L'Eta dei Lumi: matematica. Matematica pura e applicata nel XVIII secolo
Matematica pura e applicata nel XVIII secolo
Nel presente volume la determinazione cronologica 'Settecento' è presa in senso letterale, piuttosto che come indicazione di quel 'XVIII secolo lungo' studiato dagli storici. Il termine 'matematica', invece, è inteso in senso piuttosto ampio, vista l'attenzione dedicata nel seguito alle applicazioni. In contrasto con quello che sarà spesso l'atteggiamento dei matematici, furono le applicazioni ‒ o almeno l'applicabilità ‒ a guidare la gran parte dei lavori effettuati nel corso del secolo. La matematica fu dominata in misura notevole dal calcolo e dal suo impiego nella meccanica e a queste due discipline sono dedicati i primi due paragrafi che seguono.
Il calcolo era stato fondato, in modi del tutto diversi, da Newton e da Leibniz, e ciascuna delle due linee si sviluppò in un quadro autonomo; la seconda fu poi profondamente riformulata da Leonhard Euler alla metà del secolo. La tradizione leibniziana guadagnò a poco a poco maggiore prestigio, soprattutto dagli anni Quaranta, quando il centro della matematica andò spostandosi sempre più nel Continente; balzarono in primo piano le equazioni differenziali, in particolare dalla metà del secolo, allorché fu inventata la forma parziale. La battaglia si accese ancora di più verso la fine del secolo, quando Joseph-Louis Lagrange propose un terzo approccio al calcolo, basato sulle serie di potenze.
Il calcolo acquistò via via più rilevanza con il passare del tempo. Una ridicola priorità rozzamente rivendicata da Newton negli anni Dieci divise in pratica la comunità dei matematici in due campi avversi (la metafora militare è voluta), con la Gran Bretagna da una parte e il Continente dall'altra. La Gran Bretagna poteva vantare alcuni illustri ingegneri militari e fabbricanti di strumenti, e le conoscenze matematiche pratiche erano ben divulgate da accademie non allineate con le istituzioni ufficiali e da riviste popolari come il "Ladies' diary". Ma ai livelli più elevati la cultura matematica non conobbe ulteriori successi dagli anni Quaranta in poi; dopo Colin Maclaurin non emersero altre figure di rilievo, nemmeno per riformulare nel linguaggio delle flussioni l'ampia estensione del calcolo differenziale e integrale passato dalla variabile unica alla sua forma a variabili multiple, con le equazioni alle derivate parziali che integrarono e arrivarono a dominare quelle alle derivate ordinarie dopo il 1750. A questo proposito, il problema delle corde vibranti divenne un formidabile punto di aggregazione per la risoluzione di quelle equazioni, con riferimento sia alle forme preferite sia alla generalità per esse rivendicata; i temi coinvolti divennero questioni di primo piano in questo campo.
Una parte importante dell'arricchimento del calcolo dopo il 1750 fu rappresentato dall'allargamento del calcolo delle variazioni, che da tecnica aggiuntiva interessata all'isoperimetria passò a occuparsi di un ambito vicino puntato soprattutto su situazioni che riguardavano l'ottimizzazione (cap. XXIX). In questa fioritura fu cruciale il ruolo di Lagrange, spinto in parte dalla possibilità che gli veniva così offerta di 'algebrizzare' una teoria. Un assunto principale era δd=dδ, dove il suo simbolo speciale 'δ' denotava la variazione (potenziale) di 'ogni' punto su una curva, la cui poligonale spaziale era colta dalla 'd' di Leibniz. Lagrange fondò il calcolo stesso sull'assunto che ogni funzione matematica poteva essere espressa come un'espansione tayloriana e per di più convergente. Questo assunto era attraente, ma forse troppo esatto per essere vero; l'accoglienza a esso decretata fu piuttosto cauta, anche prima del rifiuto formale da parte di Augustin-Louis Cauchy negli anni Venti dell'Ottocento. Al momento, tuttavia, l'affermazione portò a una fruttuosa alleanza del calcolo con la teoria delle funzioni e con le loro espansioni in serie infinite, tayloriane e no.
Molti dei risultati ottenuti a proposito delle serie infinite sono stati oggetto di critiche eccessive da parte di commentatori successivi, privi di senso storico; per esempio, alcuni hanno ritenuto assurdo che quei vecchi stolti pensassero davvero, senza scomporsi, che
[1] 1−1+1−1+1−1+1−…=1/2
In realtà, la situazione storica è più sottile. È evidente che 1/2 non era la somma della serie nel senso normale dell'addizione termine a termine; la [1] esprimeva invece un qualche tipo di relazione fra la serie e la somma, oggetto essa stessa dello studio matematico. Mancò, tuttavia, una chiara comprensione del fatto che una serie infinita realizzava una somma (se pure la realizzava) solo in relazione al metodo di sommatoria impiegato, per cui metodi diversi potevano portare a somme diverse (o a nessuna); questa comprensione generale arrivò solo all'inizio del XX secolo. Questo caso dimostra che le questioni di rigore non furono ignorate nel XVIII sec. (si veda la valutazione della sommatoria di serie infinite nella [1]); gli sforzi di algebrizzazione da parte di Lagrange furono eccezionali per scala e penetrazione, non in sé stessi. Largamente assente fu, tuttavia, l'ossessione per il rigore riscontrata in alcune parti della matematica nel XIX sec., associata a personaggi come Cauchy e, più tardi, Weierstrass.
