L’azione di condanna al rilascio di un provvedimento
Alla soglia della scadenza dei termini per l’utilizzo della delega contenuta nell’art. 44 l. 18.6.2009, n. 69, con d.lgs. 14.9.2012, n. 160 il Governo ha approvato il testo del secondo “correttivo” al Codice del processo amministrativo, approvato con d.lgs. 2.7.2010, n. 104 e già oggetto di un primo intervento correttivo operato con d.lgs. 15.11.2011, n. 1951. Diversamente dal primo intervento correttivo, avente come obiettivo principale quello di introdurre aggiustamenti minori, dovuti in molti casi a mere imperfezioni linguistiche nella formulazione delle disposizioni, con il secondo decreto, nel prendere atto che l’esperienza applicativa dei primi due anni di vita del Codice «ha dimostrato la bontà del lavoro svolto e l’adeguatezza delle disposizioni processuali introdotte a fornire risposte alle esigenze di tutela giurisdizionale dei cittadini e delle imprese»2, contribuendo ad una riduzione dei tempi processuali e a un rafforzamento dell’effettività della tutela giurisdizionale, nel proseguire comunque l’attività di mera “correzione” del testo vigente, sono state introdotte alcune modifiche di carattere sostanziale, che, in coerenza con le linee fondamentali già presenti nel d.lgs. n. 104, mirano a rendere più funzionali alcuni istituti processuali e a chiarirne la portata.
Tra queste3, un ruolo importante spetta indubitabilmente all’espressa introduzione, all’art. 34, co. 1, lett. c), dell’azione di condanna al rilascio di un provvedimento, già proposta al Governo nello schema originario del c.p.a. e da questo timorosamente “tagliata”, ma correttamente ammessa dalla giurisprudenza successiva al codice, in coerente applicazione del principio di effettività della tutela4, secondo il classico e sempre attuale insegnamento chiovendiano che correla l’effettività della tutela giurisdizionale alla necessità di ottenere con il processo «tutto quello e proprio quello» cui si ha diritto.
Ancora una volta, come già nel 2010, il Governo è intervenuto in senso riduttivo sulle modifiche alla disciplina delle azioni proposte dalla Commissione, eliminando, tra l’altro, l’espressa previsione, in un nuovo art. 28 bis (testualmente rubricato «Tipi di azioni» e ricalcante l’art. 44 della l. delega n. 69/2009), della generale esperibilità nell’ambito della giurisdizione amministrativa di (tutte) «le azioni costitutive, dichiarative e di condanna idonee a soddisfare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio».
Il nuovo correttivo è riuscito peraltro ad introdurre in modo esplicito l’azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto (art. 34, co. 1, lett. c), già pacificamente ammessa dalla giurisprudenza5, compiendo un ulteriore significativo passo avanti verso la pienezza e l’effettività della tutela dell’interesse legittimo, attraverso un fondamentale sviluppo dell’anticipazione dal giudizio di ottemperanza al giudizio di cognizione (sul diniego o sul silenzio) della condanna dell’amministrazione all’emanazione di un provvedimento, determinando la consumazione dei poteri di cui l’amministrazione possa disporre nella fase di rinnovazione del provvedimento e di esecuzione del giudicato.
La novella legislativa definisce innanzitutto i limiti – procedimentali e sostanziali – dell’azione, disponendo che essa può essere proposta (soltanto) «contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o all’azione avverso il silenzio» e «nei limiti di cui all’articolo 31, comma 3».
Il d.lgs. n. 160/2012 non ha modificato il testo dell’art. 30, co. 1, c.p.a., lasciando così vivere l’azione di condanna atipica prevista da tale disposizione «contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva o di cui al presente articolo (azione risarcitoria), anche in via autonoma». La nuova azione (tipica) di adempimento si pone quindi in rapporto di specialità rispetto alla più generale azione di condanna, in relazione al quale il legislatore delegato si è semplicemente preoccupato di ridefinirne i paletti sostanziali e processuali.
Diversamente dall’azione atipica di cui all’art. 30, l’azione prevista dall’art. 34, lett. c), c.p.a. può essere proposta soltanto in dipendenza dall’azione di annullamento del diniego o dall’azione avverso il silenzio e “contestualmente” a queste ultime.
La novella sembra in tal modo (il dubitativo è d’obbligo alla luce dei richiamati principi di effettività della tutela e delle interpretazioni “evolutive” cui in loro nome ci ha abituato la giurisprudenza amministrativa) radicalmente escludere, non solo ogni possibilità di proposizione dell’azione in via autonoma (neppure nei casi di giurisdizione esclusiva o di risarcimento), ma anche ogni possibilità di sua proposizione in correlazione con azioni diverse da quella caducatoria o di accertamento dell’inerzia (e, dunque, in termini difficilmente comprensibili, anche in correlazione con azioni di nullità o di risarcimento o con altre azioni costitutive o dichiarative, anche in sede di giurisdizione esclusiva).
