considerevole prosperità. La riforma territoriale del visir Badr al-Giamali, realizzata sotto il regno del califfo fatimide al-Mustansir (1036-1094), la rese capoluogo di provincia e le attribuì funzioni amministrative e doganali. A. mantenne il suo ruolo di centro commerciale per tutto il periodo mamelucco e, sebbene continuasse a vivere anche in epoca ottomana, già nel XVI secolo Leone Africano la descrisse come una città in rovina.
Gli scavi archeologici cominciati agli inizi degli anni Novanta del XX secolo hanno focalizzato l'attenzione su un'area non costruita nei dintorni della chiesa di Abu Saifain. I risultati hanno dimostrato che il passaggio dal periodo copto a quello islamico non fu traumatico: dopo la conquista le case furono restaurate e furono aggiunti nuovi ambienti per far spazio a famiglie allargate. I livelli di periodo fatimide hanno restituito una buona quantità di ceramica invetriata; la vasta presenza di anfore suggerisce il ruolo di centro commerciale che A. doveva avere in questo periodo. Resti di scorie vitree hanno inoltre fatto ipotizzare l'esistenza di un'attività industriale di produzione di vetri. Gli strati di livello successivo hanno rivelato una carenza di ceramica invetriata che ha creato incertezze per le datazioni che ritornano più certe negli strati superiori, ricchi invece di materiale ceramico databile al periodo mamelucco. La maggior parte della ceramica rinvenuta è di provenienza nubiana. Gli scavi hanno anche messo in luce un'interessante area cimiteriale utilizzata in epoca mamelucca e ottomana: le tombe maschili non hanno restituito corredi che invece sono stati trovati in abbondanza nelle tombe di donne; in alcune di esse sono stati trovati gioielli, tra cui collane, bracciali, amuleti e raramente monete. In due tombe i corpi femminili presentavano vicino alla testa uno specchio con evidenti valenze apotropaiche e magiche.
Bibliografia
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di Maria Domenica Ferrari
Città (ar. al-Iskandariyya) situata a occidente della foce del Nilo, circa 220 km a nord-ovest del Cairo.
Venne conquistata nel 642 dal generale arabo Amr ibn al-As dopo un lungo assedio. La città rimase durante tutto il Medioevo un importante centro di commercio internazionale e nello stesso tempo una fonte di reddito notevole per lo Stato. Oltre ai dazi a cui erano sottoposti i mercanti stranieri, lo Stato prelevava denaro su ogni transazione commerciale e su ogni negozio della città. A. era un importantissimo centro di manifattura tessile e i suoi prodotti venivano esportati fino in India. Il dār al-ṭirāz (istituzione califfale responsabile della produzione tessile) gestiva ateliers privati, che producevano principalmente tessuti di lusso per la corte, e pubblici, destinati alla produzione commerciale. Esistevano una industria locale di vetro e un importante mercato del corallo, che veniva lavorato in loco.
Le fonti scritte raccontano che dopo la conquista araba una moschea venne creata all'interno del Faro di A. Tra le prime costruzioni di epoca islamica si ricorda l'arsenale costruito dal secondo governatore dell'Egitto, Abd Allah ibn Abi as-Sarh. Gli scrittori arabi (IX-XIII sec.) ci hanno lasciato descrizioni troppo generiche per ricostruire precisamente l'impianto urbano della città. Di certo A. ha conservato fino ai nostri giorni la stessa planimetria: otto strade rettilinee si intersecano ad angolo retto formando una scacchiera. Caratteristica della città medievale erano le case costruite su colonne. Il rifornimento idrico era assicurato da un accurato sistema sotterraneo di canali, cisterne e pozzi. La città era fortificata, ma non si sa molto sull'origine di tali mura. Si suppone che una nuova cinta muraria aperta da quattro porte (Bab al-Bahr, Bab Sidra, Bab al-Akhdar e Bab Rashid) fosse stata costruita in epoca abbaside durante il regno di al-Mutawwakil (848-861) sui resti delle antiche mura e includesse metà dell'area occupata dalla città nel periodo ellenistico-romano. In epoca fatimide A. conobbe un nuovo periodo di splendore e divenne la sede della potente flotta califfale. A questo periodo data una delle più antiche moschee di A., la moschea al-Attarin, edificata sul sito di una chiesa del IV secolo dedicata a S. Anastasio, ma ricostruita per ordine del visir Badr al-Giamali nel 1084. L'industria tessile raggiunge in questo periodo l'apice della produttività e della qualità. Già in epoca ayyubide, A. era diventata il porto principale dell'Egitto ed era sede di fiorenti commerci; la sua posizione economica divenne ancora più importante in periodo mamelucco, quando ad Alessandria si concentrava il flusso commerciale proveniente dal Mar Rosso e diretto verso il Mediterraneo. A. musulmana, artisticamente, non poté mai competere con la città del Cairo, ed è oggi quasi priva di monumenti antichi significativi, anche a causa delle trasformazioni di epoca moderna. Il più noto monumento dell'A. islamica è la cittadella di Qait Bay, fatta costruire dall'omonimo sultano nel 1477 sul sito dell'antico Faro. Essa è costituita da una doppia cinta muraria e da un forte a pianta quadrangolare all'interno del cortile. Il forte si sviluppa su tre piani: il primo occupato quasi interamente da una moschea a pianta cruciforme, il secondo riservato ad ambienti abitativi e il terzo adibito a sala delle udienze. Il forte presenta similarità con quello fatto costruire dallo stesso sultano mamelucco a Rosetta. La maggior parte delle moschee, in stile architettonico del Delta, è di epoca ottomana: tra le più significative sono la moschea di Ibrahim Terbana (1677), con colonne granitiche e capitelli corinzi di recupero greco-romani, e la moschea di Abu'l-Abbas al-Mursi, costruita nel 1767 sulla tomba di un santo del XII secolo e ricostruita nel XX secolo.
Nel sito di Kom el-Dik (ar. Kawm al-Dikka) sono stati condotti scavi archeologici a partire dagli anni Sessanta del Novecento da un'équipe polacca e recentemente anche ricerche da parte dei Francesi: il sito è costituito da una collina di detriti ed ha rivelato tre livelli di necropoli datate al VII-VIII, IX-X e XI-XII secolo. È stata rinvenuta una grande quantità di materiale ceramico di varie epoche islamiche che testimonia non solo la diffusione di molte delle tipologie ceramiche del mondo islamico, da quelle spagnole a quelle persiane, ma l'internazionalizzazione della cultura alessandrina, provata dall'ampia presenza di materiale italiano ed estremo-orientale.
E. Combe, Alexandrie musulmane: notes de topographie et d'histoire de la ville depuis la conquête arabe jusqu'à nos jours, in BArchAlex, 15 (1927), pp. 201-38; 16 (1928), pp. 11-171, 269-92; A. De Cosson, Notes on the Forts of Alexandria and Environs, ibid., 33 (1938-39), pp. 311-19; M.A. Marzouk, History of Textile Industry in Alexandria, 331 B.C. - 1517 A.D., Alexandria 1955; W. Kubiak, Stèles funéraires arabes de Kôm el Dick, in BArchAlex, 42 (1967), pp. 17-26; Id., Les fouilles polonaises à Kôm el Dick en 1963 et 1964, in BArchAlex, 42 (1967), pp. 48-70; S. Labib, s.v. Iskandariyya, in EIslam2, IV, 1978, pp. 137-43; C. Décobert - J.-Y. Empereur (edd.), Alexandrie médiévale, Le Caire 1998; V. François, Céramiques médiévales à Alexandrie: contribution à l'histoire économique de la ville, Le Caire 1999; Z. Kiss et al., Alexandrie, VII. Fouilles polonaises à Kôm el-Dikka, 1986-1987, Varsovie 2000; L'art mamelouk. Splendeur et magie des sultans, Aix-en-Provence 2001.
di Maria Antonietta Marino
Città (ar. Uswān, Aswān) ubicata lungo le coste del Nilo nei pressi della I Cateratta, nella regione più meridionale dell'Egitto al confine con la Nubia.
La città antica era ubicata sull'isola di Elefantina (od. Gezirat Aswan), dove ancora oggi esiste un nilometro di epoca romana utilizzato fino al XX secolo; con l'andare del tempo la riva orientale del Nilo, dove è situata la città moderna, venne urbanizzata. La favorevole posizione di A., sulla rotta commerciale verso le ricche terre dell'Africa subsahariana orientale e sulla via di pellegrinaggio alla Mecca, ne fece una delle principali città dell'Egitto meridionale. Sebbene dal punto di vista monumentale la città vera e propria non conservi rilevanti testimonianze di periodo medievale, essa è nota per la presenza di una delle più importanti necropoli islamiche dell'Egitto, seconda solo alla grande città dei morti del Cairo. La necropoli islamica di A. si estende nel deserto a sud-est della città moderna ed è tagliata in due parti, quella settentrionale e quella meridionale, da una strada aperta nel XIX secolo; si sviluppa in direzione nord-sud per 1800 m circa e ha una larghezza di 500 m circa. Le tombe sono distribuite senza un ordine preciso e rispecchiano l'andamento del terreno di natura non pianeggiante e punteggiato da sporgenze di blocchi granitici. Pare che ogni tomba fosse originariamente nata in uno spazio isolato, poi occupato dalla costruzione di altre tombe che venivano accostate ad altre per mancanza di spazio o per la volontà del defunto di essere seppellito vicino a un personaggio particolarmente venerato. È possibile anche ipotizzare in alcuni casi una sepoltura familiare.
La tomba vera e propria è spesso affiancata da costruzioni accessorie: in genere si tratta di un ambiente di preghiera con miḥrāb (nicchia di preghiera), solitamente circondato da un muro di recinzione e privo di copertura; è stato inoltre individuato il muro qiblī (rivolto verso la Mecca) di una moschea all'aperto (muṣallā) e si è a conoscenza di una vera e propria moschea con pianta a nove campate (demolita successivamente). In rari casi è possibile avere come annesso un sabīl, costituito da una camera per le abluzioni. Sfortunatamente le iscrizioni presenti su ogni tomba, che potevano identificare l'appartenenza e la datazione dei singoli monumenti, sono state asportate, in parte trovando la strada del mercato antiquario, in parte trasferite al Museo del Cairo, senza che si registrasse da quale edificio provenissero. Grazie a una stele rinvenuta ancora in situ negli anni Venti del Novecento da U. Monneret de Villard è stato possibile datare con certezza una sola tomba: secondo la lettura di G. Wiet, l'epigrafe presenta la data del mese di šawwal 411, corrispondente a gennaio-febbraio 1021. Grazie ad analogie architettoniche fra gli edifici e allo studio delle iscrizioni è possibile datare gran parte della necropoli di Assuan tra il IX e il XII secolo, tra il periodo tulunide e quello fatimide.
Esistono varie tipologie di sepolture che vanno dalle semplici tombe a camera di lontana origine faraonica, alle quali probabilmente appartiene la maggior parte delle iscrizioni che le daterebbero all'epoca tulunide, ai veri e propri mausolei che per la loro complessità e per le loro affinità con alcuni esempi del Cairo sono da datare per la maggior parte al periodo fatimide. Questi ultimi, di maggiore interesse architettonico, presentano come caratteristica principale una cupola che sormonta la sepoltura e si distinguono a seconda che la pianta sia rettangolare o quadrata. Le cupole che sormontano i mausolei sono solitamente costruite con mattoni cotti, a differenza delle murature delle strutture sottostanti che possono utilizzare diversi materiali. Esse presentano forme differenti e nonostante la forma ovoide sia la più diffusamente utilizzata, si possono trovare cupole ribassate, cupole semisferiche, o cupole a spicchi arrotondati dette "a melone". Il più frequente sistema di raccordo tra la pianta quadrata e la cupola è quello siriaco, consistente in una lastra di pietra triangolare che inserita negli angoli trasforma il quadrato in ottagono; altro tipo di raccordo è costituito da trombe di forma semiconica che ricordano il sistema di raccordo utilizzato in Iran in epoca sasanide. Più complessi sono i raccordi che utilizzano trombe a nicchie e pennacchi a triangoli sferici. La cupola non poggia direttamente sul raccordo, ma su un alto tamburo spesso caratterizzato da facciate esterne concave aperte da finestre.
Il mausoleo di più grande rilevanza per dimensioni e per complessità è anche quello che presenta le caratteristiche architettoniche più particolari: l'entrata è composta da un portico succeduto da una camera quadrata cupolata tramite cui si accede a una corte aperta; in asse con l'entrata, sul lato orientale, si apre la camera sepolcrale con cupola poggiante su alto tamburo ottagonale. Sul lato settentrionale si apre un ambiente con miḥrāb identificabile come moschea. La pianta del complesso ricorda quella del mašhad di al-Giuyushi (1085) e del santuario detto Khadra Sharifa (1107/8), ambedue al Cairo, mentre il particolare sistema di raccordo a tre nicchie della cupola della tomba è paragonabile a quello utilizzato nei mausolei cairoti di as-Sayyida Atika (1125) e as-Sayyida Ruqayya (1132); queste corrispondenze permettono di datare il mausoleo agli inizi del XII secolo. Per mezzo di comparazioni stilistiche con i coevi mausolei, K.A.C. Creswell propone una datazione tra il 1100 e il 1110. Come in questo caso, molti dei mausolei di A. vengono comparati ai mausolei fatimidi del Cairo. Il X e l'XI secolo vedono la nascita e la diffusione in varie parti del mondo musulmano di strutture sepolcrali commemorative ‒ o mausolei ‒ sebbene, almeno nella teoria, le leggi islamiche siano sempre state contrarie a ogni forma di commemorazione del defunto dopo la morte. La questione se e in quale misura le tendenze sciite eterodosse, e nel caso specifico dell'Egitto la fede ismailita dei califfi fatimidi, abbiano contribuito alla nascita e alla diffusione dei mausolei, è ancora irrisolta.
