L’arco di Costantino
Un monumento dell’arte romana di rappresentanza
Per celebrare la battaglia vittoriosa di Costantino contro Massenzio a ponte Milvio, il 28 ottobre 312 d.C., venne eretto un arco monumentale nella valle del Colosseo, alle pendici del Palatino1. Il monumento, dedicato dal Senato e dal popolo romano, come sottolinea la grande iscrizione sull’attico, fu probabilmente inaugurato il 25 luglio 315 d.C., durante la celebrazioni dei decennalia: Costantino è a quest’epoca Maximus Augustus Pius in Occidente, Licinio suo collega per l’Oriente. In questa peculiare posizione, l’arco si trova a far parte integrante di una ‘topografia della vittoria’, che lungo il percorso dell’adventus si manifestava in una serie cospicua di monumenti: ai lati della via percorsa dalla pompa trionfale che si snodava tra il Campo Marzio, il Foro e il Campidoglio si ergevano antichi templi decorati da spoglie e dedicati agli dei della vittoria, statue colossali, trofei di guerra. Queste emergenze monumentali mostrano rappresentazioni cerimoniali con forme e temi codificati nel tempo, per esprimere aspetti ideologici e morfologie del potere.
All’arco è stata assegnata dalla critica moderna la funzione di sintetizzare in forma monumentale i cambiamenti dell’era costantiniana. Sia nei dettagli iconografici del programma figurativo sia nella grande iscrizione che compare, identica, sull’attico di entrambe le facciate2, si cercano indizi per ricostruire gli eventi del 312, e per individuare i simboli della precoce conversione di Costantino3 e del rifiuto dell’imperatore all’ascesa tradizionale come scena conclusiva del trionfo, presso il tempio di Giove Capitolino4. Nel monumento si vede una volontaria ambiguità figurativa, che rifletterebbe l’attuarsi di un compromesso tra la fede cristiana dell’imperatore e le consuetudini di Roma pagana5.
Dal punto di vista dello stile, il linguaggio formale dei rilievi è stato interpretato come una commistione di modi rappresentativi: tra lo stile plebeo dei rilievi costantiniani – espressione del ‘volto’ provinciale dell’arte tardoantica –, il classicismo dei tondi adrianei6, il naturalismo movimentato dei fregi traianei si troverebbero esemplarmente rappresentate le tendenze tardoantiche di un’estetica ‘cumulativa’, realizzata tramite una combinazione di elementi diversi per epoca e qualità formali7, e l’uso massiccio degli spolia, elementi antichi, il cui accostamento con i nuovi produrrebbe sullo spettatore l’effetto di un sincretistico assemblaggio8. Accanto ai sostenitori di un ‘uso ideologico’ degli spolia si fa strada una tendenza che vuole mettere in luce l’aspetto puramente funzionale del reimpiego, dettato dalla carenza di marmi che doveva già gravare sulle officine della Roma dell’epoca9. In studi recenti si cerca di chiarire il ruolo di committenti e destinatari, e le caratteristiche comunicativo-retoriche dei rilievi del monumento, espresse in un messaggio che assume le connotazioni di una sorta di panegirico-discorso tenuto dal Senato davanti all’imperatore e ai sudditi10.
In senso generale, il fine rappresentativo ‘ufficiale’ dell’arco sembra sintetizzato dalla definizione dei suoi stessi committenti nella grande iscrizione dedicatoria: «insigne triumphis», ovvero decorato con lo strumentario di immagini adeguate in base a una lunga e consolidata tradizione idonea a rappresentare il trionfo imperiale come manifestazione della vittoria romana. I motivi sono però plasmati e adattati al contesto specifico, alle caratteristiche del tempo e dell’ambiente sociale di committenti e destinatari tra l’adventus e il 315 d.C. Il programma dell’arco è una rappresentazione ‘storica’, in quanto rispecchia i caratteri del tempo. I suoi ideatori non traducono però semplicemente in immagini ideologie astratte al fine di comporre un panegirico verbale o di esprimere tendenze ‘estetiche’ globali. La forza semantica del monumento è determinata dal suo essere radicato nel luogo e nello spazio: i suoi rilievi assumono senso e valore, se ambientati in un contesto topografico sacrale, espressivo di una mitologia del potere imperiale, e non solo nei modi di rappresentazione tipici delle pratiche trionfali mantenute attuali nelle cerimonie dell’adventus.
L’arco si inserisce all’interno di una lunga tradizione rappresentativa della vittoria e del trionfo. L’arte di rappresentanza si configura a Roma con regole definite, che procedono a volte in modo autonomo rispetto alla fenomenologia degli eventi storici, ma che con la stessa interagiscono fittamente. Colonne rostrate, monumenti equestri, immagini di Vittorie e trofei, nemici sottomessi e statue divine cominciarono a decorare il Campidoglio, il Foro, poi tutti gli spazi politici rilevanti e i templi di Roma dalla fine del IV secolo a.C., configurando le prime tracce di un genere destinato ad avere una lunga vitalità11.
In epoca repubblicana, nelle pitture esibite durante i cortei trionfali, si rendevano con evidenza agli occhi del popolo i successi dei generali romani. Nel trionfo si mostravano immagini delle città conquistate, battaglie, assedi e interventi eroici. Soprattutto, si offrivano interpretazioni della guerra da parte del generale vittorioso. Le immagini portate in trionfo da Cesare, al volgere della Repubblica, sembrarono più popolari e tendevano a coinvolgere un pubblico molto ampio con effetti patetici. I conflitti psicologici e le connotazioni dell’habitus emersi nel bellum civile, ossia saevitia e furor impius, erano personificati nelle immagini delle pitture mostrate nel trionfo africano, suscitando clamori e reazioni contrastanti nel popolo: non figuravano i nomi degli sconfitti, trattandosi di cittadini romani. Ma il popolo fu in grado di riconoscere Lucio Scipione, che si feriva nel petto con la sua propria mano e precipitava poi in mare; Petreio, che si suicidava nel corso di un banchetto; Catone, che si dilaniava il ventre come una bestia selvaggia12.
Alcune caratteristiche del linguaggio delle pitture trionfali si ritrovano nei monumenti eretti per consolidare il trionfo in forme visuali. L’arte di rappresentanza romana fa un largo uso del simbolismo. Attraverso figure allegoriche come Honos, Virtus o Fortuna si rendono manifesti valori collettivi e virtù imperiali con una tipologia di azioni esemplari: un congiario può significare, nel formulario codificato del linguaggio trionfale, un’immagine di liberalitas, l’imperatore che accoglie i barbari una dimostrazione di clementia, un’azione impetuosa di caccia e battaglia la virtus militare13. Per essere rappresentati in modo comprensibile, il trionfo e la vittoria dell’imperatore dovevano attingere a un complesso sistema di stilemi e modi espressivi. Molti elementi di questo linguaggio ufficiale iniziano a essere codificati in epoca augustea. Allora le componenti essenziali vennero fissate nel rapporto tra il potere del princeps e gli dei protettori, raffigurati per manifestare il favore divino e il carisma religioso di Augusto (Venere, Apollo e la Vittoria); una localizzazione dell’immaginario della Vittoria avveniva nelle personificazioni urbane di Roma e del genio del popolo o del Senato, il Tevere o il Palatino, infine del fondatore Romolo; gli dei della guerra, principalmente Marte, presiedevano a una schiera di personificazioni o tipi iconografici: province ridotte all’obbedienza, barbari in atteggiamenti di sottomissione volontaria, accolti dalla clementia del princeps14.
Nei rilievi dell’arte ufficiale non erano rappresentati eventi con pretese di realismo, ma piuttosto era cristallizzato il mondo concettuale che sostanziava pratiche politiche e cerimoniali. Sull’arco di Tito si offriva, ad esempio, un’estesa e dettagliata rappresentazione del trionfo imperiale. Questa rappresentazione fu realizzata a un decennio almeno di distanza dall’evento. Sul rilievo si trovano rappresentati tutti gli elementi che possono concorrere a mostrare il significato del trionfo in relazione all’apoteosi di Tito: una divinizzazione che per Domiziano era essenziale, non diversamente da Ottaviano, che legittimò in un primo tempo il suo potere attraverso la divinizzazione di Giulio Cesare.
Nei pochi anni che corrono tra la vittoria di Costantino e la dedica del monumento, il linguaggio ‘trionfale’ è adattato alla nuova situazione e subisce alcune sostanziali modifiche nei temi. La colonna di Traiano costituiva un esempio paradigmatico di narrazione collettiva, concentrata e focalizzata sull’imperatore come primus inter pares e come parte integrante dell’impresa della guerra condotta dall’esercito. In modo diverso, sull’arco tutto ruota attorno alla figura imperiale, al suo rapporto con gli dei protettori che favoriscono la vittoria, con l’esercito che lo adora come un dio, con il Senato e il popolo che lo acclamano. Il linguaggio figurativo tende a mettere in luce connotazioni essenziali di un potere imperiale posto sotto l’influsso della divinitas del suo numen, moltiplicato nelle figure del Sol Invictus, di Apollo, dell’invitto Ercole e della Victoria Romana, che si estende benevolo sui sudditi e attraverso la virtù imperiale della clementia conferisce ai senatori un rango paritario, in uno stato di concordia ideale.
Va notato come anche talune caratteristiche architettoniche siano determinate dalla volontà di mettere in luce elementi particolarmente espressivi dell’apparato figurativo: disposti nei punti chiave della struttura in relazione ai punti di vista privilegiati, rivelano come nella progettazione questi due ambiti non vengano tenuti disgiunti, ma utilizzati sapientemente, per ottenere un effetto di intima coerenza, allo stesso tempo architettonica e decorativa.
