La cancellazione delle società
Le Sezioni Unite nel 2013 hanno dato un importante contributo di chiarezza alla risoluzione delle questioni che si presentano allorché, cancellata una società dal registro delle imprese con effetto estintivo, si riscontri, tuttavia, l’esistenza di diritti o di debiti in capo alla società o la pendenza di giudizi di cui essa sia parte. Le interpretazioni rese dalla Corte rispondono a numerosi dubbi emersi nella pratica, ruotando intorno all’opzione di fondo: la successione dei soci alla società estinta per cancellazione.
Per il diritto vivente anteriore al 2004, la cancellazione della società di persone o di capitali dal registro delle imprese non ne comporta l’estinzione, qualora permangano rapporti non esauriti.
Quest’orientamento, di pura invenzione giurisprudenziale, ha permesso di fornire soluzione a tutte le spinose questioni, sostanziali e processuali, che l’estinzione di un soggetto collettivo comporta.
La riforma del diritto delle società di capitali introdotta con il d.lgs. n. 6 del 2003 ha capovolto la situazione, sancendo apertis verbis che la cancellazione della società dal registro delle imprese ne comporta, in ogni caso, l’estinzione.
Rivivono in pieno, così, problemi di non facile soluzione: dai dubbi sull’appartenenza dei beni e la titolarità di crediti o debiti, già facenti capo alla società estinta, alla sorte dei giudizi che vedono come parte una società cancellata.
Le Sezioni Unite della Cassazione, chiamate ad affrontare tali questioni, vi hanno dato una risposta sistematica con le sentenze del 16 marzo 2013, dalla n. 6070 alla n. 6072.
Ma non si può apprezzare compiutamente lo sforzo ricostruttivo attuato, se non si opera un cenno alla complessità dei problemi applicativi che esse sono state chiamate a risolvere.
1.1 La cancellazione volontaria
Secondo il sovrapponibile disposto del primo comma degli artt. 2312 e 2495 c.c., «approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese».
Mentre l’iscrizione della cancellazione, così come quella dell’atto costitutivo (artt. 2331, 2463, 2523 c.c.), delle società di capitali e delle cooperative ha effetti costitutivi, circa gli effetti della iscrizione della cancellazione per le società di persone le S.U. del 16.3.2013, n. 6070 hanno confermato che ha valore dichiarativo, e dunque può essere cancellata ove si accerti (non la semplice esistenza di rapporti pendenti, ma) la prosecuzione dinamica dell’attività d’impresa.
1.2 La cancellazione d’ufficio
Varie sono le fattispecie cui l’ordinamento ricollega la cancellazione coattiva delle società.
Per le società personali, la prevede l’art. 3 del d.P.R. 23.7.2004, n. 247, in presenza di vari presupposti (fra cui irreperibilità presso la sede, inattività per tre anni, mancata ricostituzione della pluralità dei soci). In tema di società di capitali, il sesto comma dell’art. 2490 c.c. sanziona con la cancellazione dal registro delle imprese le società in liquidazione che, per tre anni, non provvedano a depositare il bilancio annuale di liquidazione. Per l’ipotesi in cui l’assemblea non approvi i bilanci si è proposto di permettere, al fine di scongiurare la cancellazione d’ufficio, il deposito del bilancio non approvato, soluzione che non convince in ragione della tassatività dei casi e modi di iscrizione nel registro.
Con riguardo alle società cooperative, l’art. 2545 octiesdecies, co. 2 e 3, c.c. stabilisce la cancellazione di quelle che non abbiano depositato il bilancio d’esercizio per cinque anni, prevedendo peraltro una forma di tutela per i creditori.
Ancora altre ipotesi la legge conosce, in cui la cancellazione dal registro delle imprese è disposta quale sanzione: così con riguardo alle banche cui, all’esito del concordato di liquidazione coatta, sia revocata l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria, quando l’assemblea non provvede alla conseguente modifica dell’oggetto sociale (art. 94, d.lg. 1.9.1993, n. 385); alle società di mutuo soccorso, cancellate per ordine del Ministero dello sviluppo economico in caso di violazione delle disposizioni di vigilanza (art. 18, d.lg. 2.8.2002, n. 220); alle società di assicurazione, in presenza di sanzioni disciplinari alle persone fisiche (art. 330, d.lg. 7.9.2005, n. 209).
1.3 Gli effetti
Le numerose ipotesi di cancellazione, anche d’ufficio, dal registro delle imprese lasciavano aperti seri problemi circa i rapporti ancora esistenti.
L’orientamento costante della giurisprudenza ante riforma – così noto e costante dal costituire diritto vivente ed esimere da citazioni – era nel senso che la società non si estingue sino a quando ha rapporti o controversie giudiziarie pendenti.
Nel sistema attuale, art. 2495, co. 2, l’inciso iniziale, non lascia dubbi. D’altro canto, sino alla cancellazione tutti gli adempimenti vanno rispettati, tanto che, ad esempio, solo dopo la stessa non è integrato il reato di bancarotta semplice documentale ex art. 217 l. fall., perché l’obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili ex art. 2214 c.c. viene meno solo se la cessazione dell’attività sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese1.
È noto che l’effetto estintivo della cancellazione è stato dalla S.C. interpretato in modo estremamente estensivo: dopo averne, a sezione semplice, affermato la compatibilità con i consorzi con attività esterna cancellati2, il principio è stato applicato3 non solo alle società cancellate prima del 1.1.2004 e da tale data, ma anche alle società di persone, sebbene gli artt. 2312 e 2324 c.c. non parlino espressamente di estinzione delle società personali dopo la cancellazione, che ha di per sé, come l’iscrizione, effetto meramente dichiarativo della cessazione dell’attività, tuttavia facendo l’avvenuta cancellazione dal registro presumere il venir meno dell’ente4.