È analogamente difficile comprendere la ratio della prescrizione della contestualità, che, in termini più rigidi della mera pregiudizialità, impone che la domanda debba essere contenuta già nel ricorso introduttivo, insieme alla richiesta di annullamento o di accertamento dell’inerzia ex art. 31, co. 1, c.p.a. Se la correlazione ha una sua logica, in quanto, una volta concluso il giudizio di legittimità, sarebbe inutile proporre una domanda di adempimento, potendo la parte agire in sede di ottemperanza, non ha obiettiva ragion d’essere l’inammissibilità della sua proposizione nelle more della definizione del giudizio sulla domanda principale e, addirittura, nelle more della decorrenza dei termini di proponibilità di quest’ultima.
Il secondo limite ha carattere sostanziale ed è modulato sui limiti previsti dall’art. 31, co. 3, c.p.a. per l’azione diretta all’accertamento della pretesa nel rito avverso il silenzio, consentita soltanto «in caso di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione». La ratio della disposizione è evidente: essa mira ad impedire la sostituzione del giudice alla pubblica amministrazione, lasciando al tempo stesso ampio margine di intervento all’organo giudicante, anche attraverso l’esercizio di poteri sollecitatori degli adempimenti istruttori «che debbano essere compiuti dall’amministrazione» e la valutazione dell’esaurimento della discrezionalità. Anche l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nell’affermare, nella nota sentenza 23.3.2011 n. 3, l’ammissibilità dell’azione di adempimento nel giudizio di legittimità, l’aveva specificamente invero subordinata all’insussistenza di «profili di discrezionalità amministrativa e tecnica». È quest’ultimo, indubitabilmente, uno dei profili più delicati del dibattito sull’azione di adempimento. Indiscutibile, nonostante qualche posizione ancora contraria, l’esigenza di valutare la sussistenza della discrezionalità in termini concreti (ammettendo quindi, in linea con l’insegnamento di F. Ledda, il potere di condanna all’adozione di un provvedimento in ogni caso in cui la discrezionalità, pur in astratto sussistente, si sia in concreto esaurita), resta aperta la questione se, ferma la riserva alla pubblica amministrazione dei poteri istruttori, il limite investa anche la cd. discrezionalità tecnica. Conosciamo – e apprezziamo – tutti l’apertura della più recente giurisprudenza al sindacato del giudice sulle valutazioni tecniche, ma non si può trascurare la rilevante distinzione tra tale sindacato e l’esercizio del potere sostitutivo richiesto per la decisione di condanna al rilascio di un provvedimento a contenuto specifico. Occorrerà quindi essere molto attenti nella distinzione tra accertamento tecnico (il caso dell’esaurimento della cubatura verificato da TAR Puglia, Bari, 25.11.2011, n. 1807) e valutazione tecnica, che, presupponendo un giudizio rimesso alla p.a., non è sostituibile. Il tema merita senz’altro maggiore approfondimento, anche alla luce dei nuovi poteri istruttori riconosciuti al giudice amministrativo, idonei, per un verso, ad una più completa valutazione del rapporto e, per l’altro, a sollecitare, accanto ai tradizionali “schiarimenti”, riflessioni e prese di posizione parte della stessa amministrazione, al fine proprio di esaurirne la discrezionalità.
Ancora in tema di presupposti sostanziali, la nuova azione, in quanto tesa ad una reintegrazione in forma specifica, non richiede invece, a differenza da quella risarcitoria, danno, ingiustizia o colpa, ma solo lesione dell’interesse pretensivo con dimostrazione della spettanza del provvedimento satisfattorio.