G. Salmon, Notes d'épigraphie arabe, II. Les stèles funéraires d'Assuan, 2, Le Caire 1902, p. 118 ss.; U. Monneret de Villard, La necropoli musulmana di Aswan, Il Cairo 1930; Id., La Nubia medioevale, I-II, Le Caire 1935; K.A.C. Creswell, The Muslim Architecture of Egypt, I. Ikshids and Fatimids, A.D. 939-1171, Oxford 1952; Y. Raghib, Sur un groupe de mausolées du cimitière du Caire, in REtIslamiques, 40 (1972), pp. 189-95; C. Taylor, Reevaluating the Shi'i Role in the Development of Monumental Islamic Funerary Architecture: the Case of Egypt, in Muqarnas, 9 (1992), pp. 1-10.
di Maria Antonietta Marino
La città del C. (ar. al-Qāhira), odierna capitale dell'Egitto e immenso agglomerato urbano, si sviluppò in fasi diverse: i vari nuclei abitativi si andarono costituendo secondo una successione di fondazioni urbane che si accostavano alle precedenti espandendole.
Il primo insediamento islamico fu stabilito nel quartiere oggi detto Vecchio Cairo (Maṣr al-῾Atīqa), o quartiere copto. Il sito, di antica origine faraonica, era all'epoca abitato da una comunità cristiana che perpetuava un insediamento di epoca romana. Il luogo prescelto si trovava di fronte all'isola di Roda, nel punto in cui il Nilo era più facilmente attraversabile per mezzo di un ponte di barche. Ancora oggi sono visibili le vestigia della fortezza romana di Babilonia (Babalyun) datata al II sec. d.C. e identificata nei resti delle mura occidentali e meridionali che si trovano nei pressi della chiesa copta di Mar Girgis e della sinagoga Ben Ezra. Nel 641 gli eserciti arabi guidati dal comandante Amr ibn al-As, dopo aver conquistato la fortezza di Babilonia, si stanziarono nel sito designato col nome di Fustat. Qui furono prontamente edificati una moschea, che prese il nome del comandante, e un dār al-imāra, il palazzo governativo costruito accanto alla moschea, intorno ai quali si costituì il primo centro cittadino. La moschea aveva una pianta rettangolare e misurava in origine circa 29 × 17 m; utilizzava mattoni di fango pressato per le mura e tronchi di palma per sostenere la copertura piatta. La pianta ipostila, il tetto piatto e l'assenza di un cortile, presente invece nelle altre prime moschee del mondo islamico, evidenzia in questa moschea un'affinità con gli antichi templi faraonici. Essa, inoltre, non presentava in origine né il minareto, né la nicchia di preghiera (miḥrāb), elementi che, nonostante siano divenuti successivamente distintivi delle moschee, furono introdotti solo in epoca omayyade. Lo storico Qalqashandi riferisce che per dare risalto al muro rivolto alla Mecca erano impiegate quattro colonne. Le dimensioni attuali della moschea vennero raggiunte solo durante l'ampliamento dell'827. Secondo una pratica ben nota nel mondo islamico, al cambiamento di governo avvenne anche uno spostamento del centro istituzionale. Con l'avvento della nuova dinastia califfale degli Abbasidi fu fondato in Egitto un nuovo centro satellite a soli pochi chilometri a nord-est di Fustat, denominato al-Askar ("l'esercito"), con una propria moschea e dār al-imāra, che si fonderà presto con la più vitale città di Fustat.
Non è mai superfluo ricordare la vitale importanza delle annuali inondazioni del Nilo che, irrigando le terre circostanti, assicuravano all'Egitto la sopravvivenza: l'inondazione veniva misurata grazie a pozzi graduati detti "nilometri", di cui quello del Cairo, situato sulla punta meridionale dell'isola di Roda, è l'esempio migliore. Ordinato dal califfo al-Mutawakkil nell'861, il Nilometro (al-miqyās), poi ristrutturato da Ibn Tulun, è un profondo pozzo a vari livelli comunicante con le acque del Nilo grazie a un sistema di tre gallerie sovrapposte. Al centro del pozzo è fissata una colonna graduata a sezione ottagonale con cui veniva misurata l'altezza raggiunta dall'acqua del Nilo. La misura ideale che l'inondazione poteva raggiungere era di 16 cubiti; se sfortunatamente l'acqua era molto al di sotto o molto al di sopra, questo corrispondeva in ogni caso alla carestia. Lungo le pareti del pozzo corre una scalinata che ne raggiunge la base; il primo livello presenta quattro nicchie simmetriche che per la prima volta mostrano la comparsa in Egitto di un arco a sesto acuto. La decorazione principale consiste in iscrizioni scolpite in bassorilievo che riportano versi simbolici del Corano riguardanti l'acqua come fonte di vita. Considerata la grande importanza del Nilometro non stupisce che questo monumento fosse il protagonista di una particolare celebrazione, l'unzione del Nilometro, legata alla più sontuosa e allo stesso tempo popolare festa annuale che si svolgeva in occasione dell'apertura del grande canale (al-ḫalīǧ).
Lo sviluppo parallattico della città proseguì in periodo tulunide con la fondazione della nuova capitale al-Qatai edificata su un altipiano, detto Gebel Yashkur dal nome della tribù che lo aveva occupato, a nord-est dell'ormai unico centro urbano di Fustat-Askar; la tendenza era quella di allontanare progressivamente in direzione nord-occidentale la sede governativa da Fustat, ormai diventato un popoloso centro commerciale e industriale. Ibn Tulun qui eresse il suo magnifico palazzo che secondo le fonti comprendeva ampi giardini e un ippodromo; questo fu ulteriormente ampliato dal figlio Khumarawayh con sale, belvedere e lussureggianti giardini, e dotato di un ricco apparato decorativo, come dimostra la Sala d'Oro che, secondo le fonti, era abbellita da statue femminili dipinte rappresentanti le sue schiave e concubine. Del palazzo non rimane altro se non qualche sparuto resto delle strutture che furono rase al suolo durante la rioccupazione dell'Egitto da parte dell'esercito abbaside. Accanto al palazzo fu edificata l'imponente moschea di Ibn Tulun che, non essendo stata distrutta o modificata successivamente, costituisce il più antico esempio di moschea egiziana che si conservi nella sua struttura originaria.
La moschea, completata secondo l'iscrizione di fondazione nell'879, ha dimensioni amplissime ed è legata sia nella struttura che nell'apparato decorativo all'ambiente samarreno, da cui per l'appunto proveniva il turco Ibn Tulun. Presenta una pianta rettangolare con cortile centrale circondato da riwāq (porticati) e una grande sala di preghiera ipostila con tetto piatto retto da archi a sesto acuto su grandi pilastri rettangolari con colonnine angolari. È circondata su tre lati da uno spazio supplementare, detto ziyāda, in cui si trovavano le fontane per le abluzioni e i depositi della moschea: esso serviva a isolare la moschea dai mercati circostanti e ad accogliere il gran numero di persone, tra cui i militari dell'esercito di Ibn Tulun, che si riversavano in moschea per la preghiera del venerdì. La moschea è costruita in mattoni cotti, fatta eccezione per il minareto che è di pietra. Quest'ultimo, sebbene probabilmente ricostruito per buona parte in epoca mamelucca, presenta la struttura elicoidale tipica dei minareti di Samarra. Le mura sono aperte da una fila di finestre a griglia di stucco, non tutte di epoca tulunide, che propongono le più varie combinazioni geometriche. L'apparato decorativo è ciò che lega maggiormente la moschea tulunide all'arte di Samarra. Gli intradossi degli archi presentano una decorazione a stucco stampato con motivi geometrici e floreali stilizzati in composizioni simmetriche di evidente origine samarrena; i soffitti delle entrate conservano ancora il rivestimento ligneo originario che ripropone il più puro stile smussato di Samarra. Di periodo tulunide si conserva inoltre una sezione dell'acquedotto fatto edificare da Ibn Tulun. Il primo luglio del 969 il comandante delle truppe fatimidi Giawhar entrò vittorioso a Fustat che all'epoca, avendo inglobato anche il centro di al-Qatai, era diventata la città più popolosa del mondo islamico insieme a Baghdad. Il califfo al-Muizz li-Din Allah, come i suoi predecessori, scelse un luogo isolato per edificare la sua nuova capitale, al-Qahira ("la Vittoriosa"), che si sviluppò a est del grande canale in direzione nord-orientale.
La città, a pianta rettangolare, fu a differenza delle precedenti circondata da mura e dotata di un fossato. Vi erano sui quattro lati varie porte d'entrata monumentali: le più importanti, Bab az-Zuwayla e Bab al-Futuh, si trovavano sull'asse viario principale che tagliava al centro la città in direzione nord-est, una al centro del lato meridionale, l'altra al centro di quello settentrionale. Questa strada, che ancora oggi porta il nome di al-Muizz li-Din, conduceva al fulcro della città fatimide: una grande piazza che separava due grandi palazzi califfali, detta per l'appunto Bayn al-Qasrayn ("tra i due palazzi"). I palazzi fatimidi, di cui oggi non rimangono più vestigia se non materiali recuperati in fortuiti scavi e restauri, sono però noti dalle molte descrizioni di visitatori rimasti impressionati dal loro sfarzo e magnificenza. Il carattere della città palatina fatimide può essere meglio compreso tenendo conto della natura spirituale che pervade l'ideologia di questa dinastia. La fede ismailita si fonda sull'esoterismo e sull'iniziazione dei suoi adepti: questo aspetto ha creato un certo mistero intorno alla storia della dinastia e alla vita privata dei califfi. L'aura divina che circonda l'imam-califfo fatimide lo allontana dalla vita pubblica aumentando così la sua sacralità. Il cerimoniale acquista di conseguenza una grande importanza e diventa centrale nella vita della città palatina, concepita secondo un asse processionale che ha come fulcro il Bayn al-Qasrayn; qui si svolgevano fastose parate e rassegne dell'arme in presenza del califfo che faceva le sue apparizioni da una finestra del palazzo orientale e da qui partivano le processioni in occasione delle feste annuali e religiose.
Il palazzo orientale, il primo a essere costruito, ospitava la residenza del califfo ed era costituito da numerose sale, padiglioni e cortili secondo un susseguirsi di ambienti coperti e scoperti tipico delle residenze aristocratiche. Qui si trovava anche la celebrata sala delle udienze, la Dar al-Dahab ("Casa d'Oro"), dove il califfo si presentava al pubblico ammesso seduto su un ampio trono d'oro decorato da scene di caccia e iscrizioni. Il palazzo occidentale, probabilmente la residenza del principe ereditario, fu costruito successivamente nei giardini di Kafur sul lato opposto del Bayn al-Qasrayn. Il califfo al-Hakim, noto per la sua stravaganza, ma anche per il suo amore per la cultura, fece costruire nella parte settentrionale del palazzo orientale una grande biblioteca, la Dar al-Hikma ("la Casa della Conoscenza"), dove, secondo i cataloghi, erano conservati circa 6500 volumi; questa divenne un importante centro di studi dedicato a varie discipline tra cui la filosofia, la legge, la matematica, l'astronomia, la medicina, la grammatica, l'architettura. Tra i resti del palazzo fatimide sono alcune travi di legno scolpite rinvenute durante lavori di restauro nel complesso del sultano mamelucco Qalawun e appartenenti al palazzo occidentale; vi sono rappresentate scene con motivi di caccia e banchetto tipici del repertorio detto dei divertissements princiers. All'inizio degli anni Novanta del Novecento, nell'area del Bayn al-Qasrayn, il Deutsche Archäologische Institut del Cairo svolse importanti lavori di conservazione che videro necessari alcuni scavi nell'area del complesso ayyubide di as-Salih Najm ad-Din Ayyub. Riportando alla luce alcune parti murarie appartenenti al palazzo orientale si ebbe la conferma che la facciata occidentale della Madrasa as-Salihiyya era stata edificata dove un tempo si trovava la facciata delle cucine del grande palazzo fatimide e che esisteva un passaggio che conduceva alla turbat al-za῾faran, mausoleo dei califfi fatimidi situato nella parte sud-orientale della città palatina; fu rinvenuto inoltre molto materiale tra cui legni scolpiti e dipinti (riutilizzati nei soffitti del complesso ayyubide), decorazioni architettoniche di pietra scolpita e ceramica.
L'architettura religiosa, contrariamente ai palazzi fatimidi, ebbe sorte migliore e la città del Cairo conserva i migliori esempi di moschee fatimidi. Contemporaneamente ai palazzi califfali vedeva la nascita la nota moschea dell'al-Azhar, divenuta col tempo il più importante centro di studi religiosi del mondo islamico e tutt'oggi rinomata università teologica e giuridica. Cominciò ad assolvere alla sua funzione educativa relativamente presto con l'insegnamento delle dottrine sciite, funzione che venne perpetuata dalle dinastie successive nonostante il cambiamento di fede religiosa e quindi l'introduzione delle dottrine sunnite. La moschea si trovava nella parte meridionale di al-Qahira ed era quindi una moschea palatina. La struttura originaria, poi ampliata in fasi successive, aveva una pianta quasi quadrata con cortile provvisto di riwāq (portico) e sala di preghiera ipostila su colonne a navate parallele al muro qiblī (rivolto verso la Mecca): questa presenta un dispositivo a T costituito da un transetto sopraelevato perpendicolare all'ultima navata con una cupola a evidenziare il punto d'intersezione. Altre due cupole pare si trovassero negli angoli della stessa navata lungo il muro qiblī, ma, sebbene si ritrovino anche nel Maghreb, non se ne conosce l'origine. La decorazione originaria, prevalentemente di stucco, è ancora visibile, nonostante i recenti e invasivi restauri, nella conca del miḥrāb e nei profili delle arcate che presentano motivi arabescati e iscrizioni in cufico fiorito, nonché in alcuni pannelli raffiguranti delle naturalistiche palme su un fondo di tralci foliati.
