Papa Francesco s’è trovato innanzi un problema antico e uno nuovo: quello antico è quello di una istituzione che ‘produce’ magistero lentamente e che dunque, nel momento in cui inizia la sede vacante, lascia qualche incompiuta nei cassetti; quello nuovo è che l’autore dell’incompiuta era vivo e vegeto e avrebbe potuto giudicare, al pari di tutti gli altri che attendevano la terza enciclica a chiudere la triade fede-speranza-carità, una eventuale omissione o intervento. Il papa argentino non ha voluto fare come quei predecessori – il più clamoroso caso fu quello del passaggio Pio XI-Pio XII – che lasciarono cadere i temi elaborati in precedenza: e s’è ‘liberato’ molto rapidamente di un testo tutto ratzingeriano. Qualche cenno e qualche smussatura rispetto alla versione iniziale potrà infatti esserci nella Lumen fidei pubblicata con data del 29 giugno 2013: ma l’enciclica non è affatto ‘a quattro mani’, come s’è detto. Vi sono tutti i temi (relativismo, principi non negoziabili, moralità di chi agisce come se Dio ci fosse) del tempo di Benedetto XVI e ci sono piccolissimi inserti bergogliani (il creato, il precetto ‘non fatevi rubare la speranza’), in posizione marginale. Assumendo col suo nome la Lumen fidei papa Bergoglio ha dato un segno di rispetto per il predecessore, ma pubblicandola senza correzioni non ha mescolato il proprio registro con quello ratzingeriano. E non ultimo, nello stesso giorno, ha annunciato la beatificazione di Giovanni XXIII che (molto più di quella di Giovanni Paolo II) mette un sigillo procedurale e concettuale alla moda di beatificare i papi affiorata nel secondo Novecento.
Alberto Melloni