L'Italia romana delle Regiones. Regio V Picenum: Ascoli Piceno
Città delle Marche (lat. Ausculum), costruita sfruttando la naturale fortificazione offerta su due lati dai fiumi Tronto e Castellano e su un terzo lato dal colle dell’Annunziata.
La caratteristica della sua difendibilità è ricordata anche da Strabone (V, 4, 2). Un insediamento doveva esistere in epoca neolitica ed eneolitica, come testimoniano i ritrovamenti di utensili litici venuti alla luce nell’attuale centro urbano; le fonti attribuiscono la sua fondazione al ver sacrum dei Sabini, collocabile tra l’VIII e il VI sec. a.C. (Fest., p. 235 Lindsay; Plin., Nat. hist., III, 110). Pur essendo A.P. la capitale del Piceno, sporadici sono i rinvenimenti riferibili a quell’epoca, come alcune tombe scoperte nel centro storico e a Campo Parignano e frammenti di ceramica recuperati nel corso del restauro del ponte romano di Porta Solestà; testimonianze di epoca picena abbondano invece nel territorio circostante, tra queste il cippo con iscrizione da Castignano, conservato nel Museo Archeologico.
Conquistata dai Romani nel 268 a.C., da A.P. scaturì nel 91 a.C. la guerra sociale (Vell., II, 15, 1; App., Bell. civ., I, 38; Flor., II, 6, 9; Oros., V, 18, 8) conclusasi con la distruzione della città per opera di Pompeo Strabone ricordata anche nei Fasti (CIL I2, p. 49; Vell., II, 21, 1; App., Bell. civ., I, 47-48; Plin., Nat. hist., VII, 135; Gell., XV, 4). Le zone dove avvennero gli scontri tra i due eserciti sono state individuate grazie al ritrovamento di “ghiande missili”, i proiettili di piombo che in alcuni casi recano incise reciproche invettive: feri Pomp(eium), feri Pic(entes) (CIL IX, pp. 631-47). Il racconto di Plutarco nella vita di Pompeo Magno, riguardante il processo intentato al padre per l’appropriazione indebita del ricco bottino di guerra, testimonia lo stato fiorente della città (Plut., Pomp., 4). Divenuta municipio nell’88 a.C., A.P. si schierò con Cesare durante la guerra civile e assunse in seguito il rango di colonia triumvirale o augustea; forse la prima ipotesi si può collegare al grande prestigio del concittadino P. Ventidio Basso, partigiano di M. Antonio, l’unico generale romano che riuscì a celebrare un trionfo sui Parti nel 38 a.C. (Strab., VII, 135). A quest’epoca risale l’impianto regolare della città, che presenta una divisione in isolati di tipo ippodameo in cui si inseriscono gli edifici di età augustea e le costruzioni di epoca medievale. A.P. fu evangelizzata secondo la tradizione dal vescovo Emidio, originario di Treviri, divenuto in seguito patrono della città, e venne incorporata tra il 578 e il 580 nel ducato di Spoleto. Dal 774, con l’arrivo di Carlo Magno, ritornò nel dominio della Chiesa. Dal secolo XI alla metà del XIII fu governata dai vescovi-conti, anche se fin dal 1185 era stata riconosciuta la sua costituzione in Comune. Nel 1242 la città venne espugnata da Federico II, che in seguito le concesse il diritto di costruire un proprio porto.
La via Salaria, che univa il Tirreno all’Adriatico anche in tempi più remoti, entrava in città a nord-ovest attraverso la Porta Gemina, da cui partivano le mura a difesa dell’unico punto scoperto della città fino alla sommità del colle dell’Annunziata. Costruite accanto a quelle di età preromana, di cui rimangono resti di arenaria databili al III-II sec. a.C., furono sostituite da quelle medievali ancora visibili. Il percorso della Salaria all’interno della città romana è incerto, identificato da alcuni con l’attuale corso Mazzini, che doveva costituire il decumanus maximus, attraversava il foro corrispondente a piazza del Popolo, per uscire alla confluenza dei due fiumi sul ponte di Cecco, distrutto durante l’ultima guerra mondiale e ricostruito nel 1960, o su altro ponte di cui non rimangono tracce. La seconda ipotesi, meno accreditata, è che la Salaria seguisse la direttrice via Dino Angelini - via XX Settembre e il foro quindi fosse collocato in piazza Arringo, mentre il cardo maximus si riconosce nelle attuali vie del Cassero, del Trivio e Pretoriana; le due piazze in età comunale costituirono comunque i due centri del potere cittadino. Un altro ponte a un’arcata, quello di Porta Solestà o Porta Cappuccina, collegava la città con il Settentrione e con Fermo.