Come il calcolo, la meccanica si presentò in tre forme diverse (cap. XXXII). La prima, quella basata sulle leggi di Newton (cap. XXXIII), si affermò in particolare nell'astronomia, dove Pierre-Simon de Laplace sarebbe diventato figura dominante (cap. XXXV). La seconda, basata sulla conservazione e lo scambio di energia, conobbe anch'essa una notevole diffusione, in parte grazie alla difesa che ne fece Leibniz, ed ebbe un ruolo di rilievo nell'ambito dell'ingegneria, un'area molto ricca di applicazioni (cap. XXXVII). Il terzo approccio fu proposto ancora una volta (ma non inventato) da Lagrange; è chiamato spesso 'analitico' o 'variazionale' (cap. XXXIV) ed è legato al suo approccio al calcolo, in quanto in entrambi i casi egli cercava di adottare principî e formulare ipotesi che potessero essere espresse con formule algebriche 'generali', non gravate da caratteristiche speciali o accidentali legate a una particolare classe di casi.
La meccanica newtoniana, incentrata sulla legge dell'attrazione fra due corpi (che agisce lungo la linea retta che li congiunge secondo l'inverso del quadrato della loro distanza), unificando la meccanica terrestre e quella celeste aveva elevato questa branca a un nuovo livello. Le conseguenti tre leggi dell'inerzia e del moto trovarono una gran quantità di applicazioni, soprattutto in ambito astronomico (cap. XXXV). La stabilità del sistema planetario, che Lagrange voleva 'provare' attraverso le leggi di Newton e l'assunto che i pianeti orbitassero nella stessa direzione intorno al Sole senza fare appello alla bontà di Dio, portarono ‒ nelle sue mani e poi in quelle di Laplace ‒ a una matematica spettacolare, costruita sull'espansione delle variabili del moto in serie trigonometriche operata da Euler; i risultati contribuirono successivamente alla creazione dell'algebra lineare. Viceversa, il 'problema dei tre corpi', quello cioè di determinare le azioni fra il Sole, la Luna e la Terra, sembrava insolubile in forma generale, anche se alcuni casi speciali furono risolti. La meccanica del continuo fu ugualmente molto dipendente dalle leggi di Newton, anche se mise Euler davanti a fondamentali grandezze ausiliarie come la pressione e a concetti come la tensione e la deformazione, che portarono rispettivamente a una teoria generale del flusso dei fluidi e dell'elasticità (cap. XXXVI); anche in questo caso fu analizzato solo un limitato numero di fenomeni.
La meccanica del XVIII sec. non fu tuttavia la vicenda di una sola teoria, soprattutto per quanto attiene alla dinamica. I matematici del Continente spesso si appassionavano di più alla legge dell'inverso del quadrato di Newton che alle sue tre leggi conseguenti, e per varie applicazioni furono seguiti scrupolosamente gli altri due approcci. Il desiderio di Lagrange di 'algebrizzare' lo indusse al tentativo di realizzare le speranze di una generalizzazione del principio di minima azione proclamato negli anni Quaranta da Pierre-Louis Moreau de Maupertuis e da Euler. Ispirandosi in qualche modo a Jean-Baptiste Le Rond d'Alembert, egli vi aggiunse altri principî, fra cui quello dello stesso d'Alembert che riduceva (algebricamente) la dinamica alla statica, e quello delle 'velocità virtuali' per esprimere in maniera generale l'equilibrio. Questa tradizione ebbe anche un ruolo notevole nella meccanica planetaria, in cui furono studiate accuratamente la dimensione e la forma del corpo celeste. L'aspettativa di Newton che la Terra fosse schiacciata ai poli, anziché allungata, come pensava la maggior parte dei cartesiani, portò a un nuovo regime matematico in quanto la matematica dell'attrazione delle sfere era troppo semplice; le soluzioni all'equazione di Laplace, soprattutto con le funzioni di Legendre (come sarebbero state poi chiamate) divennero una branca favorita della teoria delle funzioni speciali.
L'insistenza di Lagrange sulle situazioni di equilibrio trovò l'esposizione canonica nel suo trattato Méchanique analitique (1788), ma il suo tipo di approccio era già stato attaccato da coloro che erano approdati alla meccanica da altri contesti, come l'ingegneria e la tecnologia. A questo riguardo, uno dei critici principali fu Lazare Carnot (1753-1823); per lui e per i suoi seguaci la base era fornita da forces vives e dalle loro trasformazioni, che all'inizio del XIX sec. sarebbero state intese come 'lavoro' (forza×distanza).