Dopo l’ineludibile estinzione, occorre poi risolvere un duplice problema: la sorte di beni, crediti e debiti di cui la società sia titolare, e l’iter dei processi in corso, dal momento che nulla il legislatore ha disposto al riguardo.
2.1 La tesi della contitolarità fra i soci
Circa la prima questione, nel corso di un decennio erano state proposte varie soluzioni.
Raccoglieva un certo consenso quella secondo cui i beni, i crediti e i debiti cadono automaticamente in comunione degli ex soci, costituendosi una contitolarità nei diritti e negli obblighi5.
La ricostruzione in termini di comunione, peraltro, lascia permanere alcune questioni, in quanto: a) si deve spiegare, in primo luogo, come avviene il passaggio da società a comunione; b) occorre poi stabilire la misura della partecipazione di ciascun ex socio alla comunione, nonché le modalità di assunzione delle decisioni comuni; c) ove si tratti dell’imputazione di beni immobili, occorre fare i conti con la regola della continuità delle trascrizioni nei passaggi società-soci-terzo acquirente, dato che i cespiti attivi emersi nella fase successiva alla liquidazione sono ancora formalmente intestati alla società cessata ed estinta; d) ove si tratti dell’imputazione dei debiti, la contitolarità fra i soci può presentare effetti svantaggiosi per i creditori e da coordinare con il disposto della nuova disposizione.
a) Sul primo punto, il passaggio delle situazioni soggettive è argomentato in termini di successione universale ereditaria, successione a titolo particolare o trasformazione eterogenea.
Per taluni, dopo la cancellazione ed in presenza di rapporti non esauriti i soci sono i successori universali della società. La tesi era stata a volte accolta dalla S.C. con riguardo ai rapporti attivi6 e ai debiti7, laddove il socio abbia effettivamente ricevuto una somma in base al bilancio finale di liquidazione, per cui egli diventa, al pari dell’erede beneficiato, successore universale intra vires del soggetto estinto; tesi, quest’ultima, avanzata specie dalla Sezione tributaria e che, però, risolve il problema dei processi pendenti solo laddove la società sia soggetto passivo e il socio abbia ricevuto una ripartizione al termine della liquidazione.
Si è proposta8 pure l’analogia con l’eredità giacente; la configurazione, pur richiamata dall’ordinanza interlocutoria di rimessione alle Sezioni Unite9, è stata da queste disattesa, perché resa superflua dalla più coerente individuazione del socio come successore e titolare della legittimazione ordinaria.
La critica (alquanto ovvia) generalmente mossa alla tesi della successione a titolo universale dei soci pro quota nel patrimonio della società è che non sembrano in pieno equiparabili l’estinzione di una persona giuridica e la morte di una persona fisica, posto che la successione presuppone la morte del soggetto cui succede, mentre ai soci la quota di liquidazione perviene per atto inter vivos, in seguito ad un trasferimento dalla società ancora esistente. Il punto, però, attiene ai debiti e beni sociali, non alla quota di liquidazione: se quest’ultima è attribuita dalla società ancora esistente, non così i primi, ove non considerati nel bilancio finale.
Dal suo canto, la ricostruzione quale successione a titolo particolare fa leva sul bilancio finale di liquidazione, il quale consentirebbe l’imputazione ai soci del residuo attivo, quale titolo idoneo ad implicare la sorte anche delle sopravvenienze, sebbene, evidentemente, ivi non specificamente considerate, dunque con una sorta di cessione ex lege, superandosi così pure i problemi della forma scritta e della trascrizione10. Peraltro, anche qui non può non ravvisarsi una forzatura: il bilancio finale di liquidazione, non menzionando espressamente i beni ulteriori, non vale a costituire titolo per il loro trasferimento e quindi a consentirne la trascrizione.
L’individuazione di una trasformazione eterogenea da società a comunione di azienda si presta, infine, alla critica secondo cui l’art. 2498 c.c. pone il principio di continuità, laddove nel caso in esame il soggetto originario per legge non esiste più.
b) Con riguardo alla quota di partecipazione di ciascun ex socio alla comunione, si suggerisce che segua la proporzione dei conferimenti effettuati; per altri, essa dovrebbe determinarsi con riguardo piuttosto alla quota percentuale del residuo attivo attribuita dal bilancio finale di liquidazione a ciascun socio, e solo in assenza di specifica previsione delle rispettive quote (ad esempio, perché in esito alla liquidazione non sia rimasto un attivo da ripartire) potrà essere calcolata in funzione della quota di partecipazione. Circa le modalità di assunzione delle decisioni, varranno le norme della comunione.
c) Per rispettare la regola della continuità delle trascrizioni e, quindi, trascrivere il passaggio società-soci e soci-terzo era stata prospettata, nell’ipotesi di cespiti attivi emersi nella fase successiva alla liquidazione ed ancora formalmente intestati alla società cessata ed estinta, l’applicazione dell’art. 2648 c.c. o dell’art. 2643 c.c., tesi quest’ultima avanzata da coloro che ravvisano un trasferimento particolare in forza del bilancio finale.
d) Un’obiezione formulata, in caso di debiti, alla contitolarità fra i soci è che essa comporta il concorso dei creditori della società con quelli dei soci e li costringe ad agire separatamente contro ciascuno pro quota. Obiezione, sia detto sin d’ora, la quale non inficia l’equilibrio di una soluzione che – come quella della successione dei soci – mira a contemperare esigenze di certezza e tutela dei titolari di diritti; pure la questione del coordinamento con la teoria della contitolarità successoria ed il testo dell’art. 2495 c.c. merita qualche cenno ulteriore (cfr. § 3, lett. e).