Due sono i templi ancora conservati: il primo corinzio, prostilo e tetrastilo, di cui rimangono la cella di opus reticulatum e le due colonne del pronao, fu trasformato nel XIII secolo nella chiesa di S. Gregorio Magno; il secondo, ionico e anch’esso prostilo, presenta in vista la parete sud del podio e della cella su cui fu costruita la chiesa di S. Venanzo. Non è stato possibile identificare le divinità a cui questi templi erano dedicati: le iscrizioni documentano il culto della Fortuna Reduce, di Vesta e di Giove Ottimo Massimo (CIL IX, 5177, 5197, 6414 a), oltre che della più antica dea Ancaria. Resti di due o tre domus, ricoperti dalla costruzione del Palazzo di Giustizia, hanno restituito ambienti con tracce di decorazione parietale di IV stile e pavimenti con mosaici a tessuto geometrico, staccati e conservati nel Museo Archeologico, tra cui uno policromo che presenta un emblema leggibile come testa femminile da un lato e maschile dall’altro. Del teatro, addossato lungo il pendio dell’Annunziata e usato come cava di materiale, rimangono le sostruzioni delle gradinate della cavea e qualche elemento della scena; i resti dell’anfiteatro erano visibili fino al secolo scorso davanti alla chiesa di S. Tommaso.
Notevoli sono le sostruzioni a volta del colle dell’Annunziata, su cui si ergevano uno o più edifici in posizione scenografica sul tipo dei grandi santuari laziali, di cui oggi non rimangono tracce. Tradizioni erudite fanno riferimento a terme nella zona tra la fortezza Malatesta e la chiesa di S. Vittore, all’interno della quale è conservato un blocco di travertino, parte di una trabeazione di un edificio di grandi dimensioni. Una stampa del 1646 nella Biblioteca Comunale, attribuita a E. Ferretti, mostra una sorta di vasca nei giardini del Seminario; poco lontano inoltre scorre il Castellano, con le sue acque sulfuree, che in età romana era utilizzato per l’acquedotto che aveva origine da Castel Trosino, del quale sono stati ritrovati alcuni tratti.
Difficile è la ricostruzione di A.P. paleocristiana, a cui si sono sovrapposte le successive fasi della città. Un luogo di culto doveva trovarsi sotto l’attuale cattedrale, che ha nella cripta capitelli riutilizzati, molti dei quali romanici; anche all’interno del battistero, costruito nel XII sec. d.C. utilizzando materiale di recupero, è stato ritrovato un fonte battesimale del VI sec. d.C. Resti di alcune gallerie sepolcrali sono visibili nella collina in tufo a cui si appoggia il tempietto di S. Emidio alle Grotte, dove la tradizione vuole sia stato seppellito il santo martirizzato nel 309 d.C. Nell’età altomedievale la struttura urbana subì modifiche per gli orientamenti imposti dai dominatori Longobardi e Franchi; la Salaria non costituì più la via commerciale privilegiata, poiché si utilizzava prevalentemente la strada che collegava la città a nord con Fermo, ma soprattutto con Spoleto e a sud con la piazzaforte di Castel Trosino. Sorse inoltre il santuario dedicato all’Arcangelo Michele, il patrono dei Longobardi, oggi chiesa di S. Angelo Magno, intorno al quale si sviluppò un quartiere popoloso e dalle vie anguste, che oggi prende il nome di Piazzarola. Nel XIII sec. d.C. la nobiltà feudale si trasferì nuovamente in città, stabilendosi nelle case-torri, edifici protetti da torri gentilizie che, prima della distruzione voluta da Federico II, si avvicinavano al numero di 200 e di cui oggi rimangono numerosi esempi nelle vie delle Torri e dei Soderini, dove si innalza la cosiddetta Torre degli Ercolani.
L’edilizia sacra è rappresentata da numerose costruzioni, come le chiese romaniche di S. Maria Intervineas e dei Ss. Vincenzo e Anastasio, ricostruite su precedenti edifici di culto, e le chiese di S. Giacomo, S. Tommaso, S. Pietro in Castello, S. Maria delle Donne, S. Gregorio, S. Vittore e S. Angelo Magno, alcune delle quali presentano influssi di architettura gotica. Particolarmente notevoli sono le chiese monumentali degli Ordini mendicanti realizzate in stile gotico: S. Francesco dei frati Minori, iniziata nel 1258 e terminata nel 1549, S. Pietro Martire dei domenicani e S. Agostino degli agostiniani. Ai principali edifici sacri, come la cattedrale e il battistero, si contrappongono quelli civili: il palazzo del comune, opera del XIII ma rifatta nel XVII secolo, e il Palazzo dei Capitani, risalente alla fine del XII con sovrastrutture e modifiche del XVI secolo, sotto al quale sono venuti alla luce un tratto di basolato romano e strutture di età medievale nel corso di recenti restauri.
Nel periodo delle signorie e nel Rinascimento la città si arricchì di palazzi e di case, i cui portali conservano ancora le iscrizioni con i nomi dei proprietari o dei motti a cui questi si ispiravano. Alle costruzioni parteciparono architetti come Nicola Filotesio detto Cola dell’Amatrice e Antonio da Sangallo il Giovane, chiamato per la ristrutturazione della fortezza Malatesta, mentre altri interventi importanti proseguirono in età barocca.
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