Il monumento, eretto dal Senato e dal popolo romano per Costantino, si presenta come un arco trifornice, con due ampie facciate, ciascuna scandita da quattro colonne su alti piloni che inquadrano i due fornici laterali e il fornice maggiore al centro. Al di sopra dei fornici laterali, corrono due fregi; nella fascia tra i fregi e l’attico, sono incastonati rilievi di forma circolare. Sull’attico di ciascuna facciata, quattro figure di daci su plinti inquadrano altrettanti rilievi in corrispondenza dei fornici minori e una grande iscrizione sopra il fornice centrale.
Fra il 312 e il 315, i progettisti dell’arco assemblarono da luoghi diversi rilievi di varie epoche in una cornice di elementi architettonici mai messi in opera o dismessi, al fine di ottenere un apparato architettonico armonioso e di comunicare un sistema di immagini di significato unitario. L’intero apparato figurativo è il risultato della combinazione di elementi nuovi e antichi.
Antiche sono le otto statue di daci prigionieri ai lati dell’iscrizione sull’attico e i quattro frammenti di un rilievo raffigurante le guerre daciche di Traiano: due montati sui lati interni del fornice centrale, gli altri due sui lati brevi dell’attico; gli otto rilievi tondi sopra i fornici minori sono dell’età di Adriano. Otto rilievi rettangolari murati di fianco all’iscrizione sull’attico rappresentano Marco Aurelio nell’accampamento: in un atto di adlocutio ai soldati, mentre mostra la sua clementia in occasione della presentazione di capi barbari o compie il rito di lustratio dell’esercito; sul lato meridionale questi rilievi aureliani mostrano un adventus e una profectio dell’imperatore a Roma, un congiarium e la sottomissione di un capo barbaro15.
Per rappresentare gli eventi contemporanei, le campagne militari che percorsero l’Italia, le caratteristiche della vittoria del nuovo imperatore e le sue attitudini nei confronti della città eterna, fu ideato un fregio ‘storico’, realizzato dalle botteghe attive a Roma dall’età di Massenzio e posto sopra i fornici laterali delle facciate principali e sui lati minori, completato con la sovrapposizione di tondi analoghi per dimensione a quelli adrianei16. Anche prodotte ex novo sono le figure simboliche degli archivolti, mentre una fenomenologia ampia di Vittorie, famiglie di barbari in prigionia e brutalmente esibiti vicino a trofei dai soldati romani compaiono sui piedistalli delle colonne. La scelta di questi elementi si avvale della vitalità espressiva posseduta dal sistema degli ornamenti trionfali, concretamente mostrato in una serie innumerevole di esempi. L’architetto costantiniano innovò il modello dell’arco di Settimio Severo nel Foro Romano per realizzare il nuovo progetto costantiniano. La differenza più evidente e macroscopica rispetto al modello severiano sembra essere la forte semantica assunta dagli elementi figurativi di reimpiego. Gli enormi pannelli con i fregi traianei inseriti nel passaggio centrale esprimono un messaggio importante, che deve essere percepito nel momento in cui si attraversa l’ingresso centrale dell’arco: l’imperatore è il liberator urbis e il fundator quietis. Si abbassano i piedistalli e acquista un’altezza superiore l’imponente struttura dell’attico: dove figura la grande iscrizione più leggibile dal corteo che percorreva la via Triumphalis. Per dare spazio ai rilievi aureliani e alle coppie dei tondi risultano infine ampliati i fornici laterali17.
I materiali eterogenei che confluirono nella costruzione dell’arco, da spoglie isolate e disomogenee, divennero una composizione organica di forme di grande impatto visivo e valore semantico18, con materiali marmorei differenti, provenienti da altri monumenti di epoca precedente19, da luoghi diversi, in parte da depositi e magazzini situati nell’Urbe e nelle zone vicine20.
La decorazione architettonica è ottenuta tramite un sapiente e misurato utilizzo dei materiali di reimpiego: blocchi, cornici, marmi grezzi sono adattati tra loro, lavorati e montati per comporre un insieme che all’apparenza ottica risulta omogeneo e riccamente ornato, rispettando così la tradizione della publica magnificentia.
Semantica delle ‘decorazioni secondarie’: figure di Vittorie e ispirazione divina
Questa magnificentia si esprime fin nei particolari apparentemente secondari: un ricco mondo ornamentale si dispone sugli archivolti, sui piedistalli delle colonne, sulle pareti interne dei fornici minori. Molti soggetti sono comuni agli archi e ai monumenti di vittoria del passato. La funzione di questo immaginario non è però secondaria. In esso si rispecchiano ideologie e tendenze generali. Figure portanti di questo apparato sono le Vittorie. Tipiche protagoniste dell’immaginario trionfale, esse costituiscono un elemento ridondante dell’ornamentazione dell’arco. La Vittoria accompagna l’imperatore nelle campagne militari e rappresenta una figura di proiezione condivisa con l’aristocrazia senatoria di Roma. Simbolo quindi bipolare, può accogliere nel suo bacino di significati la rappresentazione delle virtù imperiali e delle ideologie aristocratiche.
Sui basamenti delle colonne, le Vittorie che conducono soldati e barbari sottomessi celebrano la fine della guerra. Sulle pareti interne dei fornici minori accompagnano l’ingresso dell’imperatore e del corteo trionfale nel momento dell’adventus busti di Sol Invictus e forse di Iuppiter, alternati a immagini imperiali: un imperatore con fibula e balteo gemmati, coronato da Victoria e connotato dal gesto della mano destra sollevata come un rappresentante dell’Impero solare dei tetrarchi21. In alto, sugli archivolti e i pennacchi, si dispongono personificazioni: Vittorie alate recanti trofei sovrastano figure di geni stagionali negli spazi di forma triangolare del fornice centrale22; nei pennacchi dei fornici minori si distendono otto figure di fiumi23; le chiavi di volta sono decorate da figure divine24.
La campagna militare di Costantino contro Massenzio si svolse tra l’estate e l’autunno: queste stagioni, rappresentate sul lato sud, ambientano le vittorie narrate dai fregi in un ciclo naturale. Alla metà del mese di agosto furono occupate Mediolanum, Brixia e Verona25. Sul lato sud, i geni stagionali permettono di inquadrare nel ciclo del tempo naturale le battaglie condotte da Costantino nell’Italia settentrionale: con la partenza dell’esercito da una delle città situate in questa parte geografica comincia il fregio ‘storico’.
Su pannelli nell’interno del fornice dell’arco di Tito alle pendici del Palatino, sulle spirali della colonna nel Foro di Traiano o nelle raffigurazioni delle campagne di Severo sull’arco nel Foro Romano, si rivela la capacità simbolica delle narrazioni storiche romane di rendere concrete le più astratte ideologie politiche. Narrazione ed exemplum si intersecano tra loro sulla colonna Traiana: il piano simbolico, assunto dagli eventi narrati, induce lo spettatore a districarsi tra una visione ‘storica’ dei fatti accaduti e una percezione simbolica degli eventi come portatori di valori paradigmatici26 particolarmente evidenti nella presentazione di aspetti cerimoniali27.
Sull’arco di Costantino, i significati paradigmatici dei rilievi dell’attico e dei tondi interagiscono e imprimono un forte valore esemplare agli eventi narrati nel fregio storico28, che da ovest a sud e da est a nord conduce lo spettatore a seguire il filo storico degli eventi. Questi valori sottolineano le svolte essenziali nel percorso dell’imperatore, che guida il suo esercito attraverso una serie di vittorie, fino a giungere all’interno delle mura di Roma, nel cuore politico dello spazio urbano.
Il punto di partenza della narrazione è in una profectio. Il cerimoniale della partenza è messo in scena sul fregio storico del lato breve occidentale. Nel tondo che sovrasta il fregio, Luna/Selene si alza dal mare. L’immagine segna l’inizio di un cammino destinato a concludersi, sul lato breve orientale a esso contrapposto, nel tondo con il carro del Sol.
I carri del Sol e di Luna sono parte integrante dell’immaginario tetrarchico di adventus e profectio: quando, nel 291, Diocleziano e Massimiano entrano a Milano, sembrano incedere sui carri stessi di Sol e Luna29. In epoca costantiniana, a Costantinopoli si riproduceva questa simbologia dell’adventus nei monumenti della via Triumphalis: le parastaseis testimoniano la permanenza, ancora in epoca tarda, di immagini di Luna e Sol nelle tappe essenziali del percorso, esteso dalla porta Aurea all’ippodromo. Nel punto di partenza, la porta Aurea, costruita come un arco trifornice, è decorata con un apparato tipico degli archi trionfali: quadrighe di elefanti, Vittorie e geni stagionali, infine immagini di Selene e Helios-Sol30.
Sotto il tondo di Luna, cominciava la spedizione di Costantino contro Massenzio. Le truppe escono da una porta cittadina: su un carro, con le salmerie, siedono due ufficiali, a piedi davanti al carro sono i veterani; cornuti e truppe regolari avanzano assieme ai mauri disertori di Massenzio con cavallo e dromedario. Alcuni dettagli della composizione contribuiscono a comunicare il valore intensamente simbolico dell’evento rappresentato. Dalla schiera di militari e tibicines, sono messi in evidenza due soldati che portano statue di divinità: una Victoria in volo sul piedistallo, con il piede sinistro spostato di lato e il destro arretrato, in movimento concitato, sottolineato dal chitone rigonfio di aria, con la destra sollevata tiene una corona di alloro, con la sinistra abbassata una palma. La dea presenta le connotazioni di una immagine di Vittoria molto nota ai cittadini di Roma: collocata da Ottaviano nella Curia rinnovata dopo Azio, diventa oggetto di un culto che esprime l’intesa tra princeps e Senato. Una statuetta del Sol Invictus è portata dal soldato accanto. Il dio è nudo e indossa un mantello, appoggia saldamente il peso del corpo sulla gamba destra e dai fori residui nel marmo si deduce che porta una corona radiata di metallo: è il Sol Invictus comes31.