Un autore importante nel campo della meccanica ingegneristica (cap. XXVII) fu il francese Bernard Forest de Bélidor; il suo trattato generale La science des ingénieurs (1729) fu seguito dai due volumi dell'Architecture hydraulique (1737-1739), più volte ristampati e tradotti. Verso la fine del secolo il trattato fu aggiornato da Gaspard-François-Clair-Marie Riche de Prony nella Nouvelle architecture hydraulique (1790-1796), il cui secondo volume era dedicato alle macchine a vapore.
Nella formulazione delle proprie teorie, la meccanica guardava costantemente alle proprietà dei corpi fisici. Si potrebbe perciò pensare che fosse strettamente legata alla fisica; ma non era così. Durante il XVIII sec. esisteva una distinzione netta fra le cosiddette scienze 'classiche' come la meccanica (e anche l'ottica geometrica), in cui la matematica giocava un ruolo di primo piano, e le loro controparti 'baconiane' come la fisica, che comprendeva l'elettricità e le proprietà fondamentali dei materiali, in cui la matematica era largamente assente mentre era predominante la sperimentazione (Kuhn 1976-77). I cambiamenti in questo stato di cose sarebbero arrivati solo con il nuovo secolo, in gran parte grazie ai matematici francesi, dei quali si parlerà più avanti.
Un'altra fonte di ispirazione per il calcolo e la meccanica fu la geometria, o almeno il pensiero geometrico e spaziale, che non corrispondeva solo all'intenzione di immaginare/rappresentare la configurazione meccanica localizzata o presente nello spazio; il calcolo differenziale convogliò anche un carattere fondamentalmente geometrico nel trattare 'dx' come un incremento infinitesimo di 'x' e della stessa dimensione, qualunque cosa ciò potesse essere, dove dy/dx era letteralmente inteso come proporzione fra dy e dx e l'integrale era interpretato come somma. Le flussioni newtoniane mostrano meno esplicitamente questo carattere, ma anche in esse la rappresentazione spaziale dei fenomeni era centrale; per esempio, la geometria differenziale fiorì in entrambe le tradizioni (cap. XL). Il desiderio di Lagrange di algebrizzare il calcolo e la meccanica aveva cercato di bloccare questa pratica.
In parte in connessione con tali applicazioni e manifestazioni, la geometria si sviluppò vigorosamente, intrattenendo una relazione variabile con l'algebra nella geometria analitica e delle coordinate, nella misura in cui cominciarono a emergere tracce della geometria proiettiva. Il manuale di Euler Introductio in analysin infinitorum (1748) consacrò molti dei principali modi in cui i sistemi di coordinate possono essere sviluppati (in genere in maniera rettangolare o polare, e in tre o due dimensioni); molto analizzato fu il concetto di curvatura di una linea, e di una superficie, nel piano o nello spazio.
Nella geometria euclidea, le alternative all'assioma di Euclide sulle parallele ‒ secondo il quale, data una linea, per un punto a essa esterno può essere tracciata una e una sola linea a essa parallela ‒ attirarono l'attenzione di alcuni matematici, in particolare Girolamo Saccheri. Il suo tentativo di ricavare una contraddizione da qualsiasi altro assunto fu una buona ricerca, ma non conclusiva. Oltre a varie edizioni di Euclide, Adrien-Marie Legendre pubblicò nel 1794 gli Éléments de géométrie, di cui apparvero numerose riedizioni e alcune traduzioni nell'arco dei decenni successivi. Per la geometria esisteva anche un interesse storico; così, lo scozzese Robert Simson pubblicò edizioni di matematici greci e ricostruì opere perdute, specialmente di Apollonio (1735, 1749) e di Euclide (1756).
Mentre rimanevano in primo piano le esigenze dell'ingegneria, la lunga tradizione della prospettiva, nota ad artisti e architetti, portò alla 'geometria descrittiva', come la chiamò Gaspard Monge (1746-1818), nella quale un oggetto tridimensionale veniva proiettato su un piano, sul quale le dimensioni e la forma potevano essere alterate e poteva essere esaminato il corpo modificato (cap. XXXVIII). Le applicazioni della geometria all'ingegneria includevano quelle militari, e i suoi metodi furono per un certo tempo circondati da riservatezza e considerati segreti. Altro settore, probabilmente a volte più utile, fu la geometria differenziale, in cui pure Monge eccelse.
In tutte le teorie sopra ricordate, e non solo nelle applicazioni, le complicazioni dei fenomeni o delle situazioni studiate erano tali che nemmeno la forza delle equazioni differenziali parziali e dei metodi variazionali potevano fornire una risposta completa; in particolare, molte di quelle equazioni, e anche parecchi importanti integrali, non potevano essere risolti. Così entrarono in gioco le tecniche numeriche di approssimazione, nelle quali erano manipolate serie finite di vari tipi e (spesso con difficoltà molto maggiore) era stimato il grado di errore inevitabilmente introdotto (cap. XXXI). Newton aveva mostrato al riguardo notevole immaginazione, benché alcuni degli algoritmi da lui presi in considerazione andassero al di là degli strumenti di calcolo allora disponibili (e in alcuni casi, per la verità, non disponibili ancora oggi, nell'età degli elaboratori elettronici). Fra i vari risultati, la formula di Euler-Maclaurin costituì un modo particolarmente efficace per calcolare il valore di un'ampia classe di integrali. Altre sorprendenti applicazioni si ebbero nel temperamento degli strumenti musicali.
