La Chiesa cattolica e le altre Chiese cristiane
La fine della Repubblica aristocratica di Venezia ebbe conseguenze profonde anche sulle istituzioni ecclesiastiche presenti nella città lagunare(1). Nell'arco di un quarto di secolo (1797-1821) gli interventi di politica ecclesiastica promossi dalle autorità civili e i tentativi di adattamento alla nuova realtà intrapresi da quelle della Chiesa cattolica si intrecciarono dando vita a volte a convergenze, altre volte a opposizioni, ma causando nell'insieme un radicale stravolgimento del complesso sistema di istituzioni ecclesiastiche che si era venuto configurando nel corso dei secoli(2). La Nunziatura pontificia fu abolita in seguito a una disposizione degli austriaci presa il 25 maggio 1798(3). Sempre per volontà austriaca, e per evitare che per suo mezzo Roma si ingerisse nella politica dell'Impero, nel 1802 fu soppresso il tribunale veneziano del Sant'Uffizio (4).
I ripetuti tentativi di porre fine al primiceriato di S. Marco (l'antica chiesa ducale fondata sul giuspatronato del doge), perseguiti vanamente dalla Municipalità democratica nel 1797 e poi dagli austriaci nel 1802, giunsero a maturazione per impulso del napoleonico Regno d'Italia, che ne decise la soppressione con decreto del 19 ottobre 1807, stabilendo contemporaneamente il trasferimento della cattedrale del Patriarcato di Venezia da S. Pietro di Castello a S. Marco(5). Meno di due mesi più tardi, il 7 dicembre Napoleone decise un altro significativo intervento di razionalizzazione pastorale e amministrativa delle istituzioni della Chiesa cattolica presenti a Venezia, stabilendo la riduzione delle parrocchie cittadine da sessantanove a quaranta, l'accorpamento del territorio e la concentrazione delle rendite di quelle soppresse (concedendone ai titolari il mantenimento fino alla morte o alla promozione ad altro ufficio). Le chiese parrocchiali abolite furono trasformate in succursali o sottratte al culto(6). Si dovette invece alle autorità austriache, ma dopo il loro ritorno nel Veneto nel 1814, la realizzazione del progetto abbozzato a suo tempo dal patriarca Nicola Saverio Gamboni, relativo al trasferimento del seminario patriarcale da S. Cipriano, a Murano, all'ex convento dei Somaschi, alla Salute(7). Inoltre su istanza del governo imperiale, che intendeva ottenere la conferma canonica di modificazioni in parte già realizzate dalle autorità politiche negli anni precedenti, il 1° maggio 1818 Pio VII razionalizzò i confini del Patriarcato di Venezia attraverso l'accorpamento al suo territorio delle diocesi di Torcello e di Caorle e la sottrazione delle sei parrocchie patriarcali situate nella zona di Conegliano, di quelle di Latisana e Grado, tutte non contigue al resto del territorio della diocesi veneziana. Inoltre estese la giurisdizione metropolitana della sede patriarcale di Venezia a tutte le diocesi del Veneto, del Friuli e dell'Istria(8).
I cambiamenti coinvolsero anche le altre comunità religiose presenti a Venezia, quelle greca ortodossa(9), luterana(10) ed ebraica(11), alle quali l'avvento della Municipalità democratica assicurò per la prima volta la libertà di culto, anche se in realtà l'attuazione di questo principio fu osteggiato da una parte del clero cattolico, le cui resistenze trovarono eco in alcuni municipalisti(12).
Nell'insieme per la comunità greca ortodossa di Venezia la fine della Repubblica aristocratica segnava l'inizio di una decadenza che si sarebbe prolungata nel corso dell'Ottocento, in particolare per la dispersione dei suoi membri causata dal risorgimento greco(13). La comunità luterana, composta sostanzialmente da tedeschi, nel 1806 fu invitata dalle autorità napoleoniche a lasciare il Fondaco dei Tedeschi. L'introduzione della libertà di culto permise la trasformazione della Nazione alemanna in Chiesa e ne consentì lo sviluppo, che a inizio Ottocento ebbe i suoi momenti di maggiore portata nell'approvazione dell'"Atto Organizzativo della Comunità Cristiana-Evangelica di Confessione Augustana a Venezia" (1810) e nell'apertura di un luogo pubblico di culto nell'ex scuola dell'Angelo Custode, in campo SS. Apostoli, dapprima presa in affitto nel 1813 e quindi l'anno successivo acquistata dal demanio(14). Ma l'aggregazione della comunità veneziana al Concistoro di Vienna, decisa dalle autorità austriache nel 1814 dopo il ritorno del Veneto sotto il controllo degli imperiali, la privò nuovamente della piena libertà(15). Ulteriori restrizioni, relative all'esercizio del culto e alla vita della locale Chiesa luterana, furono imposte dal governo di Vienna nel 1817 con l'assunzione di una serie di provvedimenti che intendevano ridefinire le libertà concesse ai luterani in linea con la patente di tolleranza del 1781(16).
I repentini cambiamenti che seguirono alla rottura del secolare equilibrio di fondo garantito dalla Repubblica aristocratica investirono non solamente l'ambito istituzionale delle Chiese, ma riguardarono la religiosità nei suoi diversi aspetti. Anche in Italia e a Venezia, sebbene in misura molto più limitata che in Francia(17), il giacobinismo e il riformismo napoleonico avevano comportato un incipiente sviluppo di processi di laicizzazione e di secolarizzazione. Ne furono oggetto innanzitutto i rapporti tra le istituzioni civili e quelle ecclesiastiche, che nel Veneto da quel momento uscirono definitivamente dallo schema delle società di antico regime, anche perché l'Austria, dopo avere ripreso il controllo della regione, diede corso a una politica ecclesiastica giurisdizionalistica di impronta giuseppina(18).
Ma i mutamenti incisero anche sui comportamenti collettivi e individuali. Nell'insieme l'impatto della stagione napoleonica sulla moralità e sulla religiosità della popolazione italiana fu modesto, ma la rilettura che l'episcopato e il clero cattolici ne intrapresero, fino agli anni Trenta, sottolineò con insistenza proprio il nesso tra le correnti culturali che avevano caratterizzato il periodo napoleonico e le manifestazioni di immoralità e incredulità che sembravano connotare la società in modo crescente(19). Questa reazione, che rapidamente si allargò a condannare tutto ciò che era scaturito dalla Rivoluzione, ma avviò anche una critica della politica intrapresa dalle monarchie assolute, portò con il passare degli anni allo sviluppo del mito della cristianità medievale come risposta alla scristianizzazione della società, e alla proposizione della Chiesa cattolica raccolta attorno al papa come unico soggetto capace di assicurare il ripristino di una società civile ordinata(20).
A Venezia il patriarca Francesco Milesi, nominato dall'imperatore l'8 dicembre 1815 ma entrato in diocesi solamente nel novembre 1816(21), denunciò ripetutamente gli effetti perversi derivati dal governo francese, al cui rimedio intese dedicare il principale impegno del suo ministero e di quello del clero(22). I suoi interventi però furono connotati da una prospettiva di "mansuetudine pastorale" volta a non calcare la mano sulle responsabilità del periodo napoleonico nella diffusione della corruzione morale nella società, e a piegare l'analisi dei mali al recupero al cattolicesimo di coloro che se ne erano allontanati. Si trattava di un'ottica che nelle riletture di quei fatti operate dall'episcopato e dal clero italiani durante i primi anni della Restaurazione ricorreva più frequentemente di quella caratterizzata da un giudizio di aspra condanna(23).
I disordini non erano circoscritti ai laici, ma avevano raggiunto anche il clero, che all'inizio degli anni Venti Francesco I, facendo riferimento alla situazione dell'intero Veneto, dipingeva a fosche tinte: "allo stesso [clero] mancano istruzione ed educazione. È composto di una massa di persone ignoranti, provenienti dal ceto più volgare, non gode di alcun rispetto pubblico e non è in grado né di predicare né di spiegare la dottrina cristiana così che il popolo in fatto di religione vive nella più completa ignoranza"(24). Milesi era convinto che anche nelle deficienze del clero, che cercò di correggere, risiedesse una delle cause che avevano portato all'abbandono della religione cattolica. Era una persuasione fondata sul tradizionale assioma che istituiva una dipendenza diretta del popolo dal clero (ai parroci "non può essere ignoto, che dalla scandalosa vita de' Sacerdoti ne viene in conseguenza la rovina del popolo di Dio"(25)), che poggiava su una concezione del rapporto Chiesa-società che affidava alla prima la guida morale della seconda, con strette implicazioni sulla definizione delle regole della comunità civile.
Il problema era connesso alla diminuita consistenza numerica e all'invecchiamento del clero veneziano, causati in primo luogo dalla riduzione delle ordinazioni presbiterali, che a Venezia era iniziata tra la metà degli anni Sessanta e quella degli anni Ottanta del Settecento, si era accentuata nell'ultimo decennio del secolo e aveva raggiunto dimensioni eccezionali durante l'età napoleonica(26). In un esposto al governo del maggio 1817 Milesi indicava tra le ragioni di questo crollo la mancanza di sicurezze economiche che era conseguita all'abolizione dei benefici; lo status di non congruati che caratterizzava i cooperatori parrocchiali, che li spingeva a procacciarsi altri impieghi; e infine il timore che il sacerdozio portasse a "una vita miserabile e stentata"(27). Nel 1818 l'attribuzione da parte del governo austriaco al clero in cura d'anime di alcune considerevoli competenze nell'ambito dell'amministrazione pubblica (cura dei registri anagrafici, amministrazione delle opere pie di assistenza, ispezione delle scuole) contribuì in parte a risollevare l'immagine del prete curato, ma al contempo lo trasformò in un funzionario alle dipendenze dello Stato(28).
In realtà anche sulla situazione religiosa gravavano le conseguenze delle difficili condizioni economiche in cui Venezia versava ormai da un ventennio. Se ne rese conto lucidamente il successore di Milesi, l'ungherese Johann Ladislaus Pyrker von Oberwarth(29), che cercò di contribuire alla soluzione di questo nodo decisivo accompagnando l'azione pastorale con una serie di interventi di natura palesemente politica. In ciò Pyrker fu favorito dalle finalità che avevano orientato l'imperatore sul suo nome per la guida della diocesi veneziana: infatti la sua nomina si inseriva pienamente in quella politica di stretto controllo della Chiesa da parte di Vienna che si concretizzò nel ricorso a prelati di lingua tedesca per le sedi episcopali più prestigiose del Lombardo-Veneto(30).
La dimensione di interlocutore accreditato che ne conseguiva fu sfruttata da Pyrker a vantaggio di Venezia. Egli si impegnò per una ripresa economica della città sollecitando dall'imperatore provvedimenti volti a rilanciarne l'attività portuale e quindi i commerci, e a fronteggiare la condizione di indigenza in cui versava una parte della popolazione(31). Di tempra dinamica, Pyrker affrontò con energia anche i problemi connessi con il governo pastorale del Patriarcato. Promosse una riforma del clero che fu articolata in un ampliamento della sua istruzione attraverso una piena ricezione nel seminario dei programmi scolastici stabiliti dalle autorità imperiali, nella cura della sua azione pastorale (in particolare per ciò che riguardava la predicazione domenicale e la dottrina cristiana), in una rigorosa correzione della sua moralità. Quindi intervenne anche sulla prassi cultuale dei cattolici veneziani - su cui scarso effetto avevano avuto gli interventi napoleonici(32) - che continuava a essere caratterizzata dal devozionalismo, con le sue ridondanti forme di pietà mariana e santorale. Pyrker intraprese uno sfrondamento delle pratiche devozionali e delle forme cultuali esteriori con provvedimenti che urtarono la sensibilità di una parte della popolazione veneziana(33).
Nonostante la linea di asserita tolleranza nei confronti dei culti diversi da quello cattolico introdotta nel Veneto dalle autorità austriache, durante la Restaurazione la situazione delle Chiese cristiane di origine riformata e della Chiesa greca ortodossa rimase difficile. Nel 1816 il governatore Peter von Goess e nel 1820 il suo successore Karl Borromäus von Inzaghi invitarono la polizia e la censura a reprimere la diffusione nel Veneto di bibbie e altri opuscoli di orientamento riformato. In particolare von Inzaghi compì una saldatura tra l'azione di propaganda protestante, volta a riformare la Chiesa cattolica, e le trame della carboneria contro le istituzioni del Regno lombardo-veneto, attribuendo dunque alla repressione della prima un significato eminentemente politico: la difesa dello status quo(34). Si trattava della ripresa da parte delle autorità civili di quell'alleanza fra Chiesa e Stato che la cultura cattolica intransigente allora andava proponendo come baluardo contro la sovversione sociale - strettamente connessa con la distruzione del cristianesimo, identificato tout court con il cattolicesimo romano -, le cui origini erano fatte risalire alla Riforma luterana e, attraverso le tesi dell'epoca dei Lumi, erano fatte approdare alla ben più grave crisi aperta dalla Rivoluzione francese e quindi dalle teorie liberali(35).
Nel 1827 a Pyrker succedette Jacopo Monico, che ne continuò l'impegno sul versante ecclesiale e civile. Secondo un'inclinazione meno rigorista del prelato ungherese, Monico attese a sua volta all'elevazione culturale del clero, all'organizzazione della dottrina cristiana e dell'azione pastorale in genere; e reclamò dalle autorità del Regno provvedimenti a favore del rilancio economico della città. Le condizioni generali in cui si svolse il suo governo del Patriarcato mutarono nel tempo per il graduale venire meno del consenso dei veneziani verso le autorità austriache, che entrò definitivamente in crisi agli inizi del 1848(36), e per la nuova linea che Pio IX, eletto papa nel 1846, sembrò volesse imprimere alla Chiesa cattolica nei confronti della situazione politica italiana. Infatti il primo governo di Pio IX fu caratterizzato da incertezze e oscillazioni che suscitarono nell'opinione pubblica l'illusoria speranza di trovarsi di fronte a un papa patriota liberale. Fu un equivoco che durò almeno fino all'allocuzione del 29 aprile 1848, nella quale papa Mastai Ferretti dichiarò di non potere fare guerra a una nazione cattolica come l'Austria e ribadì il proprio ruolo di padre di tutti i popoli. Tuttavia a Venezia il patriarca Monico, consapevole delle crescenti tensioni popolari verso le autorità austriache, già nell'autunno 1847 aveva sottolineato proprio quegli aspetti dell'incerto governo di Pio IX che riaffermavano la natura divina del potere, anche politico, e richiamavano la tradizionale sottomissione alle autorità costituite(37).
Monico era convinto che la monarchia austriaca - pur non esente da difetti, tra cui risaltavano le limitazioni e i vincoli imposti alla Chiesa dalla politica di orientamento giuseppinista - fosse in grado di assicurare meglio di altri governi la difesa del cattolicesimo e del suo ruolo di fondamento della società civile. Dopo i primi sommovimenti all'inizio del febbraio 1848, Monico, sollecitato da Ferdinando I perché favorisse il ritorno dell'ordine in città, prese nettamente le distanze dalle agitazioni, ma allo stesso tempo invitò l'imperatore ad accogliere una parte delle rivendicazioni della piazza, tra cui quelle relative a un migliore funzionamento della pubblica amministrazione e alla concessione di maggiori garanzie per la libertà individuale, e suggerì di accompagnare la "ferma repressione di ogni pubblica perturbazione" con "modi umani e persuasivi"(38).
Lungi dal condividere le rivendicazioni patriottiche, Monico intendeva agevolare la pacificazione e la prosperità economica di Venezia, che a suo avviso non potevano scaturire che dalla conformazione degli ordinamenti pubblici e della politica ai principi della morale cattolica. A questo proposito risulta emblematico che il 23 marzo 1848, acconsentendo alla richiesta del nuovo governo provvisorio veneto di fare celebrare il Te Deum in tutte le chiese parrocchiali, Monico motivasse il provvedimento nella sua circolare ai parroci con il rispetto della religione cattolica che le autorità repubblicane avevano promesso di mantenere e con la mancanza di spargimenti di sangue nel trapasso di regime(39), anche se in realtà questo, come è noto, era stato accompagnato da alcune violenze e uccisioni. Monico si attestò su una linea di sostegno al governo repubblicano, in quanto legittimamente costituito, fin tanto che questi si mostrò ossequente verso la Chiesa cattolica, ma assunse una posizione critica contro tutti quei provvedimenti che ritenne sconfinassero negli ambiti della religione e della morale e che talvolta di fatto toccavano, anche se indirettamente, la sfera d'azione della Chiesa cattolica riducendo, spesso drasticamente, i privilegi sociali di cui aveva potuto godere sotto il precedente regime politico, o ne intaccavano direttamente i beni materiali(40).
Di particolare importanza furono i ripetuti interventi del patriarca di Venezia contro un esercizio arbitrario delle libertà di espressione e di stampa volto a detrimento dei principi e delle istituzioni cattoliche, che a suo avviso si verificò in più occasioni durante i mesi del governo repubblicano(41). Nel ribadire la convinzione che spettasse alla Chiesa il compito di regolare l'applicazione delle libertà di parola e di stampa e di denunciarne gli abusi, Monico elaborò un'amplificazione di alcune tematiche proprie dell'intransigentismo cattolico che erano già state enunciate durante la Restaurazione, e che negli anni successivi, dopo avere ricevuto un ulteriore sviluppo in area veneta ancora con il concorso diretto di Monico(42), furono assunte personalmente da Pio IX attraverso la dichiarazione sancita con il Sillabo nel 1864 sull'assoluta inconciliabilità tra la Chiesa cattolica e la civiltà moderna(43). Inoltre l'eredità del rigido intransigentismo di Monico, raccolta nella città lagunare dai suoi successori più immediati (Mutti e Ramazzotti), influenzò in modo determinante il primo sviluppo dell'associazionismo cattolico veneziano(44).
Dopo che l'Austria ebbe ripreso il controllo del Veneto, Radetzky attuò, soprattutto attraverso il presidente della Luogotenenza di Venezia Georg von Toggenburg, un'accentuata pressione politica e poliziesca sull'episcopato e sul clero della regione per sradicare ogni inclinazione liberale e filoitaliana. La stessa elezione a patriarca di Pietro Aurelio Mutti nel 1852, dopo la scomparsa di Monico, si muoveva nella direzione di assicurare un maggiore controllo sul clero veneziano. Infatti con essa giungeva nella sede patriarcale un benedettino che già come vescovo di Verona si era mostrato fedele alle autorità imperiali e di rigido orientamento intransigente. Proprio Mutti però nell'ottobre 1852 reagì alle sollecitazioni austriache chiarendo che lo spostamento di parte del clero su posizioni filoitaliane era il frutto della crescente delusione generata dalla politica di Vienna nei confronti della Chiesa cattolica(45). Il governo imperiale non rimase sordo alle istanze del patriarca di Venezia: nel tentativo di avvalersi della Chiesa cattolica per consolidare il consenso popolare verso le autorità imperiali intraprese un'attenuazione della legislazione giuseppinista. Si inquadrava in questa prospettiva l'ordine di Radetzky, emanato il 4 aprile 1850, con il quale si riammettevano i Gesuiti a Venezia con oltre due anni di anticipo sulla revoca del decreto d'espulsione dall'Impero della Compagnia di Gesù(46). Inoltre, recependo una specifica richiesta avanzata da Mutti, Vienna accondiscese alla ricerca di un accordo concordatario con la Santa Sede, che fu concluso nell'agosto 1855. Il concordato sulla carta risultò particolarmente favorevole alla Chiesa. Pio IX non mancò di plaudirvi ripetutamente raccomandandone una piena attuazione(47), ma di fatto esso fu largamente disatteso dalle autorità imperiali negli anni successivi(48). Sulla lettera degli accordi concordatari prevalse nel governo austriaco il risorgente orientamento giuseppinista: ai vescovi era concesso di riorganizzare liberamente le diocesi secondo un modello centralizzato, di ispirazione tridentina, che consentisse loro di resistere alle pressioni della burocrazia statale, ma allo stesso tempo essi erano sollecitati a un'adesione incondizionata alla politica di Vienna in una fase di crescenti spinte indipendentiste(49).
Nel 1858 a Mutti, morto l'anno precedente, successe Angelo Francesco Ramazzotti, un prelato di origine lombarda. Dal punto di vista ideologico egli si mosse a sua volta lungo la linea tracciata da Monico e proseguita da Mutti, mostrando però di subire nell'esercizio del suo governo l'influenza degli arcivescovi cardinale Joseph Othmar Rauscher di Vienna e Giuseppe Luigi Trevisanato di Udine(50). Durante il suo breve governo del Patriarcato (1858-1861) furono gettate le basi di una profonda riorganizzazione delle istituzioni ecclesiastiche cattoliche nel Veneto attraverso il recupero di due strumenti, il concilio provinciale e la sinodo diocesana, che vantavano una tradizione secolare, ma che erano caduti in desuetudine da tempo. Era stato Pio IX a rilanciarli intenzionalmente per sollecitare i vescovi a una più efficace difesa dei diritti della Chiesa cattolica nella situazione di particolare difficoltà in cui si era trovata a metà Ottocento e per riorganizzarne la presenza nella società(51). Dopo la ratifica del concordato tra la Santa Sede e l'Austria, Pio IX si era affrettato a raccomandarne la ripresa anche ai vescovi dell'Impero(52). Approfittando del quadro di accordo formale tra Stato e Chiesa delineato dal concordato, ancorché parzialmente incrinato per la mancata attuazione di alcune norme sottoscritte nel 1855, i vescovi della provincia ecclesiastica veneta celebrarono nel 1859 il primo concilio provinciale veneto, che ebbe un particolare significato per i futuri sviluppi della Chiesa cattolica nella regione e a Venezia. Centrato sul richiamo a una stretta ortodossia dottrinale e su una concezione ecclesiologica di stampo giuridico-sociologico(53), il concilio provinciale offrì un ulteriore contributo all'elaborazione della linea intransigente adottata dalla Chiesa cattolica contro la cultura e la società moderne. Alcune decisioni prese dai vescovi durante l'assise del 1859 anticiparono di parecchi anni analoghi provvedimenti che i papi avrebbero esteso all'intera Chiesa. Tra esse spiccavano la riaffermazione del primato di giurisdizione del papa, che il concilio Vaticano I avrebbe sancito definitivamente nel 1870(54); e l'introduzione nell'insegnamento delle scuole teologiche del tomismo, la filosofia che nel 1879 Leone XIII con l'enciclica Aeterni Patris avrebbe posto a fondamento del suo programma di ricostruzione cristiana della società(55).