La grande moschea di al-Hakim, dalla storia complessa e a volte misteriosa, venne fondata dal califfo al-Aziz nel 990 e completata dal figlio e successore al-Hakim nel 1003; nel 1010 i minareti furono inspiegabilmente inglobati da strutture a torre e nel 1013, fornita dell'arredo necessario, la moschea fu nuovamente inaugurata. Costruita all'esterno delle mura in prossimità di Bab al-Futuh, presenta dimensioni molto ampie e una struttura che, riprendendo in pianta quella dell'al-Azhar, risulta più omogenea e simmetrica. In particolare l'asse del miḥrāb viene sottolineato da un'entrata monumentale in facciata. Aumenta inoltre l'importanza della monumentalità delle facciate, inaugurata dai Fatimidi nella moschea di Mahdiyya in Ifriqiya, che viene qui perfezionata dalla posizione simmetrica dei minareti angolari, dall'imponente portale d'entrata centrale aggettante all'esterno del muro e decorato da alte nicchie cieche e dalle porte laterali che movimentano la facciata. La decorazione si svolge lungo i profili delle arcate, dove corrono iscrizioni coraniche in cufico fiorito, e sulle travi lignee di collegamento degli archi che sono intagliate secondo lo stile "smussato" di Samarra. Il periodo fatimide è spesso associato alla diffusione dei mausolei in Egitto: tra i primi a essere eretti, probabilmente intorno al 1010, furono alcune tombe "a baldacchino" in un'area desertica nelle vicinanze di Fustat, dette Saba' Banāt, o "sette ragazze"; essendo visibili solo quattro dei mausolei, il Comité de Conservation des Monuments de l'Art Arabe nel 1944 ha intrapreso uno scavo grazie al quale sono stati riportati alla luce altri due mausolei, di identico impianto, mentre il settimo non è mai stato individuato. Gli scavi hanno anche rivelato che i mausolei erano circondati da un cortile recintato con mura la cui entrata si trovava sul lato nord-occidentale, cortile che si ritrova anche nei mausolei di Assuan.
Opera del visir Badr al-Giamali, chiamato dal califfo al-Mustansir nel 1073 per risanare lo Stato fatimide, fu la ricostruzione delle mura di al-Qahira e delle sue porte: furono rimpiazzate le vecchie mura di mattoni cotti con possenti mura di pietra e fu ampliato il perimetro così da inglobare nella parte settentrionale la moschea di al-Hakim. Le porte principali, Bab az-Zuwayla, Bab al-Futuh e Bab an-Nasr, sono monumenti di grande imponenza e, oltre ad avere una funzione difensiva, si prestavano alla funzione cerimoniale del passaggio del califfo durante le processioni.
Un monumento particolarmente interessante di epoca fatimide si trova in posizione isolata sulle Muqattam Hills, le alture a nord-est di Fustat. Qui si erge un santuario conosciuto con il nome di Mashhad al-Giuyushi, o santuario dell'amīr al-Ǧuyūš, ovvero il comandante dell'arma visir Badr al-Giamali. Non essendo il mausoleo del visir, il motivo della sua costruzione potrebbe essere la commemorazione delle sue vittorie militari. Dalla struttura complessa, presenta il minareto in facciata sopraelevato sulla porta d'entrata: ha il primato di mostrare per la prima volta in Egitto una complessa decorazione a muqarnas (sistema decorativo a forma di stalattiti che si trova nelle zone di transizione). Il santuario, a cui si accede dopo aver attraversato un cortile, è coperto da una cupola su tamburo ottagonale e conserva un miḥrāb dalle grandi dimensioni riccamente decorato di stucco che richiama il contemporaneo stile persiano. Un monumento dall'apparenza di mausoleo, ma in realtà santuario alla memoria, è il mašhad di Sayyida Ruqayya (1133), venerata come discendente dell'imam Ali. L'importanza di questo monumento risiede nella sofisticata decorazione di stucco del suo miḥrāb: molto diversa da quella del miḥrāb di al-Giuyushi, esso presenta la conca della nicchia decorata da profonde scanalature radiali che si dipartono da un medaglione centrale la cui origine è certamente da ricercarsi nelle nicchie a conchiglia di tipo copto. Il periodo fatimide vede in Egitto il proliferare di santuari e mausolei; è possibile attribuire il motivo di questa tendenza al carattere eterodosso della dinastia che avrebbe favorito la santificazione di personaggi venerabili, in primis gli imam-califfi, e il culto delle loro tombe.
L'ultimo secolo della dinastia è caratterizzato dal crescente potere dei visir di cui è testimone un altro monumento molto interessante: la moschea al-Aqmar. Essa fu edificata nel 1125 dal visir al-Mamun lungo l'asse viario del Bayn al-Qasrayn, a nord del palazzo orientale e, viste le sue ridotte dimensioni, doveva essere una moschea privata, forse riservata alle esigenze della stretta cerchia del califfo e del suo visir. Data la grande importanza attribuita dai Fatimidi alla funzione monumentale e cerimoniale dell'urbanistica la facciata della moschea fu allineata alla strada principale; questa presenta una ricchissima decorazione scolpita nella pietra che, per mezzo di motivi simbolici ‒ come, ad esempio, la porta chiusa e la finestra con la lampada appesa ‒ e di iscrizioni in cui compare il nome di Ali fanno esplicito riferimento alla fede sciita. Dal punto di vista della decorazione architettonica viene inaugurato l'impiego di archi a profilo carenato, tipologia che avrà grande seguito anche in epoche successive. Altra moschea ordinata da un visir è quella di as-Salih Talai, costruita nel 1160 di fronte a Bab az-Zuwayla per ospitare come reliquia la testa del corpo decapitato dell'imam Husayn, poi invece trasportata all'interno del palazzo. La moschea aveva la particolarità, in comune con quella di al-Aqmar, di essere sopraelevata su un livello adibito a negozi che, poiché si trovavano sotto l'attuale livello stradale, sono stati scavati e ripristinati nella loro forma originaria. Particolarità architettonica interessante è la presenza di un portico in antis che rappresenta una rarità attestata anteriormente solo nella piccola moschea Bu Fatata di Susa (838-841) in Tunisia.
L'architettura civile, oltre agli esempi di residenze rinvenute durante gli scavi di Fustat, è testimoniata dalla scoperta di un bagno prima ritenuto di epoca tulunide, ma recentemente attribuito al periodo fatimide: questo ha restituito dei muqarnas dipinti con figure umane e animali che rivestono un'estrema importanza poiché rappresentano, con quelli non altrettanto ben conservati rinvenuti negli scavi di Murcia, gli unici prototipi dei più famosi muqarnas della Cappella Palatina di Palermo. L'epoca fatimide è caratterizzata da una produzione di lusso strabiliante: i tesori del palazzo conservavano enormi quantità di oggetti in materiali pregiati prodotti principalmente per l'uso della corte. Tali mirabilia sono elencate negli inventari che gli storici hanno tramandato raccontando della dispersione del tesoro fatimide, quando nel 1068, sotto il regno di al-Mustansir, fu necessario aprire i tesori del palazzo e svendere i preziosi oggetti per risanare le casse dello Stato. Tra le produzioni più tipiche di quest'epoca è sicuramente quella di ceramica dipinta a lustro metallico, ottenuta grazie a un procedimento sofisticato e costoso che prevedeva una doppia cottura ad atmosfera riducente. Nel panorama artistico islamico questa tipologia ceramica si distacca dalle tendenze principali e trova nella tradizione ellenistica, che evidentemente non era andata persa, fonte d'ispirazione. Su questo vasellame dalle grandi forme sono raffigurati motivi ispirati alla vita quotidiana ritratti con grande naturalismo: su una coppa della Keir Collection (Londra) troviamo, ad esempio, un combattimento di galli ripreso nel momento precedente alla lotta in cui i proprietari ancora trattengono gli animali; su un'altra coppa di proprietà del Museo Benaki di Atene, dove si conserva la più numerosa collezione di ceramica fatimide a lustro, è raffigurato un leopardo avvicinato da un uomo forse identificabile nel suo domatore. Fustat ha restituito enormi quantità di materiale ceramico che ha confermato la produzione in loco di questa tipologia e la sua grande diffusione nel mercato facendo prospettare l'ipotesi che esistesse una ricca borghesia in grado di acquistare merce di lusso come questa.
Altro repertorio figurativo, caratterizzato da una stilizzazione maggiore, forse dovuta al tipo di materiale, e da una minore varietà iconografica, è quello che si ritrova nella produzione degli avori. Minuziosamente intagliati, pannelli e placchette raffigurano i temi più comuni della caccia e del banchetto. Nonostante i più famosi oggetti di avorio si trovino oggi nei musei e nelle collezioni private e non se ne conosca la provenienza, alcuni pannelli scolpiti sono stati rinvenuti negli scavi di Fustat e presentano scene di caccia, animali e figure umane su un fondo di tralci vegetali; possono essere accostati alla produzione dei legni scolpiti che presentano pressoché la medesima decorazione. Ma ciò che meglio rappresenta il lusso sfrenato di cui si circondavano i califfi fatimidi è forse l'arte dell'intaglio del cristallo di rocca, prezioso materiale con cui furono creati splendidi oggetti dalle trasparenze luminose apprezzati non solo in Egitto, ma in ogni parte del Mediterraneo; famose le brocche intagliate del Tesoro di San Marco a Venezia decorate da figure animali e iscrizioni.
Un discorso a parte merita la produzione dei tessuti. Il periodo fatimide vide il consolidamento e l'allargamento del monopolio di Stato che governava la produzione e il commercio dei tessuti. Con il termine ṭirāz si indicano principalmente i tessuti prodotti dagli ateliers tessili sottoposti al diretto controllo dei califfi che potevano essere privati, diretti quindi a soddisfare le esigenze dei califfi e della corte, o pubblici, aperti quindi alla vendita. I ṭirāz erano caratterizzati da bande epigrafiche che riportavano innanzitutto il nome del califfo e spesso l'atelier e la data di produzione; essendo questi tessuti utilizzati per lo scambio di doni e indossati durante le cerimonie, la presenza del nome del califfo regnante acquista grande importanza e serve, come sulle monete, ad affermarne la sovranità.
L'avvento di Salah ad-Din (Saladino) e della nuova dinastia ayyubide segnò la fine di un'epoca. Ferventi sunniti, gli Ayyubidi ristabilirono l'ortodossia e tentarono di cancellare la memoria dei loro predecessori smantellando la città palatina di al-Qahira. Grandi modifiche a livello urbanistico comportarono la fusione dei due centri di Fustat e al-Qahira in un'unica città dalle immense dimensioni. A difesa dei due centri fu costruita una cittadella sulle alture delle Muqattam Hills secondo la tradizione che gli Ayyubidi avevano affinato in Siria durante la guerra contro i Crociati. Esplorata scientificamente da K.A.C. Creswell negli anni Venti del Novecento, è stata recentemente oggetto di un nuovo studio interpretativo da parte di Naser Rabat. La parte ayyubide della cittadella corrisponde al poligono irregolare della sezione settentrionale; le mura furono costruite come quelle di Badr al-Giamali su tre livelli, ma le porte di entrata erano del tipo a baionetta, più adatte a uno scopo difensivo. Recentemente sono stati svolti degli scavi per liberare la parte bassa delle mura che era sotterrata per ripristinarne l'altezza originaria. La cittadella del Cairo non subì mai alcun assedio e ben più importante fu la sua funzione di residenza dei sovrani che, inaugurata dagli Ayyubidi, fu perpetrata fino al periodo ottomano. Le prime strutture abitative della cittadella, di cui non rimane alcuna traccia, sono state attribuite al sultano al-Malik al-Kamil che fu il primo a risiedere effettivamente nella cittadella. Uno dei problemi più impellenti era la necessità di far arrivare l'acqua dal Nilo alla cittadella: Salah ad-Din fece costruire a questo scopo un acquedotto collegato a una torre esagonale situata vicino al fiume che, grazie a un sistema di norie, spingeva l'acqua verso la cittadella.
Salah ad-Din aveva progettato la costruzione di una immensa cinta muraria che inglobasse i vari centri urbani del Cairo: Fustat, la cittadella e al-Qahira. Nel 2001 un'équipe franco-egiziana diretta dall'IFAO (Institut Français d'Archéologie Orientale) ha intrapreso degli scavi archeologici in alcuni tratti della cinta muraria, non lontano dal perimetro orientale della città fatimide, riportando alla luce un cimitero mamelucco e ottomano e facendo l'interessante scoperta di un'abitazione fatimide con cortile e fontana. L'edificazione di un santuario alla memoria dell'imam ash-Shafi, fondatore di una delle quattro scuole giuridiche dell'Islam sunnita, è significativa della volontà degli Ayyubidi di ristabilire l'ortodossia anche nell'ambito della religiosità popolare, spesso veicolo di tendenze eterodosse. Il mausoleo mostra un nuovo tipo di cupola ovoide che comincia a restringersi immediatamente dopo la partenza dal tamburo. Sulla punta della cupola si trova un modellino di barca in rame, secondo una tradizione egiziana sicuramente preislamica connessa all'arte funeraria.
Gli Ayyubidi promossero e sponsorizzarono l'istituzione della madrasa in tutti i territori da loro governati ed è noto che anche la città del Cairo, dove la preoccupazione di focolai eterodossi era più sentita, fu dotata di svariate madrasa. Recentemente oggetto di scavi e restauro conservativo, la madrasa di as-Salih Najm ad-Din Ayyub (1243) è una delle più significative. Costruita nella zona dei palazzi fatimidi sembra voler suggellare il nuovo potere politico e la nuova dottrina che s'impone su un passato ormai cancellato; non è casuale forse che, nonostante in molte madrasa venisse insegnato un solo rito, in questa venissero contemporaneamente studiate le quattro scuole giuridiche che sono alla base della fede sunnita, seguendo così l'esempio della più nota Madrasa al-Mustansiriyya di Baghdad. L'importanza di questa nuova fondazione risiede anche nell'atto di rioccupazione urbanistica di un quartiere che era stato distrutto e nella volontà di restituirlo con una funzione diversa alla vita cittadina. La madrasa presenta una pianta a due īwān, introducendo in Egitto una struttura di origine iranica. Ancora più importante è l'accostamento, voluto alla morte del sultano dalla moglie Shagarat ad-Durr, del mausoleo di as-Salih Najm ad-Din, costruito nel 1250 a ridosso dell'īwān occidentale della madrasa lungo l'asse viario principale. Nasce così la concezione del complesso architettonico costituito da mausoleo-madrasa che in epoca successiva vedrà la sua massima diffusione. Altra struttura architettonica che si configura in quest'epoca e che diventerà tipica del periodo successivo è il minareto del tipo a mabḫara (brucia-incensi), ovvero un minareto che termina con un padiglioncino aperto da archi e coperto da cupola, di cui si conservano gli esempi nella madrasa di as-Salih Najm ad-Din e nella zāwiya al-Hunud.