Un'approssimazione di tipo ancora più profondo è alla base di uno dei più grandi problemi del secolo, e in realtà di ogni secolo: la costruzione di mappe. Si era capito da tempo che era impossibile riprodurre fedelmente su un foglio piano la superficie di una sfera o di uno sferoide, almeno se la superficie della sfera era di dimensioni consistenti; bisognava dunque operare una scelta fra le necessità della terraferma, dove si richiedeva che per quanto possibile fossero disegnate su 'mappe' le lunghezze e le aree, e le necessità dei naviganti, ai quali interessava soprattutto la rappresentazione fedele (del cambiamento) degli angoli. Il calcolo forniva un ampio repertorio di metodi raffinati, ancora una volta soprattutto di geometria differenziale; nel 1772 l'alsaziano Johann Heinrich Lambert abbozzò i criteri fondamentali per l'approntamento di mappe e carte.
A confronto con gli sviluppi appena illustrati, le altre branche della matematica progredirono in misura modesta. In particolare, il ruolo principale dell'algebra rimase chiuso in questi impieghi, che erano soprattutto quelli ispirati da Lagrange; essa non fece molti passi avanti, e la teoria dei numeri rimase un esercizio specialistico, anche se praticato da figure eminenti. Un'applicazione minore, benché affascinante, fu la formulazione algebrica della logica (sillogistica).
Al pari della geometria, anche l'algebra si manifestò come un quadro d'insieme oltre che come disciplina a sé stante. I matematici fuori della Gran Bretagna avevano più o meno assimilato il concetto di numero negativo e generalmente interpretavano lo zero come 'nulla' (Pycior 1997). I numeri complessi erano anche ritenuti inevitabili nella teoria delle equazioni, dove furono fatti sforzi per provare il teorema fondamentale secondo cui un polinomio di grado ennesimo aveva n radici, comprese le ripetizioni. Tuttavia, la manipolazione dei numeri complessi poteva provocare qualche fastidio; in particolare, un importante e grossolano errore fu riscontrato in un influente manuale di algebra di Euler (1770), laddove si affermava che
e parecchi altri lo seguirono. Altre questioni connesse includevano il/i valore/i del logaritmo di un numero negativo.
Quanto alla soluzione generale delle equazioni polinomie, era noto da tempo che fino a quella di quarto grado le quattro operazioni algebriche e l'estrazione di radice bastavano per risolverle; per l'equazione di quinto grado, Lagrange dimostrò nel 1772 che era improbabile che una simile procedura avesse successo, in quanto le equazioni ausiliarie ottenibili a partire da essa erano di grado ancora più elevato.
L'algebra divenne insieme consistente e fondamentale abbastanza da costituire oggetto di manuali. In particolare, parecchi libri apparvero durante gli anni Quaranta con numerose edizioni successive; in Gran Bretagna ne furono pubblicati da Nicholas Saunderson, Maclaurin e Thomas Simpson, e sul Continente da Alexis-Claude Clairaut ‒ un manuale, quest'ultimo, che continuò a essere pubblicato in nuove edizioni fino ai primi decenni del XX secolo. Il manuale di Euler è stato citato in precedenza. L'algebra fu applicata alla teoria dei numeri, ma pochi matematici vi si dedicarono, anche se a farlo furono i migliori. Euler, per decenni l'unico personaggio di rilievo a occuparsene, prese in considerazione un'ipotesi avanzata da Christian Goldbach (1690-1764), in base alla quale ogni numero pari poteva essere espresso come la somma di due numeri primi, ma non riuscì a trovare alcuna prova o contro-esempio, e la questione rimane tuttora irrisolta. Fra le altre questioni aperte, il cosiddetto 'ultimo teorema' di Fermat, secondo cui la relazione
[3] xn+yn=zn,
dove x, y, z>0, non ha soluzioni intere per n>2, fu provato per alcuni valori bassi di n, ma per la dimostrazione generale bisognerà attendere fino ai nostri giorni. Altre figure di rilievo furono Lagrange, che dimostrò fra l'altro che ogni intero può essere espresso al più come la somma di quattro interi al quadrato, e Legendre, che si interessò molto all'equazione quadratica e pubblicò nel 1798 la prima edizione del suo Essai sur la théorie des nombres, il primo importante manuale del settore, ma presto eclissato dalle Disquisitiones arithmeticae (1801) del giovane Carl Friedrich Gauss. La maggior parte di tutto questo lavoro divenne nota come 'teoria algebrica', perché coinvolgeva proprietà aritmetiche e algebriche di interi. Negli anni Trenta Euler inaugurò la 'teoria analitica', dove il calcolo era usato per porre e risolvere problemi; a poco a poco essa contese all'algebra il primato per l'interesse nei confronti dei problemi trattati.