2.2 La tesi della portata sistematica dell’art. 10 l. fall.
L’art. 10 l. fall. contempla la fallibilità – per quanto qui interessa – delle società cancellate dal registro delle imprese, entro un anno dalla cancellazione, tutte le volte in cui l’insolvenza si sia manifestata prima di questa o nell’anno successivo.
Almeno per tali fattispecie taluno proponeva di interpretare in combinato disposto gli artt. 2495 c.c. e 10 l. fall., nel senso che le società verso cui sia ancora possibile aprire la procedura concorsuale non si estinguono con la cancellazione, ma, al più, solo dopo un anno da essa o dalla cessazione11.
In quei casi, la cancellazione fa venir meno la personalità giuridica e l’autonomia patrimoniale perfetta, ma non il soggetto: il contratto di società si estingue definitivamente solo con il decorso del termine dell’art. 10 l. fall.
È peraltro evidente che la tesi – ove sia accolta con tale effetto generalizzante del disposto dell’art. 10 l. fall. – ha conseguenze negative per la certezza del diritto, che è proprio quanto il legislatore ha voluto evitare.
2.3 La tesi della cancellazione d’ufficio
Per superare in radice i problemi, si ammetteva talora la cancellazione d’ufficio, ex art. 2191 c.c., della iscrizione della cancellazione12.
Presupposto del provvedimento sarebbe il mero fatto oggettivo del mancato compimento della liquidazione, perché vi sono ancora rapporti attivi o passivi pendenti; il giudice del registro può essere sollecitato da chiunque vi abbia un interesse verificabile, e dunque da soci e creditori, e forse dal liquidatore; si può pensare che «sentito l’interessato» sia risolvibile sentendo l’ultimo liquidatore, oppure nessuno.
Ma quali effetti ha la cancellazione d’ufficio dell’iscrizione della cancellazione, nelle società di capitali e nelle cooperative? Secondo alcuni, ha il valore costitutivo di eliminare ex tunc gli effetti della prima iscrizione; secondo altri, dovrebbe attribuirsi all’iscrizione iniziale solo un effetto dichiarativo (perché l’effetto costitutivo richiede il duplice presupposto della cancellazione e dell’esaurimento dei rapporti) e la cancellazione della cancellazione attesta, appunto, che nessun effetto costitutivo è avvenuto (ma è tesi infondata: basti guardare l’art. 2490, co. 6, c.c. che anche in caso vi fossero sopravvivenze attive dispone la cancellazione).
Le critiche cui la ricostruzione si presta consistono, anzitutto, nel fatto che essa sembra un’abrogazione della riforma, perché «resta ferma» vuole appunto indicare l’effetto irreversibile della cancellazione, senza distinzioni; inoltre, l’art. 2191 c.c. mira a regolarizzare le iscrizioni, non a risolvere contrasti di diritti ed interessi, mentre le parti potrebbero solo sollecitare il giudice, ed il decreto su reclamo non è ricorribile per cassazione; senza contare che, in ipotesi analoghe, si è ritenuto comunque inapplicabile tale rimedio, come per la cancellazione della fusione o della scissione e per quella relativa alla costituzione dei patrimoni destinati; i soci, nel momento in cui approvano il bilancio finale e il piano di riparto, manifestano la loro imprescindibile volontà di porre fine alle attività sociali e ciò significa ottenerne, appunto, la definitiva cancellazione.
2.4 Le conseguenze sul rapporto processuale
Lo specifico problema della sorte del processo deve essere risolto con coerenza.
Ove la cancellazione si verifichi in corso di causa, vi è qualcuno che possa stare in giudizio per proseguirlo, o la conseguenza inevitabile è l’improcedibilità del giudizio (sia la società soggetto attivo oppure passivo della domanda proposta), con una conclusione in rito?
Fra l’altro, la legge non prevede l’opposizione dei creditori alla liquidazione o alla cancellazione e nemmeno alla distribuzione di acconti sulla quota di liquidazione (opposizione contemplata, invece, per altri istituti, mentre per le cooperative c’è il menzionato art. 2545 octiesdecies).
La tesi della successione a titolo universale13 permette di rendere i soci parti e di applicare, quindi, l’art. 110 c.p.c., in quanto nell’espressione qualunque «altra causa» si può comprendere anche la cancellazione che provoca estinzione. Per altri, si verificava invece la successione a titolo particolare dei soci, ma, secondo il disposto dell’art. 111 c.p.c., non potendo il processo proseguire nei confronti della società cessata dalla liquidazione, né dei liquidatori, esso semplicemente continua nei confronti dei soci. La Cassazione ha, comunque, ripetutamente negato la legittimazione in capo all’amministratore o al liquidatore di società dopo la cancellazione (anche a rilasciare la procura)14.
2.5 Le sentenze delle Sezioni Unite del 2013
Le S.U. 12.3.2013, nn. 6070, 6071 e 6072, nel risolvere la questione loro rimessa15, hanno aderito alla tesi della successione universale dei soci.
In un passaggio essenziale, le sentenze sostengono che «il dissolversi della struttura organizzativa … fa naturalmente emergere il sostrato personale» e pongono l’accento sul «carattere strumentale del soggetto società», prendendo quindi posizione quanto a rapporti passivi, rapporti attivi e processo.
Per i primi, il debito in capo ai soci non è nuovo, ma è lo stesso debito (stessa causa, stessa natura) già in capo della società: è, quindi, vero meccanismo successorio e non ne nasce una doversa obbligazione (per le società di persone, il socio risponde in proprio e senza più beneficio di escussione ex art. 2268 e 2304 c.c.).