Al periodo di transizione tra la dinastia degli Ayyubidi e quella dei Mamelucchi nella metà del XIII secolo appartiene un altro interessante monumento detto "mausoleo dei califfi abbasidi" poiché vi si trovano i cenotafi di alcuni califfi abbasidi. L'interno propone l'evoluzione delle trombe a muqarnas nella zona di transizione e l'introduzione di finestre sui lati piatti dell'ottagono che riprendono il profilo delle nicchie dei muqarnas creando nella zona di transizione un effetto di grande omogeneità. Il sultano as-Salih trasferì la sua residenza dalla cittadella all'isola di Roda dove fece edificare un nuovo palazzo del quale rimangono solo alcune tracce. Qui per l'appunto risiedeva il corpo di guardie che diede origine alla successiva dinastia dei Mamelucchi Bahri. I sultani mamelucchi sono noti per il costante mecenatismo architettonico: l'immenso numero di fondazioni, religiose e civili, modifica totalmente l'aspetto urbano dando un nuovo volto alla città del Cairo. La grande area che collegava la città fatimide alla cittadella, ancora poco popolata in periodo ayyubide, subì un'intensa urbanizzazione e i Mamelucchi la arricchirono di splendidi monumenti. Si svilupparono due importanti assi viari che vennero col tempo adibiti a vie processionali: il Darb al-Ahmar, che congiungeva la cittadella con al-Qahira, e Sharia Saliba, che la collegava invece con la zona di Ibn Tulun.
L'architettura mamelucca di periodo bahrī riprende molte soluzioni già note in epoca ayyubide: tradizione, innovazione e influenza straniera sono le componenti che in egual misura concorsero alla creazione di uno stile architettonico tipicamente cairota. La prima moschea costruita in epoca mamelucca fu fondata dal sultano az-Zahir Baybars (1266-1269) e ripropone una pianta con sala di preghiera ipostila e cortile centrale che presenta forti similarità con la moschea di al-Hakim. La più grande novità consisteva in un'enorme cupola lignea che sormontava la zona frontale del miḥrāb, novità che, sembra, venisse introdotta in Egitto tramite l'Anatolia. Dalla Siria proviene invece l'uso dell'ablaq, un sistema decorativo degli archi che prevede l'alternanza di conci di pietra di colore diverso, di cui il primo esempio egiziano si trova in uno dei portali della moschea di az-Zahir.
Uno dei più splendidi complessi architettonici di epoca mamelucca fu fatto edificare come fondazione pia dal sultano Qalawun nel 1285: costituito da una madrasa, un mausoleo e un māristān (ospedale), fu costruito sull'antico asse viario di al-Muizz li-Din, seguendo l'esempio della vicina madrasa di as-Salih. Ben conservato ‒ sebbene al presente oggetto di restauri ‒, tranne che per il māristān di cui rimangono solo poche tracce. La struttura e la decorazione architettonica sono assolutamente innovative per l'epoca. La facciata esterna è modulata da alte nicchie aperte da finestre di cui quelle superiori sono bifore sormontate da aperture a occhio di bue. Il mausoleo, uno dei monumenti più straordinari del Cairo, presenta una struttura con cupola centrale sostenuta da un ottagono su pilastri e colonne simile in pianta alla Cupola della Roccia di Gerusalemme e al Santo Sepolcro. L'elemento di novità consiste nello slancio in altezza che pervade tutto il monumento. La decorazione architettonica riveste gran parte delle superfici ed è particolarmente ricca nel rivestimento parietale costituito da splendidi pannelli in mosaico di marmo con inserti di madreperla e ceramica. Con l'uso di questi stessi materiali si realizza un tipo di miḥrāb la cui decorazione policroma a registri orizzontali diventa tipica del periodo mamelucco. La madrasa, nonostante sia strutturata secondo l'impianto a quattro īwān di origine iranica, presenta nell'īwān principale una pianta basilicale a tre navate. Scavi archeologici e fonti scritte hanno potuto restituire la pianta dell'ospedale che si trovava dietro il complesso della madrasa e del mausoleo e che si componeva di oltre 100 ambienti. I molti riferimenti all'architettura cristiana, bizantina da una parte e crociata dall'altra, sono motivati dalle relazioni costanti della corte mamelucca di Qalawun con Bisanzio e dai contatti, sebbene prevalentemente belligeranti, con i regni latini della Terrasanta.
Molto spesso le vittorie mamelucche sui crociati venivano celebrate riportando in Egitto trofei architettonici provenienti da chiese ed edifici smantellati. Il miglior esempio di questa pratica si trova nella madrasa di an-Nasir Muhammad ibn Qalawun (1295-1303), dove in facciata si apre un portale gotico di marmo proveniente dalla spoliazione di una chiesa di Akko (Acri). Il minareto, altro elemento degno di nota, è in parte rivestito da una fitta decorazione di stucco: viene qui ripreso il motivo tradizionale delle nicchie scanalate a profilo carenato e la superficie si arricchisce di pannelli in bassorilievo decorati con arabeschi e iscrizioni.
Nella prima metà del XIV secolo, corrispondente grosso modo al regno di an-Nasir Muhammad, si vennero definendo le caratteristiche del nuovo stile mamelucco con una serie di edifici molto significativi. Il sultano an-Nasir Muhammad fu uno dei più importanti committenti del periodo mamelucco e durante il suo lungo, anche se frammentato, periodo di regno fece edificare numerosi complessi architettonici. In epoca mamelucca la parte meridionale della cittadella, che in origine ospitava le guarnigioni e le scuderie, venne ampliata. Gli interventi più significativi vennero attuati dal sultano an-Nasir Muhammad. A nord, appena varcata la porta della vecchia cinta muraria che suddivide ancora le due parti, venne edificata la Grande Moschea. Verso i limiti meridionali e occidentali erano situati i palazzi mamelucchi: i complessi principali erano costituiti dal Grande Iwan (al-īwān al-kabīr), dal Qasr al-Ablaq e dai Qusur al-Guwaniyya, a ovest dei quali si trovavano i giardini di Hawsh. I palazzi si affacciavano sull'ippodromo e sul mercato dei cavalli, quasi a voler sottolineare la grande importanza che i Mamelucchi, originari dell'Asia Centrale e grandi cavalieri, attribuivano a tali animali. L'area dei palazzi mamelucchi fu oggetto di scavo già agli inizi del XX secolo e, sebbene oggi gli edifici non siano conservati nell'alzato, sono ampiamente testimoniati nelle fonti scritte che li descrivono come residenze lussuose dalle dimensioni faraoniche contraddistinte da decorazioni sfarzose e rivestimenti marmorei. Il Grande Iwan, che sorgeva dove poi venne eretta la moschea di Muhammad Ali, era ancora visibile all'epoca della spedizione napoleonica, quando venne documentato con disegni e descrizioni accurate nella Description de l'Égypte. Si trattava di una costruzione a pianta rettangolare aperta su tre lati da arcate sorrette da colonne; la grande sala era ipostila e impiegava gigantesche colonne granitiche fatte trasportare appositamente dall'Alto Egitto per sorreggere la cupola. Diversamente concepito era il Qasr al-Ablaq, così chiamato per il sistema decorativo basato sull'alternanza cromatica dei conci di pietra degli archi che era qui utilizzato: più simile agli altri palazzi mamelucchi a esso contemporanei, il Qasr al-Ablaq presentava una pianta a due īwān affrontati separati da una sala coperta a cupola, secondo le fonti rivestita di piastrelle ceramiche verdi. Questo tipo di pianta caratterizza i palazzi mamelucchi e ottomani del Cairo ed è nota col nome di qā'a.
La più importante fondazione di questo periodo è rappresentata dalla Grande Moschea di an-Nasir Muhammad sulla cittadella costruita tra il 1318 e il 1335. Riprende in pianta la moschea di Baybars con perimetro rettangolare, cortile cincondato da riwāq e sala di preghiera ipostila con grande cupola centrale, che un tempo era rivestita di piastrelle verdi, come quella del Qasr al-Ablaq; la zona di transizione è risolta da pennacchi a muqarnas che si diffonderanno nell'ultimo periodo mamelucco sostituendo le più usuali trombe a muqarnas. La moschea possiede due minareti: quello occidentale presenta anch'esso un rivestimento ceramico in verde, bianco e blu che differisce dal rivestimento di piastrelle per l'uso del mosaico di faïence. L'utilizzo di questa tecnica, nata e diffusa nell'area iranica, è verosimilmente imputabile ad artisti persiani trasferitisi al Cairo a causa delle invasioni mongole e in cerca di migliori offerte di committenza. L'interno della moschea, spoliato dagli Ottomani dei suoi rivestimenti marmorei, conserva una grande eleganza e armonia delle forme; parte della decorazione originaria si conserva nei soffitti che, come nella cupola, erano di legno dipinto e dorato.
Il periodo mamelucco vede il fiorire e la capillare diffusione dei mausolei, associati quasi sempre ad altre strutture architettoniche: un interessante mausoleo, fatto edificare dalla principessa Tatar al-Higiaziyya, figlia del sultano Nasir Muhammad, per lei e per il marito, è stato oggetto d'indagine da parte di un'équipe polacca all'interno del progetto di restauro del Darb al-Qirmiz; all'interno del mausoleo sono state individuate due aperture nel pavimento che immettono, tramite una scalinata, a due cripte con volta a botte dove sono stati rinvenuti due corpi; poiché gli scheletri sono stati posizionati sul lato destro con il volto rivolto alla Mecca, come prevede la tradizione islamica, presentano questo lato ben conservato in quanto protetto dalla sabbia e sono stati riconosciuti come un piccolo corpo femminile, sicuramente quello della principessa, e un corpo maschile, appartenente al marito. Il materiale ceramico rinvenuto, studiato da R.-P. Gayraud, è costituito prevalentemente da frammenti di vasellame a terra rossa non invetriato, ma presenta anche esempi di ceramica invetriata di cui la maggior parte a pasta color camoscio ricoperta da invetriatura alcalina verde, tipologia molto diffusa in periodo mamelucco che continua ad essere prodotta fino al XVII secolo.
Il mecenatismo architettonico non si esauriva dunque nelle fondazioni sultaniali, ma veniva promosso anche negli alti livelli della corte, in particolar modo dai membri della famiglia regnante e dai molti e influenti emiri intenzionati a dare così visibilità al loro potere. Lungo l'asse processionale di Sharia Saliba, uno dei più potenti emiri del regno di an-Nasir Muhammad, Amir Sangiar, fece edificare nel 1303/4 un complesso costituito da una ḫānqāh-madrasa e da due mausolei, il più grande dei quali venne da lui costruito in onore dell'amico Amir Salar. Le due cupole, di diverse dimensioni, rivelano uno slancio in altezza dovuto all'alto tamburo tipicamente distintivo del periodo mamelucco. L'edificio è noto soprattutto per la presenza di ampi pannelli traforati di pietra con motivi floreali che chiudono le aperture ad arco del corridoio che collega i due mausolei. Un complesso costituito da madrasa-mausoleo, fatto edificare tra il 1315 e il 1321 dall'emiro Sunqur Sadi, è stato oggetto di indagine archeologica durante i lavori di restauro della Takiyyat al-Mawlawiyya (complesso di edifici della confraternita sufi mawlawī), costruita nel 1607 sulla struttura precedente: i resti archeologici hanno permesso di individuare la pianta della madrasa che presentava due īwān opposti sui lati est e ovest e celle abitative sui lati nord e sud, separati da un cortile sul quale fu impiantata poi in epoca ottomana la samā῾ḫāna, ovvero la sala per le cerimonie della confraternita. L'istituzione della ḫānqāh, un edificio adibito alle confraternite sufi, si diffuse soprattutto nel periodo bahri. La ḫānqāh del sultano Baybars al-Gashankir (1307-1310) è il più antico esempio a noi rimasto: l'atto di fondazione (waqf), che ancora oggi si conserva, ci restituisce un'interessante descrizione delle regole di vita quotidiana che i sufi dovevano seguire.
Sul modello della moschea di an-Nasir fu realizzata la moschea di Amir Altinbugha al-Maridani (1340), importante emiro e coppiere del sultano an-Nasir Muhammad. Caratteristica principale di questa moschea è il largo riutilizzo di materiali di epoca preislamica tra cui spiccano colonne granitiche di epoca faraonica e capitelli tardoantichi. Il frequente uso di materiali di epoche precedenti, in particolare di periodo faraonico, oltre che sopperire facilmente al reperimento di materiale edilizio, doveva certamente avere delle connotazioni magiche e delle proprietà talismaniche; questo spiegherebbe l'usanza di posizionare lastre con iscrizioni geroglifiche all'entrata degli edifici. La moschea conserva inoltre uno splendido esempio di mašrabiyya che separa l'intera sala di preghiera dal cortile: formata da pannelli lignei traforati con diversi motivi geometrici e ornata da merlature presenta un'iscrizione in bassorilievo che corre lungo tutta la facciata. Lo sfarzoso rivestimento marmoreo, oggi pericolosamente in rovina, mostra pannelli a mosaico simili a quelli del mausoleo di Qalawun che alternano il mosaico marmoreo a tessere di ceramica e di madreperla.
Il regno di Sultan Hasan segna un altro importante periodo di attività edilizia. Le influenze persiane nell'architettura mamelucca sono ancora una volta evidenti nella madrasa di Amir Sargitmish (1356). L'edificio ha una struttura a quattro īwān di cui quello principale coperto a cupola, soluzione unica nel panorama architettonico del Cairo. Ciò che più induce a prospettare un possibile prototipo iranico è la struttura a doppia calotta della cupola del mausoleo che s'innalza su un alto tamburo circolare coronato da una cornice a muqarnas. Queste evidenti caratteristiche potrebbero essere frutto di un'influenza dovuta al fatto che la madrasa ospitasse studenti persiani. Questa cupola potrebbe essere stata il modello d'ispirazione della cupola del mausoleo della madrasa di Sultan Hasan che, oggi ricostruita, aveva secondo le fonti un aspetto a bulbo. Molto interessanti sono alcuni pannelli di marmo, rinvenuti nella madrasa e oggi al Museo di Arte Islamica del Cairo, scolpiti in bassorilievo con motivi arabescati che presentano nella vegetazione la raffigurazione di mani che stringono dei racemi foliati.