Il grande aumento nella raccolta di dati relativi a situazioni economiche e sociali nella nuova disciplina della 'statistica' portò alla compilazione di tavole e a tentativi di inferire conclusioni intorno, per esempio, alla demografia. Questo interesse produsse un repentino incremento di lavori sulle probabilità, soprattutto a partire dagli anni Settanta (cap. XLII). Tuttavia emersero anche paradossi, come quello noto come 'paradosso di Pietroburgo' sul gioco d'azzardo risolto da Daniel Bernoulli, che scossero le fondamenta della disciplina. Verso il 1760 lo stesso Bernoulli discusse con d'Alembert l'analisi statistica dei benefici per la salute della vaccinazione contro il vaiolo.
Figura importante in questo campo fu Laplace, che diede impulso ad alcuni aspetti della statistica matematica. In maniera a quanto pare indipendente, trovò teoremi à la Bayes sulle relazioni fra probabilità a priori e a posteriori. Gli stimoli gli venivano dall'astronomia e dalla topografia, nonché da situazioni sociali come il calcolo, da determinate osservazioni e misurazioni, con vari gradi di inesattezza, del valore 'più probabile' di un parametro. Egli difese l'uso delle 'medie ponderate' (il termine è quello moderno), in cui diversi livelli di precisione sarebbero opportunamente combinati. Furono considerati vari altri modi di valutare insiemi di dati nei termini di qualche tipo di valore medio, come in Inghilterra fu fatto da Simpson. La teoria della 'distribuzione' dei dati fu meno sviluppata, benché Ruggero Giuseppe Boscovich la difendesse nel 1760, lavorando con la somma delle deviazioni assolute di dati dalla loro media 'm' (cioè, ignorando se un dato era maggiore o minore di 'm').
Vogliamo a questo punto fissare la nostra attenzione su quattro personaggi principali e sulle circostanze delle loro carriere. Fra questi la personalità di maggiore rilievo fu senza dubbio Euler. Dalla fine dei suoi anni giovanili nella metà degli anni Venti fino ‒ letteralmente ‒ al giorno della sua morte, egli produsse un flusso costante di saggi su tutte le branche della matematica, regolarmente inframmezzato da manuali e trattati. Dopo la sua morte, l'Academia Scientiarum Imperialis Petropolitana continuò a pubblicare scritti postumi per quasi mezzo secolo. Di questa Accademia, fu membro per gli ultimi 17 anni della sua vita; nel 1771 la perdita della vista (dovuta, a quanto pare, al lavoro di preparazione di mappe) lo esonerò dalle fatiche della lettura di bozze e da altri impegni, e la sua produttività aumentò ulteriormente. Aveva iniziato la carriera presso l'Accademia di Pietroburgo nel 1727 e vi rimase fino al 1741. Passò i successivi 25 anni alla Königliche Preussische Akademie der Wissenschaften (Accademia Reale Prussiana delle Scienze) di Berlino, fino a che Federico II non si stancò della sua "piovra", già dal 1738 era infatti rimasto con un solo occhio, e assunse al suo posto Lagrange. Solo il fatto di essersi dedicato alla matematica impedì a Euler di essere riconosciuto come uno dei più grandi intelletti del XVIII secolo. La sua opera omnia cominciò a essere pubblicata nel 1911 e alcuni dei 72 volumi in quarto devono ancora essere editi, mentre i 12 grandi tomi della corrispondenza e dei manoscritti sono lungi dall'essere completi.
Quando il giovane Euler si trasferì a Pietroburgo, incontrò l'amico svizzero Daniel Bernoulli (1700-1782), figlio di Johann I e nipote di Jakob I (da tempo deceduto). Bernoulli non si trattenne per molto tempo in quella fredda città, e fece la maggior parte della sua carriera a Basilea; il padre vi insegnava matematica, sicché egli dovette assumere le cattedre di anatomia e di botanica, e più tardi di fisiologia. Produsse una serie di saggi, soprattutto su vari aspetti della meccanica, e un'opera importante, l'Hydrodynamica (1738), che non soltanto coniò la parola stessa ma avviò anche parecchi modi di lavorare nella meccanica del continuo. In gran parte di questo testo egli espose i principî dell'energia; un altro termine proveniente dalla stessa fonte è 'potenziale', che avrebbe portato, nel secolo successivo, all'espressione 'energia potenziale'. Nella meccanica celeste non era questo l'approccio migliore da adottare, soprattutto dopo che Euler aveva introdotto le espansioni con le serie trigonometriche. Bernoulli amava anche lavorare su problemi particolarmente difficili da affrontare, come il funzionamento del cuore e le proprietà dell'attrito fra i corpi, con la conseguenza inevitabile che ottenne risultati limitati; così la sua figura è stata in parte oscurata da quella dei suoi predecessori e successori.