I soci succedono anche qualora non siano destinatari della distribuzione dell’attivo con il bilancio finale di liquidazione, o non in modo sufficiente; però, possono opporre il limite di responsabilità ex art. 2495 c.c., ove si tratti di società di capitali, lasciando permanere la legittimazione passiva del socio, sebbene la situazione, secondo la Corte, potrebbe a volte rendere insussistente l’interesse del creditore ad agire contro quel socio.
Quanto ai rapporti attivi, in primo luogo le S.U. affermano che, in certi casi, la cancellazione volontaria palesa l’implicita volontà di dismettere il diritto: ciò accade nel caso di poste non iscrivibili in bilancio, quali il credito controverso (le mere pretese azionate o azionabili in giudizio) ed il credito illiquido; in tal caso, il processo pendente si chiuderà con una pronuncia in rito.
Questa generica affermazione di S.U. n. 6070 e n. 6071 diviene specifica nella sentenza S.U. n. 6072: la società che, parte in un giudizio di durata irragionevole, volontariamente si cancelli dal registro delle imprese, senza aver agito per l’accertamento e la liquidazione del diritto all’equo indennizzo, tacitamente rinuncia al diritto medesimo, sicché i soci non succedono alla società estinta nella titolarità del credito indennitario.
Negli altri casi, la cancellazione permette di imputare direttamente ai soci – il sostrato personale – quanto prima era artificiosamente imputato all’ente. Si ha una comunione indivisa dei beni.
La S.C. ribadisce che la cancellazione dal registro delle imprese estingue anche la società di persone: ma qui, data la pubblicità dichiarativa dell’iscrizione della cancellazione, è possibile dare la prova contraria circa l’estinzione, prova che però non deve vertere sul fatto statico della pendenza di rapporti sociali non definiti, ma sul fatto dinamico della continuazione dell’operatività sociale dopo l’avvenuta cancellazione: in tal caso, si potrà procedere, ai sensi dell’art. 2191 c.c., alla cancellazione della cancellazione, cui consegue la presunzione che la società non abbia mai cessato di esistere (più sfumata la posizione con riguardo alle società di capitali, sulle quali la Corte non prende esplicita posizione).
Le conseguenze processuali tratte dalla Corte sono rilevanti:
- la società cancellata non può intraprendere o essere convenuta in giudizio;
- si applica la disciplina della interruzione e riassunzione ex art. 299 ss. c.p.c.;
- se la società viene cancellata in corso di causa, si applica l’art. 110 c.p.c., in quanto nell’espressione «per altra causa» si può comprendere anche la cancellazione che provoca estinzione; non si può applicare, invece, l’art. 111 c.p.c., perché non vi è fenomeno successorio a titolo particolare e manca un soggetto, diverso dai soci, nei cui confronti possa nel frattempo proseguire il giudizio;
- vi è una sola eccezione nell’art. 10 l. fall.: ove il fallimento venga dichiarato entro un anno dalla cancellazione, la società (in persona del legale rappresentante) continua ad essere destinataria della sentenza dichiarativa e delle successive vicende impugnatorie: è una fictio iuris che postula la società esistente, ma ai soli fini del fallimento, come del resto nel caso della persona fisica fallita entro un anno dal suo venir meno16;
- allorché la causa non sia stata interrotta nel grado in cui l’evento della cancellazione è avvenuto, il giudizio d’impugnazione deve svolgersi sempre nei confronti dei soggetti legittimati (la giusta parte), posto che «l’esigenza di stabilità del processo» è limitata al singolo grado: l’impugnazione perciò deve coinvolgere non la società cancellata, ma i suoi soci, perché il regime pubblicitario del registro delle imprese non permette una soluzione diversa (al di fuori del caso speciale entro il grado); in mancanza, l’impugnazione è inammissibile.
Grazie alla propria interpretazione sistematica volta alla certezza del diritto nel rispetto della Costituzione, le S.U. hanno inoltre superato la rimessione alla Corte costituzionale, operata da un giudice di merito17.
Il rapido excursus sui problemi della cancellazione delle società e le risposte fornite dalle S.U. palesano, da un lato, come non fosse possibile darvi soluzione senza un qualche adattamento, se si vuole analogico, degli istituti (non a caso, mediante un iter argomentativo perfettamente consapevole, la Corte incede secondo ragionevolezza: «è ragionevole ipotizzare che …»), e, dall’altro lato, come la ricostruzione accolta sia quella dogmaticamente più coerente ed, anzi, capace di agganciarsi alle radici profonde nella teoria del sostrato della personalità giuridica.
È bene, infatti, osservare come la questione processuale, certamente suscettibile di interessare un numero indefinito di processi in ogni giurisdizione e grado, è solo successiva alla questione centrale, che è di diritto squisitamente societario.
Interessante è testare la soluzione accolta e trarne le conseguenze, alla stregua delle medesime valutandone la tenuta.
a) Fra i soci si instaura una contitolarità nell’obbligazione, ma di tipo parziario (art. 1314 c.c.) e non solidale (art. 1292 c.c.).
Infatti, assimilata la posizione a quella degli eredi, essi rispondono del debito in relazione al valore della quota (art. 754 c.c.), che deroga alla regola secondo cui la solidarietà tra condebitori sussiste salvo diversa previsione di legge (art. 1294 c.c.). Valgono, peraltro, i principi elaborati dalla giurisprudenza al riguardo, come quello secondo cui la regola del debito non eccedente la rispettiva quota è anche tacitamente derogabile dagli eredi, non impedendo che un solo coerede assuma l’obbligo di adempiere l’intero debito18.
