Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dopo il Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII e concluso da Paolo VI, la Chiesa cattolica si apre a una dimensione globale e all’ecumenismo, pur ribadendo la dottrina tradizionale in campo morale. Al brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I segue la lunga guida di Giovanni Paolo II, primo papa non italiano dopo 455 anni, che rinnova la presenza della Chiesa nel mondo contemporaneo. Anche Giovanni Paolo II ribadisce la dottrina tradizionale, entrando in conflitto con i movimenti per i diritti civili. Alla sua morte gli succede il cardinale Joseph Ratzinger con il nome di Benedetto XVI.
Paolo VI
Apertosi l’11 ottobre 1962, il Concilio Vaticano II conclude la prima sessione in dicembre. Il 3 giugno 1963 muore Giovanni XXIII, il papa che lo ha voluto e convocato con l’intento di rinnovare la presenza pastorale della Chiesa nel mondo contemporaneo. Profondamente amato per l’essenzialità e la semplicità del suo messaggio, Giovanni XXIII, nei mesi e nei giorni della malattia, dell’agonia e della morte commuove il mondo intero. Per la prima volta, grazie anche alla straordinaria copertura mediatica dell’evento, la figura del papa riunisce nella medesima partecipazione credenti e non credenti. A succedergli viene eletto Giovanni Battista Montini che assume il nome di Paolo VI. Cardinale di Milano, a lungo sostituto nella segreteria di Stato durante il pontificato di Pio XII, Paolo VI orienta il pontificato su una linea di continuità con il predecessore.
Conduce a termine nel 1965 il Concilio Vaticano II da un lato, dall’altro orienta la Chiesa, sin dall’inizio del suo pontificato, con il viaggio a Gerusalemme, lungo una direzione che assume il carattere globale non soltanto per quanto riguarda la cattolicità, ma il mondo contemporaneo. Il suo discorso alle Nazioni Unite, nel 1965, con il grido “Mai più, mai più la guerra” dà espressione a istanze profondamente condivise e attesta l’impegno fattivo del suo pontificato per la cessazione del conflitto in Vietnam.
Il Concilio ha favorito un nuovo linguaggio e un nuovo modo di porsi della Chiesa di fronte all’uomo moderno e ha condotto a un rinvigorimento del ruolo dei vescovi con il riconoscimento della specificità delle conferenze episcopali nazionali, il cui presidente, a eccezione che in Italia in cui è nominato dal papa, viene eletto dall’assemblea dei vescovi medesimi. Il tutto, naturalmente, nel riconoscimento del primato indiscusso del papa.
Tra la seconda metà degli anni Sessanta e la seconda metà degli anni Settanta la Chiesa cattolica è investita pienamente dai fermenti di una società sempre più secolarizzata. In Occidente, e in particolare in Europa, la contestazione giovanile e studentesca ha ripercussioni profonde anche nell’universo cattolico; in America Latina la diffusione della teologia della liberazione rivela il sempre più profondo coinvolgimento di parti consistenti delle Chiese locali nei conflitti sociali e politici che lacerano quei Paesi.
Del resto, l’enciclica di Paolo VI Populorum progressio, resa nota il 28 marzo 1967, assume consapevolezza delle responsabilità dei Paesi europei nel colonialismo, denuncia lo squilibrio tra Paesi ricchi e Terzo Mondo, afferma il diritto di tutti i popoli alla libertà, alla liberazione dalla fame, dalla miseria, dall’ignoranza, dalla miseria. È la più compiuta manifestazione dell’ansia riformatrice, che in quel tempo investe il mondo e tocca anche la Chiesa cattolica.
Sul piano dottrinario, il tormento di Paolo VI, che è quello della Chiesa di fronte alla sfida di un mondo globalizzato e secolarizzato, si risolve nella riaffermazione delle tradizionali visioni della Chiesa. La Sacerdotalis coelibatus, del 24 giugno 1967, ribadisce la castità e il celibato dei preti, la Humanae vitae, l’enciclica più controversa del suo pontificato, riafferma il 25 luglio 1968 la funzione procreativa dell’atto sessuale, respinge la legittimità dell’uso dei contraccettivi e conferma il rifiuto di qualsiasi forma di legalizzazione dell’aborto.