Come la maggior parte dei matematici del tempo, sia Euler sia Bernoulli pensavano in termini geometrici; le funzioni erano intese come curve e superfici, e rettangoli o cuboidi di materia continua si formavano in relazione al prodursi di un fenomeno, e così via. Questo tipo di approccio fu messo in discussione dall'italiano Lagrange da quando cominciò a pubblicare in francese. All'età di 21 anni contribuì alla fondazione dell'Accadémie Royale des Sciences di Torino, la sua città; ma ben presto prese il posto di Euler a Berlino, e poi, un anno prima della Rivoluzione francese, si trasferì a Parigi per il resto della vita. La sua opera omnia comprende solo 14 volumi, ma in essi c'è tantissimo, come abbiamo avuto modo di vedere. Un tratto caratteristico di Lagrange, che fu anche alla base della sua successiva influenza, è la preoccupazione per il rigore; di qui il suo desiderio di algebrizzare. Egli evitò anche qualsiasi legame della matematica con la fede religiosa, un atteggiamento che avrebbe acquistato forza crescente dalla seconda metà del secolo in avanti (Grattan-Guinness 2001).
Ultimo componente del quartetto di personaggi eminenti qui ricordati è Laplace, che si affermò negli anni Settanta. Modificando in particolare il lavoro di Euler, d'Alembert e Lagrange, diede un grande apporto al calcolo, inclusi alcuni importanti nuovi metodi per risolvere le equazioni differenziali. Nel campo della meccanica, Laplace si specializzò in quella celeste, scrivendo importanti saggi sul problema dei tre corpi e sulla risonanza dei moti di Giove e Saturno. Molta parte della sua rilevante influenza fu esercitata dopo la Rivoluzione francese, e cade al di fuori dei limiti cronologici della presente trattazione.
La biografia porta naturalmente alla storia delle istituzioni; essa porta, per esempio, a esaminare il problema della formazione scientifica. A livello popolare il XVIII sec. è ricordato per le parrucche, le danze e altri simboli di privilegio; ma con un po' di fortuna, quelli che appartenevano ai ceti inferiori potevano trovare la possibilità di sviluppare il loro talento. Euler era figlio di un pastore protestante; d'Alembert figlio illegittimo di un ufficiale dell'esercito; Clairaut figlio di un insegnante di matematica, e Lagrange di un amministratore caduto in disgrazia. Solo Laplace e Monge, fra i personaggi principali da noi esaminati erano di origine abbastanza agiata; Daniel Bernoulli, in quanto figlio del professor Johann, è un caso piuttosto speciale. Le limitazioni delle occasioni erano più evidenti nell'avvio e nell'esercizio di una carriera; quella di Euler e molta parte di quella di Lagrange furono al servizio di monarchi di ogni specie.
I sistemi educativi si svilupparono in maniera molto diversa in Francia, in Gran Bretagna e negli Stati di Germania e Italia (cap. XXVI); la Scandinavia, la Penisola Iberica e l'America del Nord non giocarono un ruolo significativo nell'insegnamento e nella ricerca matematica, mentre qualche modesto collegamento si ebbe con l'Estremo Oriente. Ci si sarebbe aspettato che le università fossero il tipo principale di istituzione, ma questo fu vero solo per la Germania settentrionale e in qualche misura per la Gran Bretagna, soprattutto l'Inghilterra. Altrove, la matematica era praticata in altri tipi di istituzioni, specialmente i collegi militari, il cui peso in rapporto alle università era diverso da paese a paese. Qualche posto era assicurato dagli osservatori, ma per il resto i matematici dovevano dipendere dai signori loro patroni.
Nonostante la scala limitata della carriera professionale, il crescente livello dell'istruzione creò un mercato per la pubblicazione di manuali. Un autore di fama fu Étienne Bézout, il cui Cours de mathématiques divenne molto popolare, e non solo in Francia, dopo che i suoi sei volumi apparvero per la prima volta negli anni Sessanta. È interessante notare che quei volumi furono scritti a uso delle scuole militari e includevano non soltanto l'aritmetica elementare, l'algebra, la geometria e la trigonometria, ma anche la meccanica e la navigazione. A un livello più elevato le pubblicazioni si scontravano però con difficoltà economiche. Lagrange, per esempio, completò la sua Méchanique analitique mentre era ancora a Berlino nel 1782, ma dovette aspettare sei anni prima che fosse pubblicata a Parigi. Arrivato qui l'anno precedente, aveva dovuto preparare per la stampa un nuovo manoscritto completo, di cui Legendre curò le bozze.
Similmente, mentre nel corso del secolo ci fu una crescita enorme nella pubblicazione di giornali e riviste, i saggi scientifici apparivano di solito soltanto nell'ambito delle accademie, le quali occasionalmente pubblicavano anche trattati (come fu per alcuni di Euler). Non nacque nessuna significativa rivista dedicata specificamente alla matematica, e pochi altri strumenti erano disponibili, come gli "Acta Eruditorum" (fondati da Leibniz). Un interessante punto d'incontro fu la Società Italiana, fondata nel 1782 da Anton-Maria Lorgna e pensata per di più come un'organizzazione nazionale in un tempo in cui l'Italia era un insieme di Stati separati; un gran numero di importanti matematici compaiono nelle pagine delle sue "Memorie".