Un altro punto che il concilio provinciale veneto aveva trattato diffusamente - la necessità di proibire la lettura dei testi proscritti dalla Chiesa cattolica - fornì un motivo di crescente tensione con l'Austria a causa della parziale attuazione delle norme concordatarie che disciplinavano l'esercizio della censura ecclesiastica(56).
L'art. 9 del concordato aveva concesso ai vescovi libertà d'intervento contro la stampa avversa alla religione e alla morale (entrambe identificate tout court con quella cattolica)(57). Sulla base di questa disposizione il 20 gennaio 1856 una circolare di Mutti imponeva il visto preventivo della curia patriarcale alla stampa di qualsiasi testo(58).
Ma l'applicazione della censura sulla stampa, richiesta per esempio dal patriarca Mutti nel dicembre 1855, non incontrò quell'accoglienza favorevole da parte delle autorità austriache che i vescovi del Lombardo-Veneto si attendevano(59). I vescovi veneti se ne lamentarono collettivamente nell'agosto 1858, appellandosi all'imperatore perché il governo facesse ritirare i libri vietati dall'Indice(60). Dopo che il problema fu affrontato anche dal concilio provinciale nel 1859, le reiterate proteste dei vescovi veneti spinsero Francesco Giuseppe a disporre nel marzo 1860 che qualora essi avessero ritenuto insufficienti le misure specifiche concesse dal concordato avrebbero potuto rivolgersi direttamente alla Luogotenenza indicando le pubblicazioni di cui sarebbe stato opportuno impedire la diffusione(61). Tuttavia una nuova sovrana risoluzione del febbraio successivo e la legge sulla stampa del 17 dicembre 1862 tornarono sull'argomento impedendo la censura preventiva(62). Il contrasto sull'applicazione dell'art. 9 divenne particolarmente intenso nella seconda metà del 1863, dopo la comparsa anche a Venezia della Vie de Jésus di Ernest Renan(63). Il volume, che inizialmente era stato fatto sequestrare dalla Luogotenenza, sollecitata in ciò dal nuovo patriarca di Venezia Giuseppe Luigi Trevisanato(64), fu poi rimesso in circolazione per ordine del Ministero di Polizia il 18 agosto, ottenendo anche nel Veneto un notevole successo editoriale(65). Il 1° settembre Trevisanato pubblicò un divieto contro l'opera di Renan, dichiarando che la stampa, la vendita, la lettura o anche il suo semplice possesso senza licenza dell'autorità ecclesiastica andavano considerati sul piano religioso un peccato mortale e su quello civile erano gravati dalle pene stabilite dalla legge ("sub poenis a jure statutis")(66). È evidente che l'intervento intendeva non solamente ammonire i potenziali lettori, ma anche richiamare al dovere le autorità preposte all'applicazione della legge. Quindi il 23 settembre i vescovi veneti con una lettera pastorale collettiva ribadirono il loro diritto a proibire i libri considerati pericolosi, ne segnalarono la straordinaria gravità e, per riaffermare anche nella pratica quello che essi consideravano un atto legittimo del loro ministero episcopale, condannarono tre periodici(67). Infine il 16 novembre Trevisanato emanò una pastorale per biasimare la diffusione considerevole che aveva riscontrato il "pestifero libro" di Renan (definito nell'occasione "vero Anticristo") e indire solenni funzioni religiose riparatorie in tutte le diocesi venete(68). A Venezia fu celebrato un triduo in S. Marco alla fine di novembre e alla sua conclusione fu bruciata pubblicamente una copia della Vie de Jésus in campo S. Zulian(69). Era un gesto che rievocava le stagioni più oscure della lotta antiereticale della Chiesa cattolica e che anche nella specifica situazione del XIX secolo non era frutto di azioni estemporanee: lo stesso Trevisanato alcuni anni più tardi sollecitò pubblicamente i cattolici a simili interventi, con una frase ("gittate alle fiamme quelle stampe scellerate") alla quale, dati i precedenti, non mi pare possibile attribuire un significato puramente metaforico(70). Né peraltro va dimenticato che lo stesso tipo di pratica, che esprimeva violentemente una concezione di intolleranza radicale, fu adottata, anche nel contesto veneto, contro la stessa Chiesa cattolica, nel 1865, quando nel cortile dell'Università di Padova alcuni studenti, nel corso di una manifestazione patriottica nella quale risaltarono le grida contro il potere temporale dei papi, diedero fuoco a una copia dell'enciclica Quanta cura(71).
Le celebrazioni ecclesiastiche riparatrici contro il volume di Renan e i disordini pubblici che le avevano accompagnate in qualche diocesi della terraferma contribuirono, per reazione, a un ulteriore allargamento della circolazione del libro. Il 28 novembre 1863 Trevisanato si appellò alla Procura di Stato facendo leva sulle ripercussioni pubbliche dell'opera di Renan. Secondo la concezione intransigente del patriarca di Venezia la temibile aggressione perpetrata attraverso la Vie de Jésus contro il cattolicesimo ("il più sicuro sostegno dei troni") mirava intenzionalmente a indebolire anche la fedeltà nei confronti dello Stato(72). Negli stessi giorni anche le autorità locali avevano segnalato a Vienna i risvolti politici che potevano derivare dalla crisi di rapporti con il clero, ma il governo aveva preferito temporeggiare. Nonostante nel maggio 1864 Trevisanato prendesse nuovamente posizione contro Renan, definito "un Giuda novello, un Ario redivivo"(73), l'11 luglio 1864 il Ministero della Giustizia riteneva che le polemiche si fossero ormai calmate senza che fosse stato necessario alcun intervento a norma di legge(74). La crisi scoppiata attorno al volume di Renan, che ebbe vasta eco nella Chiesa cattolica(75), nel Veneto fu caratterizzata anche da una dimensione politica: il mancato intervento delle autorità rafforzava nell'episcopato e nel clero la convinzione che il governo austriaco non intendesse rispettare le norme concordatarie più favorevoli alla Chiesa. Perciò paradossalmente gli accordi del 1855 finirono per incrinare la fedeltà di parte del clero veneto (e al suo interno di alcuni preti veneziani) alle autorità imperiali, che già era stata scossa durante la breve esperienza repubblicana, e lo avvicinarono alle tesi del cattolicesimo intransigente e all'orientamento antimoderno e temporalista di Pio IX(76).
La riorganizzazione che era stata avviata con il concilio provinciale veneto secondo Ramazzotti doveva riguardare specificamente anche la Chiesa veneziana. Pertanto nel dicembre 1859, prima ancora che gli atti del concilio fossero approvati dalla Santa Sede (furono pubblicati solo nel 1863), egli avviò una consultazione dei parroci veneziani che doveva portare alla celebrazione della sinodo diocesana, che a Venezia non era più stata indetta dopo il 1741(77). Ma la scomparsa di Ramazzotti nel 1861 comportò un'interruzione dei lavori preparatori, che furono ripresi e conclusi sotto il nuovo patriarca Trevisanato. Nell'indizione della sinodo questi accennava a tre obiettivi di fondo: aumentare la gloria di Dio (il che nel linguaggio teologico ottocentesco implicava anche l'affermazione pubblica dei diritti della Chiesa e del papa)(78), promuovere la disciplina del clero, accrescere la pietà e la religione nel popolo(79).
Il processo di accentramento del governo diocesano nelle mani del vescovo, che si stava sviluppando sul modello dell'analogo movimento teso a sottolineare la centralità dell'ufficio papale nei confronti dell'intera Chiesa cattolica, in ambito veneto aveva ricevuto un ulteriore impulso da alcune norme concordatarie(80). La sinodo del 4-6 settembre 1865 segnò un altro passo in questa direzione per quanto riguardava la Chiesa veneziana soprattutto nei confronti delle tradizionali istituzioni collegiali e di coordinamento del clero, quali il capitolo canonicale, le nove congregazioni del clero, i vicari foranei, i decani e il consiglio patriarcale - gli ultimi due imposti dalle autorità austriache a Milesi nel 1817(81).
In conflitto con la linea intransigente dei vescovi, i preti di orientamento riconducibile alla composita area del cattolicesimo liberale sotto il governo dell'Austria erano stati sottoposti alla vigilanza e alla censura anche da parte delle autorità politiche. Rispetto ad altre zone del Veneto, a Venezia i cattolici liberali non furono molti e la loro azione ebbe una scarsa rilevanza(82). Ne fu un segno l'adesione di quasi tutto il clero del Patriarcato alla protesta avanzata da Trevisanato contro l'opuscolo antitemporalista dell'abate Angelo Volpe (La questione romana e il clero veneto, Faenza 1862), che invece suscitò clamorose divisioni nel clero di Treviso e di Padova(83). Alla poca consistenza del cattolicesimo liberale veneziano contribuirono la precoce adozione da parte di Monico dell'indirizzo intransigente nel governo del Patriarcato, poi ripreso dai suoi successori; la delusione, dopo gli iniziali entusiasmi, causata tra i cattolici veneziani dall'esperienza repubblicana del 1848-1849; e il fatto che il progressivo distacco tra il clero e le autorità imperiali provocato dalla politica giuseppinista durante il terzo periodo di governo austriaco, nonostante la stipula del concordato nel 1855, concorse a togliere spazio alla polemica cattolico-liberale(84). In ogni caso anche dopo che con il passaggio del Veneto all'Italia venne meno il concorso delle autorità politiche contro i cattolici liberali, Trevisanato continuò a colpire con energia le non molte espressioni pubbliche di preti veneziani dissonanti con le posizioni della più stretta intransigenza(85).
Allo scoppio della guerra che vide alleate la Prussia e l'Italia contro l'Austria (giugno-agosto 1866) il patriarca Trevisanato intervenne con una lettera pastorale per denunciare, secondo una lettura tradizionale dei conflitti bellici, che la causa dell'"orrendo flagello con tutte le lagrimevoli sue conseguenze" andava individuata nei peccati personali (bestemmie, blasfemie, offese alla persona del papa), che avevano scatenato l'ira divina, e per esortare a sperare in Dio e a pregare soprattutto per il trionfo della religione cattolica, concludendo con l'altrettanto tradizionale raccomandazione di obbedire "religiosamente" alle autorità costituite(86). Nel testo non risuonavano accenti di particolare simpatia verso la monarchia austriaca, tuttavia non mancava un plauso all'imperatore per il fatto che si era rivolto pubblicamente a Dio nell'annuncio ai sudditi della guerra. Trevisanato commentava: Dio "non abbandona mai chi in Lui giustamente confida, essendo verissimo che nel nome di quel Dio, che ama chiamarsi il Dio degli eserciti dee porre la propria fiducia chi vuol nelle guerre riportar la vittoria"(87). Di tutt'altro tenore fu la pastorale che Trevisanato scrisse qualche mese dopo, in vista del plebiscito per l'adesione del Veneto all'Italia. In primo luogo plaudiva alla pace, richiamando la necessità di superare le discordie del passato con implicito, ma chiaro riferimento ai regolamenti di conti tra patrioti e sostenitori del vecchio regime che il repentino passaggio di Venezia sotto il controllo italiano aveva innescato. Quindi invitava a partecipare al voto per esprimere liberamente il favore all'ingresso nel Regno d'Italia:
L'urna secreta aspetta impaziente di accogliere un voto, che voi già in mille guise avete prima di adesso pubblicamente manifestato. Per questa parte tornerebbe inutile dichiarare in segreto se volete o non vivere perpetuamente sotto lo scettro costituzionale di Sua Maestà il re d'Italia VITTORIO EMANUELE II; ma quest'atto, che nella sua secretezza, porta con sé l'impronta della massima libertà, è necessario appunto per far conoscere a tutti, che la vostra mente, il vostro cuore, la vostra mano non soffre pressione, e che voi vi chiamate garanti del vostro voto solo dinanzi a Dio, il quale come scruta le reni ed i cuori degli uomini, scruta del pari gli occulti recessi dell'urna del plebiscito(88).
Fu una presa di posizione che, alla luce dell'atteggiamento di obbedienza mantenuto da Trevisanato verso il governo austriaco fino allo scoppio della guerra, venne interpretata come un voltafaccia opportunistico e diede la stura a una serie di attacchi contro la sua persona(89).
Le crescenti tensioni tra l'Italia e la Santa Sede, cui nelle province venete si sovrapponeva la necessità di sondare i sentimenti politici della popolazione nei confronti dei nuovi governanti, indussero le autorità di polizia a esercitare uno stretto controllo sul patriarca e sul clero, vigilando sui contenuti della predicazione(90) e degli scritti rivolti al pubblico (lettere pastorali, decreti di curia, circolari)(91).
Al centro dell'attenzione si venne a trovare il seminario patriarcale: già negli ultimi mesi del regime austriaco i suoi docenti erano stati accusati di fomentare disordini contro il governo e di propagare idee patriottiche(92). Dopo il passaggio del Veneto all'Italia il problema si ripropose, con significato politico diverso: all'opposizione nei confronti dello straniero subentrò la critica all'indirizzo liberale del governo e la contestazione dell'occupazione, ritenuta illegittima, di gran parte dei territori dello Stato della Chiesa. Nel gennaio 1867 il Ministero dell'Interno, di fronte alle voci raccolte dal presidente del tribunale d'Appello di Venezia circa la propaganda antigovernativa che sarebbe stata svolta all'interno del seminario patriarcale - "viene raccomandato fervidamente l'obolo di S. Pietro, e si censurano gli atti del Governo e lo si chiama scomunicato" -, caldeggiò l'adozione anche nella città lagunare di una linea di tolleranza nei confronti della raccolta di denaro in favore del papa, ma sollecitò le autorità locali a procedere a termini di legge contro ogni manifestazione di critica nei confronti del governo(93). Però il questore di Venezia, pur riconoscendo che tra i superiori e i docenti del seminario non mancavano preti politicamente avversi al governo(94), al termine di alcune indagini, sostenne l'infondatezza delle accuse ed espresse il parere che fosse inopportuna l'apertura di un'inchiesta formale(95).
Il questore, in un suo rapporto del febbraio 1867, coglieva perspicacemente l'atteggiamento della maggioranza del clero veneziano verso il Regno d'Italia, fatto di convinto legittimismo nei confronti delle istituzioni monarchiche e di aspra opposizione alla politica del governo italiano: "merita di essere ricordato [...] che i preti di Venezia nei loro intimi colloquj e mentre censurano le leggi e i legislatori, parlano sempre con molto rispetto dell'Augusta nostra Maestà"(96). Era la linea che Trevisanato e gli altri vescovi delle province venete avevano adottato dal plebiscito in poi e contro la quale nel dicembre 1866 era intervenuta la Santa Sede su sollecitazione dei vescovi delle "Provincie annesse al Piemonte"(97). Infatti nel loro esposto i vescovi della Lombardia avevano lamentato che l'unione del Veneto all'Italia fosse stata accolta con celebrazioni religiose dai vescovi veneti (si faceva cenno esplicitamente a Trevisanato, che aveva cantato il Te Deum in S. Marco alla presenza di Vittorio Emanuele II). Secondo i ricorrenti ciò aveva comportato la dedizione a un governo "invasore degli Stati della Chiesa", "scomunicato" e persecutore della Chiesa, in conflitto con la linea di accettazione passiva dei fatti seguita nel 1859 dai vescovi lombardi al momento dell'unione di quelle province al Regno(98). Alla richiesta di chiarimenti giunta dalla Santa Sede Trevisanato rispose ribadendo la fedeltà incondizionata dei vescovi veneti alla causa papale e precisando che nel celebrare l'unione del Veneto all'Italia si era inteso fare "un atto di rispettosa sudditanza a chi regolarmente succedeva ad un legittimo Principe nel governo di queste Provincie". Quindi il patriarca di Venezia spiegò che il plebiscito era stata una "mera cerimonia" che non avrebbe potuto cambiare in alcun modo il passaggio del Veneto all'Italia, e perciò con il suo voto favorevole il clero non aveva inteso "unirsi ad un governo scomunicato, ma ad un governo monarchico e regolare che malgrado l'infausta sua condizione in faccia alla Chiesa, potrebbe però spogliarsi di quelle leggi che feriscono i diritti Ecclesiastici e restituito il mal tolto ritornare a quella Santità di principii che rese rispettabile e veneranda la Dinastia di Savoja"(99).
Per Trevisanato un voto contro il passaggio del Veneto all'Italia avrebbe gettato quelle province nella più completa anarchia: perciò, richiamandosi alla dottrina cattolica sull'obbedienza dovuta ai governanti legittimamente costituiti (e tali a suo avviso erano senza dubbio i Savoia nei confronti delle province cedute dall'Austria attraverso la Francia), i vescovi veneti avevano incoraggiato ad aderire al plebiscito, senza che questo ne pregiudicasse la posizione di fronte alle violazioni dei diritti della Santa Sede e della Chiesa che il governo subalpino (come polemicamente egli lo definiva per non riconoscere le istituzioni italiane) aveva perpetrato. L'indiscussa volontà di Trevisanato di difendere i diritti del papa, ribadita in quelle circostanze, trovò un ulteriore riscontro pochi anni più tardi, durante il concilio Vaticano I (1869-1870), quando il patriarca di Venezia concorse al rafforzamento dell'autorità papale schierandosi su posizioni infallibiliste(100). La proclamazione del nuovo dogma favorì un'accentuazione dell'orientamento intransigente e papale della Chiesa cattolica veneziana, che portò a misurare la fedeltà al cattolicesimo sul pieno accoglimento delle tesi infallibiliste(101), anche se in città non mancò qualche opposizione che trovò voce nella pubblicazione sul "Rinnovamento" di un indirizzo di adesione alle tesi antinfallibiliste di Ignaz Döllinger(102). Tuttavia per quanto riguardava i rapporti verso le autorità italiane Trevisanato si attenne alla linea adottata nel 1866 anche negli anni successivi alla presa di Roma (20 settembre 1870), quando il contrasto tra la Chiesa cattolica e il Regno raggiunse la maggiore asprezza(103).
In realtà a Venezia i rapporti tra le due istituzioni furono meno tesi che altrove. I provvedimenti sulla soppressione delle corporazioni religiose e sull'asse ecclesiastico ebbero localmente un'applicazione abbastanza temperata. A gran parte delle comunità religiose fu possibile rimanere nelle loro case proseguendo le proprie attività o per lo meno furono messe in grado di riacquistare dopo qualche tempo i locali requisiti dalle pubbliche autorità. La situazione era dovuta da un lato ai diversivi adottati dalle nuove comunità religiose femminili, che riuscirono a sfuggire al provvedimento legislativo perché composte da persone che pronunciavano solamente dei voti semplici temporanei, rinnovati alla loro scadenza; dall'altro lato al fatto che l'utilità sociale dell'attività svolta dai religiosi in alcuni casi fu riconosciuta dalle stesse autorità militari e civili presenti a Venezia(104). Il favore che queste ultime riservarono ad alcune istituzioni ecclesiastiche veneziane traspare in modo significativo dalla lettera inviata dal prefetto alla Commissione per l'amministrazione del fondo culto, nel dicembre 1867, dopo che Trevisanato aveva denunciato - accompagnando il gesto con l'abbandono della residenza e il suo trasferimento nel seminario - gli aggravi e le requisizioni che l'intendenza di finanza si apprestava a operare sulle rendite e sui beni immobili intestati al patriarca(105). Torelli riconobbe la correttezza formale della procedura seguita dalle autorità finanziarie, ma rivendicò a sé l'applicazione delle leggi, sulla base delle circostanze che caratterizzavano la situazione locale:
Io devo dire che la determinazione del Patriarca di abbandonare la sua Sede e ridursi pensionante nel Seminario fece gran senso in Venezia. Ei licenziò tutta la servitù e si può facilmente immaginare quali commenti facevano tante persone senza pane. Sono poi assicurato, da uomini rispettabilissimi che non fu calcolo per fare effetto sul pubblico ma che realmente si trovò senza mezzi. Porre in chiaro la sua posizione, accordargli quanto è di giustizia e di equità è per me un quesito non solo di dovere ma di quiete pubblica. Nella spaventevolissima miseria che affligge Venezia il vedere il Patriarca ridotto a non potere stare nella sua residenza, vederlo licenziare la servitù che riempì Venezia de suoi lai non è cosa che possa lasciarmi indifferente e non posso ammettere che le questioni siano decise esclusivamente dal punto di vista finanziario e col summum jus. Intendo che si prenda a considerare anche la posizione che si fa al Prefetto con questo modo e più che al Prefetto alla popolazione, alla pubblica tranquillità(106).
Sull'onda delle polemiche sorte attorno al volume di Renan, verso la metà degli anni Sessanta erano stati fondati anche a Venezia, in ritardo rispetto ad altre città della penisola, i primi periodici di orientamento cattolico intransigente. In particolare nel luglio 1864 avevano preso l'avvio le "Letture del Popolo" e il 30 maggio 1865 il più robusto trisettimanale "La Libertà Cattolica" (pubblicato a Venezia, ma prodotto e diretto da cattolici padovani)(107).
In seguito al primo sviluppo di una pubblicistica periodica caratterizzata dalle polemiche anticlericali, che aveva potuto crescere anche grazie al clima di libertà di stampa introdotto a Venezia dalle leggi italiane(108), il patriarca e il clero, nell'impossibilità di appoggiarsi alle autorità pubbliche per contrastarne la circolazione, si volsero all'incremento della stampa cattolica. Il 6 marzo 1867, pochi giorni dopo il passaggio a Venezia di Giuseppe Garibaldi, che con i suoi discorsi elettorali di intonazione acremente anticlericale aveva innescato nella folla una manifestazione di piazza contro Trevisanato e il clero(109), uscì il primo numero del quotidiano "Il Veneto Cattolico". Opera di una redazione interamente composta da preti, raccomandato dai vescovi veneti, il giornale non raggiunse mai una diffusione significativa in città, ma riuscì a dare voce alle tesi dell'intransigentismo più rigido sotto l'iniziale direzione del canonico Giovanni Maria Berengo(110).