La madrasa di Sultan Hasan (1356-1361), sultano in verità poco importante nella storia politica mamelucca, è considerata la più grande opera architettonica mai realizzata al Cairo, sebbene non sia mai stata portata a termine. Di immense dimensioni, fu edificata sotto le pendici della cittadella di fronte all'ippodromo e al mercato di cavalli; situata dunque in un luogo chiave della vita di corte, offriva una vista spettacolare ai palazzi sultaniali che si affacciavano dalla cittadella. La madrasa, dedicata allo studio delle quattro scuole giuridiche sunnite (hanafita, shafiita, hanbalita e malikita), poteva ospitare fino a 400 studenti e svolgeva anche la funzione di Grande Moschea. Presenta un impianto a quattro īwān i quali, essendo di grandi dimensioni, occupano quasi per intero le quattro facciate del cortile: questo fa sì che le quattro scuole occupino gli angoli dell'edificio e si affaccino con le finestre inusualmente all'esterno.
Intorno alla metà del XIV secolo si diffonde il portale con registro superiore decorato da muqarnas: il portale d'entrata della madrasa di Sultan Hasan è l'esempio più spettacolare di questa tipologia. Esso occupa l'intera altezza della facciata, che per motivi urbanistici non è in asse con il resto delle mura, e presenta una cascata di muqarnas di pietra scolpita; ai lati del portale si notano dei motivi di origine cinese, come fiori di loto e crisantemi, che erano entrati nel XIV secolo nel repertorio iconografico delle arti decorative, in particolare nella toreutica e nell'arte ceramica. L'īwān che corrisponde alla sala di preghiera, di immense proporzioni, è decorato da un rivestimento marmoreo lungo tutta la facciata della qibla; presenta inoltre uno dei pochi minbar, solitamente lignei, realizzati di marmo. Lungo le tre pareti dell'īwān corre una cornice di stucco con una splendida iscrizione cufica su un fondo arabescato a motivi floreali. Il Museo di Arte Islamica del Cairo conserva una importante collezione di lampade da moschea di vetro dipinto di epoca mamelucca, molte delle quali provenienti dalla madrasa di Sultan Hasan.
Il secondo periodo mamelucco, detto "dei Mamelucchi circassi", o burǧī, vede l'incremento delle moschee congregazionali che si moltiplicano con il risultato che dal punto di vista architettonico si ridimensionano notevolmente e si diffondono le moschee a sala unica coperta a cupola. Durante la seconda metà del XV secolo la moschea prende la forma della qā'a, o sala di ricevimento, dell'architettura residenziale civile che è costituita solitamente da due īwān principali separati da un ambiente con alta copertura spesso costituita da una lanterna per permettere alla luce di illuminare la qā'a. Poiché le superfici pavimentali vengono protette dalla copertura, sono spesso rivestite da lastre marmoree intarsiate.
Già durante la prima metà del XIV secolo un'attenzione particolare viene attribuita alla decorazione esterna delle cupole che presentano un rivestimento di pietra scolpita. Agli inizi si tratta soprattutto di cupole costolate che col tempo si arricchiscono nei motivi: le costolature diventano spiraliformi, come nella cupola del mausoleo di Amir Aytmish al-Bagiasi (1383), o seguono un motivo a spina di pesce. Durante il XV secolo l'arte scultorea applicata alla decorazione della superficie delle cupole di pietra raggiunge dei livelli qualitativi altissimi e diventa una caratteristica tipica dell'architettura mamelucca del Cairo: decorazioni geometriche basate su motivi stellari s'intrecciano ad arabeschi e motivi vegetali creando superfici complesse che rassomigliano sempre più a quelle di tappeti e tessuti.
Il primo grande monumento di questo periodo venne fatto erigere da Sultan Barquq, primo sultano circasso e personaggio dalla profonda dedizione spirituale. Il complesso madrasa-ḫānqāh da lui voluto sulla strada al-Muizz li-Din Allah nel sito del Bayn al-Qasrayn fatimide, riprende alcune caratteristiche già note all'architettura mamelucca: l'entrata sulla strada e il vestibolo comunicante con il cortile interno, la corte a quattro iwān con fontana centrale, la sala di preghiera a pianta basilicale, come nell'adiacente madrasa di Qalaun, e la ricca decorazione marmorea del muro qiblī. Poiché Sultan Barquq desiderava però essere sepolto nel cimitero settentrionale, vicino alle tombe dei sufi per cui provava così grande venerazione, il figlio Faraj fece edificare tra il 1400 e il 1411 uno dei maggiori complessi funerari dell'intero cimitero per ospitare la sua tomba e quella del padre: date le possibilità offerte dall'area non edificata, il complesso occupava un grande spazio quadrangolare isolato ed era caratterizzato da una grande simmetria architettonica. Ai due angoli orientali sono situati i due grandi mausolei, mentre gli angoli occidentali sono occupati dalle entrate monumentali. I lati ospitano la sala di preghiera e le strutture residenziali. I mausolei presentano le più grandi cupole di pietra del Cairo che, come spesso accade nell'architettura mamelucca, sono sostenute da pendenti. La pianta del complesso, che non propone l'usuale impianto a quattro iwān, rivela una grande originalità nella ripresa dell'antico impianto di moschea con cortile e sala di preghiera ipostila riadattato, con un cambiamento di funzione, a complesso funerario e ḫānqāh. Un simile impianto sarà impiegato qualche anno più tardi nel grande complesso di Sultan al-Muayyad a Bab az-Zuwayla (1416/7).
Nel periodo burǧī l'area del cimitero settentrionale fu teatro di grandi opere edilizie: la religione popolare legata al culto dei morti, praticata anche a livello ufficiale ‒ che vedeva persino i sultani venerare le tombe dei santi ‒, spingeva alla monumentalizzazione delle sepolture, ma anche a continue pratiche processionali e devozionali che portavano a lunghe permanenze della popolazione nei cimiteri. Annessi ai mausolei servivano a ospitare i parenti dei morti e i seguaci di personaggi particolarmente venerati. Da queste pratiche funerarie deriva l'urbanizzazione delle zone cimiteriali del Cairo che tuttora caratterizza queste aree della città.
Non lontano dal complesso di Faraj ibn Barquq, lungo un asse viario che collega i vari edifici di quest'area cimiteriale, vennero costruiti a qualche anno di distanza l'uno dall'altro tre grandi edifici polifunzionali che mostrano l'evoluzione e il cambiamento delle funzioni religiose e funerarie dell'architettura in epoca burǧī. Sembra che il carattere residenziale di questi complessi si vada imponendo sempre maggiormente trasformando gli annessi in vere e proprie abitazioni. Il complesso del sultano Barsbay (1432), costituito da una madrasa-ḫānqāh, un mausoleo e una zāwiya, si estendeva sui due lati della strada e, sebbene oggi non rimanga più molto delle strutture residenziali, resti di unità abitative sono ancora riconoscibili nell'area meridionale della moschea e sono probabilmente da connettere ai quartieri degli studenti. Contrariamente all'epoca precedente, si trattava di veri e propri appartamenti con doppie stanze sistemate su due piani forniti di latrine ed erano probabilmente riservati a unità familiari. Così anche gli appartamenti annessi al complesso del sultano Ashraf Inal, costruito in varie fasi tra il 1451 e il 1456 avevano latrine per ogni unità abitativa, in questo caso provviste di acqua corrente. Il complesso, tutt'oggi in rovina, presenta la particolarità di avere le varie unità architettoniche ‒ come la moschea, il minareto, e il mausoleo ‒ separate l'una dall'altra e unificate dalle mura di cinta del complesso, fatto che potrebbe essere spiegato considerando le diverse fasi di costruzione.
Il più importante complesso funerario del cimitero settentrionale fu costruito tra il 1472 e il 1475 dal sultano al-Ashraf Qait Bay (1468-1496): questi impersonò un nuovo periodo nella storia dell'architettura mamelucca caratterizzato da una forte attività edilizia. Questo complesso esemplifica ancora una volta la tendenza dell'architettura burǧī che vede diminuire le dimensioni delle strutture religiose, ma vede aumentare gli spazi annessi, in particolare nelle zone cimiteriali. Si consolida una tradizione architettonica e urbanistica con una nuova attenzione alle proporzioni e alla decorazione architettonica, che utilizza ampiamente rivestimenti marmorei, stucchi, legni dipinti e vetrate colorate. Tra le scarse indagini archeologiche che riguardano questo periodo storico è da segnalare il progetto intrapreso nel 2000 dal Royal Ontario Museum (in cooperazione con il Centro Polacco di Archeologia del Cairo e il Supreme Council of Antiquity in Egypt) che prevede lo scavo e la ristrutturazione del complesso dell'emiro Qurqumas, situato nel cimitero settentrionale e datato al 1506/7: la ricerca è focalizzata sul materiale ceramico rinvenuto nei quartieri residenziali del complesso che testimoniano la vita della comunità tra XVI e XVII secolo.
La conquista dell'Egitto da parte degli Ottomani ridimensionò la posizione del Cairo che da capitale di un regno divenne il capoluogo di una provincia che, seppur ancora di grande importanza, non aveva più la centralità di un tempo. Nell'architettura religiosa vengono apportate delle innovazioni stilistiche più o meno invasive. Alcune moschee vengono edificate in puro stile ottomano, come è il caso della moschea di Sulayman Pasha, costruita sulla cittadella nel 1528. Altre moschee presentano uno stile ibrido che manifesta caratteristiche dell'architettura mamelucca con delle novità tipicamente ottomane: i minareti, ad esempio, forse per il loro carattere simbolico di riconoscimento, vengono modellati secondo la tipologia ad ago ottomana. Un esempio di tale stile composito è costituito dalla moschea di Mahmud Pasha (1567) che è, tra l'altro, una delle poche ad avere un mausoleo cupolato ad essa associato. Il sabīl-kuttāb è un tipo di edificio costituito da due piani, il primo dei quali provvisto di fontana che serviva a dissetare i passanti, il secondo adibito a scuola coranica per bambini. Sebbene la sua diffusione fosse avvenuta in epoca mamelucca, in periodo ottomano furono costruiti numerosissimi sabīl-kuttāb, di cui quello di Amir Abd ar-Rahman Katkhuda (1744), edificato in posizione scenografica al centro di una biforcazione di Sharia Muizz li-Din Allah, è uno degli esempi migliori. Ultima grande opera architettonica, rivoluzionaria nello stile e nella scelta del sito, fu la costruzione della moschea del viceré Muhammad Ali (1830-1848) sulla cittadella che, con la mescolanza di stili diversi come quello ottomano e francese, è la testimonianza di un cambiamento storico verso la modernità fortemente voluto dall'ultimo grande sovrano d'Egitto.
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di Roland-Pierre Gayraud
Città (ar. Fusṭāṭ) costruita sulla riva orientale del Nilo, alla base di ciò che era in quell'epoca il suo delta, non lontano da un'antica fortezza romana, chiamata Babilonia, Qasr as-Sham per gli Arabi. Grazie a questa ubicazione, la città era in grado di controllare il primo passaggio possibile a sud del Delta.
Quando gli Arabi conquistarono l'Egitto bizantino, il comandante delle truppe arabe Amr ibn al-As, che conduceva questa impresa militare per conto del califfo Umar, non stabilì la sede del potere ad Alessandria, la prestigiosa metropoli lagida che aveva appena sottomessa; ma decise invece di fondare, verso il 642 d.C., una nuova capitale. Fu così che venne fondata la città di Fustat (Misr al-Fustat). A oriente si ergeva il Muqattam, un massiccio di calcare bianco a forma di tavoliere che si estendeva da nord a sud e le cui propaggini, più basse, permisero la creazione di un insediamento urbano: è il caso della Cittadella (al-Qal῾a) o dell'altopiano di Istabl Antar (῾Amal Fwaq). Questo insediamento fu all'origine della città del Cairo; gli Egiziani continuarono a lungo a chiamare la città di preferenza con il suo antico nome di Miṣr o Maṣr, piuttosto che con il nome di al-Qāhira dal quale deriva l'attuale nome del Cairo. L'origine del nome di Fustat ha dato vita a varie interpretazioni. La tradizione araba lo fa derivare da un termine che significa tenda, ma è verosimile che si tratti in realtà di una trasformazione della parola greca fossaton, il "fosso", il "campo trincerato".
Quando la città fu fondata, il suo territorio fu diviso in lotti (ḫiṭṭa, pl. ḫiṭaṭ) che l'emiro Amr distribuì tra le differenti tribù e diversi clan. Il centro della città fu assegnato alla "gente dello stendardo" (ahl ar-rāya); è lì che fu edificata la prima moschea in terra africana, quella che oggi è conosciuta come "moschea di Amr". Vi era ubicata la sede del potere regionale, l'amministrazione, il tribunale e il tesoro. Il centro di Fustat era quello dell'intera provincia ed era allo stesso tempo quello del Maghreb (Maġrib), una enorme regione che si estendeva a quell'epoca dal Sinai alla Penisola Iberica. Alcuni ḫiṭaṭ (quartieri) furono popolati da Arabi provenienti dal Nord della penisola, ai quali si aggiunsero Ebrei e cristiani (Khitat al-Hamra, Khitat al-Quswa, ecc.). A sud della città, parecchi lotti furono assegnati agli Yemeniti, che vi rimasero in modo durevole (Khitat al-Maafir).
