L’idea di rappresentanza politica nasce nel medioevo, in corrispondenza con la nascita delle istituzioni parlamentari (Parlamento). La nozione di rappresentanza politica era, infatti, sconosciuta sia al mondo romano che al mondo greco (Democrazia): come ben messo in evidenza da B. Constant, sia a Roma che nella Grecia antica la partecipazione politica si esplicitava nella partecipazione diretta all’assemblea popolare, laddove la partecipazione alla vita politica dei moderni passa per la rappresentanza politica, cioè attraverso l’elezione di un corpo politico incaricato di trattare gli affari generali di uno Stato. La nozione di rappresentanza politica, quindi, postula una differenziazione tra governanti e governati. D’altra parte, la rappresentanza politica è una necessità ineliminabile della vita moderna: l’estensione territoriale degli Stati, infatti, impedisce fisicamente che i cittadini si possano riunire in un unico luogo e deliberare direttamente.
Occorre dire che vi è una profonda differenza tra la concezione medievale della rappresentanza politica e quella moderna, in quanto le rappresentanze politiche medievali avevano un carattere per lo più di tipo organico e corporativo, di natura sostanzialmente privatistica: i componenti delle assemblee parlamentari medievali agivano come puri e semplici mandatari di coloro che rappresentavano, laddove la rappresentanza politica moderna si caratterizza, invece, per gli opposti principi della rappresentanza nazionale (il deputato rappresenta l’intera nazione e non solamente i propri elettori) e del divieto del mandato imperativo (gli elettori non possono dare istruzioni giuridicamente vincolanti agli eletti, né possono revocarli). Si può dire, anzi, che la rappresentanza nazionale e il divieto del mandato imperativo costituiscano il fondamento teorico della rappresentanza politica moderna e del costituzionalismo liberale, tant’è che sono presenti in tutte le Carte costituzionali che si ispirano a tali principi (art. 7, sez. III, cap. I, tit. III, Cost. Francia 1791; art. 41 Statuto albertino; artt. 34 e 35 Cost. Francia 1848; parr. 93 e 96 Cost. Francoforte 1849; art. 29 Cost. Germania 1871; art. 21 Cost. Germania 1919; art. 67 Cost.; art. 38 Legge fondamentale Germania 1949; art. 27 Cost. Francia 1958; art. 152 Cost. Portogallo 1976; artt. 66 e 67 Cost. Spagna 1978; art. 161 Cost. Svizzera 1999), con le uniche eccezioni rappresentate dalla Costituzione U.S.A. del 1787 e dalla Costituzione francese del 1793, la quale si limitava ad affermare che ogni deputato appartiene alla nazione intera (art. 29). Con l’affermazione dello Stato liberale (Forme di Stato e forme di governo) e il definitivo superamento della società divisa in ceti, infatti, il Parlamento diventa il luogo della sintesi politica degli interessi particolari nell’interesse generale e questa sintesi è logicamente (oltreché giuridicamente) incompatibile con l’idea che i deputati siano i mandatari dei soli propri elettori.
Ben diverso è, invece, il caso degli Stati socialisti: la contestazione radicale dei principi del costituzionalismo liberale porta, infatti, ad affermare, in tema di rappresentanza politica, gli opposti principi del mandato imperativo e della revocabilità degli eletti (art. 142 Cost. U.R.S.S. 1936; artt. 1, 5 e 87 Cost. Polonia 1952; artt. 56 e 57 Cost. D.D.R. 1974; artt. 102 e 107 Cost. U.R.S.S. 1977).