Nei mesi e negli anni successivi le polemiche tra cattolici e laici si sarebbero ripetute con crescente intensità, frutto di provocazioni suscitate dall'una o dall'altra parte che talvolta degenerarono in violenze. Negli ambienti anticlericali veneziani prevaleva la dimensione politica - legata alle rivendicazioni di progressisti, repubblicani, democratici garibaldini o socialisteggianti -, su quella ideologica dei liberi pensatori e dei fautori dell'ateismo, rappresentata in primo luogo da Ferdinando Swift(111). In ciò l'anticlericalismo finì per mascherare difficoltà organizzative e debolezze di programma dei gruppi schierati sulle posizioni più radicali(112).
Invece nel campo cattolico, nel quale una posizione dominante nella conduzione delle polemiche fu assunta da "Il Veneto Cattolico"(113), lo scontro ebbe spesso per oggetto la difficoltà di conciliare la caratterizzazione laica della legislazione dello Stato liberale con il sentimento religioso di una parte della popolazione che viveva nella certezza della dimensione e del primato anche sociali del cattolicesimo (ripetutamente ribaditi dalla dottrina cattolica e dai papi nel corso del XIX secolo), che negli anni precedenti l'Austria aveva inteso rispettare almeno esteriormente(114).
Uno dei momenti in cui questa frizione diventò maggiormente visibile fu l'annuale processione del Corpus Domini(115). Al "piccolo incidente" (come lo definì la "Gazzetta di Venezia")(116) creato da alcuni cattolici troppo zelanti nel giugno 1867 era seguita l'anno successivo una "una lotta a sedie, a pugni ed altro" innescata dal fatto che al passaggio del baldacchino sotto il quale avanzava l'ostensorio alcuni cattolici avevano tolto il cappello di testa a un gruppetto di persone, tra cui Swift, che lo portava intenzionalmente in segno di provocazione(117). Il resoconto sui fatti steso dal prefetto di Venezia Luigi Torelli per il ministro dell'Interno risulta emblematico della difficoltà di gestire una situazione nella quale la legge e l'orientamento della maggioranza della popolazione non coincidevano. Per un verso il prefetto era tenuto all'osservanza formale della legge, che non obbligava a scoprirsi il capo al passaggio della processione, per altro verso riteneva che politicamente si dovessero rispettare i sentimenti religiosi di gran parte dei veneziani:
Persone che la credono diversamente potrebbero ben permettere che altri dissentissero da loro senza farne invece un oggetto di sfida alla diversa credenza e provocare scandali con atti che sa benissimo che si tengono per insulti come è quello di voler tenere coperta la testa quando passa il Sacramento. [...] Il Governo posto fra due partiti costituiti l'uno dall'immensa maggioranza della popolazione che la vuole [la processione] e l'altro di persone capitanate da estranei al paese (poiché alcuni anche di questi gazzettisti che più gridano non sono veneziani) i quali vogliono adoperare lo scandalo per arrivare al loro fine non può a mio avviso senza perdere d'autorità accettare d'essere forzato. [...] la processione se il clero la vuole si deve fare. Impedirla sarebbe a mio avviso in queste circostanze grave errore, atto di debolezza che scontenta i 9/10 almeno della popolazione per dar campo vinto a chi adopera lo scandalo per riescire al suo fine e taccerebbe il Governo di debolezza io stesso pel primo(118).
Nell'occasione Torelli giudicò che la maggiore responsabilità dei disordini andasse attribuita ai provocatori e si mostrò sensibile alle esigenze della consistente popolazione cattolica. Ma quando in vista della processione del giugno 1869 Trevisanato gli chiese di militarizzare la piazza ("una piena guarentigia [...] verrebbe porta soltanto dall'intervento di tutta la truppa in linea sfilata e in piazza, e lungo le gallerie e intorno al baldacchino") per evitare che si attuassero disordini peggiori dell'anno precedente(119), il prefetto, appoggiandosi al parere fornito dalle autorità militari, difese la laicità delle istituzioni italiane rispondendo che non sarebbe stato possibile accondiscendere alla richiesta: "il far spalliera, il procedere e susseguire il baldacchino, è atto di compartecipazione alla processione, come si soleva fare prima", sotto la cattolica Austria, "quando il Governo stesso colle sue Autorità tanto civili che militari vi interveniva"(120). Perciò Trevisanato rinunciò a svolgere la processione in piazza S. Marco(121).
Soprattutto in conseguenza delle crescenti tensioni tra Stato e Chiesa cattolica dovute alla "questione romana", episodi di un rozzo anticlericalismo punteggiarono la cronaca cittadina di quegli anni: si ebbero ripetuti danneggiamenti di capitelli(122), ingiurie pubbliche nei confronti di Trevisanato e del clero veneziano manifestate verbalmente(123), con scritte sui muri delle case(124), pubblicazioni e altro(125). Vi si contrapposero le funzioni riparatorie contro quelli che erano ritenuti atti sacrileghi, le polemiche prediche di alcuni preti e le pungenti e talvolta offensive prese di posizione de "Il Veneto Cattolico".
Nel corso degli anni Sessanta le crescenti tensioni tra l'Italia liberale e Pio IX resero più urgente lo sviluppo nel paese di un associazionismo cattolico in difesa dei diritti del papa e della Chiesa. Questa istanza, inizialmente recepita in diverse aree della penisola, ma con esiti di particolare rilevanza a Bologna(126), fu poi accolta anche nel Veneto dopo la sua unione all'Italia.
Grazie anche all'apporto significativo fornito nei primi anni Settanta dai cattolici della regione e in particolare da quelli veneziani(127) - in città, si è notato, i cattolici potevano contare già dal marzo 1867 sulla presenza di un quotidiano ("Il Veneto Cattolico", successivamente ridenominato "La Difesa") e dalla tarda primavera del 1868 sul nuovo Circolo di S. Francesco di Sales, legato alla Gioventù Cattolica(128) -, la Società della Gioventù Cattolica, la cui presidenza aveva sede a Bologna, promosse l'organizzazione del primo congresso cattolico italiano, che si svolse dal 12 al 16 giugno 1874 a Venezia(129) e precorse di un anno la nascita dell'Opera dei Congressi e Comitati Cattolici in Italia(130).
Il contributo dei cattolici veneziani alle nuove associazioni del laicato fu speso soprattutto a favore di un orientamento della più rigida intransigenza e, per impulso di Giovanni Battista Paganuzzi, di un'unificazione delle diverse strutture che avevano una diffusione sul territorio nazionale (Società della Gioventù Cattolica, Opera dei Congressi, Lega O'Connell)(131). A questa prospettiva si oppose quella della presidenza generale della Gioventù Cattolica, che tentò di salvaguardare la propria autonomia associativa e di linea. Quest'ultima era venuta gradualmente evolvendo verso un'accettazione della situazione di fatto in cui si trovavano la Chiesa e il papa in Italia, e l'ipotesi di formare un partito cattolico conservatore. La linea blandamente conciliatorista della Società della Gioventù Cattolica prestò il fianco alle deplorazioni di Pio IX e alle accuse di liberalismo mosse dal gruppo intransigente che si raccoglieva attorno a Paganuzzi influendo sull'orientamento dell'Opera dei Congressi(132).
Perciò gli anni Settanta furono caratterizzati da ripetute polemiche sull'orientamento che occorreva imprimere al laicato cattolico organizzato in Italia e sulla sua gestione. Le polemiche diventarono più vivaci dopo che, con l'elezione di Gioacchino Pecci al pontificato nel 1878, lo sviluppo dell'associazionismo cattolico fu inserito all'interno di un complessivo adattamento della linea di scontro adottata dalla Chiesa cattolica nei confronti della civiltà moderna. Infatti Leone XIII non si limitò a ribadire le condanne della civiltà moderna formulate da Pio IX e ad accentuare la mobilitazione del laicato cattolico organizzato che già il suo predecessore aveva avviato per conseguire la ricostruzione cristiana della società, ma ritenne opportuno che la Chiesa e in particolare il laicato cattolico si avvalessero largamente di strumenti moderni per raggiungere più facilmente quello che rimaneva l'obiettivo di fondo anche del suo programma di governo: la ricostituzione di una società le cui regole andavano conformate strettamente ai principi dottrinali del cattolicesimo (determinati in ultima istanza dal papa) e all'interno della quale le istituzioni ecclesiastiche dovevano assumere nuovamente quel ruolo di guida della vita privata e pubblica e ottenere quei privilegi che la scomparsa delle società di antico regime aveva loro sottratto. Il progetto leonino, in cui il rilancio del tomismo come filosofia cattolica aveva lo scopo di permettere l'elaborazione degli strumenti intellettuali necessari al confronto della Chiesa cattolica con la società moderna(133), assegnò alle organizzazioni del laicato cattolico il compito di esercitare una pressione sulle istituzioni civili e sulle popolazioni per favorire l'accoglimento delle istanze avanzate dalla Santa Sede e dai vescovi, chiamati a loro volta a coordinare la propria azione e ad assumere la direzione dell'associazionismo cattolico(134). Fu un processo che in Italia poté essere sviluppato principalmente sul piano della formazione e della propaganda, con un significativo concorso della stampa cattolica, dato che il mantenimento del non expedit (il divieto di fatto per i cattolici di partecipare alle elezioni politiche, introdotto dalla Sacra Penitenzieria nel marzo 1871 e confermato nel 1874, con il quale si intendeva ribadire il non riconoscimento della legittimità del governo italiano sui territori appartenuti allo Stato pontificio) impediva la preparazione di quell'attività più esplicitamente politica che aveva portato i cattolici di altri paesi europei all'organizzazione di partiti di orientamento confessionale.
A Venezia il compito di recepire il programma di Leone XIII sarebbe spettato in primo luogo a monsignor Domenico Agostini, che Pio IX, pochi mesi prima della fine del suo pontificato, il 22 giugno 1877 promosse dalla sede vescovile di Chioggia a quella patriarcale di Venezia in seguito alla morte di Trevisanato(135). La nomina di Agostini segnò l'apertura di un vivace e annoso contenzioso tra Stato e Chiesa sulla condizione giuridica della sede arcivescovile lagunare(136), le cui premesse risalivano al momento del passaggio del Veneto all'Italia, quando le autorità del Regno, per affermare il patronato del monarca sul Patriarcato, avevano comunicato il placet regio a Trevisanato e questi si era limitato a prendere atto della disposizione disapprovandone però il contenuto(137). La vertenza si chiuse temporaneamente nel febbraio 1879 perché Agostini, dopo la nomina, richiese l'exequatur al ministro di Grazia e giustizia, sebbene in termini tali da non compromettere le rivendicazioni della Santa Sede sul Patriarcato ("poiché ho inteso che dal Regio Governo questa Sede patriarcale si ritiene di Regio Patronato")(138). Ma la discussione si rinnovò, con intensità e modalità diverse, alla nomina dei successivi patriarchi fino alla ratifica degli accordi tra Italia e Santa Sede del 1929(139).
In anni in cui la Chiesa cattolica, pur tra molte resistenze, andava prendendo coscienza dell'esistenza di una "questione sociale", cominciando a sperimentare risposte più adeguate ai processi economici che accompagnavano gli sviluppi della prima industrializzazione(140), l'azione di Agostini in questo campo rimase prevalentemente, ma non esclusivamente, all'interno del tradizionale orizzonte d'intervento caritativo di stampo paternalistico, cui però egli diede un impulso accentuato, oltre che per una sua sensibilità personale, a causa delle problematiche condizioni economiche in cui versava una parte considerevole della popolazione fin dall'inizio del secolo(141). L'impegno nei confronti dei meno abbienti e dei sofferenti ebbe un'eco considerevole nelle lettere pastorali e negli altri scritti rivolti alla diocesi in occasione di alluvioni, frane e terremoti, senza distinzioni sia che ne fosse colpita Venezia, il Veneto, altre località della penisola o dell'Europa(142). Singolare però fu la pastorale del 12 gennaio 1889 a favore dell'abolizione dello schiavismo in Africa(143). Non si trattava di una novità in senso assoluto perché la lettera, come risulta chiaramente dal testo, si ricollegava direttamente alla conferenza svolta dal cardinale Charles Martial Allemand Lavigerie, primate della Chiesa d'Africa, il 6 gennaio 1899 nella chiesa milanese di S. Stefano(144). Tuttavia essa anticipava di quasi due anni l'enciclica Catholicae Ecclesiae (20 novembre 1890) - che fu il primo documento di Leone XIII rivolto a tutta la Chiesa cattolica specificamente sul tema della schiavitù in Africa - e i successivi interventi dell'episcopato, che da essa trassero impulso(145).
Analoghe 'aperture', seppure circoscritte ad aspetti specifici, non è invece possibile riscontrare per quanto riguarda la difficile gestione dell'associazionismo cattolico veneziano da parte di Agostini, nella quale egli si ispirò chiaramente alla linea intransigente.
Un passaggio di rilievo dello scontro tra Opera dei Congressi e Società della Gioventù Cattolica che era venuto emergendo nel corso degli anni Settanta fu la fondazione delle Sezioni giovani da parte dell'Opera dei Congressi, caldeggiata da Paganuzzi per arginare la deriva conciliatorista che le nuove generazioni rischiavano di seguire rimanendo all'interno della Gioventù Cattolica, di cui l'avvocato veneziano temeva la concorrenza soprattutto dopo che essa aveva innalzato a 40 anni il limite di età al di sotto del quale si poteva esserne soci. L'incorporazione del veneziano Circolo di S. Francesco di Sales all'interno dell'Opera dei Congressi nel dicembre 1883 (primo circolo in Italia che abbandonò la Gioventù Cattolica per l'organizzazione più recente) e la nascita della prima Sezione giovani a Venezia il 26 gennaio 1884 con il plauso di Agostini, che nell'occasione sottolineò la necessità di unire le forze cattoliche sotto la guida dell'Opera dei Congressi(146), rappresentarono ulteriori conferme dell'appiattimento di gran parte della Chiesa cattolica veneziana sulle posizioni più intransigenti. Anche in città però non erano mancate posizioni alternative a quella di Paganuzzi e i contrasti che ne derivarono portarono all'interruzione delle adunanze diocesane dell'Opera dei Congressi a partire dal gennaio 1883(147).
Lo scontro tra le due organizzazioni a livello italiano raggiunse punte di notevole intensità agli inizi degli anni Novanta, in seguito a un rinnovarsi delle polemiche che ebbero per scena principale proprio Venezia, e tra i protagonisti i cattolici veneziani Pietro e Francesco Saccardo, schierati a difesa della Gioventù Cattolica, e dalla parte dell'Opera dei Congressi monsignor Ferdinando Apollonio e Paganuzzi, oltre ai gesuiti Bartolomeo Sandri, Gaetano Zocchi e Giuseppe Barbieri, ai fratelli Andrea, Jacopo e Gottardo Scotton di Breganze e all'allora vescovo di Mantova Giuseppe Melchiorre Sarto, di lì a qualche anno patriarca di Venezia e successivamente papa dal 1903 al 1914 con il nome di Pio X(148).
Se sul piano nazionale la crisi si risolse di fatto a vantaggio dell'Opera dei Congressi, arroccata durante la presidenza Paganuzzi (1889-1902) su una linea di ancora più stretta intransigenza e rivendicazione del potere temporale dei papi(149), nella diocesi lagunare essa generò un complessivo indebolimento dell'associazionismo cattolico che fu reso visibile in modo emblematico dalle elezioni amministrative del 1889, quando i cattolici intransigenti, raccolti nella lista presentata dal comitato elettorale conservatore, furono nettamente battuti(150).
La difficile situazione in cui versavano le organizzazioni del laicato cattolico veneziano e, in parte, lo stesso governo pastorale della diocesi, fu rilevata nel 1887 anche dalla Segreteria di Stato. Sotto gli auspici degli ultimi due governi a guida Depretis e con il concorso apparente della Santa Sede e convinto di esponenti del cattolicesimo transigente e liberale, nei primi mesi di quell'anno maturò rapidamente un tentativo di giungere alla conciliazione fra Stato e Chiesa, che poi fallì altrettanto repentinamente anche a causa della posizione assunta dal nuovo segretario di Stato cardinale Rampolla del Tindaro, che impresse una svolta significativa al pontificato di Leone XIII nei confronti dell'Italia(151).
Con il rifiuto della proposta di conciliazione Rampolla cercò di imporre una linea di comportamento omogenea all'episcopato italiano di fronte alla questione romana, attraverso l'emanazione di precise direttive, la cui trasmissione fu curata dalla Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari che nell'arco di pochi mesi inviò due incaricati a colloquio l'uno con alcuni metropoliti d'Italia (Firenze, Bologna, Venezia, Genova e Torino)(152), l'altro con tutti i vescovi delle diocesi dell'Italia settentrionale(153).
Nel corso del colloquio che ebbe con Della Chiesa il 24 luglio 1887 Agostini spiegò che dopo il varo della legge sull'abolizione delle decime(154), contro la quale aveva protestato personalmente scrivendo al Senato e a Umberto I(155), nessun cattolico della diocesi si faceva più illusioni sull'atteggiamento dell'Italia nei confronti della "questione romana"(156). Quindi, riferiva l'inviato della Santa Sede, Agostini aveva precisato
che poche città d'Italia potevano vantare un laicato tanto e pio e sinceramente addetto alla Santa Sede quanto quello di Venezia [...]; nondimeno, dietro mia domanda, indicò che anche a Venezia il patriziato non ha vita di azione cattolica, dovendosi questa principalmente al ceto degli avvocati e degli ingegneri(157).
Il mancato coinvolgimento della nobiltà nelle organizzazioni cattoliche veneziane non costituiva un problema di poco conto, dato che negli ambienti della Santa Sede si continuava a considerare quel ceto come il più influente della società, in grado di orientare e guidare il popolo con il suo esempio.
Inoltre dalla conversazione Della Chiesa ricavò una nota significativa sul governo di Agostini: la sua stretta dipendenza dalla Santa Sede anche per la trattazione di affari che erano in genere lasciati al disbrigo dei vescovi ("nelle questioni dubbie o difficili, è suo sistema assicurarsi prima, interrogandone riservatamente la Santa Sede")(158). Nei confronti del patriarca di Venezia il successivo giudizio di De Lai, formulato sulla base di ciò che gli avevano riferito altri vescovi incontrati nel corso della sua missione (tra cui quello di Mantova Sarto, pochi anni dopo successore di Agostini), fu molto più critico:
la provincia(159) manca di un capo abile come l'Eminentissimo Alimonda in Torino. Il patriarca è privo di iniziativa, diceva Mons. Sarto: è freddo e riservato, e mentre attende con zelo e calore alla predicazione e al dar missioni spirituali, e in esse sembra un S. Carlo, tuttavia nel regime della diocesi à il difetto di tenersi troppo separato dal suo clero, e di poco riceverlo: così mi diceva Mons. Brandolini Vescovo di Ceneda. E infatti è sembrato anche a me nel conversare un santo; ma non un uomo di governo(160).
Santità di vita e impegno nella predicazione e nella cura spirituale del popolo sembravano non riscattare agli occhi dell'inviato della Santa Sede la mancanza di alcune delle principali doti richieste a un vescovo: intraprendenza, capacità di governo, contatto e collaborazione con il clero.
A ridimensionare in parte questi giudizi, per ciò che riguardava l'associazionismo cattolico veneziano, stava la crescita numerica dei Comitati parrocchiali e delle Sezioni giovani dell'Opera dei Congressi(161).
Alla conclusione dell'episcopato veneziano di Agostini si potevano già cogliere alcuni primi segnali di ripresa nell'associazionismo cattolico veneziano, in particolare sul versante della nuova prospettiva d'impegno sociale dei cattolici. Il 6 agosto 1892, durante la fase di vacanza della sede patriarcale, con l'adesione all'Opera dei Congressi dell'istituzione fondata a Gambarare nel 1890 da don Luigi Cerutti su basi aconfessionali, si ebbe la prima esperienza di cassa rurale cattolica d'Italia(162).
il governo di Sarto (1894-1903) tra riforma del clero, riorganizzazione dell'associazionismo cattolico e alleanza clerico-moderata
La vertenza scoppiata agli inizi degli anni Novanta tra il governo Crispi e la Santa Sede attorno alle nomine dei vescovi per le diocesi italiane vacanti (alla decisione di Leone XIII di limitarsi a comunicare alle autorità del Regno i nomi dei nuovi vescovi eletti senza condurre previamente alcuna consultazione, Crispi reagì bloccando la concessione dei regi exequatur; la situazione si sbloccò solamente nel 1894, per la necessità di Crispi di raggiungere un'intesa di fatto con la Chiesa cattolica volta a un rafforzamento delle istituzioni italiane a garanzia dell'ordine e in funzione antisocialista attraverso l'apporto del consenso della popolazione cattolica) obbligò il nuovo patriarca di Venezia Giuseppe Melchiorre Sarto, nominato da papa Pecci il 15 giugno 1893, a rinviare di oltre diciassette mesi il suo ingresso nella diocesi lagunare, fino al 24 novembre 1894(163).
Al governo veneziano di Sarto va attribuita una doppia rilevanza, per la complessiva riorganizzazione della Chiesa cattolica veneziana che egli promosse durante gli anni di permanenza a Venezia, cui si deve aggiungere, nell'ambito di una rilettura storica, l'individuazione di significative anticipazioni del futuro programma papale che ebbero alcune misure adottate a livello locale, come quelle riguardanti la riforma della musica sacra, la sottolineatura del culto eucaristico e la progressiva esclusione dei laici dalla gestione del seminario e dalla frequenza delle sue scuole interne(164). Al di là di significativi aspetti del programma di Sarto, una continuità di fondo tra episcopato e pontificato fu assicurata soprattutto dalla lettura che egli operò della società e della cultura ottocentesche scaturite dalla Rivoluzione francese, dal 1848 e dai primi processi di industrializzazione e di secolarizzazione. Delineata nei suoi tratti essenziali già negli anni dell'episcopato mantovano (1885-1894), essa continuò a essere sviluppata secondo una prospettiva drasticamente negativa, che raggiunse l'acme durante il pontificato: nella società moderna Sarto colse, in termini via via più cupi, una dilagante apostasia individuale e sociale dal cattolicesimo.