L’imperatore non compare ancora in questa scena. Gli elementi della composizione creano comunque un’atmosfera carica di aspettativa per la sua apparizione: il numen e la divinitas che lo connotano sono impliciti nella statuetta del Sol Invictus, brandita dal soldato. La sua virtus in battaglia è evocata invece dalle immagini del fregio traianeo, collocato poco al di sopra, sull’attico, che vede al centro disporsi una serrata scena di combattimento. I rilievi di Traiano mostrano, con un gesto sintetico di grande emblematicità, un tema-chiave, ripetuto nelle figurazioni dell’arco: la ‘vittoriosità’ dell’imperatore, la sua capacità di condurre imprese vittoriose, caratteristica che introduce, come un antefatto, la narrazione delle res gestae sviluppata dal fregio storico.
Nei fregi storici della facciata meridionale prosegue il filo narrativo degli eventi nelle rappresentazioni di due scene di battaglia in successione cronologica. Nel fregio a sinistra Costantino, circondato dai suoi soldati, appare di fronte alle mura di una città32. All’interno di queste imponenti mura si affolla un esercito di assediati33. Le fonti sottolineano l’intervento diretto dell’imperatore nella battaglia di Verona34. La sua figura, infatti, emerge per grandezza nel gruppo di assalitori: non porta armi né elmo, è in attitudine ferma, la gamba destra rilasciata, la mano sinistra appoggiata al grande scudo, la destra sollevata nel gesto degli imperatori carismatici e solari della tetrarchia; indossa corazza e paludamento. Una Vittoria vola a mezz’aria portando una corona di alloro nella destra, nella sinistra reca un trofeo. L’assedio di Verona è un’impresa descritta nei panegirici come un’importante vittoria strategica35.
Sull’attico sovrastante, i rilievi antichi prodotti all’epoca di Marco Aurelio, inquadrati in cornici rettangolari, focalizzano azioni paradigmatiche svolte negli accampamenti tra una battaglia e l’altra: sono dunque in connessione semantica con le battaglie rappresentate nel fregio che corre al centro della parte sinistra corrispondente della facciata36. Nel rilievo di destra l’imperator è rappresentato nell’accampamento: in piedi sul podio riceve al cospetto delle truppe un capo barbaro (rex datus); fa da sfondo il pretorio. Nel riquadro a sinistra l’imperatore si innalza di nuovo su un piccolo podio e tiene nella sinistra uno scettro, i soldati spingono avanti due barbari incatenati (clementia verso i barbari); uno dei soldati afferra per i capelli un prigioniero e lo costringe a guardare in alto. Sullo sfondo si elevano i vessilli delle legioni: la scena si svolge sul campo aperto di battaglia.
Un’interpretazione metaforica della partenza per la guerra e delle prime vittoriose battaglie si offre nella coppia di tondi adrianei, incastonati nella fascia tra l’attico e il fregio storico: l’imperatore e i suoi comites fanno l’ingresso in uno spazio agreste e selvaggio in cui si svolge un’attività venatoria37. Entrambe le coppie rappresentano un momento di un’azione di caccia e un sacrificio. La prima coppia a sinistra rappresenta la partenza per la caccia da una porta di città38. Sul tondo complementare, l’imperatore sacrifica a Silvano. I due medaglioni adrianei, a destra del fornice, ripropongono la sequenza di caccia-sacrificio. Il ritratto di Costantino è riconosciuto nel capo molto danneggiato dell’imperatore, che nel tondo a sinistra compie il suo sacrificio a Diana39. A destra, l’imperatore a cavallo galoppa verso un orso, impugnando la lancia. Un’antica connessione simbolica tra caccia e guerra crea il sostrato ideologico di queste rappresentazioni di azioni di caccia, la quale costituisce a Roma un campo di manifestazione, come la guerra, della virtus40. Le rappresentazioni sui tondi adrianei veicolano concetti tradizionali dell’ideologia della vittoria e offrono una dimensione concettuale allo spazio della guerra, che è assimilato alla natura selvaggia dominata da Silvano e Diana. Lo spazio agreste in cui si volge la caccia evoca spesso nella cultura romana, in forma metaforica, le guerre che si svolgono al di fuori dei confini della città.
I tondi adrianei configurano una cornice di valori impliciti nelle rappresentazioni di battaglie nel fregio sottostante. Sul fregio a destra del fornice principale, una battaglia si svolge nel corso vorticoso di un fiume41. La presenza di personificazioni si fa molto fitta: la corsa concitata della dea Roma verso il centro della scena, unita alla personificazione del fiume, permette di localizzare la scena nel luogo, presso il ponte sul Tevere, dove le fonti testimoniano lo svolgimento della battaglia finale tra Costantino e Massenzio42: si tratta dunque della vittoria finale della guerra fra i due contendenti.
Il 28 ottobre 312 Massenzio esce da Roma dalla porta Flaminia e attraversa il Tevere su un ponte di barche all’altezza di ponte Milvio, precedentemente interrotto a protezione della città.
La rappresentazione mostra dettagli utili per il riconoscimento dell’evento: il ponte frammentario, la barca utilizzata per attraversare il fiume. Lo svolgimento dei fatti deve essere noto a molti, negli anni in cui il fregio è creato. Il taglio e l’interpretazione dati agli avvenimenti in queste immagini seguono la storiografia senatoria, ripresa dai bizantini Zosimo e Teofane43.
Doveva essere riconoscibile a tutti il personaggio maschile perduto, che un tempo figurava al centro della composizione. A lui si avvicina la dea Roma in abito amazzonico; da destra lo incorona una Victoria, che sta sul pilastro del ponte interrotto; gli rivolge lo sguardo dal basso la figura del Tevere tra le acque. Queste operazioni, compiute da personificazioni e divinità, focalizzano l’interesse attorno alla forma della figura perduta, permettendo di identificarla con l’imperatore. L’inabissamento delle truppe nemiche, incalzate dai soldati e dalla maiestas dell’imperatore accompagnato da un seguito di personaggi divini, è esaltato dalle parole dei panegirici44. Dai pochi resti della scena si deduce che Costantino è rappresentato frontalmente, incoronato da Vittoria, che tiene con la mano sinistra una palma: l’esito della battaglia è manifesto, in quanto essa si svolge di seguito tra cavalieri vittoriosi e soldati che affondano tra le acque impetuose. Soldati delle truppe regolari, cornuti e ausiliari mauri rappresentano un fronte che contrasta il fiume, dove sono ricacciati gli armati di Massenzio.
L’atmosfera solenne che precede le battaglie decisive è ricreata nei rilievi aureliani dell’attico sovrastante: sul primo a destra (adlocutio), due soldati reggono le insegne militari; l’atmosfera è tesa; regna l’immobilità che connota le adlocutiones che precedono le battaglie. La stasi è interrotta nel rilievo di sinistra, in cui si procede alla lustratio dell’esercito. L’imperatore, togato e coronato di alloro, tiene un rotolo con la sinistra, mentre con la destra versa su un tripode acceso; gli animali destinati al sacrificio sono recati dagli inservienti. Da sinistra avanza colui che immolerà la vittima, con doppia ascia appoggiata sulla spalla. La lustratio exercitus avviene in varie occasioni: tra queste, quando l’esercito è affidato alla guida di un nuovo generale, oppure quando viene messo insieme. Sulla colonna Traiana questo genere di azione precede l’inizio di una serie di operazioni belliche. La scena della lustratio, un rito essenziale per determinare l’esito delle battaglie45, svolge una funzione comunicativa particolarmente importante: sottolinea la necessità di una sostanziale correttezza rituale nel modo di condurre le guerre, una connotazione necessaria per un bellum iustum.
Sul lato orientale l’ingressus imperiale dopo la vittoria si compie sotto l’immagine del Sol Oriens su quadriga, che sorge su Oceano, nel tondo che sovrasta il fregio storico sottostante, che rappresenta un corteo. La parata occupa l’intera superficie del rilievo: si svolge nello spazio delimitato da due porte o archi, i cui elementi essenziali si intravvedono alle sue estremità. Da una porta cittadina a sinistra esce una quadriga: l’imperatore è entrato dalla porta Flaminia, trasportato da un carro riccamente decorato da un fregio di acanto e siede su una cathedra ornata da foglie d’edera. Si piega lievemente in avanti, con un rotolo nella sinistra, e alza la destra in segno di saluto. Indossa una tunica a maniche lunghe, clamide, bracae e scarpe gemmate. Una Vittoria guida il carro. Le finiture dei cavalli sono esse pure gemmate. L’esercito è serrato davanti al carro: fanti, regolari e cornuti, ausiliari mauri. I soldati che aprono la processione avanzano verso un arco, rappresentato di tre quarti: le figure di elefanti lo identificano come l’arco trionfale eretto da Domiziano in Campo Marzio46. L’ingresso dell’imperatore a Roma inaugura un ciclo tematico diverso: sulla facciata settentrionale si sviluppano figurazioni di cerimoniali urbani e si celebrano la vittoria e le virtù politiche dell’imperatore.