Sul piano dei diritti civili, la Chiesa di Paolo VI conosce una sconfitta, innanzitutto nel terreno a lei più prossimo, l’Italia repubblicana. Nonostante abbia giudicato un vulnus al Concordato la discussione in parlamento di una legge che introduce il divorzio, una maggioranza laica nel 1970 la approva definitivamente. Ne segue, su pressione della Chiesa, un referendum abrogativo, che sancisce nel maggio 1974 la posizione minoritaria dei cattolici intorno alla essenziale questione dei diritti individuali. E nel 1978, la legge che legalizza l’aborto costituisce un’ulteriore prova della divaricazione tra lo Stato laico e la volontà della Chiesa di dominarlo. Anche in questo caso, un referendum nel 1981 sancisce senza ombra di dubbio il carattere minoritario della dottrina cattolica. E seguono negli anni successivi analoghi interventi legislativi in altri Paesi europei di salda tradizione cattolica.
Come si è detto, la contestazione, il fermento che ha investito l’Occidente con il Sessantotto ha pervaso anche la stessa Chiesa. In Italia la crisi colpisce in particolare le ACLI e pare entri in crisi la stessa unità politica dei cattolici. Uno dei casi più clamorosi è quello dell’abate di San Paolo fuori le Mura, don Giovanni Franzoni, prima sospeso a divinis poi ridotto allo stato laicale. Sul fronte tradizionalista, la Chiesa di Paolo VI deve fronteggiare la reazione dei cattolici legati al vescovo Lefebvre, che pongono in discussione alle radici le conclusioni del Vaticano II. Inoltre, la sensibile diminuzione delle vocazioni religiose, come il lento esodo di sacerdoti e di suore pongono il mondo cattolico di fronte alle sfide che la modernità gli oppone.
Gli ultimi mesi dell’esistenza di Paolo VI sono scanditi dalla tragica vicenda di Aldo Moro. L’assistente della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) divenuto papa aveva seguito con partecipazione l’evoluzione del sistema politico italiano, il difficile passaggio dall’egemonia democristiana al pluralismo. Il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro costituiscono una cocente sconfitta anche per il papa, che si impegna in favore dello statista democristiano, ma rifiutando nel contempo il ricatto che il terrorismo rivolge allo Stato democratico.
Il breve interregno di Giovanni Paolo I e il pontificato di Giovanni Paolo II
A Paolo VI succede Albino Luciani, patriarca di Venezia, che assume il nome di Giovanni Paolo I, riassumendo nel nome l’eredità dei suoi predecessori. Nel suo brevissimo pontificato – dura soltanto 33 giorni, “il tempo di un sorriso”, come titola il quotidiano “Le Monde” – Giovanni Paolo I ha solo la possibilità di mostrare l’indirizzo accentuatamente pastorale che avrebbe inteso imprimere al suo pontificato.
Alla sua morte, i tempi si rivelano maturi per l’elezione, dopo 455 anni, di un pontefice non italiano. La scelta dei cardinali cade su Karol Wojtyla, un giovane cardinale polacco, arcivescovo di Cracovia, che sceglie il nome di Giovanni Paolo II. Un papa polacco pone problemi delicati nei rapporti con il mondo sovietico, nei confronti del quale il pontificato di Paolo VI si era distinto per una autonoma Ostpolitik, nel quadro della distensione internazionale. Fin dal principio del suo pontificato, con i viaggi pastorali nella sua terra d’origine Giovanni Paolo II intraprende una sfida tutta ideale nei confronti dei regimi comunisti. Non a caso, nel suo Paese è possibile l’esperienza di Solidarnosc, il sindacato cattolico di massa che mette in evidenza la crisi di credibilità dei regimi satelliti dell’Unione Sovietica. Certo, le cause della caduta dei regimi comunisti dell’Est europeo sono assai più complesse, ma la Chiesa ha la capacità di trasformare il dissenso in un progetto che, come nel caso di Solidarnosc, vide la convergenza di cattolici e laici, traghettando la Polonia in modo pacifico verso un sistema politico di tipo occidentale. Non è escluso che in questo contesto possa essere collocato il gravissimo attentato che subisce il 13 maggio 1981 a opera di un appartenente a un gruppo dell’estrema destra turca, Ali Agca, che ha collegamenti con servizi segreti di Paesi dell’Est. Ma la natura dell’attentato rimane ancora oggi oscura.
Più in generale, il pontificato di Giovanni Paolo II è nella prima fase teso al rilancio dell’identità e della dottrina cattolica in una dimensione planetaria. Compie moltissimi viaggi, che sono al tempo stesso attestazione della consapevolezza del carattere mondiale della Chiesa, opera di evangelizzazione, manifestazione di ecumenismo e di dialogo. Tuttavia, per compiti di così straordinario impegno, era necessario ritrovare l’unità che nel mondo cattolico appare perduta. In certo senso, Giovanni Paolo II opera un taglio delle ali, a destra confermando l’interdizione nei confronti dei tradizionalisti con la scomunica di Lefebvre; a sinistra, istruendo un processo a Leonard Boff, il teologo più prestigioso della teologia della liberazione, ridotto al silenzio nel 1984 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger. Il rilancio della cattolicità, la sua dimensione planetaria sono, per così dire, rinvigoriti anche dalla moltiplicazione delle beatificazioni e delle santificazioni, alcune in verità assai discusse, rispetto al passato.