Non si tratta di tanti autonomi rapporti, quanti sono i soci, avendo il debito pro quota di ciascuno la sua fonte nel debito sociale, onde l’unicità genetica del rapporto obbligatorio, pur diventando in seguito i vari rapporti autonomi19. Né impedito l’adempimento del terzo con efficacia estintiva dell’obbligazione secondo le regole ordinarie20. Essendo il debito quello stesso già esistente in capo alla società al momento dell’estinzione, esso ricomprende sia la somma capitale e sia gli interessi, nella stessa proporzione21.
b) Per rispettare la regola della continuità delle trascrizioni nel caso di cespiti attivi emersi nella fase successiva alla liquidazione ed ancora formalmente intestati alla società estinta si potrebbe applicare l’art. 2648 c.c., in coerenza, perciò, con la ricostruzione come successione universale ereditaria dalla società ai soci; norma che, però, riguarda la trascrizione dell’accettazione dell’eredità che, invece, nel caso manca.
La tesi della trascrizione contro la società estinta ex art. 2643 c.c., avanzata da coloro che ravvisano un trasferimento particolare in forza del bilancio finale di liquidazione, richiamano il n. 1 del primo comma, secondo cui si devono rendere pubblici con il mezzo della trascrizione «i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili». Si dovrebbe dunque assimilare il bilancio finale di liquidazione, eventualmente insieme all’iniziale atto di ingresso nella società, ad un contratto traslativo. Ma torna la difficoltà sopra esposta: il bilancio, in tesi, ignora quell’immobile.
Secondo alcuni, l’atto notarile dovrebbe specificare che il bene, «in virtù dell’efficacia costitutiva della cancellazione, è divenuto di proprietà degli ex soci» e che essi lo alienano ad un terzo o ad uno di loro, ciascuno per i propri diritti, ipotizzandosi la trascrizione di un atto integrativo del bilancio finale di liquidazione contro la società estinta ed a favore di tutti gli ex soci22. Ma chi dovrebbe compiere tale atto integrativo, posto che il liquidatore ha perso tutti i poteri? Forse gli ex soci contestualmente, quali successori ex lege.
Ai sensi dell’art. 2643 c.c., occorrerebbe individuare un atto da trascrivere uguale e contrario al negozio contemplato nel n. 10.
L’alternativa de iure condito potrebbe essere costituita dal ricorso all’art. 2645 c.c., individuando, all’interno del fenomeno estintivo, un «altro atto o provvedimento» soggetto a trascrizione in quanto «produce in relazione a beni immobili o a diritti immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati nell’art. 2643». Il fatto che, in tesi, l’immobile non sia contemplato nel bilancio finale rende peraltro difficile la soluzione. Cos’è, infatti, che produce l’effetto traslativo in favore dei soci? Nel sistema, come ricostruito dalle Sezioni Unite, è proprio il fatto materiale dell’estinzione – parificata al venir meno della persona fisica – a produrre l’effetto successorio. In mancanza di un’accettazione dell’eredità o di un testamento (art. 2648 c.c.), si deve individuare un atto o un provvedimento trascrivibile: esso potrebbe essere l’atto amministrativo con il quale il conservatore ha disposto l’iscrizione della cancellazione, oppure la domanda del liquidatore volta a cancellare la società seguita dal provvedimento favorevole di iscrizione.
c) Sul piano processuale, alcuni giudizi diventano, per definizione, improcedibili: così quelli di impugnazione delle deliberazioni assembleari o consiliari, proposti contro la società cancellata; ma non i giudizi risarcitori, che possano nel caso residuare.
d) Ci si chiede quale sia la pronuncia da emettere, qualora sia mancata la distribuzione dell’attivo ai (o a taluni) soci e, ciononostante, il creditore li abbia convenuti in giudizio quali successori.
Se il socio non è stato destinatario di alcuna distribuzione dell’attivo (si pensi anche al caso delle cancellazioni sanzionatorie), egli resta successore della società estinta, ma la domanda del creditore è da respingere, perché sarà accolta la corrispondente eccezione del socio circa l’insussistenza dei requisiti ex art. 2312, co. 2, 2324 o 2495, co. 2, c.c.23. In questa prospettiva, va anche ammessa la compensazione delle spese; infatti – sebbene, ove sia stato depositato presso il registro delle imprese il bilancio finale di liquidazione (art. 2492, co. 2), non sia agevole per il creditore sostenere di non essere stato a conoscenza del mancato riparto – sembra comunque che la qualità di litisconsorte del socio e la conseguente normale sua partecipazione al giudizio possano fondare il relativo provvedimento.
Vi è chi ha proposto, viceversa, l’accoglimento della domanda, con la condanna sempre del socio sebbene intra vires hereditatis, proseguendo l’analogia con la posizione di erede (beneficiato)24. Ma ciò sembra ammissibile solo se una qualche distribuzione dell’attivo in capo a quel socio sussista, dato che, in caso contrario, pur dovendo il creditore rivolgere la sua domanda anche verso di lui quale litisconsorte, non potrebbe giustificarsene alcuna condanna.
Piuttosto, la questione è se sia onere del creditore, di allegazione e prova, che una parte dell’attivo sia stata distribuita al socio, o se invece l’onere inverso gravi sul socio. Applicando la regola affermatasi in tema di successione ereditaria, il limite della quota ricevuta ha natura di eccezione in senso stretto da parte del socio, in mancanza potendo il creditore esigere da lui l’intero25.
e) Ove la società avesse disposto di beni quando era ancora in vita, dopo la cancellazione è possibile esperire l’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 c.c. e 67 l. fall., o l’azione di simulazione, per tutelare le ragioni creditorie? La risposta affermativa presuppone la citazione in giudizio dei soci, successori universali della disponente e del terzo; ma non sembra potersene precludere l’esercizio, in ipotesi di operazioni fraudolente.
f) Diversa questione è se, cancellatasi volontariamente la società in presenza di quelli che la Corte chiama mere pretese o crediti illiquidi – i crediti non iscrivibili in bilancio ex art. 2426, n. 8, c.c. – e quindi individuata nella cancellazione una rinuncia tacita ad essi, sia possibile, dopo l’estinzione, al creditore agire ex art. 2901 c.c., per ottenere l’inopponibilità a sé della rinuncia.