Sui rilievi aureliani dell’attico si sottolineano tappe simboliche importanti del percorso dell’imperatore verso il centro della città: dalla porta Flaminia e attraverso la porta Triumphalis. La scena sul riquadro dell’attico all’estrema sinistra è affollata di personificazioni: Roma in attitudine militare e in vesti amazzoniche accoglie l’imperatore accompagnato da Marte Ultore in armi47; sullo sfondo, in secondo piano, spiccano una figura femminile velata e una seconda ammantata con caduceo e cornucopia, mentre una Vittoria sorvola la scena, recando un serto di alloro sul capo dell’imperatore, chiaramente reduce da una vittoria. A sinistra compare il tempio della Fortuna Redux: nel frontone Fortuna con globo e ruota, agli angoli una cornucopia. A destra chiude il campo la porta Triumphalis48, reduplicata nel rilievo accanto, che rappresenta una profectio nel Foro Boario. I personaggi formano un tradizionale comitato per la profectio: compaiono la personificazione della via Flaminia e l’esercito in armi, accompagnato dal Senato, rappresentato come un venerando anziano, barbato e avvolto nella toga ufficiale49.
La funzione dei due rilievi è quella di segnare una profonda demarcazione. Tra Campo Marzio e Foro Boario si colloca la linea che delimita l’interno dall’esterno, la guerra dalla pace.
Il Campo Marzio è un luogo ideale per l’ambientazione di adventus a motivo del suo grande valore simbolico fin dai tempi più remoti. Nel circo Flaminio stanziano gli eserciti con i generali di ritorno dalle guerre. Bottini e soldati restano acquartierati nel campus in attesa che il Senato conceda al generale la celebrazione del trionfo. Le opere d’arte e i simulacri divini che ancora popolavano i templi e le porticus del campo Marzio sono manifestazioni concrete dell’ideologia della vittoria romana. Anche i culti che si svolgevano in questo spazio possedevano antiche e profonde connessioni con questo sistema di valori. In un antichissimo tempio, ristrutturato in età augustea dopo la battaglia di Azio, era ospitato un culto di Apollo salutare. Il culto si svolgeva anticamente presso un altare, fino a che nel II secolo a.C. venne eretto al dio un tempio decorato riccamente da ornamenti trionfali e da una statua di culto creata da un artista greco. Questa statua di Apollo era nuda e suonava la cetra. L’Apollo con la cetra di Timarchide incarnava, all’epoca delle vittoriose battaglie in Grecia, l’ispirazione profetica dei generali romani. Era un dio protettore della vittoria50. Sul tondo adrianeo che si incontra provenendo dal lato orientale, un imperatore sacrifica a una statua di Apollo che riproduce i tratti dell’Apollo con la cetra di Timarchide. Dalla fondazione del principato augusteo, Apollo è comes dell’imperatore e artefice della vittoria imperiale.
Sul primo tondo oltre il fornice si incontra un sacrificio a Hercules Invictus, nel Foro Boario, nei pressi dell’Ara Maxima: la statua di culto presentava le fattezze dell’Eracle giovanile e seduto con la clava e il bottino ai suoi piedi e il seggio decorato da una vittoria: un’immagine che è riprodotta nel tondo adrianeo sull’arco51. I culti dei tondi adrianei sulla facciata ‘urbana’ dell’arco sono rivolti agli dei protettori dell’imperatore, artefici della vittoria e tutelari del trionfo.
L’accento sulla virtus vuole configurare un potere imperiale fondato su qualità militari: Costantino invictus è rappresentato nel tondo con caccia al cinghiale; di ritorno dalla caccia al leone è in piedi, trionfante, sulle spoglie dell’animale ucciso. La figura che compie il sacrificio ad Apollo e a Ercole su questi tondi resta di controversa identificazione52. Secondo Hans Peter L’Orange si tratta di Licinio, rappresentato nei rilievi accanto a Costantino per esprimere una sorta di dichiarazione di concordia dopo le inimicizie manifestatesi nell’autunno del 314. L’ipotesi più diffusa è che i ritratti rappresentino Costanzo Cloro, simbolicamente avvicinato al figlio53. La velatio capitis dell’imperatore che sacrifica può però anche possedere una connotazione diversa e assumere un senso preciso all’interno del sistema delle immagini della facciata settentrionale che ruota intorno alla pace urbana ristabilita al momento dell’adventus. Settimio Severo fu raffigurato sulle monete in atto di sacrificare, con la legenda restitutor Urbis. Con la velatio capitis del sacerdote era invece designato come fundator Pacis54. Questo imperatore è acclamato fra il 198 e il 201 fundator Pacis e rappresentato in numerose monete con capo velato. In mano porta due attributi: un ramoscello d’olivo o un rotolo di pergamena55. Il particolare dell’imperatore che stringe un rotolo di pergamena sul carro dell’ingressus in città è carico dunque di chiare connotazioni simboliche: nel momento del suo ingresso nell’Urbe, Costantino assume il ruolo di apportatore di pace, sulla scia di dinasti e imperatori, non solo vincitori, ma anche fondatori della stabilità imperiale56.
Costantino entrava a Roma investito dall’aura del liberator Orbis. Sulla parete occidentale dell’ingresso principale è ritratto in movimento, a cavallo, in mezzo a una battaglia, mentre alza la lancia in atto di colpire un nemico: il volto e la testa di Traiano sono rilavorati per ottenere il ritratto di Costantino57. Sulla parete opposta, a battaglia terminata, è fundator Quietis: sceso da cavallo, a testa nuda, parla all’esercito con la mano alzata in gesto oratorio, è coronato da Vittoria, accompagnato da Roma (o Virtus)58. Sui piedistalli delle colonne sono scolpiti soldati che portano prigionieri raccolti attorno a trofei, quasi stanti sui fercula idealmente condotti in trionfo. Maestose figure di Vittorie sulle facciate centrali dei piedistalli guidano i gruppi di militari e barbari sottomessi: tutti si volgono in direzione dell’ingresso principale, destinato a essere varcato dal trionfatore. L’imperatore vittorioso è dunque l’ideale destinatario del gesto di incoronazione delle Vittorie: sul piedistallo centrale del lato sud, i soldati della guardia dell’esercito gallico-germanico portano le stesse immagini divine rappresentate sul rilievo della profectio da Milano: Sol e Victoria. Sul lato opposto, che si apre verso la città, la statuetta del Sol è portata dai soldati che si trovano immediatamente dietro la Vittoria che scrive i vota: la nuova epoca di governo è inaugurata sotto il segno del Sol Invictus59. Le modalità e gli strumenti di attuazione di questa folgorante vittoria, celebrata dalle immagini scolpite all’interno del fornice e sui piloni, sono implicitamente evocate dalle parole della grande iscrizione dell’attico: l’ispirazione divina e la grandezza di pensiero del generale romano sono attivamente presenti, evocate e concretamente palpabili attraverso la visione delle rappresentazioni icastiche realizzate dall’arte60.
Senato e popolo accolgono con laetitia61 il vincitore di un hostis rei publicae, come fu definito a Carnuntum Massenzio dai suoi colleghi62.
Nei rilievi storici al centro della facciata nord, rivolta verso la via Sacra e il Foro, Costantino compare sulla tribuna dei Rostri63. Alla tribuna fanno da sfondo colonne che recano statue, interpretate come immagini dei tetrarchi, con al centro il simulacro di Iuppiter64.
Costantino è in piedi al centro della tribuna in abito militare: tende la mano destra in atto oratorio, circondato dai senatori e dalla guardia personale. Entrambe le estremità della tribuna sono occupate da statue sedute e barbate: quella di destra detiene le insegne imperiali, scettro e globo65. Su monete a partire dal II secolo l’attributo del globo qualifica l’imperatore come rector orbis. In questa caratteristica è assimilato a Iuppiter, il dio che «imperio regit unus aequo»66.
Nei giorni che seguivano l’adventus le virtù ‘razionali’ dell’imperatore sono alla ribalta: la clementia di Costantino è un tema attuale del dibattito politico e i discorsi su questa essenziale virtù dell’imperatore sono elaborati dai panegirici che raccontano la clementia della sua divina oratio nella Curia, davanti al Senato67. La clementia di Costantino è la virtù connotativa dei buoni imperatori, mai posseduta dagli usurpatori: a essa si confronta per opposizione la condotta di Silla68.
Nei rilievi aureliani sull’attico, una dimostrazione esemplare di clementia è offerta dall’imperatore Marco Aurelio, che siede su uno sgabello su un podio: tra signiferi e legionari, un vecchio capo barbaro fa atto di sottomissione69. Sul rilievo accanto, davanti a un portico con colonne corinzie decorate da corone d’alloro, l’imperatore, togato e seduto sulla sedia curule, assiste a una distribuzione di generi alimentari e di denaro (congiarium) al popolo.
Lo stesso tema è rappresentato nel fregio storico sottostante70. L’imperatore su un suggestum è circondato da senatori, funzionari e cittadini, indossa la toga contabulata e i calcei: è senatore tra i senatori. Questo dettaglio iconografico fa pensare che si tratti del congiarium elargito in occasione dell’entrata al consolato il 1° gennaio 31371. Entrato in armi, Costantino parla al popolo come un rector orbis protetto da Iuppiter dai rostra: ma ora appare integrato nel gruppo dei senatori, è un senatore del più alto rango, è il più potente evergete di Roma, partecipa dell’atmosfera di perfetto accordo e consonanza politica che regna nel Senato e che si riverbera sul popolo. Questa immagine di imperatore come ideale console rivela un aspetto ideologico essenziale per comprendere il bacino di formazione del programma figurativo dell’arco.