All'interno di questo quadro il socialismo, secondo un'interpretazione comune al cattolicesimo intransigente, rappresentò ai suoi occhi il principale pericolo per la sopravvivenza della civiltà umana, che egli identificava strettamente con quella cristiana. Allo stesso tempo però Sarto avvertì la progressiva infiltrazione, sempre più subdola e pericolosa, all'interno della Chiesa di latori di tesi e comportamenti estranei al cattolicesimo: dapprima i cattolici liberali, poi i democratici cristiani murriani, infine, una volta papa, i modernisti.
A suo avviso la sola risposta possibile di fronte a tante minacce era quella che Chiesa, individui, società e governi si ponessero in atteggiamento di piena obbedienza al papa. Si trattava di un aspetto che aveva trovato una nuova affermazione da parte di Leone XIII nell'enciclica Sapientiae christianae (10 gennaio 1890)(165), ma che in Sarto, come in pochi altri vescovi di quei decenni, ricevette una sottolineatura di maggiore portata attraverso una straordinaria enfatizzazione della figura del papa, che a suo avviso andava considerato "il Vicario di Gesù Cristo in terra, anzi lo stesso Gesù Cristo vivente nella sua Chiesa, incaricato di conservare la sua divina legge, di interpretarla e di applicarla ai costumi privati e pubblici degli uomini"(166).
In questa prospettiva assunse una particolare importanza il ricompattamento del clero e del laicato cattolico organizzato attorno alle direttive papali, di cui il vescovo era l'interprete a livello diocesano. Diversi atti del governo della diocesi veneziana riflessero la mentalità accentratrice di Sarto. In primo luogo essa permeava le prescrizioni della sinodo dell'8-10 agosto 1898(167). Ma la si ritrovava anche nella decisione presa da Sarto di gestire personalmente alcune cariche di particolare rilievo: l'ufficio di rettore del seminario e la direzione degli istituti religiosi femminili presenti nel Patriarcato(168).
Per quanto riguarda il clero veneziano l'avvio del governo episcopale di Sarto coincise con la fase più critica di quella diminuzione di effettivi che nel quarto di secolo successivo all'unione del Veneto all'Italia aveva raggiunto complessivamente la consistenza di circa il 30% (da 418 nel 1866 a 290 nel 1890)(169). Era un calo quasi completamente dovuto al saldo negativo tra ordinati e morti(170), che, in mancanza di studi analitici sulle variazioni numeriche del clero veneziano per il secondo Ottocento analoghi a quelli condotti per il Settecento(171), è comunque possibile fare risalire, in prima ipotesi, da un lato alle difficoltà create dalla guerra del 1859, in coincidenza della quale si verificò una prima diminuzione notevole delle ordinazioni presbiterali a Venezia(172); dall'altro lato all'influsso negativo sulle ordinazioni presbiterali causato in modo abbastanza chiaro dalla nuova situazione sociale e politica conseguita all'unione del Veneto all'Italia: infatti solamente in due anni tra il 1866 e il 1889 si raggiunse la cifra di 10 nuovi ordinati nel Patriarcato (10 nel 1867 e 12 nel 1870). In particolare durante l'episcopato di Agostini (1877-1891)(173) il calo raggiunse dimensioni notevoli, attestandosi su una media annuale di 3,6 nuovi preti. Va peraltro rilevato che a una prima fase di grave difficoltà - nel quinquennio 1877-1881 furono ordinati in tutto 9 preti, meno di 2 all'anno - seguì una ripresa non trascurabile (38 ordinazioni, con una media annuale di 4,7) anche se largamente insufficiente a coprire il numero dei preti morti (76 negli anni 1882-1889, con un saldo negativo tra ordinati e morti di 38)(174).
Di fronte a questa situazione di crisi numerica Sarto scelse di curare con particolare impegno il disciplinamento del clero veneziano, soprattutto attraverso le disposizioni sinodali, secondo criteri improntati a rigore, piuttosto che procedere a una strategia di aumento dei preti che si sarebbe potuta conseguire, come accadeva in altre diocesi, attraverso una selezione meno severa dei candidati al presbiterato(175) o l'attrazione di clero da altre diocesi operata grazie alla presenza di una sovrabbondanza di benefici ecclesiastici rispetto al numero dei preti autoctoni(176), una via che peraltro nel Patriarcato di Venezia sarebbe risultata piuttosto difficile da percorrere a causa della non particolare cospicuità delle sue dotazioni beneficiali(177).
Invece Sarto, anticipando una linea che durante il suo pontificato avrebbe adottato come criterio generale, preferì puntare su un clero moralmente integerrimo e che potesse svolgere il proprio compito tra la popolazione con autorevolezza, piuttosto che numericamente abbondante ma non del tutto corrispondente a quei criteri di santità di vita, di pietà e di impegno pastorale che egli considerava tra le doti principali del prete in cura d'anime(178).
Si inquadravano in quest'ottica l'introduzione del ritiro mensile per il clero a partire dal 1895(179) e i provvedimenti adottati nei confronti del seminario patriarcale: il riordino dell'insegnamento delle scuole interne(180) e l'istituzione nel 1902, a fianco del seminario, di una facoltà giuridica riconosciuta dalla Santa Sede, che però anche durante gli anni successivi non riuscì mai a raggiungere un livello significativo negli studi né a raccogliere un numero considerevole di studenti(181).
Per quanto concerne il laicato cattolico, non appena giunse a Venezia Sarto si pose all'opera per riorganizzarne le associazioni. Inoltre concorse personalmente alla fondazione di un istituto di credito, il Banco di S. Marco (7 maggio 1895), che si sarebbe dovuto incaricare di sostenere finanziariamente le istituzioni cattoliche esistenti(182).
Durante la seconda parte dell'episcopato lagunare di Sarto, nonostante la crisi del 1898 - che a Venezia portò le autorità dello Stato allo scioglimento temporaneo del Comitato diocesano dell'Opera dei Congressi e di una sua Sezione giovani, ma non, per un errore della prefettura e della questura, a quello del Comitato permanente(183) -, l'associazionismo cattolico veneziano andò ulteriormente sviluppandosi, soprattutto sul versante sociale ed economico, cui contribuì in modo determinante l'intensa attività svolta da Cerutti(184).
Notevoli furono i risultati conseguiti dai cattolici veneziani sul piano elettorale. Facendo leva sul rinsaldato schieramento cattolico, Sarto - di orientamento rigidamente intransigente sui principi, ma non prigioniero di quell'atteggiamento di pedissequa riproposizione delle scelte pratiche che da tali principi derivavano, che invece caratterizzava tanta parte del cattolicesimo intransigente nel Veneto(185) - promosse un'alleanza politica con i moderati in occasione delle elezioni amministrative del 28 luglio 1895, per scalzare la maggioranza guidata dal sindaco radicale Riccardo Selvatico, cui i cattolici rimproveravano l'adozione di una linea di governo anticlericale(186). L'operazione, che ebbe pieno successo sotto il profilo elettorale, suscitò le resistenze di alcuni cattolici intransigenti, tra i quali il direttore del giornale cattolico veneziano "La Difesa", il gesuita Gaetano Zocchi, che se ne lamentò con il segretario di Stato e che per la sua opposizione fu successivamente indotto da Sarto a lasciare la guida del quotidiano(187).
Il nuovo blocco di orientamento conservatore che si costituì in quell'occasione con il concorso di molti preti e laici cattolici(188) poté contare anche negli anni successivi su una compattezza e un consenso - cui inizialmente non fu estranea l'attività del patriarca Sarto e delle articolazioni locali dell'Opera dei Congressi e Comitati Cattolici(189) - tali che gli consentirono di guidare l'amministrazione cittadina, con a capo il sindaco Filippo Grimani, fino al 1919(190).
Per combattere l'apostasia sociale Sarto promosse anche un'opera sistematica e capillare di catechizzazione, che volle fosse estesa agli adulti (insegnate, raccomandò ai parroci, "che il dovere di intervenire al Catechismo può esser tale da paragonarsi, anzi da superare l'obbligo stesso di sentire la Messa nei giorni festivi")(191); prescrisse al clero di predicare regolarmente durante le messe domenicali e festive(192); per rendere pubblicamente visibile la presenza della Chiesa mobilitò i cattolici facendo leva su alcune celebrazioni straordinarie in occasione dell'ottavo centenario della dedicazione della basilica di S. Marco (1895)(193) e soprattutto del congresso eucaristico nazionale(194). In particolare quest'ultimo, tenuto a Venezia nell'agosto 1897, fu presentato da Sarto come una risposta al rifiuto della sovranità di Cristo e della Chiesa da parte degli individui, dei popoli e degli Stati: nel congresso
si afferma solennemente non pure come cristiani, ma anche come cittadini il governo regale di Gesù Cristo, perché solamente nella sottomissione a Lui gli interessi sociali saranno protetti, saranno soddisfatti i veri ideali, come suol dirsi, della indipendenza e della libertà, e si potrà aspirare alla gloria di nazioni cristiane. E questo volere lo manifestiamo pubblicamente ben lontani dal tendere insidie ai terreni governi, o dal minacciare le umane istituzioni, ma combattendo per la verità e con la verità, e facendo voti che istituzioni e governi, se ne avessero bisogno, riconoscano i propri errori, e si correggano così da poter meritare l'ossequio dei popoli e la benedizione della Chiesa.
Questo rinnovamento peraltro non può essere l'opera di un solo, ma deve venire dall'unione: dall'unione compatta dei laici col Clero sotto la direzione della Chiesa e del suo Capo supremo: quello appunto, che si ottiene nei Congressi eucaristici(195).
In termini generali queste accentuazioni non prescindevano completamente dall'esigenza, particolarmente sentita da Sarto, di rendere più intensa la partecipazione popolare alla liturgia(196). Ma più specificamente esse rappresentavano soprattutto una risposta diretta ai primi effetti visibili della secolarizzazione in ambito sociale e costituivano un'espressione concreta di quella pratica di politicizzazione del culto che stava ricevendo una particolare diffusione in quei decenni per combattere gli effetti più nefasti della modernità(197).
L'elezione di Sarto come successore di Leone XIII il 4 agosto 1903 ebbe conseguenze notevoli per la Chiesa cattolica veneziana. La prima e più ovvia fu che nell'immediato la diocesi venne a trovarsi priva del vescovo, ma solamente dal punto di vista pratico e per pochi giorni, perché sotto l'aspetto formale Pio X decise di mantenere il titolo di patriarca e, per provvedere alla gestione della diocesi, il 9 agosto 1903 elevò all'episcopato Aristide Cavallari, arciprete della popolosa parrocchia di S. Pietro di Castello, cui affidò le mansioni di provicario generale(198).
La nomina di Cavallari, che poi il 13 marzo 1904 fu promosso patriarca di Venezia e il 15 aprile 1907 insignito del cardinalato(199), giunse inaspettata e non fu accolta con particolare simpatia dal clero veneziano(200). Da subito la sua conduzione della diocesi risultò eccessivamente caratterizzata dalla dipendenza da Pio X, che per qualche tempo aveva mantenuto da Roma anche l'ufficio di rettore del seminario patriarcale(201). Il nuovo patriarca usava ricorrere a Sarto non solamente per il disbrigo di affari particolarmente delicati, ma anche per gli aspetti più ordinari, e talvolta di ridotto significato, della gestione della Chiesa cattolica veneziana. Il visitatore apostolico della diocesi, che vi operò tra il marzo e il luglio del 1906, segnalò che soprattutto da quell'atteggiamento derivava la scarsa autorevolezza di cui godeva il governo di Cavallari(202).
Una conseguenza non meno rilevante dell'elezione di Pio X fu quella di suscitare ipso facto nella Curia romana (e più in generale nella Chiesa cattolica) un giudizio favorevole nei confronti del Patriarcato veneziano, cui si cominciò a guardare come a una diocesi modello, risultato dell'impegno che vi aveva profuso durante nove anni il vescovo che poi era passato alla guida dell'intera Chiesa cattolica(203). Oltre che un'espressione del tradizionale ossequio dovuto al papa(204), accresciuto dalla crescente enfatizzazione della sua figura che aveva corso in quei decenni, questo atteggiamento costituiva la risposta a una sollecitazione che era venuta proprio da Pio X, che durante i primi mesi del suo pontificato riservò un'attenzione particolare alle tre diocesi venete in cui aveva operato (Treviso, Padova e Venezia) non solamente per ragioni affettive, ma anche per sottolineare le condizioni religiose di quelle popolazioni, largamente deferenti verso le indicazioni che provenivano dalle autorità ecclesiastiche tanto sul piano del pensiero quanto su quello dei comportamenti individuali e sociali: un modello esemplare che costituiva la diretta contrapposizione all'apostasia che secondo l'interpretazione dell'intransigentismo cattolico sembrava caratterizzare gli Stati e le società liberali del XIX secolo.
Ma l'attenzione alla diocesi veneziana si concretizzò anche nel coinvolgimento di alcuni suoi istituti in un orizzonte d'azione che travalicava i limiti della realtà locale. Così fu per il quotidiano cattolico "La Difesa", che durante il pontificato di Pio X ebbe fama di giornale semiufficiale della Santa Sede(205); e per il Banco di S. Marco, che venne coinvolto in operazioni di finanziamento della stampa di orientamento papale e di salvataggio di altri istituti di credito cattolici per volontà di papa Sarto(206).
Cavallari adottò uno stile di governo della diocesi caratterizzato dall'accentramento delle funzioni nella propria persona, come già aveva fatto il suo predecessore(207), e da una concezione ecclesiologica di evidente impronta tridentina, fondata soprattutto sulla pratica sacramentale. Di fronte ai primi inequivocabili segnali di una progressiva secolarizzazione dei comportamenti, che nel territorio della diocesi in quegli anni si manifestava soprattutto attraverso un crescente abbandono della pratica sacramentale(208), la Chiesa veneziana sotto la guida di Cavallari (come peraltro più in generale la Chiesa cattolica durante il pontificato di Pio X) non fu in grado di offrire risposte alternative ai tradizionali richiami alla frequenza ai sacramenti, senza cogliere la crisi di fede che si celava dietro tali abbandoni come portato del difficile incontro fra la società scaturita dalla Rivoluzione francese e segnata dal primo sviluppo industriale e una visione della religione cattolica che era stata elaborata nelle sue linee essenziali tre secoli prima, in tutt'altro contesto sociale.
Le inquietudini che questo rapporto generò sfociarono, durante il primo decennio del Novecento, nella fase più acuta della crisi modernista, che si era sviluppata a partire dal 1893 nel campo dell'esegesi biblica. Fu un'autentica crisi dottrinale che vide contrapposti coloro - preti e laici cattolici, ma anche qualche vescovo - che sostenevano la necessità di un rinnovamento delle scienze religiose (in primis della teologia, dell'ecclesiologia, della filosofia metafisica e morale, dell'esegesi biblica, della storia della Chiesa), in forme non sempre compatibili tra loro, e la gran parte dell'episcopato e del clero, che, seguendo le direttive di Pio X in modo convinto o adeguandosi comunque ai criteri di fondo tracciati dai suoi interventi, diedero vita a un'ampia campagna antimodernista che rapidamente fu estesa, nei limiti del possibile, a ogni fautore di cambiamenti anche se di blando contenuto, qualora si trattasse di innovazioni che non erano promosse esplicitamente dalla Santa Sede. Ne scaturì un clima di repressione che gravò per decenni sulla Chiesa, limitando gravemente le possibilità di sviluppo della cultura e degli studi in ambito cattolico, ma anche quelle di rinnovare la partecipazione alla vita ecclesiale in termini più adeguati alle istanze presenti nella società.
Inoltre, soprattutto in Italia, la crisi modernista ebbe un significativo versante politico, che vide sotto accusa i gruppi della democrazia cristiana legati a Romolo Murri, per la loro propensione, dichiarata apertamente, a una linea d'impegno in autonomia dalle indicazioni del papa e dei vescovi(209).
Secondo le notizie fornite alla Santa Sede da Cavallari e dai visitatori apostolici del Patriarcato e del suo seminario, a Venezia non vi era alcuna presenza di modernisti(210). Impedivano anche solo l'ipotetica plausibilità che nella diocesi potessero essersi sviluppati focolai della temuta eresia il fatto che fino a pochi anni prima la Chiesa cattolica veneziana fosse stata governata da Sarto - che poi come papa aveva intrapreso una strenua battaglia contro ogni più piccola ombra di modernismo - e gli stretti rapporti che da Roma egli aveva continuato a mantenere con Cavallari.
Ma erano anche le reali condizioni della diocesi lagunare a ostacolare lo sviluppo di correnti novatrici, a parere del visitatore apostolico del Patriarcato: "Del movimento modernista finora non si ha alcun indizio, anzi pare si tenda a quello della reazione"(211). Per di più il clero veneziano, reclutato generalmente dai ceti popolari, a inizio Novecento era caratterizzato dalla scarsa formazione culturale e dalla poca propensione allo studio(212).
In realtà qualche sospetto si appuntava nei confronti dell'arciprete di S. Marco Ferdinando Apollonio (in passato polemico sostenitore delle posizioni intransigenti)(213) che nel suo coltivare gli studi letterari mostrava un'inclinazione verso la "moderna critica", sebbene in forme non censurabili, che aveva allarmato Cavallari(214). L'attenzione su Apollonio era richiamata anche dal suo agire in modo indipendente dall'autorità ecclesiastica (cosa che lo aveva già portato a scontrarsi con il patriarca Sarto)(215), un comportamento che dopo il passaggio del visitatore apostolico della diocesi gli valse un richiamo personale da parte di Pio X(216) e che se fosse stato rilevato negli anni successivi, in piena campagna antimodernista, sarebbe stato considerato molto probabilmente un'espressione tipica di "modernismo pratico", denominazione con la quale allora furono censurati frequentemente i gesti di insubordinazione del clero(217).
Tuttavia Venezia non rimase estranea alla crisi modernista, e non solamente perché la sua dimensione di città turistica le valse in un primo momento l'inserimento tra le possibili sedi del convegno che alcuni dei più rappresentativi sostenitori di un ampio rinnovamento della Chiesa cattolica tennero poi a Molveno nell'agosto 1907(218). Se il clero non prestò orecchio alle istanze dei novatori qualche inquietudine si manifestò invece all'interno del laicato cattolico, soprattutto sul versante dell'impegno sociale, già durante il governo episcopale di Sarto, quando all'interno del Comitato diocesano dell'Opera dei Congressi sorsero delle divisioni tra intransigenti e democratici cristiani. Dopo la morte del presidente del Comitato diocesano Domenico Castagna, per evitare di accentuare il contrasto, che si sarebbe verosimilmente tradotto in un indebolimento "dell'azione cattolica elettorale cittadina" (di lì a qualche mese si sarebbero tenute le amministrative), piuttosto che ricorrere a un'epurazione dei democratici cristiani nel maggio 1899 si preferì, con l'assenso di Sarto, nominare don Luigi Cerutti nella speranza che potesse presentarsi come persona di fama superiore, in grado di attenuare le contrapposizioni(219).
Ulteriori fermenti tra i cattolici veneziani si svilupparono in conseguenza dei prolungati soggiorni e dei ripetuti passaggi a Venezia di alcune figure di spicco del riformismo cristiano negli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo, per quanto risulti difficile indagarne nei particolari l'effettiva incidenza. Nell'aprile 1898 si trasferì a Venezia Antonietta Giacomelli, pronipote di Antonio Rosmini, che si impegnò nella fondazione della locale sezione dell'Unione per il bene, associazione che nella città lagunare trovò sede in campo Morosini. Essa inaugurò il proprio programma con una conferenza del barnabita Giovanni Semeria il 3 gennaio 1901, che fu tenuta all'Ateneo Veneto grazie alla presenza di Maria Pezzè Pascolato (figlia dell'allora presidente dell'istituzione culturale posta in campo S. Fantin) nell'Unione per il bene veneziana(220).
Quest'ultima fu caratterizzata dal fondamento prevalentemente filosofico, dalla dimensione interconfessionale (tra i promotori in città vi fu anche David Levi-Morenos, di religione ebraica), dalle attività di educazione popolare e di studio sul tema della beneficenza. La sua repentina scomparsa intorno al 1901 fu dovuta quasi certamente alle crescenti difficoltà che le causarono le critiche degli ambienti ecclesiastici veneziani: era da essi che provenivano le "nubi all'orizzonte" cui alludeva la Giacomelli per spiegarne la fine. E verosimilmente alla stessa Giacomelli si riferiva anonimamente Filippo Crispolti ricordando di avere preso le difese davanti a Sarto nel 1901 di una "signorina che avendo molte relazioni fra professori e scolari indifferenti o contrari ad ogni idea religiosa, si studiava colla parola e cogli scritti di conquistarli od almeno di avvicinarli al Signore e alla sua chiesa"; al che il patriarca aveva ribattuto esponendo le proprie perplessità per un metodo di diffusione del cattolicesimo che a suo giudizio rischiava di portare a "una religiosità vaga e inconcludente"(221).
Partita per Treviso la Giacomelli nel maggio 1902, dopo pochi mesi arrivò a Venezia don Brizio Casciola, che vi si trattenne dal settembre 1902 all'estate 1903, ospite della famiglia del Bono. La sua presenza fu spesa soprattutto sul versante dell'impegno caritativo, ma in quei mesi Casciola divenne anche un punto di riferimento sul piano spirituale, secondo le peculiari inclinazioni al misticismo e alle aperture ecumeniche che lo caratterizzavano, e svolse opera di sostegno alle concezioni democratico-cristiane presso coloro che gli si rivolsero non condividendo le critiche prese di posizione che la Santa Sede aveva assunto nei confronti di Murri ("Anche a Venezia, per quanto città fiacca e arretrata, ci sono molte anime assetate, molte sdegnate")(222).
Sulla linea tracciata da Sarto di chiusura verso i novatori che giungevano a Venezia si pose anche Cavallari, che negli anni successivi ebbe modo di dare applicazione concreta al proprio orientamento rigidamente antimodernista. Già nel 1906, prima della condanna della "sintesi di tutte le eresie"(223) da parte di Pio X, alla richiesta del vescovo coadiutore di Ceneda rivolta a Cavallari in qualità di metropolita perché desse un suggerimento su come comportarsi nei confronti di un docente del seminario vittoriese, don Luigi Ziliani, accusato di condividere le posizioni della critica moderna in campo dogmatico, la risposta non aveva lasciato spazio a tentennamenti: "Expedit, ut unus moriatur homo etc."(224).
