Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La monarchia asburgica è impegnata durante il XVIII secolo in numerosi conflitti che contribuiscono alla sua ascesa come grande potenza europea, e che al tempo stesso la spingono ad avviare importanti riforme civili, amministrative e finanziarie. Tuttavia, le carenze strutturali e la pressione dei ceti che non sono vincolati al destino degli Asburgo e ai loro disegni politici, provocano il sostanziale fallimento dell’azione riformatrice. Negli ultimi anni del secolo l’impero precipita in un clima di immobilismo e di sorveglianza poliziesca.
Durante il regno di Leopoldo I d’Asburgo-Lorena e di Giuseppe I, l’Impero asburgico – pur coinvolto nella guerra di successione spagnola – ha un notevole incremento demografico e un nuovo sviluppo dell’estrazione mineraria, delle manifatture e dei traffici. Vienna, che al tempo dell’assedio ottomano (1683) era un piccolo centro con poche decine di migliaia di abitanti, assume progressivamente il volto di una grande capitale, grazie all’ingrandimento delle residenze di corte (ala leopoldina della Hofburg, inizio dei lavori per la reggia di Schönbrunn) e alla costruzione di numerosi palazzi in città e di ville estive nei sobborghi da parte della nobiltà austriaca, ceca e ungherese. All’ascesa della monarchia asburgica al rango di grande potenza non corrisponde tuttavia un rinnovamento degli apparati e delle strutture di governo: dietro questa facciata di potenza e splendore rimane l’arretratezza complessiva di un’economia e di una società legate al modello dell’azienda agricola signorile e del servaggio contadino, e la fragilità di un edificio politico incapace di comporre in una visione unitaria gli interessi dei vari territori dell’impero e di trovare un centro politico di unificazione e coordinamento dei poteri e degli interessi statuali.
Freddo, ostinato, dotato di un altissimo senso della dignità regale, Carlo VI – secondogenito di Leopoldo I, giunto al trono per l’improvvisa morte del fratello Giuseppe I – crea una corte fastosa dove trionfa il cerimoniale spagnolo. La Spagna resta la sua patria ideale, anche dopo la rinuncia alle pretese al trono di Madrid. Il suo Consiglio è composto prevalentemente diSpagnoli e Italiani, che si scontrano frequentemente con il “partito tedesco” capeggiato da Eugenio di Savoia. “Tutto il genio dell’imperatore è per gli spagnoli – scrive nel 1713 il conte San Martino di Baldissero, osservatore sabaudo – e per li tedeschi ha qualche cosa meno che l’indifferenza”.
Tutti i tentativi del sovrano di dare maggiore omogeneità alla compagine statale vengono vanificati dalle rivalità politiche interne al Consiglio e dalla necessità di dover contrattare con le Diete germaniche le esigue entrate fiscali dello Stato: con una superficie superiore al regno di Francia e una popolazione inferiore, Carlo VI ottiene la quinta parte delle corrispondenti entrate francesi.
Risulta allora necessario per l’erario alienare dazi e monopoli regi e ricorrere a prestiti di banchieri genovesi e olandesi. Qualche aiuto finanziario viene dal Banco della città di Vienna che, fondato nel 1705, è trasformato nel 1720 in un istituto di credito statale.
Anche gli sforzi compiuti per competere con le potenze marittime, con la fondazione nel 1722 della Compagnia di Ostenda, risultano vani: il sovrano è costretto a scioglierla dopo pochi anni. Infatti l’accordo con la Spagna, che procura privilegi commerciali alla Compagnia, spinge l’Inghilterra, in accordo con la Francia e la Spagna, a chiederne lo scioglimento, ottenuto nel trattato di Vienna del 1731. Le operazioni catastali avviate in Lombardia nel 1718 si interrompono nel 1733, mentre la decisione di concedere il porto franco alle città di Trieste e Fiume dà risultati più confortanti.
Come re di Ungheria, Carlo VI è spinto nel 1716 a muovere guerra all’Impero ottomano, allora impegnato contro Venezia: da questa data la spinta austriaca verso i Balcani diventerà una costante per l’Austria fino al crollo dell’impero. Dopo gli iniziali successi del 1716-1718 (con la conquista di Belgrado e del banato di Temesvár), le disfatte patite nel conflittodel 1735-1739 cancellano i risultati ottenuti con la pace di Passarowitz (1718). Anche la partecipazione alla guerra di successione polacca a sostegno di Stanislao Leszczynski si risolve in una sconfitta: Milanoviene occupata dai Franco-Piemontesi e i Regni di Napoli e Sicilia passano ai Borbone.