L’atmosfera politica e le ideologie sul potere imperiale erano all’epoca tramandate, innovate e condivise da un gruppo senatorio omogeneo. Gaio Ceionio Rufio Volusiano emerge come figura chiave dell’aristocrazia senatoria negli anni di ponte Milvio. Sotto Massenzio è stato praefectus urbi (28 ottobre 310-28 ottobre 311) e consul ordinarius (settembre 311)72.
Nel 313 è comes di Costantino e praefectus urbi e nel 314 di nuovo consul ordinarius. Il religiosissimus73 Volusiano dedica nel 314 a Costantino una statua nel Foro di Traiano. L’iscrizione offre forti consonanze di motivi con l’arco: Costantino è dichiarato restitutore del genere umano, propagator imperii, fondatore della securitas eterna74. Vettio Rufino, sotto Massenzio proconsole della provincia Acaia, è suo successore nella prefettura urbana, che esercita tra il 20 agosto 315 e il 4 agosto 316, comes Augusti e console nel 31675. Il suo alto rango è dimostrato dall’essere egli sia membro del collegio degli auguri sia salio palatino (un sacerdozio che accomuna un ristretto gruppo di famiglie, che si presentano come discendenti ideali delle antiche gentes patrizie dell’età regia): Rufino è anche pontifex dei Solis76, membro di un collegio di alti sacerdoti fondato da Aureliano. I pontifices dei Solis erano scelti tra i senatori, consulares, clarissimi viri77. Per questo gruppo selezionato all’interno dell’aristocrazia senatoria, Sol è il dio comes dell’imperatore. I pontifices erano dunque tutelari del culto del Sole e nello stesso tempo depositari delle ‘insegne’ del potere imperiale. Essi possono essere considerati probabilmente anche i depositari di una tradizione religiosa sulle connotazioni solari del potere imperiale che traeva le più antiche radici in epoca augustea, quando Apollo-Sol assunse le caratteristiche del dio degli auspici di Romolo78.
I membri di questa classe di sacerdotes e augures parteciparono probabilmente al consilium principis che indusse Massenzio ad affrontare Costantino fuori delle mura. Le fonti attestano che, quando Costantino giunse alle porte di Roma, vennero consultati i libri Sibillini, conservati sotto il basamento della statua di Apollo Palatino; sul culmine del tempio svettava ancora la quadriga di Sol, portata da Ottaviano dopo Azio per il suo dio protettore e favor della vittoria79.
Negli anni successivi all’adventus, come prodotto della concordia tra questi religiosissimi e clarissimi viri e il nuovo imperatore nacque il programma figurativo dell’arco, e venne scelto anche il luogo della sua erezione in uno spazio nodale della peculiare topografia del potere delineata lungo il percorso dell’adventus.
Posto tra il Colosseo e il Palatino, l’arco era fiancheggiato dalla statua colossale di Sol, un’incarnazione del potere imperiale almeno fino a Massenzio80. Adriano ha in mente di piazzare, accanto al colosso neroniano di Sol, un’immagine di Luna: evidentemente per rafforzare la semantica complementare in occasione degli adventus trionfali81.
L’arco di Costantino si imposta su una strada di epoca neroniana, che dal Circo Massimo raggiunge la valle a nord del monumento. La via ricalca per posizione e direzione in questo ambito topografico, in prossimità del luogo occupato dal trifornice costantiniano, un tracciato augusteo, verosimilmente conservativo a sua volta di una direttrice risalente a epoca arcaica82.
Questo luogo era carico di memorie storiche della regalità più antica. Tacito collocò nell’area dove sorge l’arco un vertice del pomerio romuleo: un tracciato connesso all’initium condendi, che trovava secondo lo storico un vertice in un venerando edificio che suggellava la concordia tra il monarca e il Senato, le curiae veteres83. Ancora nel IV secolo, la Notitia regionum urbis Romae enumera una serie di monumenti estremamente significativi in questa zona, legati alla Roma di Romolo o al culto augusteo e solare di Apollo: la casa di Romolo, la aedes di Apollo Ramnusio (Apollo Palatino), la Curia vetus84. Ricostruendo il percorso tacitiano per quanto una ricostruzione erudita o immaginaria possa essere considerata, l’arco di Costantino si trova a essere sul lato breve occidentale con la linea sacra, di fronte alla Meta Sudans, vicino a uno dei vertici del pomerium Romuli85. La posizione dell’arco dimostra che il significato del limite giuridico-sacrale della città romulea era ancora esplicitato dalla interpretazione di Tacito operante nella memoria politica della classe senatoria e che tale memoria animava i nuovi progetti di topografia monumentale nello spazio urbano del IV secolo. Delimitata dal pomerium, lungo le falde della collina, corre la linea che divide le aree domi militiaeque, l’urbs dall’ager. L’arco viene eretto dunque lungo questo limite, ai piedi del Palatino, e probabilmemte proprio nei pressi delle curiae veteres. Il luogo di erezione coincide con uno spazio di memoria romulea, sul Palatino, ove si trova la casa Romuli: relazioni, connessioni e significati che certamente dovevano essere presenti ai rappresentanti degli auguri palatini appartenenti al consilium principis.
Anche il sistema figurativo dell’arco sembra essere modellato in base alla posizione topografica del monumento, che si trova dunque nei pressi del confine rituale di fondazione della città. La profectio e l’adventus centrati su Roma, ripetuti nei tondi secondo una linea est-ovest e poi nella raffigurazione aureliana del limite tra Campo Marzio e Foro Boario, connotano il cammino di Costantino e del suo esercito come un percorso simbolico: l’imperatore è in guerra, nello spazio selvaggio al di fuori del confine sacro della città; fa il suo ingresso nello spazio urbano (adventus-reditus), uno spazio sacro da cui si parte per condurre altre guerre (profectio). Profectio, guerra esterna e reditus individuano una sequenza che corre sotterranea al programma dell’arco. Questa sequenza ha un suo fine rappresentativo preciso: sottolineare la centralità dello spazio sacro dell’Urbe, il luogo da dove l’imperatore parte per le guerre vittoriose; ogni profectio imperiale ha il suo termine necessario e naturale in un reditus alla Roma delle origini, la Roma quadrata di Romolo, culla del potere monarchico e dell’imperium.
La distinzione tematica tra le due facciate riproduce la percezione del limite tra lo spazio esterno della guerra e quello interno del sacro civico, riprodotto simbolicamente dal pomerium. Il lato nord rappresenta l’Italia attraversata dagli eserciti dell’imperatore: un mondo in stato di guerra, connotato da culti a divinità agresti, come Silvano (sacrificio a Silvano sul tondo adrianeo), o a Diana cacciatrice (sacrificio a Diana sul tondo adrianeo): figure divine, entrambe pertinenti all’ager. La facciata settentrionale rappresenta uno spazio urbano che è l’omphalos dell’Impero, luogo di partenza e di ritorno degli imperatori. Il programma figurativo appare nell’insieme un esempio di applicazione di ideologie non astratte, ma contestualizzate nell’ambiente topografico.
Le immagini dell’arco, percepite in questo luogo alle pendici del Palatino, una zona significativa per le memorie romulee, assumono un significato ‘locale’, urbano e nello stesso tempo finalizzato a esprimere orientamenti ideologici che il Senato di Roma vuole affermare come principi universali: un potere imperiale legittimo, contrapposto a quello di usurpatori e ‘tiranni’. Il tema politico della sconfitta di un usurpatore quale Massenzio da parte di un sovrano legittimo, conduttore di un bellum iustum, risuonava nella propaganda senatoria degli anni di formazione del progetto dell’arco. Il panegirico del 313 è strutturato sul confronto tra Costantino, figlio di Costanzo, e l’usurpatore Massenzio. La descrizione della battaglia di ponte Milvio offre l’occasione di presentare gli eterni modelli mitici di legittimazione dell’imperium: Enea e Romolo sono entrambi protetti dal Tevere, come Costantino, mentre Massenzio è chiamato ‘falso Romolo’86.
Creare una rappresentazione dei nuovi eventi consona alle ideologie del potere imperiale del presente sembra essere l’intento attorno a cui convergono le aspirazioni di committenti, ideatori e fruitori delle immagini che decorano l’arco.
Il programma figurativo del monumento non offre elementi oggettivi che possano informare sulle caratteristiche salvifiche o confessionali delle scelte di Costantino, criticate o esaltate dalla tradizione pagana e cristiana87, e analizzate a fondo dalla critica moderna. Sembra invece emergere dall’analisi della semantica complessiva del monumento un concreto atteggiamento politico di concordia sulle caratteristiche del potere imperiale ancora condiviso da Senato e imperatore.
L’arte non rappresenta la realtà, ma solo sue diverse interpretazioni, prodotte da individui o gruppi sociali. Da un lato essa manifesta il flusso delle mentalità nell’immaginario, le dimensioni collettive e individuali di valori, attitudini, visioni del mondo; dall’altro, nelle forme concrete dei monumenti, ideologie e valori si trovano a essere intensamente intrecciati alle situazioni ambientali e spaziali concrete, ai contesti rappresentati dai luoghi. Nella realtà ‘topografica’ dei monumenti di Roma si concretizzano ancora idee sul passato e aspettative per il presente, consuetudini e nuovi assetti del potere.