Altrettanto inflessibile Cavallari si mostrò nel creare un isolamento attorno a coloro che arrivavano in città con fama di modernisti. Il 20 settembre 1909 vietò al clero la partecipazione alla seconda conferenza veneziana di Romolo Murri (scomunicato nel marzo precedente per avere accettato l'elezione al Parlamento italiano)(225), dopo che quella tenuta il giorno precedente aveva riscosso un significativo successo(226).
Il 23 dello stesso mese, in conseguenza del fatto che il 21 il prete di Pellestrina Olinto Marella, già sospetto di modernismo, era stato visto accompagnarsi a Murri in piazza S. Marco, Cavallari ne caldeggiò la sospensione a divinis da parte del vescovo di Chioggia(227).
Nell'ottobre del 1910 quando il barnabita Alessandro Ghignoni arrivò a Venezia accompagnato da un biglietto personale di Pio X, che suggeriva di accordargli un'accoglienza benevola nonostante le accuse che lo circondavano, Cavallari convocò il consiglio di vigilanza contro il modernismo e sospese a divinis il regolare(228).
Sebbene all'interno di una prospettiva di fondo rappresentata ancora dall'impegno per il ristabilimento di una società cristiana, la seconda metà degli anni Dieci segnò l'avvio di una nuova stagione nella storia della Chiesa cattolica veneziana. Essa fu dovuta in prevalenza al compiersi di quei fatti di amplissima rilevanza che incisero in modo profondo sull'intero continente europeo (inizio del conflitto bellico il 28 luglio 1914), specificamente sull'Italia (entrata in guerra il 24 maggio 1915) e sulla Chiesa cattolica tout court (morte di Pio X il 20 agosto 1914 e successiva elezione di Benedetto XV che si affrettò a dichiarare conclusa la campagna antimodernista; nascita del Partito Popolare Italiano nel gennaio 1919); e secondariamente fu l'esito dello stile di governo del nuovo patriarca di Venezia.
Alla scomparsa di Cavallari il 24 novembre 1914 seguì la nomina nel gennaio 1915 di Pietro La Fontaine, decisa e personalmente voluta da Benedetto XV(229), che così espresse la volontà di avviare anche nella diocesi lagunare quel prudente aggiustamento di linea che in termini generali aveva cominciato a imporre all'intera Chiesa cattolica.
Diversi aspetti resero evidente questo proposito. Uno, di tipo immediato, consisteva nel fatto che nella secolare storia della diocesi del Patriarcato di Venezia, prima del viterbese La Fontaine, mai si era dato il caso della nomina di un vescovo non "veneto" (secondo una dizione di territorio "veneto" che in ambito ecclesiastico era esteso anche alle zone della Lombardia appartenute alla Repubblica di Venezia) che non fosse per lo meno chiara espressione dei desiderata delle autorità politiche che governavano la città. A interrompere la catena dei patriarchi provenienti dai territori del Dominio veneto dopo la caduta della Repubblica di Venezia erano stati prima Napoleone e poi il governo austriaco del Lombardo-Veneto, con l'implicita intenzione di recidere anche in questo specifico campo i legami con la memoria dello Stato veneziano: l'imperatore francese inviò sulla cattedra della Chiesa lagunare il napoletano Nicola Saverio Gamboni nel 1807 e il milanese(230) Stefano Bonsignori nel 1811; quello austriaco scelse l'ungherese J.L. Pyrker nel 1820 e il milanese Angelo Francesco Ramazzotti nel 1858. La consuetudine di eleggere patriarca un "veneto" fu ripresa in seguito dagli stessi austriaci e non è più stata interrotta fino alla fine del Novecento, se si eccettua appunto il caso di La Fontaine.
Così si spiega lo stupore iniziale che colse le stesse autorità politiche del Regno di fronte alla notizia della scelta compiuta da Benedetto XV. Scrisse il prefetto della città lagunare: "Monsignor Pietro La Fontaine è sconosciuto del tutto in questa città e Provincia. Non sono pertanto in grado di dare alla S.V. Ill. le informazioni richieste [...], né di manifestare il mio parere circa la opportunità della detta nomina"(231).
Durante il pontificato di Pio X La Fontaine dapprima era stato eletto vescovo della diocesi cosentina di Cassano Ionio il 6 dicembre 1906, quindi il 27 marzo 1910 era stato nominato arcidiacono della basilica di S. Giovanni in Laterano e, per arrotondare le non cospicue entrate di cui era dotato quell'ufficio, segretario della Congregazione dei Riti(232), dove aveva lavorato con intensità ai programmi di riforma della liturgia.
In quegli anni l'impiego di La Fontaine come visitatore apostolico di diocesi e seminari in Italia ne aveva messo chiaramente in luce la convinta adesione ai principi del cattolicesimo intransigente, ma anche l'indisponibilità ad assumere quel criterio di giudizio estensivo nella lotta al modernismo che caratterizzò il governo di Pio X e l'azione dei suoi più stretti collaboratori(233).
Anche da patriarca di Venezia La Fontaine mostrò di muoversi all'interno dell'ecclesiologia e della pastorale tridentina, nelle rielaborazioni compiute dai papi del secondo Ottocento e del primo Novecento sulla base delle esigenze sorte dallo scontro con la civiltà moderna, ma vi impresse un'interpretazione peculiare che tese a sottolineare la dimensione della paternità episcopale nel governo della diocesi e che fu tradotta in un'attenuazione del rigorismo disciplinare caratteristico dell'impianto intransigente(234).
Altrettanto inconsuete furono le modalità del suo governo diocesano di fronte ai gravi problemi che segnarono Venezia e il paese nel primo dopoguerra. Infatti la sua azione fu volta a favorire un accordo tra le contrapposte forze politiche e culturali sulle questioni più urgenti per la vita della città. Anche in questo caso La Fontaine muoveva da un dato tradizionale, l'immagine di una Chiesa super partes, estranea alle divisioni partitiche perché chiamata a servire fini superiori (il bene eterno delle anime) a quelli degli Stati (la felicità terrena degli uomini), che poggiava sulla dottrina bellarminiana della potestas indirecta; ma ne traeva un'applicazione singolare: l'estensione al campo dell'amministrazione pubblica veneziana della prospettiva di superamento delle divisioni. In particolare dopo le elezioni del 1920 La Fontaine auspicò che si raggiungesse un'intesa che avrebbe dovuto comprendere tutte le formazioni politiche (senza la rinuncia alla loro specifica fisionomia), incluse quelle di sinistra che erano uscite sconfitte dal voto amministrativo e tra le quali erano i socialisti, generalmente considerati dalla Chiesa tra metà Ottocento e primo Novecento come i fautori del disordine sociale e della distruzione della civiltà cristiana. In quell'invito non era minimamente implicata la revoca del giudizio drasticamente negativo sul socialismo, tuttavia la disponibilità a cercare una collaborazione pratica con gli esponenti di quel partito (la cui sconfitta elettorale rendeva più facilmente auspicabile l'emarginazione dalla vita pubblica), anche se dovuta a condizioni straordinarie, rappresentava una scelta non ovvia, tesa alla distensione dei rapporti sociali e politici(235).
Sebbene all'interno di una lettura 'religiosa' della crisi del liberalismo che in La Fontaine rinviava a un modello ierocratico di società, risultò non comune anche l'invito formulato sempre nel 1920, nel contesto delle agitazioni agrarie delle leghe cattoliche per il rinnovo dei patti colonici, a ripensare i rapporti economici in base a un criterio di "equità secondo i principi cristiani" che in realtà egli traduceva in un'accentuata ridistribuzione delle ricchezze, che avrebbe dovuto essere compiuta forzando i termini di diritto relativi al concetto di proprietà privata. Fu una posizione che destò le preoccupazioni del vescovo di Treviso Andrea Giacinto Longhin, che ne colse le differenze rispetto alla linea più moderata indicata da Benedetto XV, e incontrò l'ostilità di larga parte del padronato veneto(236).
Questi elementi peculiari del governo di La Fontaine si aggiunsero alle trasformazioni più generali, ma ben più radicali, causate in primo luogo dalla guerra: un drammatico impoverimento demografico ed economico del territorio veneziano, direttamente investito dai combattimenti, che perdurò, con alcune attenuazioni, negli anni Venti(237); lo sviluppo impetuoso dei partiti di massa nel dopoguerra, con la convergenza anche di gran parte dei cattolici veneziani attorno al neonato Partito Popolare Italiano(238); le tensioni e gli scontri del "biennio rosso"; l'assunzione del governo da parte del fascismo che rese possibile l'instaurazione di un nuovo tipo di relazioni tra la Santa Sede e l'Italia volte, nelle intenzioni della prima, a consentire il superamento della frattura causata nel 1870 dalla presa di Roma e a favorire l'evoluzione del regime autoritario in senso cattolico(239): una linea che La Fontaine condivise nei suoi rapporti con Mussolini e i fascisti locali, senza rinunciare alla ferma denuncia delle violazioni della morale cattolica e di quelli che erano considerati diritti acquisiti della Chiesa(240). Il confronto con tutti questi fatti non comportò la modifica della linea generale seguita dalla diocesi veneziana, che continuò a muovere lungo l'impegno per il ristabilimento di una società fondata sui principi cattolici in alternativa a quella liberale, considerata erede della Rivoluzione francese; ma indusse all'adattamento di alcune articolazioni del programma elaborato per combattere i nuovi tratti che la modernità manifestò negli anni Venti e Trenta (caratterizzati da un più marcato distacco della vita individuale e collettiva dalle forme tradizionali della pratica religiosa e dalle istituzioni cattoliche) e soprattutto fu segnato dallo stile che La Fontaine impresse all'applicazione di tale programma.
Sarebbero state queste le coordinate di fondo principali anche del percorso della diocesi veneziana nei decenni seguenti - ma con un notevole irrigidimento dovuto allo stampo rigorista del governo dei successori di La Fontaine, Adeodato Giovanni Piazza (1935-1948) e Carlo Agostini (1948-1952) - fino all'episcopato di Angelo Giuseppe Roncalli, che avrebbe comportato l'avvio di una svolta di profondo significato dapprima a Venezia e poi, eletto papa, nell'intera Chiesa cattolica(241).
Non è possibile affrontare compiutamente in questa sede il complesso tema della "religiosità popolare" a Venezia tra l'Ottocento e il primo Novecento. Quelli che seguono sono solo alcuni cenni frammentari, bisognosi di un ulteriore approfondimento che potrà scaturire solamente da ricerche che fino a oggi non è stato possibile condurre anche per l'indiscutibile limite di carattere documentario insito nello studio del rapporto con la religione (in tutti i suoi risvolti) di una popolazione che, in quanto largamente segnata dall'analfabetismo nel corso dell'Ottocento, ci ha lasciato non numerose memorie scritte che ne consentano la ricostruzione.
Soprattutto nel primo Ottocento, sulla spinta del riformismo che si era manifestato a livello di cultura erudita nel corso del secolo precedente, da una devozione popolare incline non di rado alla superstizione e alla magia si cercò di passare, sotto la guida dei vescovi e del clero, a una più moderna devozione "regolata" che tentava di raccogliere in qualche modo l'eredità muratoriana(242). La razionalizzazione delle forme cultuali e della pietà procedette, anche a Venezia, non senza resistenze da parte delle popolazioni.
Il patriarca Pyrker, che negli anni Venti si era fatto promotore di un riordino della liturgia e delle pratiche devozionali, si trovò ad affrontare l'ostilità di gran parte della popolazione, i cui sentimenti traspaiono dai versi di alcuni anonimi rimatori ("Patriarca, compatime, / certe vostre usanze nove / ve lo dise le mie rime / le spaventa e no comove"; e un altro "Patriarca sé un bel tomo / per no dir de pezzo assae / vu per zelo dè sassae / alla santa religion"; e ancora "fe' veder che tra nu / sior Luter no xe vegnù"), e fu costretto a recedere da alcuni provvedimenti(243).
Da uno sguardo di sintesi emerge che in Italia la spiritualità della popolazione cattolica del XIX secolo si alimentò e ruotò principalmente attorno alla preghiera, rivolta a quel Dio severo giudice e vendicatore dei peccati che poi nel corso dei decenni andò lentamente evolvendo verso la figura del padre provvidente nei confronti degli uomini e dei loro bisogni(244). Si trattava di una pratica di orazione a lungo mediata dal ricorso a formule mnemoniche e dalla diffusione di immaginette devozionali (soprattutto raffiguranti Maria e alcuni santi la cui intercessione era considerata particolarmente adatta a proteggere da mali e difficoltà che incidevano con una frequenza significativa nella vita dell'epoca) tra le popolazioni largamente condizionate dall'analfabetismo, cui nel tardo Ottocento-primo Novecento l'incipiente scolarizzazione di massa permise a parroci e predicatori di affiancare libretti devozionali e i primi catechismi destinati a una diffusione capillare(245).
Anche a Venezia continuarono a ricorrere nella liturgia e nella pietà, per sollecitazione degli stessi patriarchi, quelle espressioni proprie di un cristianesimo popolare nelle quali affiorava l'attenzione ad alcuni bisogni e preoccupazioni degli uomini, cui la comunità ecclesiale intendeva offrire risposta: esposizioni dell'immagine della Madonna della Salute per scongiurare il diffondersi del colera in città(246), preghiere per auspicarne la sua rapida scomparsa(247), invocazioni per chiedere la pioggia(248) o sventare straripamenti di fiumi(249).
Si trattava di forme ormai cristallizzate, non più rispondenti alle necessità di una parte considerevole della società, ma non per questo definibili come superstizioni anacronistiche se si assume l'ottica di chi continuava a praticarle con fede religiosa(250). Tuttavia è opportuno rilevare l'emergenza di alcuni significativi cambiamenti proprio nell'ambito delle manifestazioni cultuali più tradizionali sotto la spinta di una progressiva e più larga ricezione delle moderne acquisizioni scientifiche. Ne è un esempio la decisione presa dal patriarca Trevisanato nel 1866 di non ricorrere più all'esposizione di icone mariane, come invece era stato fatto nell'anno precedente, di fronte alla comparsa del colera a Venezia, per evitare - spiegava il presule - che il convenire della folla favorisse il contagio del morbo(251). Resta peraltro da indagare se la popolazione si conformasse (e in che misura) ai nuovi indirizzi raccomandati dai patriarchi e dal clero.
Altrettanto significativo, in linea con l'evoluzione in corso nella penisola durante l'Ottocento, fu lo sviluppo assunto a Venezia dalla devozione eucaristica - in una pluralità di forme che andavano dall'adorazione pubblica delle "Quarantore" (il cui primo sviluppo in Italia datava tra Cinquecento e Seicento) a pratiche di più recente affermazione come quella della benedizione eucaristica a conclusione delle funzioni vespertine domenicali, della visita al sacramento, della comunione eucaristica frequente o generale - e da quella mariana, che nel secondo Ottocento si caricarono anche di un preciso significato politico di opposizione allo Stato liberale italiano e più in generale alla civiltà moderna(252).
Alcune fonti offrono una spia, bisognosa di ulteriori considerazioni, anche della progressiva secolarizzazione dei comportamenti della popolazione veneziana o, più precisamente, della percezione che ne ebbero i responsabili della Chiesa cattolica lagunare. Un primo segnale allarmante, costituito dall'iniziale arretramento della frequenza dei ragazzi alla dottrina cristiana nelle parrocchie cittadine del Patriarcato, fu rilevato già a metà secolo da Mutti e nei decenni successivi da Agostini in dimensioni più marcate(253). Stando ai dati raccolti durante le visite pastorali del Patriarcato, nel secondo Ottocento aumentarono anche gli inconfessi(254).
Comunque all'inizio del nuovo secolo, nel 1906, la visita apostolica della diocesi veneziana offriva un quadro nel quale l'adesione della popolazione al cattolicesimo (sulla base di alcuni indicatori che vantavano una particolare considerazione da secoli nella Chiesa cattolica) sembrava ancora tenere, pure in presenza di alcuni indubitabili segnali di crisi. Infatti appariva ormai diffuso l'uso di ritardare il battesimo dei neonati per settimane "ed anche per qualche mese", segnalava allarmato il visitatore, anche se poi pochissimi erano quelli che non ricevevano il sacramento(255).
Nel contempo risultavano poche le unioni sentimentali non regolate da matrimonio cattolico pubblicamente note (e per ciò stesso fonte di scandalo e di turbamento morale, secondo la visione, di chiara matrice cattolica tridentina, dominante in quei decenni)(256), e rari i funerali civili(257).
Se il precetto di comunicarsi a Pasqua sembrava rispettato da non molti uomini (ma ben più alta era la partecipazione femminile)(258), più preoccupante era un altro aspetto comune in quegli anni a gran parte delle diocesi italiane con accentuata composizione urbana: il progressivo indebolimento della pratica religiosa, esito - secondo le analisi di parte cattolica - di un crescente sentimento di indifferenza verso la religione tra la nobiltà e le classi agiate, e di ostilità contro la Chiesa e il cattolicesimo tra i ceti operai sui quali stava facendo presa la propaganda socialista:
La popolazione di Venezia è certamente Cattolica in massa e profondamente religiosa. I difetti da deplorarsi sono quelli che comunemente si deplorano: l'indifferentismo e la fiacchezza delle pratiche religiose nel ceto più alto; il lavorio del Socialismo nella classe operaia. [...] Le idee socialiste e di emancipazione si fanno largo, e portano per conseguenza la diminuzione delle pratiche religiose e del rispetto alla Religione(259).
Era la percezione in dimensioni semplicistiche di un lento, ma radicale cambiamento culturale che si stava manifestando ormai da tempo, con un'altra complessità (e in parte con altre motivazioni, connesse con lo sviluppo della prima industrializzazione in Italia) rispetto a quella rilevata dal visitatore apostolico, ma che anche in quella forma riduttiva contribuiva a rafforzare nella Chiesa cattolica, pure nella sua realtà veneziana, la convinzione che fosse in corso uno scontro decisivo per le sorti, oltre che della Chiesa stessa, del cristianesimo e della civiltà così come da parte cattolica si riteneva si fosse sviluppata a cominciare dai secoli ormai lontani dell'"Europa cristiana".
Un aspetto rilevante nel quale prese corpo lo scontro della Chiesa cattolica con la civiltà moderna tra XIX e XX secolo fu quello dell'atteggiamento tenuto nei confronti delle minoranze religiose, sul quale solo la storiografia più avvertita si è soffermata, con un impegno notevole soprattutto negli ultimi anni(260). Tale atteggiamento, orientato a un'ostilità di fondo che vantava una tradizione plurisecolare, nel corso dell'Ottocento fu caratterizzato da una nuova virulenza di fronte alla graduale introduzione di leggi che resero possibile l'emancipazione delle diverse comunità non cattoliche.
Questa reazione fu particolarmente evidente nei confronti degli ebrei veneti: rimasti esclusi durante il governo austriaco dai benefici che la patente di tolleranza aveva previsto per le comunità religiose definite acattoliche(261), quando raggiunsero l'emancipazione sotto il Regno d'Italia furono considerati dall'antisemitismo cattolico il simbolo e i promotori della società moderna, i principali fautori della supposta cospirazione tesa all'abbattimento della Chiesa e della civiltà cristiana, come divenne più distintamente percepibile nel corso degli anni Settanta dell'Ottocento(262). Se ne ebbe un precoce esempio, inserito nel contesto veneziano, nella denuncia del patriarca Trevisanato al commissario regio delle manifestazioni anticlericali e antimonarchiche che poco dopo l'unione all'Italia il presule riteneva si stessero preparando in città "specialmente da varii israeliti"(263).
Altrettanto significativo risulta l'impiego nel 1873 da parte dello stesso Trevisanato della locuzione "ebrei deicidi", all'interno di una lettera pubblica, come termine di confronto negativo per misurare la perversità degli avversari della Chiesa ("Egli sembra che in questi miseri tempi siasi scatenato tutto l'inferno contro l'adorabile Nostro Signor Gesù Cristo. Uomini perversi e invasati dal Diavolo, addivenuti peggiori degli ebrei deicidi, lo insultano satanicamente")(264).
La Chiesa cattolica veneziana polemizzò aspramente anche contro le locali comunità cristiane di altra confessione. Nel corso del lungo governo austriaco sul Veneto non era mancata qualche protesta dei patriarchi cattolici presso le autorità civili in occasione di funerali pubblici di militari luterani(265) o del passaggio di qualche cattolico alla confessione greca ortodossa(266), ma fu soprattutto nei confronti dei valdesi e dei cristiani liberi, giunti nel Veneto solamente dopo la guerra del 1866, che la Chiesa cattolica veneziana assunse un atteggiamento di polemica intolleranza che sfociò in una lunga serie di tensioni.
A Venezia all'iniziale attività di evangelizzazione intrapresa dal pastore Giovanni Davide Turin a partire dai primi di dicembre 1866(267), si affiancò quella dell'ex barnabita Alessandro Gavazzi - recatosi nella città lagunare su invito di J. McDougall all'inizio del 1867 -, che fu svolta in nome dei cristiani liberi (allora ancora uniti all'evangelismo)(268) e fu caratterizzata da toni vivacemente anticlericali e aspramente polemici contro la Chiesa cattolica. Ciò lo pose in divergenza con Turin e lo costrinse a trasferire la propria predicazione da palazzo Gambara (all'Accademia), preso in affitto dagli evangelici nel gennaio 1867, al salone offerto dal barone Swift(269). La reazione cattolica non si fece attendere. Già il 6 febbraio 1867 il patriarca Trevisanato chiese al reggente della prefettura di Venezia di impedire a Gavazzi di continuare la sua predicazione, facendo leva sulle offese al cattolicesimo - religione dello Stato - e sui turbamenti della quiete pubblica che ne derivavano, e dichiarando di temere fosse imminente una deplorevole manifestazione popolare violenta contro Gavazzi ("se non possiamo tollerar l'errore, dobbiamo peraltro compiangere l'errante")(270).