Oltre alla difficoltà di provarne gli elementi costitutivi, resta poi il fatto che il creditore dovrebbe ancora esperire un’azione, stavolta surrogatoria ex art. 2900 c.c. nel diritto dei soci, al fine di rendere il credito sociale concreto e liquido: invero, a tal fine non potrebbe provvedere la società, non più esistente; né i soci, che a quel punto verosimilmente non ne avrebbero alcun interesse; non resta, dunque, che lo stesso creditore in surrogatoria, in presenza della loro inerzia. Insomma, una strada lunga e di probabili inadeguati risultati.
g) Il debito dei soci, previsto dall’art. 2495 c.c., è secondo la Corte il medesimo già gravante sulla società, non un debito proprio o sussidiario. Quanto alle società personali, lo stesso è a dirsi per l’azione di cui all’art. 2312 c.c. contro i soci illimitatamente responsabili ed ai sensi dell’art. 2324 c.c. contro accomandatari ed accomandanti (nei limiti della quota di liquidazione): non è l’usuale responsabilità illimitata e personale gravante in proprio sui soci per le obbligazioni sociali, ma è l’obbligazione sociale trasmigrata in capo ai primi.
Per i liquidatori, è azione di responsabilità extracontrattuale proposta dal terzo creditore per una specifica condotta dannosa: l’avere chiuso la liquidazione senza pagare il creditore, con colpa o dolo.
h) Per l’ipotesi di mancata dichiarazione della cancellazione da parte del difensore della società costituita in giudizio, la Corte ha indicato una via intermedia, omettendo di esonerare la controparte in ogni evenienza, e non solo entro il grado, dall’onere di citare i soci in luogo della società estinta, ma processualmente ancora rappresentata dal difensore, a norma dell’art. 300 c.p.c. Si è così assimilata la situazione societaria al fenomeno successorio, attribuendo ai soci la legittimazione processuale ed onerando le altre parti dell’accertamento della situazione presso il registro delle imprese, mentre la tutela dell’affidamento incolpevole della controparte è limitata entro lo stesso grado di giudizio.
In effetti, nel bilanciamento fra il regime pubblicitario erga omnes ex art. 2193 c.c. e la specifica disposizione processuale dell’art. 300 c.p.c., quest’ultima avrebbe potuto prevalere, per la sua natura speciale ed esprimendo il principio dell’autoresponsabilità del difensore, nel momento in cui sceglie di omettere la dichiarazione; mentre non si ravvisano argomenti perché possa parlarsi di affidamento incolpevole della controparte soltanto entro il grado, ma non al momento dell’impugnazione, dato che il comportamento del difensore ed il regime ex art. 2193 c.c. rimangono i medesimi.
Al riguardo, l’orientamento accolto sin dalle Sezioni Unite26 nel 2009 – a fronte della mancanza di disciplina nel codice di rito della possibilità di notificare l’impugnazione presso il procuratore della parte colpita, nel corso del precedente grado di giudizio, da un evento mai dichiarato ex art. 300 c.p.c. – è nel senso che il processo di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati, la cd. giusta parte, a pena di inammissibilità.
La pronuncia è stata preceduta da tre sentenze, con le quali le Sezioni Unite erano passate da una soluzione assai favorevole per l’impugnante, cui era consentito proporre validamente il gravame avverso la parte colpita dall’evento interruttivo mai partecipato ai sensi dell’art. 300 c.p.c. nel precedente grado di giudizio, ad una opposta, in forza della quale il giudizio di impugnazione deve svolgersi nei confronti della cd. giusta parte, con maggior tutela della parte colpita dall’evento e dei successori.
Nel caso a sé stante della società estinta, però, la soluzione è forse troppo penalizzante per la controparte, tenuto conto che non solo l’omessa dichiarazione ex art. 300 c.p.c., ma la stessa cancellazione dal registro delle imprese è evento previsto ed, anzi, volontario (oppure sanzionatorio di condotte volontarie) e che il meccanismo processuale mira, per l’appunto, ad affidare all’esclusiva discrezionalità del difensore la scelta se palesare o no (ai fini prettamente processuali) l’evento che abbia interessato la parte. Insomma, il principio dell’autoresponsabilità appare più appropriato per la società cancellata debitrice (ed i suoi soci) ed il difensore della stessa, piuttosto che per il creditore. Quando, d’altro canto, la società sia creditrice, il difensore è responsabile della scelta di coltivare l’impugnazione a nome della stessa con ultrattività del mandato, o costituirsi per conto dei soci. Si tratterebbe di quell’orientamento già noto, secondo cui la posizione giuridica della società estinta «resta stabilizzata, rispetto alle altre parti e al giudice, quale soggetto giuridico ancora esistente, con correlativa ultrattività del mandato alle liti, pure nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto processuale mediante proposizione di impugnazione»27, con irrilevanza, a tal riguardo, dell’art. 2193 c.c.
La notifica ai soci, secondo l’art. 2495, u.c., c.c., può avvenire nell’ultima sede sociale, purché entro un anno dalla cancellazione.