1 Voci di orientamento generale: LTUR I, A. Capodiferro, s.v. Arcus Constantini, pp. 86-91; S. De Maria, Gli archi onorari di Roma e dell’Italia romana, Roma 1988; J. Engemann, Der Konstantinsbogen, in Konstantin der Große-Imperator Caesar Flavius Constantinus, hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Mainz 2007, pp. 85-89. Uno studio complessivo di riferimento per l’analisi dettagliata dei rilievi è H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck des Konstantinsbogens, Berlin 1939. Sui rilievi, si veda G.M. Koeppel, Die historischen Reliefs der römischen Kaiserzeit, VII, Der Bogen des Septimius Severus, die Decennalienbasis und der Konstantinsbogen, in Bonner Jahrbücher, 190 (1990), pp. 1-64. Analisi archeologica del monumento in Arco di Costantino. Tra archeologia e archeometria, a cura di C. Panella, P. Pensabene, Roma 1998. Sulla battaglia di ponte Milvio, cfr. il saggio di H. Brandt, Constantin und die Schlacht an der Milvischen Brücke – im Zeichen des Kreuzes, in Erinnerungsorte der Antike: Die römische Welt, hrsg. von K.-J. Hölkeskamp, E. Stein-Hölkeskamp, München 2006, pp. 277-289.
2 L’iscrizione, a motivo del suo lessico, è stata interpretata come prova della fede cristiana di Costantino già al momento del suo adventus. La questione è ben riassunta in N. Lenski, Evoking the Pagan Past: Instinctu divinitatis and Constantine’s Capture of Rome, in Journal of Late Antiquity, 1 (2008), pp. 204-257.
3 Per una presentazione d’insieme della questione, cfr. ora i saggi (raccolti in un unico volume) di K.M. Girardet, Die Konstantinische Wende. Voraussetzungen und geistige Grundlagen der Religionspolitik Konstantins des Grossen, Darmstadt 2006; e, dello stesso, il più recente Der Kaiser und sein Gott. Das Christentum im Denken und in der Religionspolitik Konstantins des Grossen, Berlin-New York 2011, in cui si anticipa al 310 la data della visione della croce. Sulla svolta costantiniana e sulla coerenza della concezione romana del dio tutore con la teologia politica di Eusebio, si veda G. Bonamente, La “svolta” costantiniana, in Cristianesimo ed istituzioni politiche. Da Augusto a Costantino, a cura di E. dal Covolo, R. Uglione, Roma 1995, pp. 91-116.
4 Cfr. J. Ruysschaert, Unità e significato dell’arco di Costantino, in Studi Romani, 11 (1963), pp. 1-12: sul fatto che si omettono rilievi raffiguranti scene legate al culto capitolino. Sul controverso rifiuto di ascendere al Campidoglio, si veda A. Fraschetti, La conversione. Da Roma pagana a Roma cristiana, Roma-Bari 1999. Di parere contrario F. Paschoud, Zosime 2, 29 et la version païenne de la conversion de Constantin, in Historia, 20 (1971), pp. 334-353. L’ipotesi di una riluttanza a rappresentare in modo trionfale la vittoria dopo una guerra civile è alla base del recente contributo di J. Wienand, Der blutbefleckte Kaiser. Constantin und die martialische Inszenierung eines prekären Sieges, in Inszenierung des Sieges – Sieg der Inszenierung. Interdisziplinäre Perspektiven, hrsg. von M. Fahlenbock, I. Schneider, L. Madersbacher, Innsbruck 2011, pp. 237-254.
5 Una teologia neutra dell’arco presenta J. Lane Fox, Pagani e cristiani, Roma-Bari 1991, 674-675.
6 Cfr. R. Bianchi Bandinelli, La crisi artistica della fine del mondo antico, in Società, 8 (1952), pp. 427-454, ora in Id., Archeologia e cultura, Roma 1979, pp. 181-223.
7 ‘Cumulative aesthetic’ e ‘jewelled style’: così J. Elsner, Late Antique Art: The Problem of Concept and Cumulative Aesthetic, in Approaching Late Antiquity. The Transformation from Early to Late Empire, ed. by S. Swain, M. Edwards, Oxford 2004, pp. 271-308; D.E. Kleiner, The Arch of Constantine: Roman Art in Microcosm, in Hommages à Carl Deroux, IV, Archéologie et histoire de l’art, religion, éd. par P. Defosse, Brussel 2003, pp. 174-179.
8 Per l’estetica degli spolia e la volontà del Senato di ‘costruire’ un imperatore ideale, cfr. J. Elsner, From the Culture of Spolia to the Cult of Relics: The Arch of Constantine and the Genesis of Late Antique Forms, in Papers of the British School at Rome, 68 (2000), pp. 149-184, in partic. 171 nota 28; in specie sugli spolia, si veda F.W. Deichmann, Die Spolien in der spätantike Architektur, München 1975; R. Brilliant, I piedistalli del giardino di Boboli: spolia in se. spolia in re, in Prospettiva, 31 (1982), pp. 2-17; B. Brenk, Spolia from Constantine to Charlemagne: Aesthetics Versus Ideology, in Dumbarton Oaks Papers, 41 (1987), pp. 103-109; L. de Lachenal, Spolia: uso e reimpiego dell’antico dal III al XIV secolo, Milano 1995; D. Kinney, Rape or Restitution of the Past? Interpreting Spolia, in The Art of Interpreting, ed. by S.C. Scott, University Park 1995, pp. 52-67; C. Ronning, Die Bedeutung der Vergangenheit in der Herrschaftsrepräsentation diokletianischer und konstantinischer Zeit, in Millennium, 7 (2010), pp. 169-203, in partic. 170-177.
9 Sul marmo in epoca tardoantica, è essenziale P. Pensabene, La decorazione architettonica, l’impiego del marmo e l’importazione di manufatti orientali a Roma, in Italia e in Africa (II-VI secolo d.C.), in Società romana e impero tardoantico, III, Le merci, gli insediamenti, a cura di A. Giardina, Roma-Bari 1986, pp. 285-422. Recentemente anche Y.A. Marano, Il commercio del marmo nell’Adriatico tardoantico (IV-VI secolo d.C.). Scambi, maestranze, committenze (Tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, 2008).
10 Cfr. P. Liverani, Reimpiego senza ideologia: la lettura antica degli spolia dall’arco di Costantino all’età carolingia, in Römische Mitteilungen, 111 (2004), pp. 383-434.
11 Cfr. T. Hölscher, Die Anfänge römischer Repräsentationskunst, in Römische Mitteilungen, 85 (1978), pp. 315-357, ora anche in italiano: Gli inizi dell’arte di rappresentanza romana, in Id., Monumenti statali e pubblico, Roma 1994, pp. 17-51.
12 App., BC II 15,100.
13 T. Hölscher, Die Geschichtsauffassung in der römischen Repräsentationskunst, in Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts, 95 (1980), pp. 265-321, ora anche in italiano: La storia nell’arte di rappresentanza romana, in Id., Monumenti statali e pubblico, cit., pp. 98-116.
14 Una scena esemplare di clementia è rappresentata sulle tazze di Boscoreale: cfr. T. Hölscher, La storia nell’arte di rappresentanza romana, cit., pp. 110; quanto ai barbari legati a trofei e sottomessi della Gemma Augustea, si veda J. Pollini, The Gemma Augustea: Ideology, Rhetorical Imagery, and the Construction of a Dynastic Narrative, in Narrative and Event in Ancient Art, ed. by P. Holliday, Cambridge-New York 1993, pp. 258-298; su Marte, Venere, Romolo, il Tevere e il Palatino, la Fortuna sul frontone del tempio di Mars Ultor, cfr. E. La Rocca, Il programma figurativo del Foro di Augusto, in I luoghi del consenso imperiale. Il Foro di Augusto e il Foro di Traiano. Introduzione storico-topografica (catal.), 2 voll., a cura di E. La Rocca, N. Bernacchio, L. Ungaro, R. Meneghini, Roma 1995, pp. 74-87.
15 Le teste di Costantino degli otto rilievi, più altre quattro teste di personaggi minori, sono dovute al restauro degli anni 1732-1733 di Pietro Bracci, che rifece anche le teste e le braccia dei Daci; di uno solo, colpito da un fulmine, curò anche il rifacimento del corpo: cfr. H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit., p. 184.
16 La più dettagliata discussione dei fregi ‘storici’ costantiniani resta quella di H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit., pp. 34-102.
17 Cfr. M.W. Jones, La progettazione architettonica: riflessioni su misure, proporzioni e geometrie, in Arco di Costantino tra archeologia e archeometria, cit., pp. 75-100.
18 Sulla via aperta dall’arco di Portogallo e dall’Arcus Novus, che reimpiegarono ritratti antichi di imperatori, la cui testa fu rilavorata (nel caso dell’Arcus Novus, con quella di Diocleziano), cfr. H.P. Laubscher, Arcus Novus und Arcus Claudii. Zwei Triumphbogen an der via Lata in Rom, in Nachrichten der Akademie der Wissenschaften in Göttingen, Göttingen 1976, pp. 65-108; M. Torelli, Typology and Structure of Roman Historical Reliefs, Ann Arbor MI 19922, p. 71; una trasformazione delle figure anche dei barbari mostra un rilievo frammentario da Palazzo Fiano, che Antonio Giuliano ha collegato con le campagne giudaiche di Adriano, e forse reimpiegato sull’arco di Portogallo: cfr. A. Giuliano, Un palinsesto di marmo, in Bollettino dei Musei comunali di Roma, n.s., 7 (1993), pp. 5-14. Sull’arco di Portogallo e il Tempio del Sole, cfr. F. De Caprariis, Due note di topografia romana, in Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, 14-15 (1991-1992), pp. 153-191.
