Dopo aver subito una sanguinosa repressione da parte del regime di Siad Barre, nel maggio 1991 il maggiore partito di opposizione nel nord, il Somali National Movement (Snm), autoproclamò entro i confini dell’ex Somaliland inglese l’indipendenza della Repubblica del Somaliland, secedendo dalla Repubblica di Somalia. Il nuovo Somaliland si è rifiutato di partecipare alle iniziative internazionali di pace per la Somalia, con l’intento di affermare la propria autonomia e sottolineare il processo di ricomposizione sociale e istituzionale in corso nel nord del paese. Sotto la guida dell’allora presidente Mohamed Ibrahim Egal, la transizione ha fatto perno sui maggiori clan della regione e ha combinato con successo elementi della statualità occidentale e istituti consuetudinari della società pastorale somala. Nel 1997 è stata varata la nuova Costituzione, approvata poi nel 2001 da un referendum popolare: il parlamento bicamerale è formato da una Camera bassa di deputati eletti e da una Camera alta o Guurti (‘Consiglio degli anziani’), formata appunto da ‘elders’.
Il sistema giudiziario è stato ripristinato nella sua autonomia operativa e decisionale, ricorrendo a un corpus giuridico che compendia le consuetudini e le regole di diritto islamico con quelle di derivazione occidentale (Common Law britannico). Dopo la morte di Mohamed Ibrahim Egal nel maggio del 2002, la presidenza venne assunta dall’allora vice presidente Dahir Rayale Kahin, che, alla guida dello United Peoples’ Democratic Party, vinse le prime elezioni nel 2005. Le consultazioni (ritardate) del 2010 hanno segnato la sconfitta del presidente uscente in favore di Ahmed Mohamed Mahamoud ‘Silanyo’, il candidato del Peace, Unity, and Development Party. Le elezioni hanno registrato un grado accettabile di trasparenza e concorrenza tra i tre maggiori partiti che, attraverso una base composita, includono più clan nella stessa rappresentanza politica. L’indipendenza del paese attende ancora il riconoscimento della comunità internazionale.