Un’atmosfera di “pietà barocca” pervade l’impero lasciando il suo segno su edifici religiosi e laici, proiezione – nella loro magnificenza – di un sogno di potenza destinato a rimanere tale. La spinosa questione della successione al trono contribuisce a vanificare gli sforzi assolutistici e riformatori del sovrano: per ottenere il riconoscimento della Prammatica sanzione del 1713 da parte delle Diete e delle potenze straniere, l’imperatore si impegna in lunghe e complesse trattative ed è infine costretto a gravi cedimenti e compromessi.
Arciduchessa d’Austria, regina d’Ungheria e di Boemia, duchessa di Milano e di Parma e Piacenza, Maria Teresa a ventitré anni, intelligente e piena d’energia, eredita un erario dissanguato, un esercito indebolito, demoralizzato e privo di buoni generali, un’istituzione monarchica poco autorevole e un apparato amministrativo lento e pesante. Poche settimane dopo l’ascesa al trono viene sorpresa dall’invasione della Slesia che dà inizio alla guerra di successione austriaca.
La durissima prova attraversata durante i primi anni di regno che si conclude con la perdita della Slesia e di buona parte del Mezzogiorno d’Italia – e il permanere di una struttura dualistica dell’impero – convincono la giovane sovrana della necessità di un potenziamento dell’apparato militare e di un ammodernamento delle strutture finanziarie e amministrative. Già nel corso della guerra i nuovi collaboratori dell’imperatrice riformano il sistema di reclutamento dei soldati. Gli sforzi più rilevanti sono, però, sul piano finanziario e amministrativo: viene sottratta alle Diete locali la competenza sulla ripartizione e sull’esazione delle imposte e viene elevato l’ammontare complessivo dei contributi richiesti. A Vienna Maria Teresa sostituisce le due cancellerie – boema e austriaca – con un unico Directorium in publicis e cameralibus che ha il compito di sovrintendere le finanze, ora separate dagli affari giudiziari. Un nuovo Consiglio – il Credits deputation – è incaricato di creare un’unica cassa per le entrate dello Stato, con il compito di gestire ed estinguere il debito pubblico. Una Corte dei conti viene incaricata di accertare la correttezza delle attività degli organi finanziari.
Nel 1748 sono istituiti i Gubernia (governatorati), a loro volta suddivisi nei Kreisämter (capitanati di circolo): questa riforma, ideata dal nuovo cancelliere Friedrich Wilhelm von Haugwitz sul modello prussiano, viene estesa a tutto il territorio austro-boemo e durerà fino al 1918.
Per Maria Teresa lo Stato deve svolgere una funzione di mediazione politica degli egoismi cetuali e realizzare la “pubblica felicità”: così la nobiltà, tradizionalmente esente dalle imposte sui terreni, è costretta ora a pagarle; per realizzare una più corretta ed equa ripartizione, viene ordinato un riordinamento dei catasti delle varie province.
Compenso per l’aristocrazia è la preferenza accordatale nel conferimento delle cariche e l’istituzione del Collegio Theresianum (1750) oltre che dell’Accademia militare di Wiener-Neustadt (1752).
Il risultato del complesso riordino amministrativo e finanziario concepito da Maria Teresa e dal cancelliere di corte e di Stato Wenzel Anton von Kaunitz-Rietberg – un nobile moravo di grande capacità politica e di notevole levatura intellettuale – è l’aumento immediato (60 percento) del gettito delle imposte e l’affermazione di una nuova concezione unitaria dello Stato, sia pur limitata all’area austro-boema.
Kaunitz è anche l’artefice del “rovesciamento delle alleanze” che pone fine alla tradizionale rivalità tra Asburgo e Borbone e segna l’inizio della guerra dei Sette anni: l’obiettivo della riconquista della Slesia non è raggiunto, ma l’esercito imperiale mostra positivi segni di ripresa grazie alla sua riorganizzazione.
Kaunitz, approfittando dell’emergenza bellica, istituisce inoltre nel 1760 lo Staatsrat (Consiglio di Stato), centro coordinatore e propulsore della sfera politica e amministrativa. È un Consiglio di Stato che rappresenta il supremo organo amministrativo, al quale sono sottoposti tutti gli altri uffici, e che tiene regolarmente adunanze, presiedute dall’imperatrice stessa con la presenza dell’imperatore e del principe ereditario.
Durante il regno di Maria Teresa non mancano comunque gli insuccessi, come ad esempio la mancata concessione nel 1764 da parte della Dieta ungherese di un aumento del contributo fiscale, o la mancata risoluzione del problema contadino a causa dell’accanita resistenza nobiliare, almeno fino alla rivolta boema del 1775. Maria Teresa chiede infatti ai nobili boemi titolari di diritti feudali di produrre i documenti attestanti tali diritti; i contadini, che stanno subendo gli effetti di una congiuntura economica sfavorevole, caratterizzata da una serie di cattivi raccolti, sperano che questo significhi la liberazione dalle corvées. La delusione porta alla rivolta che viene repressa dall’esercito, anche se vengono attenuati gli obblighi servili.