Una delle principali imprese editoriali del Settecento fu la pubblicazione della famosa Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, edita e in parte scritta da d'Alembert e Diderot, i cui 35 volumi apparvero fra il 1751 e il 1780. L'opera costituì un importantissimo luogo di espressione delle concezioni dell'Illuminismo. I seguaci di questo indirizzo di pensiero davano alla percezione sensoriale il primo posto epistemologico, adottando e adattando le idee di John Locke; così, nella meccanica, d'Alembert diffidava della nozione di forza e suggeriva che la seconda legge di Newton fosse reinterpretata come una definizione di forza (di qui il principio delle 'velocità virtuali' sopra ricordato). Ma l'Illuminismo sottolineava anche il potere della ragione sui dati sensoriali, come il titolo dell'enciclopedia dimostra; in particolare, l'intervento della ragione era chiamato in causa per combattere i dettami della religione cristiana o in altro modo autoritari. Per i matematici, questo nuovo spirito trovava una manifestazione importante nel favore accordato alla teoria delle probabilità, di cui abbiamo parlato in precedenza; d'Alembert, e anche il marchese Marie-Jean-Antoine-Nicolas Caritat de Condorcet, ne esaltarono l'utilità in ambito sociale, per esempio per stimare la popolazione attraverso la demografia e per calcolare razionalmente la probabilità che i giudici arrivassero a una sentenza giusta senza estorcere le confessioni con la tortura.
L'insistenza sulla percezione sensoriale portò con sé anche un'enfasi sui segni, e quindi sulla semiotica come loro 'teoria'; gli sforzi per esprimere in simboli il ragionamento logico ne sono soltanto un piccolo esempio, in parte ispirato dall'invito di Leibniz a una "caratteristica universale". Un importante personaggio successivo, influenzato da Locke e dall'Illuminismo, fu l'abate Étienne Bonnot de Condillac. Uno dei suoi seguaci, Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy, introdusse il termine idéologie nel 1796 con riferimento, in un senso filosofico generale, alla triade costituita dal segno, dalla sua apparenza e dal/i suo/i referente/i; il significato che si dà ora comunemente a quella parola proviene dalla successiva rilettura marxista. Alla fine del XVIII sec. la consapevolezza relativa ai segni contribuì ad alimentare l'interesse per i linguaggi artificiali e specializzati, e per la linguistica e la filologia. Il legame matematico era molto forte, stante il fatto che l'algebra era considerata il linguaggio per eccellenza. Benché Lagrange non prendesse personalmente parte a questo movimento, esercitò tuttavia qualche influenza sui suoi successori in Francia e altrove.
La classificazione e la tassonomia delle teorie fu un altro tratto caratteristico della filosofia dell'Illuminismo. Venivano descritti, per esempio, tutti i principali metodi disponibili per fondare il calcolo senza necessariamente difenderne uno in particolare, anche se una preferenza poteva essere espressa; in questo caso, e insolitamente per quel tempo, d'Alembert cercò di elevare lo status della teoria dei limiti. I testi dell'Illuminismo su tutti gli argomenti favorirono la rappresentazione sintetica con tavole sinottiche.
L'Encyclopédie arrivò quasi al punto di mandare alla bancarotta l'industria editoriale francese; ciononostante, nel 1781 cominciò a essere pubblicata una Encyclopédie méthodique che, una volta completata nel 1831, avrebbe contato 192 volumi; la maggior parte di quelli dedicati alla matematica apparve nel primo decennio del progetto. Fra coloro che contribuirono alla realizzazione dell'Encyclopédie méthodique ci sono i nomi di Monge, Charles Bossut e de Prony, il cui ampio manuale di ingegneria sopra menzionato era costruito sui principî degli enciclopedisti. Contrariamente alla prima Encyclopédie, molto studiata, la seconda non ha mai ricevuto l'attenzione che merita.
Anche maggiore ignoranza circonda la notevole varietà di società segrete ed eretiche cui molti membri dell'aristocrazia e dell'intellighenzia aderivano in tutta Londra. La frammassoneria è quella meglio conosciuta, ma altri movimenti includevano il rosacrocianesimo, i Fratelli Asiatici, e varie coorti di Cavalieri. La loro clandestinità derivava in parte dalla loro stessa politica, ma soprattutto dall'attacco e persino dalla repressione da parte della religione cristiana ufficiale e delle monarchie che vi erano associate. La matematica di questi movimenti è molto elementare e comprende la numerologia, la gematria e la cosiddetta geometria sacra: l'interesse per queste materie nasce in parte dalla loro posizione filosofica, che dava ai massoni la convinzione di essere coloro che riassumevano le aspirazioni dell'Illuminismo (Jacob 1991). A parte questo, l'influenza dell'appartenenza alla massoneria sul lavoro professionale dei matematici non è chiara, e probabilmente fu modesta; così, per esempio, per il 'fratello' Laplace, o per l'astronomo Joseph-Jérôme Le Français de Lalande (eminentissimo massone). In alcuni casi, invece, i legami erano piuttosto evidenti, come per l'uso della geometria descrittiva da parte del 'fratello' Monge nel taglio della pietra, e per il suo importante ruolo in quella moderna crociata massonica che fu la spedizione francese in Egitto dal 1798 al 1801.