19 Cfr. M. Bruno, C. Panella, P. Pensabene et al., Determinazione dei marmi dell’arco di Costantino su base archeometrica, in Arco di Costantino, cit., pp. 171-183.
20 P. Pensabene, Il reimpiego nell’età costantiniana, in Costantino il Grande. Dall’Antichità all’Umanesimo. Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, Macerata 1993, II, pp. 749-788.
21 Secondo H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit., pp. 141-142, il busto può rappresentare soltanto Costantino. Lo stesso studioso suppone che accanto a Sol ci fosse il busto di Iuppiter e accanto a Costantino quello di Licinio, come si rinviene su monete del tempo: a seguito dell’accordo con Licinio nell’autunno del 314 e dopo che nel 315 entrambi gli imperatori avevano assunto il consolato, vennero coniate da zecche costantiniane due serie parallele: nella prima si trovavano Costantino sul retto e la dicitura Soli Invicto Comiti sul rovescio; nella seconda serie, invece, sul retto era rappresentato Licinio, mentre sul rovescio si leggeva Iuppiter Conservator; al riguardo, si veda J. Maurice, Numismatique Constantinienne, Paris 1908-1912, I, p. 315 (Aquileia); II, p. 327 (Siscia).
22 Sulla facciata meridionale, il genio dell’estate (un putto con una falce nella destra abbassata e un cesto di frutti nella sinistra, grappoli d’uva pendono dalla testa) e dell’autunno (un grande grappolo nella destra, un vaso rotondo nella sinistra aderente al corpo; il mantello è chiuso sulla spalla destra da una fibula). Sulla facciata settentrionale, il genio dell’inverno ha due oche ai piedi, un agnello nella sinistra sollevata davanti al busto; la primavera è coronata e reca un cesto di fiori: cfr. H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit., pp. 145-160.
23 I fiumi sono rappresentati come anziani barbati o figure giovanili imberbi seminude: si veda ad esempio la figura sul lato occidentale, distesa tra le canne, che s’appoggia a un’anfora, da cui fuoriesce acqua (al riguardo, cfr. H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit., p. 153).
24 Sulla facciata settentrionale, Roma Aeterna e Mars Conservator. Sul lato meridionale, Mercurio, un dio pacifer e portatore di felicitas, un dio del passaggio tra un mondo esterno agreste e un mondo interno pacificato dalle vittorie, Quies o Securitas rei publicae, riprodotta anche semplicemente con la scritta securitas rei publicae su monete costantiniane. La figura sull’arco doveva tenere uno scettro nella sinistra, come quella che si rinviene sulla moneta Providentia Deorum Quies Augustorum: cfr. J. Maurice, Numismatique Constantinienne, cit., I, tavole 20,1; 21,1; 22,1; II, tavole 1,1; 3,1; 7,1, 9,1, per limitarsi ad alcune; H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit., I, tavola 147; II, tavola 35b.
25 Cfr. O. Seeck, Regesten der Kaiser und Päpste für die Jahre 311 bis 476 n. Chr., Frankfurt 19642, p. 159.
26 Cfr. S. Settis, La Colonna, in S. Settis, A. La Regina, G. Agosti, V. Farinella, La Colonna Traiana, a cura di S. Settis, Torino 1988, pp. 202-210.
27 Ibidem. Sul valore degli initia belli, in cui i protagonisti, imperator ed exercitus, compaiono in scene che hanno funzione rappresentativa degli eventi e dei ruoli di protagonisti esemplari, si veda T. Hölscher, Die Geschichtsauffassung in der römischen Repräsentationskunst, cit., pp. 265-321.
28 Sull’unità narrativa dell’arco, cfr. G. Becatti, Segnalazioni. L’arco di Costantino, in La Critica d’Arte, 5 (1940), pp. 41-48; per una lettura autonoma dei cicli costantiniano, adrianeo e aureliano, circolarmente a partire da ovest verso sud, che si conclude al punto di partenza, si veda A. Giuliano, Arco di Costantino, Milano 1955; considera ciascun lato dell’arco come unità compositiva e narrativa a sé stante per ottenere una lettura circolare corretta J. Ruysschaert, Unità e significato dell’arco di Costantino, cit.: il fregio costantiniano sarebbe complementare ai pannelli aureliani e i tondi adrianei celebrerebbero i medesimi avvenimenti della vita di Costantino, illustrando episodi urbani e trionfali (nord) e di guerra (sud).
29 Cfr. Paneg. 3,8,3.
30 In proposito, si dipende da C. Mango, Triumphal Way of Constantinople and the Golden Gate, in Dumbarton Oaks Papers, 54 (2000), pp. 173-188, in partic. 184.
31 Sulle rappresentazioni monetali del dio, cfr., C. Carlà, Le iconografie monetali, in questa stessa opera.
32 Recentemente l’ipotesi che si tratti di Segusio (l’odierna Susa) è accolta da R. Donciu, L’empereur Maxence, Bari 2012, pp. 166-167.
33 Fregio storico sopra il fornice sinistro del lato meridionale: cfr. A. Giuliano, Arco di Costantino, cit., fig. 31.
34 Cfr. Lact., mort. pers. 44,3; R. Donciu, L’empereur Maxence, cit., p. 169.
35 Fonti: Paneg. 9(12),8; 10(4),25; Aur. Vict., Caes. 40,20.
36 Cfr. H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit., pp. 183-187, tavv. 1-2 e 46-48. A. Giuliano, Arco di Costantino, cit., figg. 21-22.
37 Sui tondi adrianei, cfr. in particolare G. Calcani, I tondi adrianei e l’arco di Costantino, in Rivista dell’Istituto nazionale d’archeologia e storia dell’arte, s. III, 19-20 (1996-1997), pp. 175-201.
38 Sui medaglioni sopra il fornice minore occidentale, cfr. H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit., p. 167, tavv. 39a-39b.
39 Sul medaglione a destra sopra il fornice minore orientale, cfr. H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit., p. 168, tavv. 40b e 44c.
40 Sull’ideologia della caccia in epoca tardoantica, si veda R. Warland, Vom Heros zum Jagdherrn. Transformationen des Leitbildes “Jagd” in der Spätantike, in Die Jagd der Eliten in den Erinnerungskulturen von der Antike bis in die Frühe Neuzeit, hrsg. von W. Martini, Göttingen 2000, pp. 171-187. Esprime la percezione di una connessione simbolica tra caccia e guerra Cic., nat. deor. II 161: «iam vero immanes et feras beluas nanciscimur venando, ut et vescamur it et exerceamur in venando ad similitudinem bellicae disciplinae».
41 Cfr. H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit., pp. 65-69, tavv. 4b; 10; 11; 19e; 23d, fig. 11; A. Giuliano, Arco di Costantino, cit., figg. 31; 37; 48-49.
42 Cfr. Lact., mort. pers. 44,3; su Aur. Vict., Caes. 40,23, che pone l’episodio a Saxa Rubra, si veda J. Moreau, Pons Milvius ou Saxa Rubra, in La nouvelle Clio, 4 (1952), pp. 369-373; R. Donciu, L’empereur Maxence, cit., p. 172.
43 Zos., II 15,3-4 (cfr. Histoire Nouvelle I-II, éd. et trad. par F. Paschoud, Paris 2000, pp. 218-211, note 25-26); Theoph. Conf., Chron. 15-16.
44 Cfr. Paneg. 9(12),16-18; 10(4),28-30. Sul ponte di barche, in relazione a Massenzio, si vedano Eus., h.e. IX 9; v.C. I 38; H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit., pp. 65-71.
45 È discusso il significato del rito: apotropaico, purificatorio o d’aggregazione. Bibliografia e stato della questione in J. Rüpke, Domi militiae: Die religiöse Konstruktion des Krieges in Rom, Stuttgart 1990, pp. 144-146.
46 Cfr. H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit.
47 Parte sinistra dell’attico, facciata settentrionale: cfr. A. Giuliano, Arco di Costantino, cit., fig. 21.
48 Sul percorso dell’adventus tardoantico, cfr. P. Liverani, Porta triumphalis, arcus Domitiani, templum Fortunae Reducis, arco di Portogallo, in La forma della città e del territorio, II, a cura di L. Quilici, S. Quilici Gigli, Roma 2005, pp. 53-66.
49 Nel rilievo aureliano dell’attico, sulla facciata settentrionale, la profectio segue l’adventus: cfr. A. Giuliano, Arco di Costantino, cit., fig. 22.
50 Cfr. E. La Rocca, Amazzonomachia. Le sculture frontonali del tempio di Apollo Sosiano (catal.), Roma 1987.
51 Cfr. M. Floriani Squarciapino, Un tipo statuario di Hercules Invictus, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, 73 (1949-50), pp. 205-214; Apollo: cfr. H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit., p. 169, I, tavv. 42a e 44a; Hercules: ivi., tavv. 42b e 45c.
52 Cfr. J. Rohmann, Die spätantike Kaiserporträts am Konstantinsbogen in Rom, in Römische Mitteilungen, 105 (1998), pp. 259-282, in partic. 262 nota 13, con bibliografia esaustiva sulle attribuzioni; tavv. 44-47; E. La Rocca, P. Zanker, Il ritratto colossale di Costantino dal Foro di Traiano, in Res bene gestae: ricerche di storia urbana su Roma antica in onore di Eva Margareta Steinby (Lexicon Topographicum Urbis Romae, Supplementum IV), ed. by A. Leone, D. Palombi, S. Walker, Roma 2007, pp. 145-168. Riassume le diverse posizioni sull’identità del compagno di Costantino nei tondi H. Prückner, Kaiser Konstantins Bilderbogen oder: Die Botschaft der Spolien, in Thetis, 15 (2008), pp. 59-75, in partic. 68-69. Recentemente Eugenio La Rocca e Paul Zanker, a proposito del ritratto di Costantino rinvenuto nel Foro di Traiano, sembrano orientati a vedere nei ritratti dei tondi Costanzo Cloro: cfr. E. La Rocca, P. Zanker, Il ritratto colossale di Costantino, cit.; sui ritratti di Licinio, cfr. R.R.R. Smith, The Public Image of Licinius I: Portrait Sculpture and Imperial Ideology in the Early Fourth Century, in Journal of Roman Studies, 87 (1997), pp. 170-202.