La vera estensione del sito non è tuttora conosciuta con precisione e lo stesso problema si pone soprattutto per la densità della città fondata da Amr ibn al-As; è quindi ancora difficile stabilire con esattezza la sua importanza dal punto di vista urbano e demografico. Il territorio di Fustat al momento della sua fondazione si estendeva dal vasto stagno, conosciuto sotto il nome di Birkat al-Habash, a sud, fino al Khitat al-Hamra al-Quswa, dove risiedevano gli Yashkur; vale a dire dall'attuale quartiere di Bassatin a quello di Sayyida Zainab, che rappresenta una lunghezza nord-sud di poco più di 4,5 km. Sull'ampiezza est-ovest del territorio i dati sono più imprecisi: se infatti è noto che il Nilo scorreva più verso est ‒ la moschea di Amr fu edificata vicino al fiume ‒ non se ne conosce il percorso esatto. D'altro canto, a sud-est della città si sviluppò il cimitero, chiamato con il nome di al-Qarafa, di cui non si conoscono né l'estensione precisa né il confine con l'abitato entro il quale fu, probabilmente, ben presto incluso. Tuttavia è possibile dire che nella sua larghezza massima, da est a ovest, l'insediamento omayyade si estendeva per poco più di 4 km, compreso il cimitero. È quindi evidente che, già dopo un secolo di vita, la città di Fustat era una grande e importante metropoli. Gli scavi intrapresi sul tavoliere di Istabl Antar hanno dimostrato che i quartieri meridionali della città erano densamente edificati; ciò lascia pensare che anche il centro della città fosse altrettanto intensamente popolato. Siamo quindi lontani dallo schema semplicistico che vedeva Fustat una "città-accampamento", con zone disabitate che separavano i vari ḫiṭaṭ. Tuttavia la città conobbe situazioni mutevoli lungo l'arco della sua storia, manifestatesi con fluttuazioni territoriali importanti: estensioni del territorio occupato, con regressi dell'abitato e spostamenti delle zone abitative, il tutto su un'area oggi totalmente rioccupata dalla metropoli moderna.
La composizione della popolazione di Fustat non è ben conosciuta. Fino all'arrivo degli Arabi, le più importanti zone di popolamento della regione dell'attuale Cairo si erano sempre limitate alla sponda occidentale del Nilo; questo accadeva già in epoca egizia, a partire dalla fondazione di una capitale sotto l'Antico Regno a Memphis. Quando giunsero gli Arabi, fu probabilmente sempre tra Memphis e Giza che vennero ubicate le principali zone di popolamento se si eccettuano, per la riva destra, i centri di Babilonia e Matariyya o Eliopolis, situati più a nord. Babilonia era soltanto un'antica cittadella romana che aveva probabilmente perso da molto tempo la sua funzione militare, poiché ospitava numerose chiese e una sinagoga. È ovviamente impossibile stimare l'ammontare della popolazione locale stabilitasi sulle due sponde del fiume. Essa era verosimilmente sparsa in vari grossi insediamenti piuttosto che in una sola grande città, Memphis. Questi Egiziani furono i primi a confluire attorno agli anni 680-700 nella città araba di Fustat; infatti, prima di questo periodo, la città di Fustat era per lo più abitata da una popolazione di origine araba. Non conoscendo il numero degli abitanti di Fustat-Il Cairo, non è ovviamente possibile stabilire quale sia stata la sua crescita demografica. Se accettiamo di calcolare l'aumento demografico partendo da una popolazione probabilmente più numerosa di quella ipotizzata, è possibile ritenere che questa città diventò rapidamente una delle principali capitali regionali arabe anche quando venne oscurata dalla grandezza abbaside nei secoli IX e X. Alla fine del X e nella prima metà dell'XI secolo, la città viene descritta come un eccezionale agglomerato umano, sia in quanto a popolazione che a estensione. Paragonarla alla Baghdad della stessa epoca sembra esageratamente parziale nei suoi confronti; tuttavia un confronto simile non ha niente di sorprendente, poiché in quel periodo Fustat era il centro di un paese ricco e potente. Le diverse crisi o epidemie, tuttavia, hanno influito in modo notevole sulla sua demografia sia alla fine del VII secolo che alla metà dell'XI, o ancora durante la seconda metà del XIV secolo con il disastro demografico causato dalla "peste nera".
Malgrado questi problemi, la città si riprese sempre in modo sorprendente, dimostrando così la sua vitalità e quella dell'intero Egitto. Sin dall'inizio, Fustat attrasse un'importante ondata migratoria, in particolare quella di Egiziani e di Arabi. La città era un passaggio quasi obbligato per i pellegrini del Maghreb e dell'Andalus, e spesso anche per quelli provenienti da regioni del Sahel. Ciò spiega perché della popolazione di Fustat facessero parte un numero notevole di Maghrebini, Andalusi, Siriani, Armeni, Turchi o Persiani.
Durante il XX secolo, il sito storico di Fustat fu esplorato nel corso di diverse indagini; alcune di esse diedero vita a veri e propri scavi. I primi scavi furono intrapresi sotto la direzione di Aly Bahgat, e i risultati di questa campagna furono pubblicati nel 1921. In seguito sono stati realizzati numerosi interventi più circoscritti, che purtroppo non sono stati oggetto di pubblicazione. Nel settore scavato in precedenza da Aly Bahgat operarono archeologi come G.T. Canlon e W. Kubiak a partire dal 1964 o ancora, alla fine degli anni Settanta, M. Kawatoko. Queste ricerche si concentrarono essenzialmente su una fase abitativa relativa al periodo fatimide e fornirono dati essenziali. Gli scavi condotti dall'Institute Français d'Archeologie Orientale (IFAO) si concentrarono invece su un altro settore della città; per la prima volta sono stati rinvenuti i livelli di fondazione della città araba, così come di una grande necropoli dei secoli VIII-X. Queste ricerche archeologiche hanno permesso di completare e precisare la visione che si può avere della città; tuttavia in futuro sarà piuttosto difficile portare a termine questa ricerca, poiché ormai non è più possibile continuare a scavare gli spazi salvaguardati.
L'unico aspetto noto del primo insediamento arabo di Fustat è quello riportato alla luce durante gli scavi di Istabl Antar, a sud del Cairo. Si tratta di una forma di urbanesimo senza ordine apparente, con strade che serpeggiano tra le case. Questa circostanza può forse essere spiegata tenendo conto del fatto che non v'era nessun esempio antico da seguire, come accade di solito quando la città preesiste alla conquista. Così ad esempio più o meno alla stessa epoca la cittadina indigena di Tebtynis nel Fayyum riprodusse lo schema ortogonale tramandatosi dalla fondazione ellenistica attraverso il periodo romano e quello bizantino. Sarebbe prematuro tuttavia dedurne che il relativo disordine di Fustat deriverebbe dal suo carattere arabo: infatti se da un lato la nostra conoscenza delle città egiziane è alquanto limitata, dall'altro non sappiamo assolutamente nulla di un possibile schema regolatore che avrebbe potuto presiedere alla fondazione del centro di Fustat. Questo urbanesimo irregolare presenta una rete di strade caratterizzate da larghezza e tracciato incerti. Si tratta di una caratteristica presente, ad esempio, nel settore scavato da Aly Bahgat e studiato da A. Gabriel; in questa zona è chiaramente visibile, per il periodo fatimide, la presenza di una strada che si intrufola tra gli spazi edificati. È dunque possibile che le abitazioni fatimidi, che derivano da una rifondazione databile alla fine del X secolo, seguano uno schema già stabilito che possiamo dedurre ipotizzando in tal modo uno stadio primitivo dell'urbanesimo centrale di Fustat.
L'abitato si organizzò ovviamente attorno alla città di Amr ma anche lungo il fiume, dove si svilupparono attività commerciali e industriali. Inoltre, numerose zone abitate sono ubicate fuori dall'agglomerazione centrale. È il caso dell'isola di Roda (Ǧazīrat Miṣr o al-Ǧazīra) presso la quale, come indica il nome stesso del luogo, prosperavano numerosi giardini, ma dove erano ubicati anche alcuni cantieri navali. Un altro luogo che evoca i giardini è costituito dalla zona di Basatin, che si estendeva a sud-est del Birkat al-Habash. A sud di Babilonia, lungo il Nilo, tra Athar an-Nabi e Dayr al-Tin, si formò un altro insediamento; il suo sviluppo contribuì probabilmente a isolare il Birkat al-Habash dal Nilo e dalle sue piene. A sud-est della città fu costruito il cimitero, embrione di quella che sarebbe in seguito divenuta una vera e propria città dei morti, al-Qarafa. Questo cimitero costeggiava la città nella sua parte meridionale e risaliva verso nord sino ai piedi delle alture sulle quali venne edificata più tardi la Cittadella. Il suo sviluppo fu parallelo a quello della città, che si spostò anch'essa poco a poco verso nord, almeno fino alla fondazione di al-Qahira dopo la conquista fatimide del 969.
La prima crescita sensibile della popolazione avvenne probabilmente verso la fine del VII secolo, forse sotto il regno del governatore omayyade Abd al-Aziz ibn Marwan e a causa dell'apertura delle porte della città alla popolazione autoctona; quel momento segnò la fine della città araba. Un primo spostamento della città verso nord ebbe inizio già a partire dal periodo abbaside. Nel 750 l'ultimo califfo omayyade Marwan II, che fuggiva braccato dalle truppe abbasidi, volle punire la città bruciandola. Egli riuscì soltanto a devastare i quartieri meridionali, che non furono più ristrutturati per essere abitati. Il nuovo governatore abbaside stabilì il centro della sua amministrazione, al-Askar, a nord-ovest di Fustat, creando in questo modo un polo di attrazione verso il Nord. Questa espansione settentrionale andò rafforzandosi quando Ibn Tulun creò una vera città di palazzo più a oriente, sul Gebel Yashkur. Questo complesso palatino chiamato al-Qatai, aveva dimensioni impressionanti; oggi tuttavia ne sopravvivono soltanto i resti della moschea. Ibn Tulun non era un semplice governatore transitorio: egli fondò uno Stato quasi indipendente dal califfato di Baghdad, e tutto ciò contribuì a ravvivare le attività economiche e artigianali di Fustat.
Dopo la conquista fatimide del 969 i modelli abitativi cambiarono profondamente e in modo durevole, anche se non ci fu una netta rottura nel corso dello sviluppo di Fustat. Gawhar as-Siqili fondò, su richiesta del califfo fatimide al-Muizz li-Din, un nuovo centro che ubicò a nord, lontano dalla città e lungo l'antico canale. Fu così che venne fondata la città palatina di al-Qahira, costruita per riunire attorno al califfo gli strumenti del suo potere ‒ l'esercito e l'amministrazione ‒ ma anche per creare un ambiente propizio per l'evoluzione dell'imam sciita. Ciononostante Fustat rimase una vera e propria città e trasse il massimo profitto dal suo nuovo ruolo di capitale d'impero, rivaleggiando in quell'epoca con la Baghdad del periodo d'oro abbaside. A quel tempo Fustat era anche il centro di una estesa rete commerciale che faceva convergere verso di essa ogni specie di prodotti e saperi, in particolare i prodotti provenienti dalla Cina e dall'India, attraverso la rotta oceanica e il corridoio dal Mar Rosso.
Tuttavia nel corso della seconda metà dell'XI secolo e negli ultimi decenni di un regno durato troppo a lungo, quello del califfo al-Mustansir Billah, la città attraversò uno dei periodi più oscuri della sua storia. Dal 1054 al 1072 si succedettero crisi politiche ed economiche, mentre le carestie e le epidemie produssero la rovina e l'abbandono della maggior parte di Fustat. Infatti a quell'epoca Fustat non esisteva quasi più, almeno se paragoniamo la sua estensione con quella delle origini. Si intensificò il popolamento della zona più o meno vuota che si estendeva tra Fustat e al-Qahira, mentre la popolazione si insediava addirittura nella città califfale. Il grande incendio appiccato dal visir fatimide Shawar devastò la città per molti giorni (forse 54, dal dicembre 1169 al gennaio 1170), e distrusse una zona che non era più ubicata nel territorio d'origine. I quartieri ubicati a nord del Gebel Yashkur e quelli che si erano sviluppati nella zona di separazione tra le due città furono probabilmente distrutti. Nessuno scavo ci ha permesso di identificare la minima traccia di questo formidabile incendio, mentre quello acceso da Marwan II durante l'estate 750 è identificabile su tutta la superficie dello scavo di Istabl Antar.
Le strade di Fustat sono strette e tortuose e finiscono spesso con vicoli ciechi. Soltanto alcune di esse sono veri e propri assi di circolazione, da cui si dipartono viuzze che permettono di accedere alle case. Infatti, per l'essenziale, questa rete viaria mette in comunicazione tra loro spazi privati, e forse in questo caso si tratta di un insieme di percorsi appartenenti a ogni ḥiṭṭa. È probabile dunque che le grandi vie servissero a collegare tra loro i diversi ḫiṭaṭ. Va comunque sottolineato che molte delle grandi arterie note a partire dalle fonti, spesso parallele al Nilo, avevano un ruolo più importante e traversavano tutta la città. È il caso del Khitat al-Azam, un viale che costeggiava il fiume, e di un altro, il Khitat al-Tariq, che collegava differenti punti dell'insediamento ‒ da Babilonia al Canale (al-ḫaliǧ) ‒, passando per la moschea. Queste due larghe strade erano tagliate da una specie di decumanus; esso attraversava la città da est verso ovest per finire al ponte di battelli che collegava le due sponde del Nilo, appoggiandosi sulla punta meridionale dell'isola di Roda. L'esigua larghezza della maggior parte delle strade, ricoperte da un suolo in terra battuta, può aver avuto delle conseguenze importanti sulla vita sociale ed economica della città. Così molti di questi vicoli non consentivano il passaggio di un cammello e, spesso, neanche quello di un semplice asino con il suo basto.
La città era nel suo insieme costruita in mattoni, anche se alcuni grandi edifici erano stati realizzati in pietra. Nella zona, tuttavia, la pietra era abbondante e il Muqattam fu spesso usato come cava; purtroppo il suo calcare bianco, facile da estrarre o da lavorare, era al tempo stesso fragile. Un po' più a nord, anche il Gebel Ahmar venne sfruttato come cava e fornì un materiale molto più resistente. Negli edifici, la pietra fu utilizzata per la costruzione delle fondamenta, dei piedritti o dei contrafforti verticali all'interno dei muri. Il pavimento dei cortili, delle vasche o delle stanze abitate era, nella maggior parte dei casi, ricoperto da lastre di calcare bianco disposte di solito a spina di pesce. Nei quartieri bassi di Fustat, il mattone cotto fu di uso generalizzato durante il periodo fatimide e le enormi fondamenta, che raggiungono fino a un metro di spessore, testimoniano della preoccupazione di proteggere la casa dall'umidità e più ancora dall'acqua delle grandi piene. I mattoni erano quindi uniti tra di loro con malta idraulica molto spessa, come per tutti gli elementi destinati a contenere acqua (cisterne, vasche). La situazione era totalmente diversa nei quartieri alti della città, dove i rischi di alluvione non esistevano. All'epoca della conquista, è da sottolineare la cura dedicata alla costruzione degli edifici, innalzati su fondamenta di pietre. Tuttavia il gruppo delle case datate all'inizio dell'VIII secolo è privo di fondazioni; vennero costruite infatti sul basamento pieno di natura stratigrafica.