Il questore, incaricato dalla prefettura di raccogliere le informazioni del caso, si affrettò a smentire il sospetto che dietro la ventilata manifestazione ostile a Gavazzi si celassero i preti veneziani, ma non escluse la possibilità che alcuni popolani, di propria iniziativa o su istigazione di qualche prete zelante, intraprendessero contro il predicatore evangelico un'azione che tuttavia non sembrava imminente. Aggiunse che la polizia aveva anche avvicinato Gavazzi e Turin per indurli a smorzare i toni polemici dei loro interventi e a mantenerli sul terreno religioso, e li aveva avvertiti dei malumori che andavano montando nei loro confronti in parte della popolazione, nella speranza che la notizia li spingesse a lasciare la città(271). Mentre nella popolazione si registrò qualche animosità(272), Trevisanato emanò una lettera pastorale per la Quaresima nella quale condannava la predicazione dell'esponente della Chiesa cristiana libera e manifestava il proprio rammaricato stupore per l'inaspettata dimensione del pubblico che vi assisteva(273).
Gavazzi, che aveva già pubblicato un primo testo teso a spiegare chi fossero i "cristiani di libero Evangelo" per allontanare da loro le accuse di protestantesimo o di riformatorismo(274), reagì alla pastorale di Trevisanato con un opuscolo dal tono violento e derisorio(275). Ne seguirono alcuni disordini il pomeriggio del 24 marzo 1867 nella chiesa di S. Giacomo dell'Orio(276) e lo svolgimento di una predica in S. Marco che risultava passibile di sanzione penale, secondo il rapporto della questura. Il prefetto di Venezia ne addossò la causa all'attività predicatoria di Gavazzi e chiese al Ministero dell'Interno di poterlo allontanare dalla città anche in assenza di violazione di leggi(277). La risposta del direttore superiore di pubblica sicurezza il 27 marzo, distinguendo tra la linea di principio che non permetteva di intervenire contro Gavazzi se questi non infrangeva le leggi e l'atteggiamento pratico che talvolta le circostanze imponevano, di fatto concesse al prefetto la possibilità di allontanare Gavazzi da Venezia(278), cosa che avvenne puntualmente nel corso di aprile, non prima però che l'ex religioso e garibaldino desse alle stampe un opuscolo nel quale suggeriva di votare alle prossime elezioni in chiave antimoderata(279).
A questi primi tentativi di predicazione non privi di discontinuità(280) e che avevano suscitato notevoli clamori, fece seguito l'opera condotta stabilmente, a partire dal luglio 1867, da Emilio Comba(281), che preparò la nascita della locale Chiesa evangelica italiana, istituita ufficialmente il giorno di Natale del 1867 e di cui egli fu il primo pastore e presidente del Consiglio di Chiesa(282).
Anche dopo la fine della predicazione violentemente anticattolica condotta nei primi mesi del 1867 da Gavazzi, la presenza a Venezia dei valdesi e delle altre Chiese evangeliche si scontrò con le reazioni di parte cattolica (in primis del clero), per lo più improntate a virulenta intolleranza. Se talvolta esse furono elaborate come risposta a qualche provocazione(283), più spesso espressero un profondo disagio per la stessa attiva presenza in città di appartenenti ad altre confessioni religiose. Se ne trovò una manifestazione nelle pagine de "Il Veneto Cattolico", che cominciò a polemizzare vivacemente contro i protestanti fin dai suoi primi numeri usciti nel marzo 1867, a ridosso della predicazione di Gavazzi(284).
Inoltre nell'imminenza del battesimo valdese di due bambini nati entrambi da genitori cattolici e i cui padri erano poi passati all'altra confessione (una delle due madri si era dichiarata contraria alla prossima conversione del figlio), il 20 luglio 1867 Trevisanato si rivolse riservatamente al prefetto di Venezia per verificare se vi fosse il modo di impedire la "spirituale rovina di innocenti creature". Nell'occasione il patriarca di Venezia fece leva sul fatto che la locale comunità valdese non aveva ancora ottenuto il riconoscimento da parte dell'autorità civile e che, non essendo ancora stata introdotta la legislazione italiana nelle province venete, sulla base delle vigenti ordinanze austriache non era possibile attuare un repentino passaggio dal cattolicesimo "all'eresia"(285).
Al di là del linguaggio controversistico che la caratterizzava, va colto che la domanda di Trevisanato, che non ebbe riscontro favorevole(286), era rivolta con tono inaspettatamente temperato ("Ministro di quella Religione che non violenta alcuno a professarla, ma in pari tempo non risparmia alcun mezzo a salvare gli erranti") soprattutto per non irritare il proprio interlocutore, sulla scorta della consapevolezza della libertà assicurata dalle leggi italiane - di non lontana applicazione anche al Veneto - ai culti acattolici.
Un nuovo focolaio di polemica cattolica antiprotestante scoppiò agli inizi degli anni Ottanta. Il 26 febbraio 1881 una lettera pastorale del patriarca Agostini sulla necessità della fede chiariva che la beatitudine promessa da Cristo "a coloro che credono, non può essere certamente intesa che nel vero senso cattolico e non punto confusa con quelle temporali prosperità, di cui abbondano anche i Gentili, gli Ebrei, gli Eretici, gli Scismatici, i peccatori"(287). Quindi, in polemica con l'attività riformata che aveva allora corso a Venezia, denunciava:
A che tante cattedre di pestilenza, innalzate in più parti della nostra Città, alle quali pubblicamente si invitano cristiani Cattolici, per indurli a disprezzare e negare verità, che da diciannove secoli si insegnano dal Romano Pontefice e dai Successori degli Apostoli [...]? cattedre di errore e di menzogna, dalle quali e si negano dogmi, Sacramenti e fatti incontestabili della storia, da uomini di origine tenebrosa, privi affatto di fondamento per appoggiare la pretesa loro missione, a cui non li spinge che l'odio alla verità e il vile interesse; e si bandiscono errori, che solo la malafede e l'ignoranza possono propagare, perché ripescati le tante volte nell'armadio dei primi eretici, furono fino dai primi secoli dottamente confutati dai Padri e dai Dottori della Chiesa e rigettati da tutti i probi ed istruiti credenti(288).
Un mese più tardi Agostini si recò a predicare nella chiesa dei Tolentini contro gli errori propagati dagli evangelici, che con le loro scuole gratuite stavano riscuotendo un qualche successo tra i ceti popolari di quella parrocchia e delle limitrofe(289).
L'anno seguente, nella pastorale del 18 febbraio 1882 dall'emblematico titolo La fede pratica Agostini prese di mira la dottrina luterana sulla giustificazione per sola fede(290).
In quei mesi gli evangelici della Chiesa cristiana libera riuscirono ad acquistare la chiesa sconsacrata di S. Margherita, vanificando il tentativo di Agostini di comprarla a prezzo maggiorato per impedirne l'uso ai riformati. La reazione cattolica non si fece attendere. Già prima dell'apertura al culto, il 18 giugno 1882, della chiesa passata agli evangelici Agostini condannò gli scritti protestanti durante un'accesa predica tenuta in S. Marco il 3 giugno 1882. Nel frattempo il canonico teologo D'Este intraprese una serie di lezioni scritturali intese a confutare le dottrine degli evangelici e il domenicano Doria avviò un ciclo di conferenze apologetiche(291).
Quindi il 18 giugno (festa del Sacro cuore di Maria secondo il calendario cattolico, cosa che fu intesa come una provocazione aggiuntiva), in concomitanza con l'apertura della nuova chiesa dei cristiani liberi, Agostini tenne un discorso ai Carmini (parrocchia all'interno del cui territorio si trovava la chiesa di S. Margherita) dai toni molto aspri e polemici, nel corso del quale ribadì che il cattolicesimo era la religione dello Stato, definì intollerabile la libertà di cui godevano i nuovi predicatori e li qualificò "apostoli del diavolo", impegnati nella "dilatazione del regno di Satana". Raccomandò però ai cattolici di non reagire con la violenza fisica verso i riformati finché questi non vi avessero fatto ricorso per primi(292).
Il pastore della Chiesa cristiana libera di Venezia Enrico Borelli reagì al virulento intervento di Agostini pubblicando un opuscolo contro le accuse mosse da Agostini, nel quale si alternavano passi di tono moderato e di acre polemica:
Io non son Vescovo né Cardinale, eppure vi dico il vero, Eminenza, che arrossirei di fare una predica come la vostra in un uditorio di pescivendoli, e di facchini. Si vede in essa un'esplosione di bile, che vi schizza da tutti i pori, e nemmeno avete saputo rispettare la vostra porpora, la vostra dignità, il vostro carattere. Voi con quello spirito di mansuetudine tutta cattolica, che tanto distingue la vostra casta, ci chiamate caritatevolmente, Apostoli dell'errore, iniqui ministri di Satana, apostoli del Diavolo, impostori, sciagurati, assassini delle anime, vergognosi mestieranti, scellerati, razza perversa, senza pudore, gente di mala fede, peste dei paesi, nemici di Cristo, traditori, ignoranti, e quelli che vengono nelle nostre chiese lo fanno per passarvi una mezz'ora scherzando col Diavolo. La più rabbiosa trecca del mercato non sarebbe capace d'infilar tanti improperii(293).
Dopo che il 28 agosto 1882 Agostini aveva condannato i periodici riformati "Il Veneto Cristiano" e "Fra Paolo Sarpi", dichiarandone i redattori incorsi nella scomunica maggiore e gli stampatori, venditori, lettori e possessori di copie rei di colpa grave(294), l'8 settembre 1882 uscì un'ampia e articolata confutazione dell'opuscolo di Borelli. Opera del domenicano Rossi, la risposta al pastore della Chiesa cristiana libera fu condotta con toni relativamente meno aspri dei precedenti interventi di Agostini. Essa pose temporaneamente fine alla nuova lunga fase di polemiche.
Le pressioni esercitate dalla forte presenza cattolica a Venezia spinsero gli evangelici a chiedere alle istituzioni civili la creazione di ambienti separati. Se nel 1871 le autorità comunali risposero positivamente in meno di un mese alla richiesta avanzata dalla Chiesa luterana per ottenere uno spazio riservato ai defunti delle diverse confessioni evangeliche(295), non altrettanto accadde di fronte alla richiesta intesa a conseguire l'allestimento di un'apposita sala d'ospedale per le degenti valdesi. Formulata nell'estate 1869, qualche tempo dopo che un analogo provvedimento per gli uomini aveva trovato soddisfazione da parte delle autorità comunali(296), essa non fu accolta né allora né quando fu nuovamente rinnovata nel corso degli anni Settanta(297), e la vicenda si concluse solamente dopo che le donne valdesi, prescindendo dalle questioni confessionali, nel 1882 risposero al Consiglio di Chiesa di non essere interessate a ottenere una sala separata, forse per evitare di trascorrere prevedibilmente da sole (data la loro esiguità numerica in città) l'eventuale degenza ospedaliera(298).
Nonostante questo accomodamento rimase aperto il problema degli interventi operati dai religiosi cattolici che prestavano servizio all'interno dell'Ospedale per ottenere l'abiura dei moribondi. Nella tarda primavera 1886 una valdese ricoverata all'Ospedale civile morì dopo avere abiurato in seguito alle pressioni esercitate dai Cappuccini incaricati della cura spirituale nel nosocomio, che si erano fatti rilasciare una dichiarazione dal medico curante sulla lucidità di mente della paziente al momento del ritorno al cattolicesimo. Il pastore valdese ottenne l'apertura di un'inchiesta che, accertata l'irregolarità dell'abiura, ebbe come esito la notificazione al Municipio della fede evangelica della deceduta e la conseguente sua sepoltura nel cimitero di questa Chiesa(299).
Questo episodio nei mesi successivi spinse la direzione dell'Ospedale civile a concedere una camera appartata per le valdesi. Tuttavia perdurò una situazione di grave discriminazione per ciò che riguardava la possibilità di accedere alle degenti. Infatti il regolamento dell'ospedale non frapponeva alcuna limitazione ai Cappuccini della cappellania interna o ad altri ecclesiastici cattolici della città nemmeno per la visita di pazienti di altra confessione, ma consentiva ai pastori delle Chiese riformate di avvicinare gli appartenenti alle loro rispettive comunità solamente se questi ne facevano esplicita richiesta per iscritto(300). I tentativi intrapresi in quei mesi per ottenere la revoca del regolamento ospedaliero su questo specifico punto andarono incontro al fallimento(301).
Invece sembra che negli anni successivi i pastori abbiano ottenuto una qualche maggiore libertà d'accesso ai ricoverati della loro stessa confessione religiosa. Lo rende ipotizzabile la decisione presa dal patriarca Sarto di istituire l'Opera pia delle Signore visitatrici dell'Ospedale, un'associazione femminile dedita appositamente alla propaganda antiprotestante all'interno dell'ospedale veneziano(302).
Forse fu dovuto a questa nuova iniziativa il ritorno al cattolicesimo, nel 1899, di una ricoverata all'Ospedale civile che per molti anni aveva fatto parte della Chiesa valdese. Nel prenderne atto con rammarico il Consiglio di Chiesa riconobbe che in questo caso il fatto era avvenuto per libera scelta dell'interessata ("senza che vi sia stata persecuzione o pressione")(303).
di Venezia da parte della Santa Sede
Nel corso dell'Ottocento e del primo Novecento la Santa Sede effettuò una serie di pressioni sull'Ordine mechitarista di Venezia (che promuoveva il monachesimo secondo la tradizione della Chiesa precalcedonitica di rito armeno e intendeva favorire il riavvicinamento con la Chiesa cattolica senza rinunciare alla propria tradizione ecclesiale)(304) allo scopo di condurlo a una incondizionata adesione al cattolicesimo romano.
Una prima crisi si aprì nel 1815, in seguito alla denuncia alla Congregazione di Propaganda Fide di alcuni studi teologici, e si concluse nel 1819 con l'assoluzione da parte del Sant'Uffizio di tutte le opere sottoposte a esame(305). Questa crisi si collocò a cavallo dei due falliti tentativi di unione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa armena (1809 e 1820), cui non fu dato più alcun seguito dopo la creazione nel 1830 di una sede primaziale cattolica a Costantinopoli, trasformata poi in Patriarcato(306).
Agli inizi degli anni Cinquanta maturò una nuova crisi, sullo sfondo della politica di sostegno al patriarca Anton Hasun intrapresa da Pio IX, volta a ottenere una piena sottomissione di tutti gli armeni al papa(307). Nonostante le assicurazioni fornite dal clero veneziano sull'ortodossia dei Mechitaristi di S. Lazzaro(308), la Congregazione di Propaganda Fide mosse loro pesanti addebiti nel corso di un'adunanza cui prese parte lo stesso Pio IX: "il non riconoscere" la divisione della nazione armena in due parti, una "Cattolica unita e sottomessa alla S. Sede, l'altra [...] separata totalmente", fu giudicata una deviazione dalla dottrina cattolica, atta a "introdurre l'Indifferentismo"(309). Le preoccupazioni della Santa Sede erano acuite dall'esistenza di due collegi, a Venezia e a Parigi, per l'educazione dei giovani armeni alle dipendenze dei Mechitaristi. Nell'occasione il prefetto di Propaganda Fide affidò il collegio veneziano alla sorveglianza del patriarca Mutti che avrebbe dovuto esercitarla nei confronti delle dottrine insegnate, dell'andamento educativo e disciplinare vigente e in particolare sugli "Scismatici" eventualmente presenti nell'istituto. Di fatto però si approfittò di questo provvedimento per porre gli stessi Mechitaristi presenti a S. Lazzaro sotto il controllo di Mutti(310).
L'intervento che questi compì presso la Santa Sede per rimuovere ogni sospetto dai Mechitaristi di Venezia(311) non riuscì a evitare che Propaganda Fide ponesse il passaggio al cattolicesimo dei giovani ospitati a Venezia nel collegio armeno Rafaelian sotto il controllo dell'ordinario diocesano del Patriarcato lagunare e richiedesse "la espressa abjura dello Scisma, e degli errori della parte Scismatica, indirizzando appunto alla detestazione dell'uno e degli altri la [...] Professione di Fede"; e ancora che si vincolassero i monaci all'esame e al giuramento relativo al divieto di comunicare in divinis con gli scismatici non secondo una formulazione generica (cui si accedeva con facilità), ma nominando espressamente gli "Scismatici Armeni"(312).
Agli inizi del 1854 con la sottomissione dei Mechitaristi veneziani ai provvedimenti imposti da Roma si chiuse la nuova fase di contrasti con la Santa Sede. Poche settimane più tardi i monaci ricevettero il pubblico plauso di Pio IX nell'enciclica Neminem vestrum dedicata alle discordie esistenti tra i cattolici armeni(313).
Le tensioni riesplosero nel 1870. Oggetto specifico del contendere fu il comportamento dei monaci mechitaristi residenti a Costantinopoli, che si opponevano al patriarca di Cilicia Hasun. Di fronte alla ribellione Pio IX compì un primo intervento con la lettera apostolica Non sine gravissimo, con la quale il 24 febbraio 1870 ordinò al delegato apostolico a Costantinopoli di cercare di riportare la tranquillità all'interno della locale Chiesa armena, respingendo le richieste degli oppositori di Hasun(314). Ma tre mesi più tardi Pio IX dovette constatare il fallimento di questo tentativo, per la tenace resistenza dei monaci dissidenti. Tra questi Pio IX segnalò, accanto ad altri, "alcuni sacerdoti secolari che vivono tra i monaci di Costantinopoli, quasi tutti mechitaristi della congregazione di Venezia"(315). Chiarendo che coloro che si erano proclamati indipendenti da Hasun sarebbero stati colpiti come scismatici se non fossero ritornati sotto la piena obbedienza della sede romana, di cui si confermava che il patriarca di Cilicia era il legittimo rappresentante, Pio IX fece ricorso a un'accentuata sottolineatura dell'ufficio papale, che proprio in quei mesi invece era oggetto di approfondimento e di discussione non univoci da parte dei vescovi al concilio Vaticano. Inoltre respinse le giustificazioni degli avversari di Hasun, che avevano denunciato il tentativo della Santa Sede di sopprimere i riti della Chiesa orientale per sostituirli con quello latino, sostenendo che in questo caso non era in gioco il rito ma l'uniformità della disciplina(316).
Al contrario i Mechitaristi stimarono fosse in discussione il rito armeno e la tradizione di quella Chiesa. Perciò i due vescovi dell'Ordine mechitarista di Venezia motivarono la propria opposizione alla tesi dell'infallibilità papale durante il concilio Vaticano I con la necessità di tutelare i riti delle Chiese cattoliche non latine(317). La loro posizione verosimilmente contribuì ad acuire il contrasto con la Santa Sede, sulla cui linea ancora una volta converse il patriarca Hasun, che si dichiarò favorevole alla proclamazione dogmatica dell'infallibilità papale.
L'abate Kevork Hurmuzian, interpellato dalla Congregazione di Propaganda Fide, il 13 luglio e poi nuovamente il 3 ottobre 1870 cercò di respingere le nuove accuse sull'ortodossia dei religiosi richiamandosi alle dichiarazioni di lealtà fatte nel 1854 e sottolineando che la nomina di Hasun aveva reso più pesanti le condizioni degli armeni. Ma il 25 gennaio 1871 Pio IX reagì confutando le spiegazioni fornite da Hurmuzian e rinfacciandogli di non avere obbedito alle direttive romane e di favorire gli scismatici(318).
A partire dal maggio 1871, per volontà di Pio IX, anche il patriarca di Venezia Trevisanato fu coinvolto nella controversia con il compito di conseguire il ritorno dell'abate generale dei Mechitaristi veneziani alla piena obbedienza. Ma Trevisanato sostenne che Hurmuzian aveva cercato di ottenere la sottomissione dei monaci dissidenti al papa e giudicò inopportune le sanzioni che la Santa Sede voleva imporre perché esse avrebbero spinto i religiosi armeni su posizioni più radicali. Ciononostante il disparere si prolungò nel tempo, fino a quando il 30 novembre 1873 Propaganda Fide scomunicò ed espulse dall'Ordine, dopo un preavviso, i monaci che considerava scismatici(319).
Dopo la morte di Hurmuzian (11 aprile 1876), il suo successore Iknadios Ghiurekian impresse un orientamento filoromano all'Ordine mechitarista di Venezia, che riconobbe Hasun come unico legittimo patriarca armeno(320). Questo mutamento d'indirizzo inaugurò un periodo di relativa tranquillità di rapporti con la Santa Sede(321) che durò fino all'inizio della prima guerra mondiale. Allora, per ovviare ad alcuni inconvenienti interni all'Ordine mechitarista e preparare il terreno a una sua complessiva riforma, Benedetto XV nominò un visitatore apostolico con pieni poteri che cominciò a operare a Venezia nel marzo 1916(322). Quindi papa Della Chiesa, approfittando della vicinanza della città lagunare alle linee di combattimento, ma in realtà allo scopo di controllare più direttamente l'orientamento dei Mechitaristi, nei mesi seguenti impose il trasferimento a Roma del noviziato e dello studentato(323).
I verbali dei Consigli di Chiesa e delle assemblee valdesi costituiscono una fonte preziosa per la ricostruzione dei rapporti tra le diverse piccole comunità evangeliche che si svilupparono a Venezia nel corso dell'Ottocento. Fu in quell'ambito che si manifestarono le prime espressioni concrete di una sensibilità ecumenica nella città lagunare.
È indubbio che fu anche la debolezza delle singole Chiese riformate a spingerle alla collaborazione, ma questa non sarebbe stata possibile senza un'apertura della riflessione teologica e una disponibilità nella prassi corrente che non è possibile riscontrare nelle Chiese greca ortodossa e cattolica di quegli anni.
Inoltre dall'inizio degli anni Ottanta i tentativi di aggregazione che furono promossi dalle Chiese evangeliche presenti a Venezia, nati da un sincero convincimento ecumenico, trovarono verosimilmente un'ulteriore ragione d'essere nella necessità di resistere alla capillare polemica antiprotestante della Chiesa cattolica, che, come si è notato, era stata accentuata proprio in concomitanza con gli sviluppi delle comunità riformate.