53 Cfr. H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit., p. 172; E. La Rocca, P. Zanker, Il ritratto colossale di Costantino, cit., p. 148.
54 T. Hölscher, La storia nell’arte di rappresentanza romana, cit., p. 119.
55 Cfr. RIC IV.1, p. 106, nn. 128-129 (denari del 198-200); p. 112, n. 160 (aurei e denari del 200-201).
56 Cfr. h.A. Sept. Sev. 22,4: «non solum victor sed etiam in aeternum pace fundata vol‹v›ens animo».
57 Cfr. H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit., p. 189; II, tavv. 49a e 50a.
58 Cfr. ivi, tavv. 49b e 50c.
59 Ivi, tav. 16. Secondo H.P. L’orange e A. von Gerkan, le immagini, che alludono ai festeggiamenti dei decennalia, riflettono un immaginario contemporaneo: sulle monete, con la legenda ubique victor, Costantino è tra un barbaro del settentrione e un orientale: cfr. J. Maurice, Numismatique Constantinienne, I, p. 399.
60 Per il lungo dibattito sulla connotazione pagana o cristiana dell’iscrizione, cfr. N. Lenski, Evoking the Pagan Past, cit.
61 Cfr. Lact., mort. pers. 44,10.
62 Cfr. Paneg. 12(9),18,2.
63 Sull’aderenza tra rappresentazione del fregio e cerimonie giubilari, cfr. R. Lizzi Testa, Senatori, popolo, papi. Il governo di Roma al tempo dei Valentiniani, Bari 2004, pp. 399-404.
64 Una dettagliata descrizione è presente in H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit., pp. 80-102: con uno scettro nella destra e forse il fulmine a sinistra, il mantello che riveste i fianchi e la parte inferiore del corpo, lasciando scoperto il busto. Sui significati dell’assetto tardoantico del Foro Romano, come scenario politico di un’attualità strettamente intrecciata alle memorie del passato, cfr. S. Muth, Der Dialog von Gegenwart und Vergangenheit am Forum Romanum im Rom. Oder: wie spätantik ist das spätantike Forum?, in Rom und Mailand in der Spätantike. Repräsentationen städtischer Räume in Literatur, Architektur und Kunst, hrsg. von Th. Fuhrer, Berlin-Boston 2011, pp. 263-282; sull’identificazione problematica di questi rostra, si veda il recente P. Liverani, Osservazioni sui rostri del Foro Romano in età tardoantica, in Res bene gestae, cit., pp. 167-193.
65 Le due figure sono unanimemente interpretate come Marco Aurelio e Adriano.
66 Cfr. aequitas, in Coins of the Roman Empire in the British Museum, IV, 706,106 nota; 7009; 121; 711; 133; iustitia, ivi, V 12,7; 15,16,28 segg.; RE XXII, L. Wickert, s.v. princeps, coll. 2248 segg.; T. Hölscher, La storia nell’arte di rappresentanza romana, cit., pp. 240-241.
67 Cfr. Paneg. 10(7),8,1: «O tuam, imperator, non victoriam magis quam clementiam praedicandam!».
68 Cfr. Paneg. 9(12),20,2-4.
69 Sottomissione come clementia: la sottomissione di una popolazione vinta su monete di Marco Aurelio: Clementia aug., cfr. T. Hölscher, La storia nell’arte di rappresentanza romana, cit., pp. 109-111, tav. 12,1.
70 Ancora controverso è il luogo di svolgimento del congiarium: il Forum Iulium, il Foro di Traiano o il Circo Massimo, fra i luoghi proposti. Tra le fonti letterarie, soltanto la Historia Augusta (Comm. 2) ambienta un congiarium nella Basilica Ulpia. L’edificio a logge del rilievo è decorato con aleae suspensae. Tale particolare fa pensare che si voglia intendere un luogo usualmente utilizzato per lo svolgimento dei congiaria.
71 Cfr. H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck, cit., p. 102.
72 La prefettura urbana di Volusiano va dall’8 dicembre 313 al 20 agosto 315: cfr. NP II, col. 1047; T.D. Barnes, Two Senators under Constantine, in Journal of Roman Studies, 65 (1975), pp. 40-49; Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung, Stuttgart 1990, p. 73; R. Lizzi Testa, Senatori, popolo, papi, cit., p. 76 e nota 187; N. Lenski, Evoking the Pagan Past, cit., p. 210.
73 In CIL VI 1707 è detto «iudex sacrarum cognitionum»: un facente funzioni dell’imperatore nei processi civili per una determinata parte dell’Impero, a giudizio di qualche interprete, come S. Berrens, Sonnenkult und Kaisertum von den Severern bis zu Constantin I. (193-337 n. Chr.), Stuttgart 2004, p. 113, e A. Chastagnol, Le Sénat romain à l’époque impériale. Recherches sur la composition de l’Assemblée et le statut de ses membres, Paris 1992, pp. 214-215.
74 Cfr. CIL VI 1140; F. Trombley, The Imperial Cult in Late Roman Religion (ca. A.D. 244-395). Observations on the Epigraphy, in Spätantiker Staat und religiöser Konflikt, hrsg. von J. Hahn, Berlin-Boston 2011, pp. 19-54, in partic. 28.
75 Cfr. A. Chastagnol, Le Sénat romain à l’époque impériale, cit., pp. 63-68; PLRE I, s.v. C. Vettius Cossinius Rufinus 15, p. 777.
76 Cfr. CIL X 5061 = ILS 1217: «pontifici dei Solis auguri salio Palatino»; CIL VI 32040: «augur pontifex dei Solis». Sul pontificatus dei Solis, si vedano J. Rüpke, Fasti Sacerdotum. A Prosopography of Pagan, Jewish, and Christian Religious Officials in the City of Rome, 300 BC to AD 499, Oxford 20082; T.D. Barnes, Pagans and Christians in the Reign of Constantius, in L’Église et l’Empire au IVe siècle (Entretiens sur l’antiquité classique, 34), Genève 1989, pp. 301-337.
77 Cfr. G.H. Halsberghe, The Cult of Sol Invictus, Leiden 1972, pp. 145-146.
78 In Ennio è forse già implicito il legame tra il Sole e la regalità: il sorgere dell’aureus Sol costituisce assieme agli aves l’auspicium regni per Romolo (Enn., ann. I 85-91): cfr. LIMC IV,1, C. Letta, s.v. Helios/Sol, pp. 592-625. Per il Sol nell’apoteosi imperiale, si veda il caso di Costanzo Cloro in Paneg. 6(7),14,3.
79 Sul programma figurativo del tempio, cfr. P. Zanker, Der Apollontempel auf dem Palatin. Ausstattung und politische Sinnbezüge nach der Schlacht von Actium, in Città e architettura nella Roma imperiale, supplemento di Analecta Romana, 10 (1983), pp. 21-40.
80 Sulle testimonianze epigrafiche che potrebbero indicare un rifacimento della base del colosso in memoria di Romolo figlio di Massenzio, si veda S. Ensoli, I colossi di bronzo a Roma in età tardoantica: dal Colosso di Nerone al colosso di Costantino, in Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana (catal.), a cura di E. La Rocca, S. Ensoli, Roma 2000, pp. 86-90, e la bibliografia ivi citata.
81 Cfr. Plin., nat. XXXIV 45; E. Marlowe, Framing the Sun: the Arch of Constantine and the Roman Cityscape, in The Art Bulletin 88,2 (2006), pp. 223-242, con bibliografia.
82 Cfr. C. Panella, Un’area sacra alle pendici del Palatino, in Meta Sudans. I. Un’area sacra in Palatio e la valle del Colosseo prima e dopo Nerone, a cura di C. Panella, Roma 1996, pp. 27-91 e 70-91; e, dello stesso, Nuovi scavi alle pendici del Palatino, in Divus Vespasianus. Il bimillenario dei Flavi (catal.), a cura di F. Coarelli, Milano 2009, pp. 290-294.
83 LTUR I, M. Torelli, s.v. Curiae Veteres, p. 337.
84 Cfr. Reg. urb. X; Codice topografico della città di Roma, a cura di R. Valentini, G. Zucchetti, I, Roma 1983, p. 78; C. Panella, Un’area sacra alle pendici del Palatino, cit., pp. 74-75.
85 Particolarmente evidente nella ricostruzione di G. Lugli, Roma antica. Il centro monumentale, Roma 1946, tav. VII.
86 Cfr. Paneg. 9(12),18,1: «[…] tu nec falsum Romulum diu vivere nec parricidam Urbis passus es enatare [...]».
87 Cfr. R. Lizzi Testa, Alle origini della tradizione pagana su Costantino e il Senato romano (Amm. Marc. 21.10.8 e Zos. 2.32.1), in Transformation of Late Antiquity. Essays for Peter Brown, ed. by P. Rousseau, M. Papoutsakis, Aldershot-Burlington 2009, pp. 85-127.