I seguaci dell'Illuminismo affermavano di essere letteralmente progressisti, e perciò leggevano la storia come una strada che puntava a loro stessi come culmine; si pensi, per esempio, al lungo e molto letto Discours préliminaire all'Encyclopédie. All'occorrenza, fu fatto anche un lavoro storico più serio; l'autore di gran lunga più significativo fu Jean-Étienne Montucla (1725-1799), che nel 1758 pubblicò una Histoire des mathématiques in due volumi di oltre 600 pagine in quarto ciascuno. Il testo era in gran parte libero da simboli, anche se talvolta veniva riportata qualche equazione; era seguito da eccellenti tavole e anche da un indice analitico.
Il primo volume arrivava fino al XVII secolo. Dopo aver trattato dell'Antichità, nella seconda parte Montucla parlava dei "vari popoli orientali", basandosi su traduzioni latine per i Persiani e gli Arabi e su storie europee per i Cinesi e gli Indiani (su questi ultimi probabilmente trovò poco a disposizione). La terza e ultima parte dedicava qualche attenzione ai Romani, spesso del tutto omessi nelle altre storie.
Il secondo volume era dedicato al XVII sec. ‒ ma non oltre, smentendo la promessa fatta nel lungo sottotitolo che annuncia una storia "fino ai nostri giorni". Due coppie di libri illustravano ciascuna la geometria, l'ottica, l'astronomia e la meccanica per la prima e la seconda metà del secolo rispettivamente; un altro libro esponeva la geometria analitica per l'intero secolo. Molto presenti erano anche importanti applicazioni, anche se la meccanica ingegneristica risultava piuttosto trascurata. La categoria della geometria includeva l'algebra e il calcolo; sulla controversia tra Newton e Leibniz per la priorità nel calcolo, Montucla inclinava per quest'ultimo, ma senza indulgere in contropolemiche.
Poco prima della sua morte nel 1799, Montucla pubblicò i primi due volumi della seconda edizione della sua opera; altri due sarebbero seguiti nel 1802, grazie soprattutto alle cure di Lalande, assistito, per quanto riguardava il calcolo, dall'autore di manuali Sylvestre-François Lacroix (Peiffer 2002). Questa edizione fa parte di una straordinaria produzione in campo matematico realizzata nel periodo a cavallo dei due secoli.
Alla morte di d'Alembert, Euler e Daniel Bernoulli, il centro delle attività matematiche all'inizio degli anni Ottanta si spostò a Parigi, con Laplace, Legendre e Monge, e poi, dal 1787, con Lagrange. Una conseguenza della Rivoluzione francese del 1789 fu la completa riforma del sistema educativo, che includeva l'abolizione delle università e una forte promozione delle scuole di ingegneria, soprattutto dopo l'apertura, nel 1794, dell'École Polytechnique come istituto di formazione, con grande spazio riservato alla matematica (Fourcy 1828). Le istituzioni professionali come l'Institut de France e il Bureau des Longitudes videro ugualmente crescere il loro status, con un aumento dell'attività e del personale. Questi e altri cambiamenti connessi trasformarono completamente la situazione professionale per i matematici di Francia, con conseguenze fondamentali per il successivo sviluppo della matematica in altri paesi. Monge fu una figura importante tra i fondatori dell'École Polytechnique; e insieme a Lagrange e de Prony ne fu tra i professori (nel 1795 scoprì e insegnò una semplice "formula di interpolazione" che da lui prese nome, per adattare una curva definita con un polinomio attraverso un insieme di dati); Laplace, infine, fu un ispettore della fondazione. La scuola diventò di colpo il centro di riferimento di una serie di scuole specialistiche di ingegneria. Gli effetti di questo rinnovamento istituzionale, insieme all'accresciuta attività dell'Institut de France e di altre organizzazioni professionali, e un aumento enorme delle possibilità di pubblicare libri e riviste, portarono a una trasformazione globale nella pratica della matematica, nell'educazione, nella ricerca e nell'impiego.
Un'impresa internazionale degli anni Novanta fu la riforma decimale dei pesi e delle misure, avviata dai Francesi (Bugge 1969). Dopo un ampio progetto di triangolazione in cui svolse un ruolo di primo piano l'astronomo Jean-Baptiste-Joseph Delambre, il metro fu definito come 1 decimillesimo della misura (erroneamente) calcolata del quadrante longitudinale della Terra. Fu inoltre introdotto il sistema dei grammi; ma anche una divisione in centesimi del quadrante del cerchio, una delle poche proposte di quello straordinario decennio finale del secolo che non ebbe seguito.