La presenza dei battisti a Venezia data al 1870. Essi posero la sede della loro Chiesa in calle dei Monti, nei pressi di S. Salvador(324). Nel 1873 fu fondata la Chiesa metodista episcopale, con locale per il culto in calle dei Fuseri(325). Nel 1880 era la volta della Chiesa cristiana libera d'Italia - operante nella penisola italiana dalla metà dell'Ottocento - che aprì il proprio locale di culto al Cavalletto, presso piazza S. Marco. Essa raccolse subito un discreto seguito, tanto da costringere i valdesi a mutare gli orari delle loro adunanze serali del mercoledì per il confluire di gran parte dei precedenti frequentatori al concomitante culto della nuova comunità(326). Una seconda Chiesa cristiana libera fu istituita nel 1882 nell'edificio dell'ex chiesa cattolica di S. Margherita(327), come si è visto in precedenza.
Durante la discussione all'assemblea della Chiesa valdese del 6 ottobre 1880 sull'opportunità di mutare il calendario delle attività serali alcuni si opposero al cambiamento segnalando la mancanza di rispetto dei responsabili della nuova Chiesa, che non si erano preoccupati di evitare la sovrapposizione con le preesistenti iniziative valdesi, ma una larga maggioranza dei presenti si espresse a favore del progetto, evitando di aprire un contrasto con la nuova comunità(328).
Anzi, l'orientamento della Chiesa valdese fu teso a favorire una prudente collaborazione tra le Chiese riformate presenti a Venezia. Già nell'agosto 1880 era stata avanzata, senza seguito, la proposta che le diverse comunità si facessero carico a turno dell'accompagnamento dei defunti al cimitero(329). Quindi nel gennaio 1882, a proposito del progetto di ripristino anche a Venezia della riunione di preghiera del primo lunedì di ogni mese che i valdesi svolgevano regolarmente in Italia, il suggerimento di tenere gli incontri a turno volta per volta con una delle altre Chiese riformate era respinto dal pastore come prematuro, ma non rigettato ideologicamente:
Il pastore spiega come quell'unione [tra le Chiese] sia pure un desiderio suo; però trattandosi così di stabilire una certa solidarietà coll'altre Chiese conviene anzitutto che cominciamo a casa nostra, tanto più perché l'esperienza di tali relazioni nella patria nostra, ci obbliga ad essere guardinghi, affine di non doverci pentire in seguito(330).
Qualche mese più tardi i valdesi provvidero alla fissazione delle norme che dovevano regolare l'accoglienza degli appartenenti ad altre Chiese. Si accordava con una sufficiente larghezza il rientro di coloro che avevano già fatto parte della Chiesa valdese in precedenza e invece si limitavano drasticamente le possibilità per gli altri, che il Consiglio di Chiesa in linea di massima intendeva impedire. In alcuni casi specifici il rifiuto sarebbe stato categorico: se la persona che chiedeva di entrare nella Chiesa valdese era soggetta o anche solo esposta a giuste misure disciplinari della propria comunità d'origine; e quando la ragione della richiesta non fosse sufficientemente fondata o risultasse d'importanza secondaria. Invece si sarebbero considerate motivate le domande di coloro che avessero addotto "considerazioni riguardanti l'ordinamento ecclesiastico, l'ordine e la disciplina della Chiesa, l'edificazione e la vita cristiana" o di analoga portata. In questi casi il Consiglio di Chiesa avrebbe in primo luogo suggerito al richiedente di fare il possibile per rimanere nella propria comunità d'origine; quindi, di fronte all'eventuale mantenimento del proposito di entrare a fare parte della Chiesa valdese, si sarebbe avvisato il ministro della comunità religiosa di origine e gli si sarebbero chieste informazioni; infine il Consiglio avrebbe vagliato la serietà delle ragioni sottese alla domanda e, se ritenute sufficienti, si sarebbe accolto il nuovo membro nella Chiesa, non prima però che fossero trascorsi sei mesi dalla sua richiesta, precisavano le norme a ulteriore garanzia della serietà delle sue motivazioni(331).
Negli anni seguenti i rapporti tra le diverse Chiese evangeliche continuarono a svilupparsi prudentemente, non senza qualche difficoltà. Nel marzo 1884 il Consiglio della Chiesa valdese respinse con due motivazioni la proposta del suo presidente di organizzare un incontro degli analoghi organismi di gestione delle Chiese riformate per intendersi sulle relazioni vicendevoli: da un lato si segnalava che la Chiesa metodista in quel tempo non aveva più un Consiglio (e quindi, lascia intendere il verbale, sarebbe stata scarsamente rappresentata all'incontro), dall'altro si sottolineava la difficoltà di creare un'intesa duratura con la Chiesa libera a causa del "carattere poco conciliante" del suo presidente(332). Tuttavia solo due mesi più tardi il Consiglio della Chiesa valdese approfondì la possibilità di fondersi proprio con la Chiesa cristiana libera. Si domandavano però delle garanzie, a salvaguardia dell'esperienza ecclesiale: "vi sia comunione in parti eguali, la fede, gli studi pei ministri della parola, la disciplina, e quant'altro occorre per essere una Chiesa come la vuole il nostro signor Gesù Cristo"(333). L'iniziativa si inseriva in un progetto più ampio formulato dalla Chiesa libera di Venezia e da quella metodista di Padova per giungere alla formazione di un'alleanza evangelica di tutte le Chiese del Veneto(334). I valdesi si dichiararono d'accordo sull'obiettivo, ma suggerirono di procedere inizialmente a fusioni a livello cittadino per poi allargare l'intesa all'ambito regionale(335). Perciò qualche mese più tardi si decise di riunire prima i pastori delle Chiese, poi i Consigli e quindi di procedere alle unioni(336).
Nel corso dell'inverno 1884-1885 l'incontro tra i Consigli delle Chiese era considerato ormai imminente(337). Tuttavia a questo punto subentrò qualche difficoltà nel progetto di unione. Infatti la documentazione di parte valdese tace per lunghi mesi sui successivi passaggi e non chiarisce le ragioni del mancato perfezionamento degli accordi, ma quando torna a parlarne nell'ottobre 1885 lascia percepire senza alcun dubbio che erano sorti degli ostacoli:
Riguardo alle nostre relazioni colle altre chiese evangeliche di Venezia il Consiglio è d'avviso che si facciano i passi voluti per una unione più stretta tra le varie chiese e, caso mai questo nuovo tentativo non riuscisse presso le altre denominazioni, ritiene che sia meglio di accostarsi senz'altro alla Chiesa Libera per istabilire qualche cosa in comune(338).
In ambito veneziano furono i metodisti a opporsi al processo di aggregazione. A questo proposito il pastore Stazi ribadì nel dicembre che le condizioni degli evangelici in Italia rendevano inaccettabile la formazione dell'alleanza(339).
Perciò i valdesi nei primi mesi del 1886 si dedicarono alla realizzazione del progetto minimo di unione con la Chiesa cristiana libera(340). In parallelo con gli incontri tesi a regolare la futura unione si procedette all'organizzazione di momenti comuni di preghiera(341).
Nell'autunno 1886 fu ottenuta anche la disponibilità delle Chiese metodista e battista a convergere, dall'inizio dell'anno successivo, negli incontri di preghiera comuni(342). In realtà fu su questo versante che a Venezia si colsero i maggiori risultati durante quegli anni, perché la progettata unione tra la Chiesa valdese e la Chiesa cristiana libera, la cui determinazione definitiva da parte valdese fu demandata alle Conferenze generali(343), non ebbe corso.
Ciò non toglie che tra le diverse comunità veneziane continuassero a svilupparsi anche negli anni successivi rapporti di cordiale collaborazione, come mostra il commento con cui nel marzo 1900 fu accolta dal Consiglio valdese la richiesta della Chiesa metodista episcopale di svolgere la propria attività di culto a palazzo Cavagnis, in attesa di potere reperire un nuovo locale dopo che si era conclusa la locazione di quello situato in calle dei Fuseri: "Il Consiglio è felice di poter rendere questo piccolo favore alla Chiesa sorella, tanto più che nelle ore indicate, il nostro locale è perfettamente libero"(344).
1. Sulla crisi finale della Repubblica aristocratica cf. Piero Del Negro, La fine della repubblica aristocratica, in Storia di Venezia, VIII, L'ultima fase della Serenissima, a cura di Id.-Paolo Preto, Roma 1998, pp. 191-262.
2. Per uno sguardo complessivo su questi cambiamenti, relativamente alla Chiesa cattolica, rimane ancora utile Bruno Bertoli, Modificazioni strutturali della Chiesa veneziana dalla visita Flangini alla visita Pyrker, in La visita pastorale di Giovanni Ladislao Pyrker nella diocesi di Venezia (1821), a cura di Id.-Silvio Tramontin, Roma 1971, pp. VII-XLI; riedito, con qualche ritocco, con il titolo Il patriarcato di Venezia tra regime napoleonico e restaurazione asburgica, in Id., Chiesa società Stato nel Veneto della restaurazione, Vicenza 1985, pp. 9-45. Per una sintetica panoramica sulle diverse presenze cristiane a Venezia alla fine della Repubblica cf. Giovanni Vian, Le Chiese e la comunità ebraica di Venezia dopo la caduta della repubblica aristocratica, in L'area alto-adriatica dal riformismo veneziano all'età napoleonica, a cura di Filiberto Agostini, Venezia 1998, pp. 307-308 (pp. 307-327). Relativamente alla situazione della Chiesa cattolica veneziana v. ora anche Bruno Bertoli, La Chiesa di Venezia dalla caduta della Serenissima agli inizi della Restaurazione, in Dopo la Serenissima. Società, amministrazione e cultura nell'Ottocento veneto, a cura di Donatella Calabi, Venezia 2001, pp. 15-61.
3. Cf. Michele Gottardi, L'Austria a Venezia. Società e istituzioni nella prima dominazione austriaca (1798-1806), Milano 1993, pp. 126-127.
4. Cf. ibid., pp. 133-135.
5. Sulla storia del primiceriato v. l'ampio profilo di Gaetano Cozzi, Giuspatronato del doge e prerogative del primicerio sulla cappella ducale di San Marco (secoli XVI-XVIII). Controversie con i procuratori di San Marco de supra e i patriarchi di Venezia, "Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti", classe di scienze morali, lettere ed arti, 151, 1992-1993, pp. 1-69. Per il Seicento cf. anche Bianca Betto, La Chiesa ducale, in La Chiesa di Venezia nel Seicento, a cura di Bruno Bertoli, Venezia 1992, pp. 125-171. Sulla sua fine cf. M. Gottardi, L'Austria a Venezia, p. 137; Giovanni Scarabello, Il primiceriato di San Marco tra la fine della Repubblica e la soppressione, in San Marco: aspetti storici e agiografici. Atti del convegno, a cura di Antonio Niero, Venezia 1996, pp. 152-157; Giovanni Vian, La chiesa del doge al tramonto della Repubblica di Venezia, "Studi Veneziani", n. ser., 33, 1997, pp. 157-173. Sul trasferimento della sede patriarcale a S. Marco, la cui sanzione canonica giunse solamente nel 1821, cf. B. Bertoli, Il patriarcato di Venezia, pp. 37-39.
6. Cf. B. Bertoli, Il patriarcato di Venezia, pp. 16-18.
7. Decretato nel 1816, il trasferimento ebbe corso nell'estate dell'anno successivo: cf. ibid., pp. 43-44.
8. Cf. ibid., pp. 11-15.
9. La comunità di confessione ortodossa aveva il proprio luogo di culto nella chiesa di S. Giorgio dei Greci, ufficialmente destinata ai cattolici di rito greco, ma di fatto gestita dai greci ortodossi nonostante le ripetute proteste dei patriarchi cattolici. Cf. Bruno Bertoli, Clero e popolo tra santità e peccato, in La Chiesa di Venezia nel Settecento, a cura di Id., Venezia 1993, pp. 43-44 (pp. 39-87). V. anche Bartolomeo Cecchetti, La repubblica di Venezia e la corte di Roma nei rapporti della religione, I-II, Venezia 1874: I, pp. 455-473, e II, pp. 349-368. Sulla storia della comunità greca ortodossa di Venezia cf. Manoussos I. Manoussacas, La comunità greca di Venezia e gli arcivescovi di Filadelfia, in La Chiesa greca in Italia dall'VIII al XVI secolo. Atti del convegno, I, Padova 1973, pp. 45-87, e Renato D'Antiga, La comunità greco-ortodossa di San Giorgio in Venezia, in Presenze ebraico-cristiane nelle Venezie, a cura di Giuseppe Dal Ferro, Vicenza 1993, pp. 83-98. Utili notizie, fino alla metà dell'Ottocento, anche in Giovanni Veludo, Cenni sulla colonia greca orientale, in Venezia e le sue lagune, I, Venezia 1847, pp. 78-100.
10. I residenti del Fondaco dei Tedeschi ottennero la libertà di esercitare privatamente il culto riformato. Cf. Theodor Wittchen, Cenni sulla comunità evangelica di confessione augustana de' protestanti, in Venezia e le sue lagune, I, Venezia 1847, pp. 101-102.
11. Per l'apertura del Ghetto e la concessione dei diritti civili agli ebrei cf. Riccardo Calimani, Storia del ghetto di Venezia, Milano 1985, pp. 422-430 (il volume è utile per una sintesi generale della storia degli ebrei a Venezia); Maddalena Del Bianco Cotrozzi, Gli ebrei dell'area alto-adriatica nell'età delle riforme e della prima emancipazione. Istituzioni, cultura e religione, in L'area alto-adriatica dal riformismo veneziano all'età napoleonica, a cura di Filiberto Agostini, Venezia 1998, p. 271 (pp. 271-305), e il contributo di Gadi Luzzatto Voghera in questo volume.
12. Cf. G. Vian, Le Chiese e la comunità ebraica di Venezia, pp. 318-319. Per un ampio profilo del periodo municipalista cf. Giovanni Scarabello, La municipalità democratica, nel vol. VIII di questa Storia di Venezia, pp. 263-356.
13. Cf. M.I. Manoussacas, La comunità greca di Venezia, p. 46.
14. Cf. Stefan Oswald, Die Inquisition, die Lebenden und die Toten. Venedigs deutsche Protestanten, Sigmaringen 1989, pp. 95-102, e Frithjof Roch, Le opere di Lutero e la Chiesa luterana a Venezia, in Presenze ebraico-cristiane nelle Venezie, a cura di Giuseppe Dal Ferro, Vicenza 1993, pp. 138-139 (pp. 125-142, con appendice di documenti alle pp. 142-145).
15. Cf. F. Roch, Le opere di Lutero, p. 139.
16. Cf. Giovanni Vian, Trasformazioni istituzionali e mutamenti nella religiosità. Le Chiese veneziane durante i primi anni della restaurazione, in Venezia suddita 1798-1866, a cura di Michele Gottardi, Venezia 1999, pp. 73-75 (pp. 63-75).
17. Per gli effetti indotti dalla Rivoluzione sui comportamenti religiosi e morali in Francia cf. Michel Vovelle, Da Vendemmiaio a Fruttidoro anno II. L'altra 'scristianizzazione', in Storia vissuta del popolo cristiano, a cura di Jean Delumeau, Torino 1985, pp. 661-695, e Id., La Révolution contre l'Église. De la Raison à l'Être Suprême, Bruxelles 1988.
18. Anche se Vienna non aveva introdotto la legislazione giuseppinista al momento della formazione del Regno lombardo-veneto, tuttavia l'assolutismo imperiale ne permeò la politica ecclesiastica. Cf. Angelo Gambasin, Il clero padovano e la dominazione austriaca 1859-1866, Roma 1967, pp. 17-18.
19. Cf. Giuseppe Battelli, Clero secolare e società italiana tra decennio napoleonico e primo Novecento. Alcune ipotesi di rilettura, in Clero e società nell'Italia contemporanea, a cura di Mario Rosa, Roma-Bari 1992, p. 77 (pp. 43-123).
20. Cf. Giovanni Miccoli, Chiesa e società in Italia fra Ottocento e Novecento: il mito della cristianità, in Id., Fra mito della cristianità e secolarizzazione. Studi sul rapporto chiesa-società nell'età contemporanea, Casale Monferrato 1985, pp. 23-32 (pp. 21-92). Per una ricostruzione degli sviluppi dell'ideologia di cristianità tra tardo Settecento e primo Ottocento cf. Daniele Menozzi, La risposta cattolica alla secolarizzazione rivoluzionaria: l'ideologia di cristianità, in Id., La chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino 1993, pp. 15-71.
21. Cf. Antonio Niero, I patriarchi di Venezia da Lorenzo Giustiniani ai nostri giorni, Venezia 1961, p. 168.
22. Cf. Lettera pastorale di s.e. reverendiss. Francesco Milesi per la divina misericordia patriarca di Venezia, primate della Dalmazia, cappellano della corona del Regno Lombardo-Veneto trasportata dalla latina nell'italiana favella, Venezia 1816, pp. 5-6.
23. Cf. G. Battelli, Clero secolare e società italiana, pp. 77-78.
24. Lettera al conte Lazansky del 20 gennaio 1817, in Augusto Sandonà, Il Regno Lombardo Veneto 1814-1859, Milano 1912, p. 137 n. 1.
25. Circolare ai parroci del 20 gennaio 1817 (minuta), in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Milesi, b. 2, fasc. "Lettere Spedite dalla Segreteria di Monsignor D. Francesco Milesi Vescovo di Vigevano negli anni 1815 1816 e 1817 come Patriarca di Venezia. Tomo Quarto". Cf. anche Giovanni Miccoli, 'Vescovo e re del suo popolo'. La figura del prete curato tra modello tridentino e risposta controrivoluzionaria, in Storia d'Italia, Annali, 9, La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all'età contemporanea, a cura di Giorgio Chittolini-Giovanni Miccoli, Torino 1986, p. 886 n. 5 (pp. 883-928).
26. Cf. Xenio Toscani, La dinamica delle ordinazioni sacerdotali, in La Chiesa di Venezia nel Settecento, a cura di Bruno Bertoli, Venezia 1993, p. 172 (pp. 159-186).
27. Lettera del 20 maggio 1817, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Milesi, b. 2, fasc. "Lettere Spedite dalla Segreteria di Monsignor D. Francesco Milesi Vescovo di Vigevano negli anni 1815 1816 e 1817 come Patriarca di Venezia. Tomo Quarto". Il sistema della congrua per i parroci le cui rendite fossero risultate inferiori a un minimo prestabilito a Venezia era stato introdotto da Napoleone con decreto del 21 dicembre 1807. Cf. B. Bertoli, La Chiesa di Venezia dalla caduta della Serenissima, p. 47. La legislazione napoleonica aveva abolito anche il secolare meccanismo.
28. Cf. Angelo Gambasin, Parrocchia veneta: evoluzione strutturale dalle riforme napoleoniche al neogiuseppinismo asburgico, in La Società religiosa nell'età moderna. Atti del convegno, Napoli 1973, pp. 269-305, e Id., Religione e società dalle riforme napoleoniche all'età liberale. Clero, sinodi e laicato cattolico in Italia, Padova 1974, pp. 10-30.
29. Sulla sua figura v. il profilo biografico tracciato da Roland Dobersberger, Johann Ladislaus Pyrker Dichter und Kirchenfürst, St. Pölten-Wien 1997 (in partic. le pp. 202-301 per il periodo in cui guidò il Patriarcato di Venezia).
30. Cf. Alvise Zorzi, Venezia austriaca (1798-1866), Roma-Bari 1985, p. 70, e Bruno Bertoli, La Chiesa veneziana nel clima della restaurazione, in La Chiesa veneziana dal tramonto della Serenissima al 1848, a cura di Maria Leonardi, Venezia 1986, p. 81 (pp. 79-109). Accanto a Pyrker si possono ricordare l'elezione di Gaysruck a Milano e quella di Grasser a Treviso, da dove fu poi traslato a Verona.
31. Cf. B. Bertoli, La Chiesa veneziana nel clima della restaurazione, pp. 94-96.
32. Cf. Id., Pastoralità parrocchiale a Venezia nel secolo XIX, in La parrocchia in Italia nell'età contemporanea. Atti del seminario, Napoli 1982, p. 193 (pp. 189-214).
33. Cf. il contributo, che va tenuto presente nel suo complesso per l'azione pastorale di Pyrker, di Silvio Tramontin, Il patriarca Pyrker e la sua visita pastorale, in La visita pastorale di Giovanni Ladislao Pyrker nella diocesi di Venezia (1821), a cura di Bruno Bertoli-Silvio Tramontin, Roma 1971, pp. CXIII-CXVII (pp. XLIII-CXXVII), e B. Bertoli, La Chiesa veneziana nel clima della restaurazione, pp. 81-82. Sull'ordine di tenere la spiegazione del Vangelo durante la prima messa del giorno e una di quelle di metà mattina celebrate nella parrocchiale e sulle resistenze opposte dai parroci veneziani a questo provvedimento cf. Id., Pastoralità parrocchiale a Venezia, p. 202. Sulle reazioni popolari ai suoi interventi in ambito cultuale cf. Silvio Tramontin, Poesie popolari di protesta contro le riforme liturgiche del patriarca Pyrker (1821-1827), in La letteratura popolare nella Valle Padana. Atti del convegno, Firenze 1972, pp. 537-546.
34. Cf. Giampietro Berti, Censura e circolazione delle idee nel Veneto della Restaurazione, Venezia 1989, pp. 90-91.
35. La lettura elaborata dalla cultura cattolica controrivoluzionaria ottenne una sanzione ufficiale da parte di Gregorio XVI. Cf. D. Menozzi, La risposta cattolica alla secolarizzazione rivoluzionaria, pp. 54-55.
36. Sul 1848 a Venezia cf. il capitolo di Piero Del Negro in questo volume.
37. Cf. Giovanni Vian, La Chiesa, in Venezia e l'Austria, a cura di Gino Benzoni-Gaetano Cozzi, Venezia 1999, pp. 113-114 (pp. 103-127).
38. Cf. la lettera di Monico a Ferdinando I, 14 febbraio 1848, in Vincenzo Marchesi, Storia documentata della rivoluzione e della difesa di Venezia negli anni 1848-'49 tratta da fonti italiane ed austriache, Venezia s.a. [ma 1916], pp. 503-504, e Bruno Bertoli, Le origini del movimento cattolico a Venezia, Brescia 1965, pp. 12-13, 39 n. 12.
39. Cf. Silvio Tramontin, Patriarca e clero veneziano nel 1848-1849, in La Chiesa veneziana dal tramonto della Serenissima al 1848, a cura di Maria Leonardi, Venezia 1986, p. 113 (pp. 111-135).