Manca nella disposizione – che vale per l’azione ex novo, mentre in caso di interruzione del processo la notifica si esegue a tutti gli effetti ai sensi dell’art. 303 c.p.c. – la regola permissiva della notifica collettiva ed impersonale. Ciò onera il creditore della ricerca ed identificazione di tutti i soci, successori universali e litisconsorti; peraltro, deve ammettersi la rinuncia all’azione nei confronti di alcuni, ove il creditore al riguardo riscontri una mancata o scarsa distribuzione di attivo o, comunque, una ridotta capienza del patrimonio individuale, o anche per il mero suo interesse a concentrare il giudizio (ma pur sempre pro quota) solo verso taluni soggetti.
Dall’altro lato, l’ultima sede sociale sovente sarà chiusa o di fatto inidonea a ricevere la notificazione, che potrebbe avvenire frequentemente, pertanto, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., con comprensibile difficoltà pratica dei soci di venire a conoscenza del processo.
l) Nell’ambito del procedimento per la dichiarazione di fallimento, permane invece la legittimazione della società cancellata (e quindi del suo ultimo amministratore o liquidatore), in quanto essa, ai sensi della disposizione speciale dell’art. 10 l. fall., può essere dichiarata fallita entro un anno dalla cancellazione, ove insolvente entro lo stesso periodo.
Il principio, già affermato28, è stato accolto dalle S.U., che vi ravvisano una fictio iuris di esistenza del soggetto collettivo, ai soli fini dell’istruttoria prefallimentare e delle successive impugnazioni. L’opzione è apprezzabile, in quanto, almeno per tale evenienza, esonera il curatore dalla ricerca e dall’individuazione della intera compagine societaria.
Si noti che il secondo comma ammette, sia pure per le sole cancellazioni d’ufficio, la prova della cessazione effettiva in un momento successivo, così che, in pratica, è indefinitamente procrastinabile la dichiarazione di fallimento, ove appunto l’attività d’impresa sia proseguita di fatto. Per tutto questo tempo, sarà l’ultimo legale rappresentante ad agire nel procedimento, in nome e per conto della società cancellata.
In entrambe le evenienze, la società si ritiene perciò non ancora estinta, ma limitatamente a tale procedimento ed in forza della norma derogatoria dell’art. 10. In sostanza, ciò significa affermare che le attività d’impresa hanno effetti che si propagano anche oltre la cancellazione o, per meglio dire, la cessazione dell’attività.
m) Nel diritto tributario, l’art. 36 del d.P.R. 29.9.1973, n. 602 stabilisce tre ordini di responsabilità (mentre l’interruzione del giudizio avviene ai sensi dell’art. 40, d.lgs. 31.121992, n. 546).
In primo luogo, i liquidatori (o gli amministratori se ancora in carica) «rispondono in proprio del pagamento delle imposte» se non soddisfano i crediti tributari, preferendo pagare quelli di ordine inferiore o assegnare beni ai soci. L’integrazione degli elementi della fattispecie comporta la responsabilità del liquidatore, commisurata all’importo dei crediti di imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione. Si tratta di una responsabilità dello stesso tipo di quella dei liquidatori sancita dall’art. 2495 c.c., dunque di natura extracontrattuale, oppure di una responsabilità tributaria che discende dallo stesso debito sociale traslato al liquidatore? Anteriormente alla cancellazione, non può che optarsi per la prima tesi, perché permane il debito della società; ma anche dopo la cancellazione, nonostante le parole del legislatore («rispondono in proprio»), convince la medesima configurazione, posto che successori nel debito sociale sono solo i soci29. Pertanto, il liquidatore in nessun caso sarà legittimato per conto della società ed il processo, di cui questa fosse parte, non potrà dopo l’estinzione essere proseguito da lui o nei suoi confronti.
Dal loro canto, i soci che abbiano ricevuto, nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione, danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o, dopo la liquidazione, beni sociali dai liquidatori, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute nei limiti del valore dei beni stessi, «salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile», relative cioè a quanto percepito con il bilancio finale di liquidazione. Dopo il pronunciamento delle Sezioni Unite, tale responsabilità è omogenea a quella dell’art. 2495 c.c., dunque per debito pervenuto in successione, qualora si collochi in un momento successivo alla cancellazione, con le viste conseguenze processuali; altrimenti, finché la società non è cancellata, si tratta di debito in proprio, di natura risarcitoria, che si aggiunge a quello gravante sulla società.
Infine, rispondono analogamente gli «amministratori che hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali», ed è una responsabilità extracontrattuale verso l’amministrazione finanziaria, che, dopo l’estinzione della società, non li legittima a rappresentarla nel processo.
1 Cass. pen., 19.4.2011, n. 20911; Cass. pen., 11.2.2011, n. 15516; Cass. pen., 11.7.2005, n. 35168.
2 Cass., 18.9.2007, n. 19347, in Foro it., 2008, I, 2953.
3 Così la Corte, ricordando la propria giurisprudenza sulle leggi che incidono sugli effetti, non sui presupposti, di dati istituti: Cass., S.U., 22.2.2010, nn. 4060-4062, fra l’altro in Foro it., 2011, I, 1498, seppur non da tutti condivise, in quanto così si aggirerebbero gli artt. 218 e 223 noviesdecies disp. att. c.c.
4 Le medesime S.U. nn. 4060, 4061, 4062/2010, cit.
5 Qui interessa dar conto dei principali orientamenti teorici al riguardo, con solo sintetiche citazioni: ex plurimis, Fimmanò, F., Angiolini, F., La fase dell’estinzione, in Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, a cura di F. Fimmanò, Milano, 2011, 425-475; Niccolini, G., Art. 2495, in Società di capitali, III, Napoli, 2004, 1841; Speranzin, M., L’estinzione delle società di capitali in seguito alla iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese, in Riv. soc., 2004, 514; id., Recenti sentenze in tema di estinzione di società: osservazioni critiche, in Giur. comm., 2000, 281.