Certo, un ruolo propulsore nella straordinaria popolarità del papa e nel rilancio della cattolicità lo ha la personalità di Wojtyla, impareggiabile comunicatore, capace di suscitare interesse, entusiasmo, condivisione. Uomo carismatico, si differenzia radicalmente nello stile dai suoi predecessori. Ma il contesto nel quale si colloca il suo pontificato è quello della consumazione di tutte le grandi ideologie secolari del Novecento e in particolare la crisi irreversibile del marxismo. Nelle tre encicliche Redemptor hominis del 1979, Dives in misericordia del 1980 e Dominum et vivificantem del 1986 delinea i caratteri teologici del pontificato; nelle Laborem exercens del 1981, Sollicitudo rei socialis del 1987 e Centesimus annus del 1991 rielabora i fondamenti della dottrina sociale della Chiesa. Altre encicliche spaziano dai temi morali, come la Veritatis splendor del 1993 e l’Evangelium vitae del 1995, a quelli ecumenici come la Ut unum sint del 1995, a quelli missionari come Redemptoris missio del 1990, a quelli mariani, come la Redemptoris Mater del 1987, ed eucaristici, come nell’ultima enciclica, Ecclesia de Eucaristia del 2003.
Sui temi della morale sessuale e familiare la Chiesa di Giovanni Paolo II ribadisce, senza i tormenti che avevano angustiato Paolo VI, la sua tradizionale dottrina, fondata sulla centralità nella coppia della funzione procreatrice. Sotto questo profilo, nonostante la grandissima attenzione che circonda l’attività di Giovanni Paolo II, il distacco con le secolarizzate società occidentali si fa sempre più profondo, coinvolgendo anche i credenti. In particolare, sulla contraccezione e sulla legalizzazione dell’aborto, accolta anche dai Paesi tradizionalmente cattolici, la Chiesa ribadisce la sua netta contrarietà. Un altro tema cruciale è quello dell’omosessualità, definita una “tendenza verso un male morale intrinseco” e “un disordine oggettivo”. Pertanto, il riconoscimento, sia pure in gradi diversi, dei diritti legali e civili delle coppie omosessuali trova l’intransigente opposizione della Chiesa.
Il papato di Giovanni Paolo II si contraddistingue per il riconoscimento di errori passati della Chiesa e per la richiesta di perdono per essi, culminata nel giubileo del 2000. In quell’anno, il papa, che già si era recato in visita alla sinagoga di Roma, si sofferma in preghiera, nel corso di una visita in Israele, davanti al Muro del pianto, riconoscendo il ruolo che anche il cattolicesimo ha avuto nella discriminazione e nella persecuzione degli ebrei.
La Chiesa di Giovanni Paolo II ha consapevolezza delle sfide all’umanità provenienti dal mondo globalizzato. In questo quadro, prosegue con altrettanta fermezza nell’opera dei suoi predecessori nella condanna senza esitazione alcuna della guerra e nell’attenzione alle povertà e alle diseguaglianze tra il mondo ricco e opulento e i Paesi poveri, specie dell’Africa, spendendo la propria autorità per la cancellazione del debito di questi ultimi.
Il papa vecchio e malato continua a spendersi negli ultimi anni del suo pontificato e la sua agonia e la sua morte rinnovano nei confronti della Chiesa quella partecipazione planetaria che si era già manifestata 42 anni prima negli ultimi giorni di Giovanni XXIII, ancorché lo sviluppo potente dei media renda ancora più intensa la condivisione del dolore per la sua scomparsa.
Nonostante la crescita delle Chiese extraeuropee, la prevalenza del Vecchio Continente è puntualmente confermata dall’ultimo conclave che il 19 aprile innalza al soglio pontificio il cardinale Joseph Ratzinger, che assume il nome di Benedetto XVI. Nato nel 1927, egli è stato per oltre vent’anni uno dei maggiori collaboratori di Giovanni Paolo II, che nel 1981 lo nomina prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Benedetto XVI, nel suo discorso al popolo romano riunito in piazza San Pietro, il giorno della sua elezione a papa si definisce “un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”.