Il d.lgs. n. 160/2012 non reca alcuna disposizione sul rito da osservare per la nuova azione di condanna, lasciando quindi aperti i problemi già sollevati in riferimento all’azione ex art. 30, co. 1, c.p.a. per la richiesta di adempimento proposta nel giudizio sul silenzio, soggetto al rito semplificato di cui all’art. 117 c.p.a. Come noto, in caso di pluralità di azioni, l’art. 32 c.p.a. dispone, in termini generali, che, salva l’ipotesi del rito speciale in materia di contratti pubblici, «se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario». Ci si è quindi chiesti se la proposizione di una domanda di adempimento connessa a quella avverso il silenzio comporti una conversione del rito previsto per quest’ultima in quello ordinario. Non si può tuttavia trascurare la circostanza che l’art. 31, co. 3, c.p.a. fa espressamente riferimento alla possibilità per il giudice amministrativo di pronunciarsi sulla fondatezza dell’istanza. La componente di adempimento è quindi già prevista, seppur come eventuale, all’interno della disciplina dell’azione avverso il silenzio. La norma però non contempla alcuna conversione del rito per il caso in questione. Se ne dovrebbe dedurre, come giustamente rilevato dalla più attenta dottrina6, l’applicabilità in ogni caso del rito ex art. 117 c.p.a. A conferma di tale soluzione, si evidenzia che nel testo provvisorio del Codice approvato dalla Commissione, l’art. 127 (corrispondente all’art. 117 c.p.a.), stabiliva, al comma 5, che «quando è chiesto, ai sensi dell’art. 40 (azione di adempimento), l’accertamento della fondatezza della pretesa, il giudice può disporre, su istanza di parte, la conversione del rito camerale in ordinario. In tal caso fissa l’udienza pubblica per la discussione del ricorso». La mancata riproduzione di siffatta previsione confermerebbe l’opzione interpretativa da ultimo proposta, anche se la maggiore complessità della valutazione da effettuare sulla domanda di condanna al rilascio di un provvedimento (soprattutto se non si tratta di atto strettamente vincolato) indurrebbe a preferire una soluzione analoga a quella prevista dallo stesso art. 117 c.p.a. per il caso di domanda risarcitoria proposta contestualmente all’azione avverso il silenzio, ovvero la possibilità per il giudice di definire quest’ultima con il rito camerale e di fissare l’udienza pubblica per la trattazione della prima. Si lascia cioè al giudice amministrativo il potere di valutare se l’istanza risarcitoria possa essere immediatamente decisa, ovvero se sia opportuna una più approfondita disamina dei profili controversi, da svolgersi mediante il rito ordinario. Pur auspicando un intervento correttivo in tal senso, il fatto che esso non sia stato effettuato neppure in sede di secondo decreto correttivo induce a mio avviso ad escludere la possibilità di ricorrere ad un’interpretazione estensiva, costringendo ad utilizzare il rito sul silenzio anche per l’azione di condanna: strada che peraltro avrebbe il vantaggio di una definizione sollecita della controversia e di una maggiore prudenza del giudice nel sostituirsi all’amministrazione, in quanto, come costantemente affermato dalla giurisprudenza, «il giudizio sul silenzio ha pur sempre carattere semplificato, sicché, ove siano necessari complessi accertamenti istruttori, il Giudice non può che limitarsi a verificare l’esistenza di un obbligo di provvedere e a dare impulso ai successivi adempimenti di competenza dell’Amministrazione»7.
1 Per una sintetica disamina dei contenuti del codice e dei decreti correttivi cfr. Sandulli, M.A., Anche il processo amministrativo ha finalmente un codice, Il processo davanti al giudice amministrativo nelle novità legislative della fine del 2011 e Il secondo correttivo al codice del processo amministrativo: quali novità? in www.federalismi.it.
2 Così la Relazione allo schema di decreto approvato dalla Commissione istituita presso il Consiglio di Stato.
3 Per le altre modifiche, si rinvia a Ferrari, G., Altre novità introdotte dal secondo correttivo al c.p.a.
4 Cfr. Sandulli, M.A., Il superamento della centralità dell’azione di annullamento in Libro dell’anno del diritto 2012, Roma, 2012, 829. Sull’ammissibilità di tale azione nel testo originario del codice, cfr. per tutti Clarich, M., Le azioni nel processo amministrativo tra reticenze del Codice e apertura a nuove tutele, in www.giustizia-amministrativa.it, pubblicato in data 11.11.2010; Follieri, E., Le azioni di annullamento e di adempimento nel codice del processo amministrativo, in www.giustamm.it, 2010; Travi, A., La tipologia delle azioni nel nuovo processo amministrativo, in La gestione del nuovo processo amministrativo: adeguamenti organizzativi e riforme strutturali, Atti del LVI Convegno di Studi amministrativi tenutosi a Varenna il 23-25.9.2010, Milano, 2011, 87; Cerulli Irelli, V., Giurisdizione amministrativa e pluralità delle azioni (dalla Costituzione al Codice del processo amministrativo), in Dir. proc. amm., 2012, 436; e, soprattutto, Carbone, A., L’azione di adempimento nel processo amministrativo, Torino, 2012 (con ampi e completi richiami di dottrina e giurisprudenza).
5 Oltre alle sentenze già richiamate in Sandulli, M.A., Il superamento della centralità dell’azione di annullamento, cit., 829 ss., cfr. TAR Lombardia, Milano, 10.4.2012, n. 1045 e 14.9.2012, n. 2220; TAR Veneto, sez. II, 14.2.2012, n. 234; TAR Lazio, sez. I, 19.1.2011, n. 472; TAR Puglia, Bari, 25.11. 2011, n. 1807.
6 Carbone, A., L’azione di adempimento nel processo amministrativo, cit., e ulteriori richiami ivi contenuti.
7 Ex multis Cons. St., sez. V, 3.6.2010, n. 3487.