6 In motivazione, cfr. Cass., 11.5.2012, n. 7327, in Foro it., 2012, I, 3060 e Cass., ord. 3.11.2011, n. 22863, in Fisco 1, 2011, 7049.
7 Cass., 16.5.2012, nn. 7676 e 7679, la prima in Fisco 1, 2012, 3771 e la seconda in Foro it., 2012, I, 3059.
8 Salafia, V., Sopravvenienza di attività dopo la cancellazione della società dal registro imprese, in Soc., 2008, 929.
9 Cass., ord. 18.6.2012, n. 9943, in Foro it., I, 3059.
10 Ruotolo, A., Società cancellata dal registro delle imprese e sopravvenienze attive, in AA.VV., Consiglio nazionale del notariato, Studi e materiali, Milano, 2006, 1058.
11 Alleca, G.P., Iscrizione della cancellazione, estinzione e fallimento, in Riv. soc., 2010, 720: ciò perché, altrimenti, non si comprende chi sia il soggetto che fallisce.
12 Un cenno si trova in Cass., 16.7.2010, n. 16758, in Soc., 2011, 5 e Cass., S.U., 9.4.2010, nn. 8426 e 8427, la prima edita in Notariato, 2010, 639, con nota favorevole di Spolidoro. Ancora di recente, vari giudici di merito hanno privilegiato tale ricostruzione: Trib. Cuneo, 16.7.2012, in Soc., 2013, 400 e Trib. Como, 18.5.2007, in Giur. comm., 2008, II, 700, per le sopravvenienze attive. In dottrina, favorevole Tedoldi, A., Cancellazione di società dal registro delle imprese e impugnazioni civili: la parola alle sezioni unite e alla consulta (con una proposta di «immortalità relativa», ad effetti meramente processuali), in Corr. giur., 2012, 1192, il quale in alternativa proponeva di disapplicare il provvedimento di cancellazione ai fini del processo, previo rilievo incidentale dell’insussistenza dei requisiti dell’estinzione.
13 In tal senso, già Cass., 5.12.2012, n. 21773, in Fisco, 2013, 74 sulle società personali; Cass., 10.11.2010, n. 22830, in tema di società di capitali.
14 Cfr., fra le tante, Cass., 11.2.2010, n. 3107 e 12.12.2008, n. 29242.
15 Da Cass., ordinanza 18.6.2012, n. 9943, cit. e ordinanza 10.8.2012, n. 14390, rispettivamente in tema di società di persone e di capitali, nonché da Cass., ordinanza 28.9.2012, n. 16606, sul giudizio di equa riparazione. La soluzione accolta ha avuto il plauso della dottrina: in senso per lo più favorevole cfr., infatti, Consolo, C., Godio, F., Le sezioni unite sull’estinzione di società: la tutela creditoria «ritrovata» (o quasi), in Corr. giur., 2013, 691, i quali dissentono solo dalla soluzione processuale al momento dell’impugnazione, perorando una soluzione legislativa che eviti il litisconsorzio necessario fra gli ex soci; La Croce, G., Gli effetti della cancellazione delle società dal registro delle imprese e il fallimento delle società cessate, in Fallimento, 2013, 831, che perora una diversa soluzione (la legittimazione processuale dei soci) solo per la dichiarazione di fallimento; Cottino, G., La difficile estinzione della società: ancora un intervento (chiarificatore?) delle Sezioni unite, in Giur. it., 2013, 862, il quale dissente sulla natura dichiarativa della cancellazione nelle società personali e della rinuncia tacita per talune situazioni.
16 Nello stesso senso, anche Cass., 30.5.2013, n. 13659.
17 App. Milano, 18.4.2012, in Foro it., 2012, I, 3060.
18 Cass., 8.10.2008, n. 24792; Cass., 30.6.2005, n. 13953.
19 In tema di eredità, cfr. Cass., ord. 27.9.2007, n. 20338, che ne trae conseguenze sulla competenza ex art. 11 c.p.c.
20 Cass., 30.6.2005, n. 13953, cit.
21 In materia ereditaria, cfr. Cass., 19.1.2000, n. 562.
22 Iaccarino, G., Interpretazione della valenza innovativa dell'art. 2495 c.c. ad opera della cassazione dal 2008 al 2013, in Notariato, 2013, 251.
23 Di eccezione in senso proprio parlano, in materia ereditaria, ad es. Cass., 24.10.2008, n. 25764, e 12.7.2007, n. 15592, in Giur. it., 2008, 1693. Con la conseguenza che la sua mancata proposizione espone l’erede – e quindi il socio – alla condanna al pagamento dell’intero.
24 Consolo, C., Godio, F., op. cit.; cfr., in tema di eredità, Cass., 4.9.2012, n. 14821.
25 Cfr., in materia ereditaria, per tale qualificazione Cass., nn. 25764/2008 e 15592/2007.
26 Cass., S.U., 16.12.2009, n. 26279, in Foro it., 2010, I, 56.
27 Cass., 15.6.2004, n. 11269, in Giust. civ., 2004, I, 1948, in tema di fusione ante riforma; nello stesso senso e per la medesima fattispecie, Cass., S.U., 14.9.2010, n. 19509, in Foro it., 2011, I, 472, ed altre successive ed anteriori . Così pure Cass., 4.11.2005, n. 21378, per l’ente pubblico (Usl) soppresso, evento evincibile addirittura da un provvedimento legislativo.
28 Cass., 5.11.2010, n. 22547.
29 V. Cass., 13.7.2012, n. 11968.