Le vicende belliche condizionano le riforme iniziate negli anni 1748-1749: lo slancio riformatore di cui dà prova la monarchia asburgica negli anni Sessanta del XVIII secolo è rallentato. Nel 1761-1762 il deficit di bilancio ammonta, nonostante le maggiori entrate, a 22 milioni di fiorini.
Inevitabile diventa il ricorso alle ricchezze ecclesiastiche: nel 1764 viene istituita inLombardia la Giunta economale, con cui l’autorità civile si riserva il controllo sulla Chiesa. In Austria nel 1769 viene creato il Concessus in publico-ecclesiasticis con il compito di ridurre i privilegi ecclesiastici.
Quando, nel 1765, muore Francesco Stefano – marito di Maria Teresa e imperatore delSacro Romano Impero – gli succede Giuseppe II nominato dalla madre coreggente degli Stati ereditari asburgici. Austero, inflessibile e determinato, Giuseppe dedica tutte le sue energie all’opera di rafforzamento e di omogeneizzazione del plurinazionale impero. Durante il suo regno,soprattutto tra il 1780 e il 1790 – quando sostiene da solo le sorti della monarchia –, mutano non tanto gli indirizzi di fondo della politica statale quanto lo stile di governo e la qualità e quantità degli interventi politici e amministrativi. “Da quando sono salito sul trono” – afferma Giuseppe – “ho fatto della filosofia la legislatrice del mio impero”.
Giuseppe II si lascia guidare nell’opera di governo dalle idee fisiocratiche e illuministiche. Cercando di attuare il principio della “libertà del lavoro”, tra il 1781 e il 1785 – dopo alcuni provvedimenti volti a proteggere i contadini dagli arbìtrisignorili – abolisce la servitù della glebain vaste aree dell’impero e cerca di rendere più equa la ripartizione delle imposte. Il tentativo di eliminare le corvées suscita violente reazioni nobiliari: Leopoldo II sarà costretto a tornare al sistema fiscale teresiano.
Nei confronti dell’industria e del commercio la politica asburgica è volta a unificare il mercato interno e a smantellare il potere delle corporazioni: vengono soppressi dazi e pedaggi e agevolate le manifatture con effetti positivi nel settore tessile e metallurgico.
Dall’imperatore prende il nome la politica religiosa nota come “giuseppinismo”, in cui confluiscono istanze sia di riforma della Chiesa cattolica sia giurisdizionalistiche, al fine di affermare la sovranità dello Stato e di indirizzare le pratiche del culto secondo i canoni della “regolata devozione” di Ludovico Muratori: uno dei provvedimenti più significativi è l’emanazione nel 1781 della “patente di tolleranza” con cui viene legittimato il culto per le confessioni protestanti e greco-ortodossa e sono abolite le discriminazioni verso gli ebrei.
Nel decennio giuseppino subisce inoltre un’accelerazione il processo di codificazione del diritto, già iniziato con Maria Teresa, fino alla promulgazione del codice penale (1787) che vieta la tortura, limita la pena di morte e prescinde nella considerazione delle pene dal ceto del colpevole.
Nella sua attività assolutistico-riformatrice Giuseppe II sembra tuttavia trascurare il peso del particolarismo e delle tradizioni, in un impero fondato sul reciproco riconoscimento delle individualità storiche e politiche. Per l’imperatore non esistono Austriaci, Boemi, Lombardi, Magiari e Fiamminghi: ci sono solo i sudditi, con diritti e doveri nei confronti dello Stato. Alla sua morte la protesta serpeggia un po’ ovunque: l’Ungheria è in rivolta, i Paesi Bassi proclamano l’indipendenza, i territori austro-boemi sono in fermento.
La difficile eredità di Giuseppe II, nella nuova congiuntura internazionale derivata dall’inizio della rivoluzione in Francia, costringe il fratello Leopoldo II a fare ampie concessioni ai ceti privilegiati: cercando la via del compromesso, dell’ampio disegno giuseppino il nuovo imperatore può salvare solo la sostanza delle riforme catastali ed ecclesiastiche. Mescolando abilmente azioni di forza e concessioni, riesce a restituire stabilità alle regioni più inquiete dell’impero. Con il figlio Francesco II si chiude in Austria l’era dell’assolutismo illuminato: l’impero si avvia a diventare una “prigione di popoli”.
Mezzo secolo di attività riformatrice lo ha tuttavia trasformato radicalmente. Eredità dell’etàteresiana e giuseppina sono una buona amministrazione, un esercito completamente rinnovato, una burocrazia efficiente e un considerevole sviluppo dei traffici e delle manifatture.