Nei quartieri alti di Fustat, il mattone crudo predominava su tutti gli altri materiali; esso era realizzato con limo del Nilo e paglia già a partire dal periodo abbaside. Le dimensioni delle case variavano in funzione dello status sociale dei proprietari: così se le case scavate da Aly Bahgat sono vaste dimore aristocratiche o borghesi, quelle scoperte da G. Scanlon nel 1980 sono di dimensioni ben più modeste e hanno una pianta quadrata. Si tratta di abitazioni ascrivibili a una classe sociale meno privilegiata, pur non potendo essere considerate tipi di abitazione povera. Le case omayyadi erano per la maggior parte dei casi mescolate tra loro in quanto a tipologia, tanto che grandi dār (case) sorgevano a fianco di monolocali. Le grandi case omayyadi avevano inoltre un carattere rurale, al contrario di quelle d'epoca fatimide più urbane e contraddistinte da un pronunciato gusto per il lusso. Pochi monumenti di Fustat sono sopravvissuti. Secondo le fonti, la moschea di Amr aveva in origine dimensioni piuttosto ridotte; nel corso dei secoli essa fu ingrandita più volte e il suo aspetto odierno è soprattutto il risultato di una composizione architettonica risalente ai periodi fatimide e mamelucco. Questo monumento fu purtroppo irrimediabilmente danneggiato durante le ultime ristrutturazioni.
La più antica moschea abbaside in Egitto è stata scoperta nel corso degli scavi di Istabl Antar. Si tratta di una moschea costruita tra il 750 e il 765, le cui dimensioni sono simili a quelle della moschea di Amr al momento della sua fondazione: 23 m di lunghezza per 13 m di larghezza. Essa è provvista di un miḥrāb, una specie di piccola abside probabilmente paragonabile a quella costruita nella moschea di Amr nel 711. La moschea meglio conservata è quella di al-Qatai inaugurata nell'879. Nulla è rimasto del complesso edificato dall'emiro Ibn Tulun alla fine del IX secolo, salvo questo edificio di culto che esprime ancora una volontà di gigantismo importato da Samarra. A questo periodo appartiene tuttavia un acquedotto che alimentava il Gebel Yashkur con le acque del Birkat al-Habash; un importante tratto dell'acquedotto e la stessa sāqiya (sistema idraulico), ristrutturati dai Fatimidi nell'XI secolo e dal Comitato per la Conservazione dell'Arte Araba nel XX secolo, sono ancora in piedi nel cimitero, invasi dalle costruzioni contemporanee e sovrastati dal modernissimo raccordo anulare della città. Un grande acquedotto è tuttora visibile nella parte settentrionale di Fustat, in località Fum al-Khalig; esso fu consolidato e restaurato dal sultano mamelucco al-Ghuri nel 1502. Si trattava probabilmente di costruire una nuova presa d'acqua in grado di attingere dal Nilo, il cui corso era deviato un po' troppo verso occidente. Questa bella e imponente costruzione fu unita al muro dell'acquedotto costruito dal sultano an-Nasir Muhammad nella prima metà del XIV secolo.
Gli scavi di Istabl Antar, oltre ai resti di quattro acquedotti, hanno permesso di rinvenire alcuni mausolei che furono probabilmente costruiti da famiglie di notabili appartenenti alla tribù dei Maafir poco dopo il 750, e poi riutilizzati e restaurati dai Fatimidi a partire dal 973. Altri edifici funerari, appartenenti per la maggior parte al periodo fatimide, sono tuttora visibili; si tratta probabilmente degli edifici della famiglia dei Sab Banat o del monumento funerario di al-Hadra al-Sharifa, ubicati sulla spianata di Istabl Antar. Alcuni grandi mausolei sono presenti nel cimitero meridionale fino ai piedi del Muqattam, come, ad esempio, quello dell'imam al-Shafii, dell'imam Layth o ancora quello di Ikhwat Yusuf (1125-1150), il quale presenta uno splendido esempio di decorazione con ricchi stucchi che ricopre il complesso formato dai tre miḥrāb e dal muro qiblī. I mausolei di epoca fatimide sono i meglio conservati. Spesso riutilizzano e restaurano tombe più antiche dedicate a personaggi santi, nella maggior parte dei casi di membri della famiglia del Profeta. Questi mausolei sono stati oggetto di una devozione popolare che ha permesso la loro conservazione, anche se talvolta sono stati ristrutturati senza rispettare le regole più elementari del restauro monumentale. Lo stesso problema va segnalato per la tomba di Sayyida Atika e Muhammad al-Gafari (ca. 1122) sovrastata da una cupola su trombe a muqarnas. Si potrebbero menzionare ancora altri monumenti che hanno subito notevoli rifacimenti, come quello di Sayyida Nafisa o alcune chiese e la sinagoga, tutti ubicati nell'antica Babilonia. Un ultimo monumento è molto particolare, tanto che lo si può considerare un unicum: si tratta del Nilometro di Roda, una costruzione ingrandita e restaurata di continuo, la cui origine risale probabilmente all'epoca dell'amministrazione del governatore Usama il quale l'avrebbe edificata nel 715, benché lo strato più antico del monumento attuale risalga all'861. Si tratta di una colonna graduata grazie alla quale era possibile leggere e registrare la portata delle piene del Nilo. Oggi il termine di Fusṭāṭ designa soltanto un distretto amministrativo della città del Cairo, e i rari resti archeologici di questa antica capitale, quando non sono oggetto di discutibili lavori di restauro, vengono lasciati in stato di abbandono.
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di Maria Domenica Ferrari
Città (ar. Dimyāṭ) del Basso Egitto situata sul ramo orientale del Nilo, a circa 12 km dalla foce fatnitica.
La storia dell'antica D. è pressoché sconosciuta. Dopo la conquista degli Arabi, alla metà del VII secolo, D. subì ripetuti attacchi navali da parte dei Bizantini. Nell'853, in seguito a uno di questi attacchi, il califfo al-Mutawwakil ordinò la costruzione di una fortezza. All'epoca delle crociate D. svolse un ruolo molto importante nella lotta tra Arabi e Franchi. Venne assediata a più riprese e occupata, per breve tempo, dai crociati nel 1218 da Giovanni di Brienne e nel 1249 da Luigi IX che entrò in una città abbandonata e in parte bruciata dai suoi abitanti. L'anno successivo la città tornò nelle mani dei musulmani; il sultano mamelucco Baybars decise di mettere fine all'importanza militare di D. ordinando la distruzione della città e delle mura, a cui si aggiunse nel 1260 la chiusura dell'imboccatura che portava i battelli al mare. Ben presto un nuovo insediamento, che prese il nome del precedente, venne costruito più a sud, sempre sul Nilo. La distruzione della città ebbe ripercussioni negative sull'industria tessile locale che produceva un particolare tipo di lino colorato. Tessuto a D., all'epoca del califfo al-Mustali (1096), è il cosiddetto Velo di Sant'Anna, conservato nella chiesa di Sant'Anna ad Apt. Si tratta di una stoffa sottile di lino con tre bande di seta e oro decorate con iscrizioni, coppie di sfingi entro medaglioni e teorie di animali. In epoca medievale nella città vi erano altre due fiorenti attività industriali: la produzione di olio di sesamo e la lavorazione del cuoio.
Dal punto di vista architettonico, D. conserva alcuni esempi di case costruite nello stile del Delta, in particolare le grate lignee delle finestre presentano una diversa tecnica della mašrabiyya (arte dell'intaglio a giorno delle finestre lignee) tradizionale. Nella distruzione della città del 1250 venne risparmiata solo la moschea di Amr ibn al-As, che era stata trasformata da Luigi IX in cattedrale. La moschea, molto deteriorata, presenta portici con colonne dai fusti di marmo verde e porfido, capitelli corinzi e bizantini. Il vestibolo è decorato da iscrizioni cufiche, il minareto conserva resti di antiche decorazioni.
J. Maspero - G. Wiet, Matériaux pour servir à la géographie de l'Egypte, Le Caire 1919; P.M. Hoit, s.v. Dimyat, in EIslam2, II, 1965, p. 300; G. Curatola - G. Scarcia, Le arti nell'Islam, Roma 1990, p. 213; M. Barricand (ed.), Trésors fatimides du Caire, Paris 1998.
di Roland-Pierre Gayraud
Oasi (ar. al-Fayyūm), il cui nome deriva dalla parola copta Phiom (il "lago" o il "mare"), ubicata a circa 80 km a sud-ovest del Cairo, in una depressione naturale alimentata dalle acque di un ramo del Nilo canalizzato da molto tempo, il Bahr Yusuf (anticamente chiamato al-Manha).
A nord della depressione si estende il lago salato di al-Qarun. Già a partire dal Medio Regno faraonico gli impianti idraulici della zona avevano grande importanza: la costruzione di canali e dighe e la realizzazione di serbatoi per l'acqua consentirono di estendere le terre agricole sviluppando un sistema d'irrigazione perenne. L'economia agricola dell'oasi del F. ebbe un funzionamento diverso dal resto della valle del Nilo. In epoca bizantina il ruolo dell'Egitto nell'approvvigionamento cerealicolo di Costantinopoli fu vitale e il F. costituiva una componente importante di tale commercio. Sebbene l'organizzazione di questo territorio durante i secoli precedenti alla conquista araba sia piuttosto oscura, sembra che le terre di alcuni vasti domini agricoli continuassero a essere coltivate beneficiando di impianti idraulici antichi. I villaggi con nomi greco-egiziani, come Narmouthis, Karanis o Tebtynis, col tempo si ridimensionarono. Le chiese cristiane mantennero un ruolo importante sul piano religioso, ma anche politico ed economico, e caratterizzarono in modo duraturo il paesaggio mediante numerosi complessi architettonici. Al confine con il deserto si svilupparono vari complessi monastici, tra cui i siti di Dayr Qalamun o Dayr Naqlun. I resti archeologici, così come le fonti scritte, dimostrano l'importante presenza di chiese nel cuore stesso delle città e dei villaggi. I monasteri del F. ebbero un ruolo notevole per la chiesa copta almeno fino al XII secolo, anche se non raggiunsero mai la fama dei monasteri di Wadi Natrun o di quelli ubicati nel Deserto Orientale. Il monastero di Naqlun è attualmente oggetto di ricerche archeologiche condotte da un'équipe polacca. Una ricca descrizione del F., redatta nel XIII secolo e presente nell'opera di an-Nabulsi, ci offre numerosi dati sullo stato della provincia durante questo periodo. Questo documento testimonia, tra l'altro, che la regione comprendeva ancora numerosi monasteri e chiese, di cui 25 nel solo capoluogo.
Alla metà del VII secolo, quando ebbe inizio la conquista araba, il controllo del F. costituì una tappa importante nell'occupazione del territorio egiziano. Oltre al suo grande potenziale agricolo, il F. era un luogo di passaggio tra la valle del Nilo e le oasi del Deserto Occidentale, ma anche verso il Maghreb, in direzione della Cirenaica e dell'Ifriqiya (attuale Tunisia). Come per il resto del Paese, questa conquista non rappresentò, in un primo tempo, una brutale rottura col passato. All'inizio, infatti, il nuovo potere politico stabilito a Fustat lasciò intatte le strutture amministrative preesistenti. Già nel IX secolo a Fustat i cristiani usavano correntemente la lingua araba, mentre è attestato che nel F., ancora nel X secolo, alcuni membri di famiglie benestanti parlavano unicamente il copto. Dagli scarsi documenti che si possiedono sull'urbanesimo o l'architettura vernacolare di questi periodi più antichi, è possibile osservare una continuità tra l'epoca bizantina e i primi secoli del periodo islamico; gli elementi di cultura materiale rinvenuti durante alcuni scavi archeologici confermano questa continuità. Tuttavia molto presto la provincia venne integrata negli estesi circuiti commerciali che si svilupparono con la formazione dell'immenso impero arabo-musulmano. L'artigianato tessile locale, che produceva principalmente tessuti di lana e lino a cui si venne ad aggiungere successivamente il cotone, era particolarmente sviluppato: a partire dal IX secolo famiglie di commercianti arabi si stabilirono nel capoluogo di provincia, Madinat al-Fayyum (l'antica Arsinoe), dove intrapresero redditizie attività commerciali acquistando tali prodotti tessili e organizzandone la loro esportazione verso altri centri e in particolare verso Fustat. Nel XIII secolo an-Nabulsi enumera le moschee presenti nella maggior parte degli insediamenti della provincia. Tuttavia il F. non si distinse come centro di cultura musulmana di grande importanza.
In epoca islamica i rappresentanti delle autorità locali compresero che la prosperità della regione dipendeva dal mantenimento dell'irrigazione perenne e continuarono dunque a curare e sviluppare le infrastrutture idrauliche. È probabile che un'organizzazione contadina coesistesse con un'amministrazione centrale che gestiva i problemi legati all'irrigazione. I lavori intrapresi in quest'epoca riprendono l'eredità antica senza soluzione di continuità: né le fonti, né il paesaggio mettono in luce grandi lavori innovativi. A sud-est dell'oasi, un grande muro di epoca romana o tolemaica servì da diga naturale, creando un ampio lago artificiale (al-Malaa, depressione di al-Gharaq); questo lago costituì un serbatoio grazie al quale, durante la primavera, fu possibile praticare un'irrigazione supplementare. Per molti secoli la diga fu oggetto di importanti lavori di conservazione che la preservarono fino agli inizi del XIX secolo, quando essa era ancora in uso. D'altro canto la gravissima crisi economica, politica e sociale, ma anche le epidemie che afflissero l'Egitto negli anni 1060-1070, sotto il regno del califfo fatimide al-Mustansir Billah, segnarono in modo durevole il paesaggio del F. Numerosi canali che alimentavano la parte meridionale dell'oasi furono abbandonati e si insabbiarono progressivamente; inoltre, vari terreni coltivati da secoli furono nuovamente invasi dal deserto, mentre città e paesi ubicati lungo la circonferenza della depressione vennero spostati all'interno dell'oasi. L'archeologia conferma questo fenomeno, come dimostra, ad esempio, lo studio del sito dell'antica città di Tebtynis-Tutun, ubicato a sud-est dell'oasi: la città fu abbandonata nell'XI secolo e poi ricostruita più a nord, all'interno della zona occupata dalle terre agricole. La descrizione fornitaci da an-Nabulsi avvalora ulteriormente i dati archeologici, poiché menziona numerosi insediamenti abbandonati o in rovina lungo i margini del deserto. D'altro canto il paesaggio umano dell'oasi fu anch'esso modificato con l'arrivo di nuove popolazioni. Numerosi nomadi, Arabi ma anche Berberi, si stabilirono a poco a poco nell'oasi e costituirono un apporto importante per la sua componente culturale. Questo fenomeno migratorio continuò sino all'epoca moderna tanto che oggi alcune famiglie ‒ come i Lamlum o gli Hawara ‒ ricordano ancora la loro origine tribale.
I resti archeologici dell'epoca islamica sono a lungo rimasti in ombra, dato che le ricerche archeologiche si incentrarono in prevalenza sullo studio delle rovine dell'antichità faraonica o greco-romana. Questo disinteresse evidente ha spesso contributo a danneggiare o a distruggere i livelli relativi al periodo medievale. D'altra parte i resti degli insediamenti medievali sono spesso nascosti sotto le città moderne, e qui come ovunque in Egitto la forte crescita urbana e l'estensione delle colture riducono la nostra capacità di leggere le tracce di occupazione medievale.
N. Abbott, The Monasteries of the Fayyûm, Chicago 1937; T. Sato, Irrigation in Egypt from the 12th to the 14th Centuries especially in the Case of the Fayyoum, in Orient, 8 (1972), pp. 81-92; an-Nabulsi, Tārīḫ al-Fayyūm, Beyrouth 1973; G. Garbrecht - H. Jaritz, Untersuchung antiker Anlagen zur Wasserspeicherung im Fayum/Ägypten, Braunschweig - Kairo 1990; R.-P. Gayraud, Quelques notes sur Tebtynis à l'époque islamique, in Ch. Décobert (ed.), Itinéraires d'Égypte. Mélanges offerts au Père Maurice Martin, Le Caire 1992, pp. 31-44; S. Björnesjö, Toponymie de Tebtynis à l'époque islamique, in AnnIsl, 27 (1993), pp. 234-43; W. Godlewski, Deir el-Naqlun. Topography and Tentative History, in Archeologia e papiri nel Fayyum. Atti del Convegno Internazionale (Siracusa, 24-25 maggio 1996), Siracusa 1997, pp. 124-26; Y. Raghib, Marchands d'étoffes du Fayyoum au IIIe/IXe siècle d'après leurs archives (actes et lettres), I, Le Caire 1982; II, 1985; III, 1992; V/I, 1996; P. Davoli, L'archeologia urbana nel Fayyum di età ellenistica e romana, Napoli 1998; M.-O. Rousset - S. Marchand, Tebtynis 1998. Travaux dans le secteur nord, in AnnIsl, 33 (1999), pp. 185-262; Iid., Secteur nord de Tebtynis (Fayyoum). Mission de 1999, ibid., 34 (2000), pp. 387-436; M.-O. Rousset - S. Marchand - D. Foy, Secteur nord de Tebtynis (Fayyoum). Mission de 2000, ibid., 35, 2 (2001), pp. 409-90.
di Roland-Pierre Gayraud
Sito (ar. al-Qaṣaba) nella parte orientale dell'oasi di Dakhla, la quale a sua volta fa parte di una catena di oasi del Deserto Occidentale egiziano che si snodano parallelamente al Nilo.
Questa piccola città si trova oggi isolata in mezzo a campi agricoli; la sua architettura di mattoni crudi, rimasta intatta fino alla fine degli anni Settanta del Novecento, ha patito molto gli effetti dell'irrigazione e delle alluvioni. L'oasi di Dakhla era in passato famosa per i vari tipi di sale, di cui l'artigianato aveva molto bisogno, che esportava verso la capitale. Inoltre nel XV secolo, secondo il poligrafo Ibn Duqmaq, il territorio di al-Q. era disseminato di vigneti e risaie. Nell'XI secolo al-Q. è menzionata da al-Bakri nel suo itinerario delle oasi egiziane; egli ne parla come dell'ultimo luogo abitato verso oriente, definendola l'oasi vicina a Kharga. Non si sa nulla riguardo all'antichità di questo insediamento. Il suo nome evoca sia un luogo fortificato che urbano; non è quindi un villaggio, né un gruppo isolato di casolari. Oggi al-Q. è ancora circondata da un muro di cinta la cui base fu costruita con grossi blocchi di sale. All'esterno delle mura si estendono i resti di una necropoli con tombe violate e suolo coperto da frammenti di ossa umane; gli abitanti attuali ignorano se tali resti siano quelli dei loro antenati, e comunque non li riconoscono come musulmani. Un'unica cupola (qubba) è ancora in piedi; si tratta di una struttura dedicata a un letterato di al-Q. morto nella seconda metà del XVI secolo.
Al di là delle mura di cinta, l'insediamento presenta una disposizione spaziale diversa da quella di un villaggio. La parte meridionale della città non si è conservata, ma quella restante, che ha la forma di un ferro di cavallo, è divisa in due zone ben distinte. Lungo le mura, l'insediamento si sviluppa a raggiera ed è costeggiato da una strada il cui tracciato segue quello della muraglia. Le case che vi sono state edificate condividono gli stessi elementi architettonici, tra cui, ad esempio, alcune travi che collegano due case attraverso un muro divisorio, testimonianza di una costruzione simultanea dei due edifici; ciò lascia pensare a un processo di costruzione chiaramente pianificato. Non si conosce la pianta precisa di queste abitazioni poiché nessuna di esse è stata sinora oggetto di scavo; tuttavia si può affermare che esse sono conservate per un'altezza di tre, a volte quattro piani, a dimostrazione dell'alto grado di insabbiamento del sito.
Il nucleo centrale dell'insediamento ha un aspetto diverso dal resto: presenta infatti un groviglio di vicoli che sboccano sulla grande via circolare, che separa le due zone della città. Le case del centro sono alti edifici di tre o quattro piani, l'ultimo dei quali utilizzato come terrazza adibita all'immagazzinamento del combustibile (gallette di sterco bovino essiccato o rami); questo materiale poteva inoltre servire da elemento isolante nei periodi di calore più intenso. È probabile infine che queste terrazze servissero anche da piccionaie. In molte case sono stati ritrovati resti di silos con pianta a quarto di cerchio costruiti nell'angolo di una stanza; lo si riempiva dalla cima, probabilmente dall'esterno della casa, e un'apertura bassa permetteva di prendere il riso o il grano dall'interno dell'abitazione. Lo scavo di questo nucleo centrale ha fornito altre informazioni riguardanti l'abbandono del sito nel corso del XVIII secolo. Il livello attuale dell'acqua (falda freatica o irrigazione) è tale da non consentire scavi più in profondità, nonostante alcuni sondaggi realizzati sotto il livello dell'acqua abbiano dimostrato la presenza di abbondante materiale archeologico. Non è stato rinvenuto nessun suolo di abitazione; tuttavia è possibile immaginare, dal confronto con altri siti, che i suoli interni dovessero essere almeno ricoperti con fango lisciato e probabilmente con sabbia rinnovata periodicamente, una pratica tuttora in uso presso l'oasi. Numerosi armadi ricavati nello spessore delle pareti permettevano di disporvi oggetti domestici, come vasellame da cucina e lampade a olio. Le case erano chiuse da porte con gangheri verticali provviste di serrature, probabilmente ornate con motivi geometrici incisi; esse venivano aperte mediante grandi chiavi di legno. La porta era un'apertura praticata nel muro che non scendeva fino al livello del terreno, in modo tale che la base del muro risultava una soglia rialzata da scavalcare per entrare o uscire.
Le datazioni archeologiche sono state ottenute grazie allo studio della ceramica. I rifacimenti dei muri, in particolare quelli del muro di cinta occidentale, hanno rivelato che i mattoni crudi sono stati realizzati utilizzando fra l'altro minuscoli frammenti databili alla seconda metà del XVI secolo, provenienti da Iznik o dall'Italia settentrionale (Genova, Pisa). Ciò dimostra da una parte che le mura riparate sono anteriori al XVI secolo, dall'altra che al-Q. ‒ e l'oasi di Dakhla ‒ riceveva i prodotti importati attraverso le grandi vie commerciali; questo è confermato altrove dalla scoperta di ceramiche provenienti da Montelupo datate agli inizi del XVII secolo. D'altra parte le ceramiche rinvenute durante lo scavo hanno dimostrato che negli ultimi anni di occupazione del sito oltre il 60% delle ceramiche era semplicemente modellato e probabilmente cotto nei forni per il pane o in focolari all'aperto. Questi reperti provano senza dubbio un lento processo di abbandono e la decadenza di al-Q. e più in generale dell'oasi di Dakhla, come attestano anche le testimonianze di diversi viaggiatori dell'inizio del XIX secolo.
Bibliografia
H.E. Winlock, Ed-Dakhleh Oasis, New York 1936; C. Décobert, Notes sur le site d'al-Qasaba (Oasis de Dakhla), in AnnIsl, 15 (1979), pp. 487-93; R.-P. Gayraud, Les fouilles islamiques d'al-Qasaba (Oasis de Dakhla) - 1980, ibid., 18 (1982), pp. 273-86; Id., La céramique des fouilles d'al-Qasaba (Oasis de Dakhla), ibid., 20 (1984), pp. 143-49.
di Maria Antonietta Marino
Porto dell'Alto Egitto sulle rive del Mar Rosso ubicato alla foce del Wadi Hammamat, a 8 km a nord della città moderna di Qusayr.
Il sito, conosciuto probabilmente già in epoca faraonica, divenne una città portuale abitata stabilmente in periodo romano fino al suo abbandono nel III sec. d.C. Dopo la conquista islamica la fortuna di Q. al-Q. data al periodo ayyubide e mamelucco quando venne in alcuni casi preferito al più importante porto di Aidhab grazie alla sua posizione sul Wadi Hammamat che costituiva la via più breve per raggiungere il Nilo attraversando il Deserto Orientale. Il porto sottostava all'amministrazione della città di Qus a cui era legato dal sistema commerciale: come Aidhab, infatti, Q. al-Q. faceva parte della tratta carovaniera che da Fustat scendeva lungo il Nilo e, dal periodo fatimide, faceva tappa a Qus per poi attraversare il deserto e raggiungere i porti del Mar Rosso che fungevano da trait d'union fra l'Egitto, la Penisola Arabica, la costa africana orientale e i paesi oltreoceano. Essendo circondata da terreni aridi e non coltivabili, Q. al-Q. dipendeva dal rifornimento di acqua potabile e alimenti dall'entroterra.
L'area del sito è suddivisa in varie zone: una a nord-ovest di periodo romano, una a sud di occupazione romana e poi mamelucca e una a est di periodo islamico. L'occupazione di epoca mamelucca copre un'area minore rispetto all'estensione del porto romano. La città medievale s'impianta su quella romana, costruita secondo una pianificazione ortogonale, senza seguirne le direttrici e si sviluppa tra XIII e XIV secolo in modo organico verso est; alcune strutture murarie di epoca romana vengono comunque riutilizzate. Nella parte più orientale del sito è stata rinvenuta un'area cimiteriale con strutture murarie attribuibili a edifici funerari. Nell'insediamento non sono state rinvenute tracce di strutture difensive. L'architettura non appare particolarmente sofisticata e consiste di ambienti di medie dimensioni (circa 2,5 × 3 m) che si alternano a cortili, tutti usualmente privi di decorazioni architettoniche. Il grande quantitativo di materiale organico ritrovato suggerisce il diffuso utilizzo di stuoie per rivestire pavimenti e per realizzare tettoie. La povertà dell'architettura contrasta stranamente con la ricchezza di oggetti "di lusso" rinvenuti, per la maggior parte ceramica e tessuti. La grande quantità di ceramica è stata
suddivisa secondo differenti criteri in varie tipologie già note da altri siti archeologici, tra cui principalmente Fustat, Alessandria, Dakhla, Aden e Kilwa: il vasellame invetriato a impasto di colore rosso rappresenta una buona parte del materiale ceramico ritrovato e ha solitamente forme di grandi dimensioni; il vasellame invetriato a impasto color crema costituisce una tipologia più fine e presenta invetriature in svariati colori; le ceramiche decorate con la tecnica dello sgraffiato (motivi realizzati con l'incisione) e dello slip-painting (motivi dipinti con argille liquide colorate) rappresentano tipologie ben note soprattutto dagli scavi di Fustat e sono più facilmente databili al primo periodo mamelucco; il vasellame a impasto artificiale dipinto sotto invetriatura, più raro, costituisce una vasta categoria di cui fanno parte le imitazioni di porcellana cinese in bianco e blu, solitamente datate tra la fine del XIV e il XV secolo; il vasellame non invetriato a impasto argilloso rosso o crema con decorazione incisa, stampata, applicata o dipinta non ha ancora ricevuto la stessa attenzione della ceramica invetriata, ma è certo che lo studio approfondito di questa ampia e diffusa categoria sarà di grande aiuto nella ricerca archeologica. Di grande interesse sono anche i frammenti di ceramica d'importazione cinese rinvenuti nel sito che datano per la maggior parte al XIII-XIV secolo.
Bibliografia
D.S. Whitcomb - J.H. Johnson, Quseir al-Qadim 1978. Preliminary Report, Cairo 1979; Iid., Quseir al-Qadim 1980. Preliminary Report, Malibu 1982; J. Carswell, Blue and White: Chinese Porcelain around the World, Chicago 2000.