40. Cf. Paolo Pecorari, Spunti e documenti inediti per una storia religiosa del quarantotto veneziano (dal carteggio del patriarca Jacopo Monico), "Archivio Veneto", ser. V, 102, 1974, pp. 78-80 (pp. 57-82, con appendice di documenti alle pp. 83-119); Silvio Tramontin, Dal vescovado di Ceneda al patriarcato di Venezia, in Le visite pastorali di Jacopo Monico nella diocesi di Venezia (1829-1845), a cura di Bruno Bertoli-Silvio Tramontin, Vicenza 1976, p. XXXI e n. 72 (pp. IX-XXXVI).
41. Cf. Antonio Pilot, Il Patriarca Cardinal Jacopo Monico contro il 'Sior Antonio Rioba' nel 1848, "Rassegna Nazionale", ser. II, 43, 1923, pp. 136-139; Paolo Pecorari, Motivi d'intransigentismo nel pensiero del patriarca di Venezia Jacopo Monico durante il biennio 1848-49, "Archivio Veneto", ser. V, 93, 1971, pp. 44-54 (pp. 41-64), e S. Tramontin, Patriarca e clero veneziano, pp. 118-119.
42. Per l'elaborazione da parte dei vescovi veneti di un intransigentismo di carattere temporalista e antimoderno già negli anni Cinquanta dell'Ottocento cf. A. Gambasin, Il clero padovano e la dominazione austriaca, p. 30.
43. Testo del Sillabo in Enchiridion delle encicliche, a cura di Erminio Lora-Rita Simionati, II, Gregorio XVI, Pio IX (1831-1878), Bologna 1996, nrr. 329-412.
44. Cf. P. Pecorari, Motivi d'intransigentismo, p. 64.
45. Cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, pp. 62-64, e Silvio Tramontin, La diocesi nel passaggio dal dominio austriaco al Regno d'Italia, in La Chiesa veneziana dal 1849 alle soglie del Novecento, a cura di Gabriele Ingegneri, Venezia 1987, pp. 14-16 (pp. 11-50, con appendice, pp. 50-55).
46. Su questi aspetti cf. Giovanni Miccoli, Note su alcuni documenti riguardanti la politica austriaca e gli orientamenti del clero veneto all'indomani del biennio rivoluzionario, in AA.VV., Studi veneti offerti a Gaetano Cozzi, Venezia 1992, pp. 409-417.
47. Cf. le encicliche Optime noscitis, 5 novembre 1855, e Singulari quidem, 17 marzo 1856, entrambe indirizzate ai vescovi dell'Impero, in Enchiridion delle encicliche, a cura di Erminio Lora-Rita Simionati, II, Gregorio XVI, Pio IX (1831-1878), Bologna 1996, rispettivamente nrr. 220-226 e nrr. 227-243.
48. Cf. Letterio Briguglio, Lo spirito religioso nel Veneto durante la terza dominazione austriaca (Fortuna di Ernesto Renan), "Rassegna Storica del Risorgimento", 42, 1955, p. 25 n. 1, e i documenti in appendice, pp. 50-54 (pp. 22-49, con appendice documentaria, pp. 50-57). Per un'analisi del concordato cf. A. Gambasin, Il clero padovano e la dominazione austriaca, pp. 20-23, e soprattutto Giacomo Martina, Pio IX (1851-1866), Roma 1986, pp. 185-209. Per l'iniziale accoglienza favorevole dell'accordo da parte del patriarca Mutti e le successive difficoltà incontrate dall'attuazione di alcune norme concordatarie a Venezia cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, pp. 65-69.
49. Cf. Angelo Gambasin, Problemi e dibattiti al primo Concilio provinciale veneto (1859), in Rosmini e il rosminianesimo nel Veneto, Verona 1970, p. 148 (pp. 145-216).
50. Così secondo Alberto Cavalletto: cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, p. 34. Una breve sintesi del governo veneziano di Ramazzotti è offerta da A. Niero, I patriarchi di Venezia, pp. 184-188.
51. In relazione all'applicazione di questo programma agli episcopati della penisola italiana cf. Giorgio Feliciani, Le conferenze episcopali, Bologna 1974, pp. 25-27 e 47 n. 99; Alessandra Marani, Tra sinodi e conferenze episcopali. La definizione del ruolo degli incontri collettivi dei vescovi fra Gregorio XVI e Pio IX, "Cristianesimo nella Storia", 17, 1996, pp. 79-83 (pp. 47-93), e Pietro Caiazza, Concilî provinciali e conventus episcoporum da Pio IX a Leone XIII, "Archivum Historiae Pontificiae", 33, 1995, pp. 203-210 (pp. 197-234, con appendice documentaria, pp. 234-245).
52. Cf. le encicliche Optime noscitis, nr. 20, e Singulari quidem, nr. 239. V. anche G. Martina, Pio IX (1851-1866), pp. 199-200.
53. Cf. Acta et decreta concilii provincialis veneti primi, habiti anno MDCCCLIX [...] a Sancta Sede recognita et adprobata, Venezia 1863. Un ampio esame del piano generale degli argomenti da trattare, steso in vista dell'assise dall'intransigente canonico teologo di S. Marco Federico Maria Zinelli su incarico del patriarca Ramazzotti, e dei decreti conciliari è condotto da A. Gambasin, Religione e società, pp. 51-123. V. anche S. Tramontin, La diocesi, pp. 19-21. Di scarsa influenza risultò l'apporto ai lavori preparatori del concilio provinciale fornito da Sebastiano Casara, di orientamento rosminiano, appartenente alla Congregazione dei chierici secolari delle Scuole di carità, avviata a Venezia dai fratelli Antonio Angelo e Marco Antonio Cavanis nel 1802. Su Casara cf. Maria Leonardi, Sebastiano Casara: un rosminiano nella Chiesa di Venezia, in La Chiesa veneziana dal 1849 alle soglie del Novecento, a cura di Gabriele Ingegneri, Venezia 1987, pp. 227-249. Sui Cavanis cf. Francesco Saverio Zanon, I servi di Dio P. Anton'Angelo e P. Marcantonio conti Cavanis. Storia documentata della loro vita, I-II, Venezia 1925.
54. Cf. Constitutio dogmatica prima de ecclesia Christi, 18 luglio 1870, in Conciliorum oecumenicorum decreta, a cura di Giuseppe Alberigo et al., Bononiae 19733, pp. 812-814 (pp. 811-816).
55. Testo dell'enciclica, datata 4 agosto 1879, in Enchiridion delle encicliche, a cura di Erminio Lora-Rita Simionati, III, Leone XIII (1878-1903), Bologna 1997, nrr. 49-110. Cf. Pierre Thibault, Savoir et pouvoir. Philosophie thomiste et politique cléricale au XIXe siècle, Québec 1972.
56. Cf. S. Tramontin, La diocesi, p. 21.
57. Cf. L. Briguglio, Lo spirito religioso, p. 23 n. 5.
58. Cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, pp. 65-66. Il provvedimento fu presto ridotto alle sole pubblicazioni di argomento religioso.
59. Cf. G. Martina, Pio IX (1851-1866), p. 205.
60. Cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, p. 66.
61. Cf. L. Briguglio, Lo spirito religioso, p. 24.
62. Cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, p. 66.
63. Il volume era comparso inizialmente nelle librerie francesi il 24 giugno 1863. Cf. Ernest Renan, Vita di Gesù, Milano 1992, p. 34 n. 1.
64. Interpellato alla fine del 1861 sulla sua disponibilità ad accettare la promozione dalla sede arcivescovile di Udine a Venezia, era stato nominato da Francesco Giuseppe il 17 gennaio 1862. Cf. la lettera di von Toggenburg a Trevisanato, 21 dicembre 1861, e la lettera di Schmerling (I.R. Ministero dello Stato, Sezione Culto) a Trevisanato, 10 febbraio 1862, entrambe in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Trevisanato, b. 2, fasc. "Corrispondenza [...]".
65. Cf. L. Briguglio, Lo spirito religioso, p. 25.
66. V. il testo, in formato manifesto a stampa, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Trevisanato, b. 1.
67. Testo, in formato manifesto, ibid. I tre periodici censurati erano "Il Messaggere di Rovereto", "Il Giornale di Verona", "La Rivista Friulana". Cf. L. Briguglio, Lo spirito religioso, pp. 25 n. 1, 45 n. 2; B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, p. 228 n. 49.
68. Cf. L. Briguglio, Lo spirito religioso, pp. 25-26. Il linguaggio particolarmente acceso della pastorale è riconducibile a quelle interpretazioni apocalittiche della storia che si erano sviluppate nel corso del pontificato di Pio IX. Su ciò v. Pier Giorgio Camaiani, Castighi di Dio e trionfo della Chiesa. Mentalità e polemiche dei cattolici temporalisti nell'età di Pio IX, "Rivista Storica Italiana", 88, 1976, pp. 708-744, e Daniele Menozzi, Regalità sociale di Cristo e secolarizzazione. Alle origini della Quas primas, "Cristianesimo nella Storia", 16, 1995, pp. 98-104 (pp. 79-113).
69. Cf. L. Briguglio, Lo spirito religioso, p. 26.
70. Cf. la lettera pastorale del 27 gennaio 1875, in formato manifesto a stampa, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Trevisanato, b. 1.
71. Cf. il resoconto del prof. Alessandro De Giorgi a Trevisanato, 14 marzo 1865, ibid. V. anche B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, p. 81 n. 61. All'enciclica dell'8 dicembre 1864, dedicata alla condanna di gravi errori dell'età moderna - testo in Enchiridion delle encicliche, a cura di Erminio Lora-Rita Simionati, II, Gregorio XVI, Pio IX (1831-1878), Bologna 1996, nrr. 317-328 - era allegato il Sillabo.
72. Cf. L. Briguglio, Lo spirito religioso, p. 26.
73. Lettera pastorale del 18 maggio 1864 (in formato manifesto a stampa), in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Trevisanato, b. 1.
74. Cf. L. Briguglio, Lo spirito religioso, pp. 27-28.
75. Per alcune reazioni in area italiana cf. Gabriele De Rosa, Il movimento cattolico in Italia dalla Restaurazione all'età giolittiana, Bari 1970, pp. 37-39, e Maria Lupi, Il clero a Perugia durante l'episcopato di Gioacchino Pecci (1846-1878) tra Stato pontificio e Stato unitario, Roma 1998, p. 342, e i rinvii contenuti ibid., n. 162.
76. Cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, p. 96; S. Tramontin, La diocesi, pp. 18-19, e G. Miccoli, Note su alcuni documenti riguardanti la politica austriaca, p. 417.
77. Cf. S. Tramontin, La diocesi, pp. 22 e 43 n. 37.
78. Un esempio di questa implicazione nella pastorale di Trevisanato del 22 febbraio 1865, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Trevisanato, b. 1.
79. Fu indetta con lettera di Trevisanato del 28 giugno 1865, ibid.
80. Cf. L. Briguglio, Lo spirito religioso, pp. 38-39.
81. Cf. Bruno Bertoli, Strutture pastorali della Chiesa veneziana al sinodo Trevisanato (1865), in Chiesa e religiosità in Italia dopo l'Unità (1861-1878). Atti del convegno, Comunicazioni, I, Milano 1973, pp. 51-59 (pp. 43-92), e S. Tramontin, La diocesi, p. 23. Sul capitolo dei canonici di S. Marco, in mancanza di uno studio che ne ripercorra la storia complessivamente, cf. Bianca Betto, Il capitolo della Basilica di S. Marco in Venezia: statuti e consuetudini dei primi decenni del sec. XIV - In appendice: Un confronto con il capitolo della cattedrale di S. Pietro di Castello fino al sec. XVI, Padova 1984. Sulle nove congregazioni del clero cf. Pierluigi Sartorelli, Le Nove Congregazioni del clero di Venezia, Rovigo 1980, e Bianca Betto, Le Nove Congregazioni del Clero di Venezia (sec. XI-XV). Ricerche storiche, matricole e documenti vari, Padova 1984. Sul consiglio patriarcale cf. Silvio Tramontin, Un esperimento nella Chiesa veneziana del primo Ottocento: il consiglio patriarcale (1817-1819), "Studia Patavina", 15, 1968, pp. 442-448, e B. Bertoli, Il patriarcato di Venezia, pp. 39-41 (ibid. anche per l'istituzione dei decanati). Peraltro già nello Stato personale del clero della città ed archidiocesi di Venezia per l'anno 1865 (Venezia s.a. [ma 1865]), che rifletteva la situazione del Patriarcato al 31 dicembre 1864 (cf. p. 2), non si faceva alcuna menzione del consiglio patriarcale.
82. Sui cattolici liberali a Venezia cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, pp. 83-124.
83. Cf. ibid., pp. 89-90. Sulle reazioni provocate dall'uscita dell'opuscolo alcuni cenni in Letterio Briguglio, Saggio introduttivo, in Angelo Volpe-Alberto Cavalletto, Carteggio (1860-1866), raccolto ed annotato da Letterio Briguglio, Padova 1963, pp. VII-CVI.
84. Cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, pp. 106-107.
85. Cf. ibid., p. 85, e Id., La pastorale di fronte ai mutamenti culturali e politici della società veneziana, in La Chiesa veneziana dal 1849 alle soglie del Novecento, a cura di Gabriele Ingegneri, Venezia 1987, p. 59 (pp. 57-92).
86. Lettera pastorale del 22 giugno 1866 (manifesto a stampa), in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Trevisanato, b. 2.
87. Ibid.
88. Lettera pastorale del 19 ottobre 1866 (manifesto a stampa), ibid., b. 1.
89. Cf. Emilio Franzina, Introduzione, in Venezia, a cura di Id., Roma-Bari 1986, pp. 19, 21 (pp. 3-113).
90. Cf. per esempio il rapporto sulla predica tenuta da don Giovanni Tamburlin (diocesano di Ceneda e docente nel ginnasio veneziano "Marco Polo") nella chiesa di S. Giacomo, a Chioggia, inviato dal delegato speciale di pubblica sicurezza in Chioggia al questore di Venezia, 26 giugno 1867, in copia, in A.S.V., Gabinetto di Prefettura (1866-1871), b. 17, 7, 1/4, e la circolare del questore di Venezia agli ispettori di pubblica sicurezza dei sestieri, e ai delegati della Giudecca e provincia, 4 marzo 1870, ibid., 7, 1/7, che invitava a controllare che i predicatori quaresimali non divulgassero "massime contrarie all'attuale reggimento politico" e si mantenessero "nei limiti del Vangelo, propugnando unicamente la morale, l'ordine e la carità". La sorveglianza risulta fosse estesa anche alla predicazione svolta da appartenenti alle altre Chiese cristiane operanti in Venezia: cf. la lettera del questore di Venezia al prefetto, 12 novembre 1881, ivi, Gabinetto di Prefettura (1872-1876), b. 73, 7, 9/2, nr. 2874.
91. Per alcuni cenni su questa politica di controllo cf. il capitolo di Nico Randeraad in questo volume.
92. Cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, p. 83.
93. Cf. la lettera del direttore superiore di pubblica sicurezza del Ministero dell'Interno al prefetto di Venezia, Firenze 9 gennaio 1867, in A.S.V., Gabinetto di Prefettura (1866-1871), b. 17, 7, 1/5, fasc. "Seminari".
94. Indicava il rettore can. Lorenzo Canal, il canonico teologo Giovanni Berengo, i docenti Giovanni Battista Piamonte e Giuseppe Apollonio, il vicerettore del ginnasio Antonio D'Este. Cf. la lettera del questore di Venezia a Giuseppe Pasolini, facente funzioni di prefetto di Venezia, 15 gennaio 1867, ibid.
95. Cf. la sua a Pasolini, 26 gennaio 1867, ibid.
96. Lettera del questore di Venezia alla prefettura, 10 febbraio 1867, ibid., 7, 9/2.
97. Su questo episodio cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, pp. 73-75, e soprattutto Silvio Tramontin, Clero veneto, clero lombardo e Santa Sede di fronte al problema dell'annessione del Veneto all'Italia (1866), in Chiesa e religiosità in Italia dopo l'Unità (1861-1878). Atti del convegno, Comunicazioni, II, Milano 1973, pp. 239-255.
98. Copia dell'esposto "Il Clero della Venezia annessa e le sue Feste Religiose 1866", allegata alla lettera del cardinale P. Caterini, prefetto della Congregazione del Concilio, a Trevisanato, 12 dicembre 1866, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Trevisanato, b. 1, fasc. "Trevisanato 1866. Chiarificazione su feste religiose per l'annessione".
99. Lettera di Trevisanato a Caterini, 28 gennaio 1867 (minuta), ibid.
100. Cf. S. Tramontin, La diocesi, p. 34.
101. Cf. Bruno Bertoli, Echi del Concilio Vaticano I nella stampa veneziana dell'epoca, in Venezia e i Concili, a cura di Antonio Niero, Venezia 1962, pp. 95-133 (cf. in partic. pp. 95-96).
102. Cf. lettera del questore al prefetto, 17 maggio 1871, e del prefetto al Ministero dell'Interno, 20 maggio 1871 (minuta), entrambe in A.S.V., Gabinetto di Prefettura (1866-1871), b. 17, 7, 9/2, nr. 690.
103. Cf. le pastorali quaresimali del 5 febbraio 1872 e del 18 febbraio 1873, entrambe in formato manifesto a stampa, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Trevisanato, b. 1.
104. Sull'applicazione a Venezia della legge del 7 luglio 1866 e dei successivi decreti di modifica emanati nel 1867 e nel 1868 cf. S. Tramontin, La diocesi, pp. 29-33.
105. V. la veemente protesta contro l'incameramento dei beni della mensa patriarcale contenuta nella lettera di Trevisanato alla commissione della r. intendenza di finanza, 9 settembre 1867 (minuta), in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Trevisanato, b. 1, fasc. "Trevisanato 1866. Chiarificazione su feste religiose per l'annessione".
106. Lettera del 15 dicembre 1867 (minuta), in A.S.V., Gabinetto di Prefettura (1866-1871), b. 17, 7, 1/1, nr. 2579. Sul prefetto Torelli cf. N. Randeraad in questo volume.
107. Sulle prime iniziative della stampa periodica cattolica a Venezia cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, pp. 187-234. Il programma de "La Libertà Cattolica" stilato da Alessandro De Giorgi e pubblicato nel primo numero del periodico era stato preceduto dalla diffusione a stampa in data 8 maggio 1865 di un diverso programma firmato dal prete padovano Pietro Balan. In esso si collocava la futura pubblicazione nell'orizzonte dell'ideologia di cristianità, ponendola a sostegno dei "diritti e santi interessi del Cattolicismo, che sono ad un tempo i diritti e gli interessi dell'umana famiglia, della regolata vita civile e del vero progresso", si richiamava - in polemica con i cattolici liberali - la necessità di "un'adesione perfetta a tutta la dottrina cattolica, una sincera obbedienza ai Pastori della Chiesa, e sopra tutti al Vicario di Gesù Cristo", si rivendicava "una piena libertà di professare, proclamare, e difendere apertamente le verità cattoliche, i diritti della Chiesa, e le ragioni dell'umana famiglia, che ha diritto, dovere, e necessità urgente di rifarsi cattolica, non solo negli individui, ma eziandio nelle attinenze sociali". La libertà cattolica. Giornale religioso, politico, letterario. Programma, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Trevisanato, b. 1.
108. Cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, pp. 235-237; Letterio Briguglio, La vita politica e sociale a Venezia dopo il 1866, in Storia della civiltà veneziana, a cura di Vittore Branca, III, Dall'età barocca all'Italia contemporanea, Firenze 19792, pp. 325, 331 n. 6 (pp. 325-333).
109. Cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, p. 241, ed E. Franzina, Introduzione, p. 53.
110. Su "Il Veneto Cattolico" cf. l'ampia analisi di B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, pp. 235-324.
111. Sul barone Ferdinando Swift, appartenente alla massoneria, promotore a Venezia del libero pensiero e dell'ateismo e fautore di un anticlericalismo di carattere ideologico, cf. Emilio Franzina, La Società, in Venezia, a cura di Id., Roma-Bari 1986, p. 306 (pp. 301-322). Il prefetto di Venezia lo descrisse come "inglese d'origine ma ora veneto che ha una monomania contro la religione cattolica; e' fu pazzo alla lettera": Torelli al Ministero di Grazia e giustizia, 15 maggio 1869 (minuta), in A.S.V., Gabinetto di Prefettura (1866-1871), b. 17, 7, 1/7, nr. 805, fasc. "Culto. Permesso Processioni del Corpus Domini".
112. Cf. E. Franzina, Introduzione, pp. 52-55.
113. Cf. la lettera di Luigi Torelli, prefetto di Venezia, al Ministero di Grazia e giustizia, 15 maggio 1869 (minuta), in A.S.V., Gabinetto di Prefettura (1866-1871), b. 17, 7, 1/7, nr. 805, fasc. "Culto. Permesso Processioni del Corpus Domini".
114. Per esempio nell'aprile 1869 a Burano, in occasione della visita pastorale di Trevisanato, si era giunti all'arresto di quattro persone, ree di avere minacciato gli abitanti dell'isola che non avevano pavesato a festa la loro abitazione in occasione della celebrazione della messa da parte del patriarca. Le minacce erano state accompagnate da un tentativo di estorsione di denaro e dall'accusa di protestantesimo. Cf. la nota della questura di Venezia alla prefettura, 6 maggio 1869, ibid., 7, 1/1, fasc. "Fanatismo in favore del Patriarca di Venezia".
115. L'autorizzazione era demandata al prefetto dal decreto del 16 ottobre 1861, come ricordava il ministro dell'Interno al prefetto Torelli nella lettera del 18 maggio 1869, ibid., 7, 1/7, nr. 838, fasc. "Culto. Permesso Processioni del Corpus Domini". Su questo punto Torelli si mostrò sempre accondiscendente alle richieste del patriarca Trevisanato.
116. Cit. da B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, p. 301 n. 34.
117. Così secondo il rapporto del questore al prefetto di Venezia, 11 giugno 1868, e la lettera del prefetto Torelli al ministro dell'Interno, 12 giugno 1868 (minuta), entrambi in A.S.V., Gabinetto di Prefettura (1866-1871), b. 17, 7, 1/7, nr. 753, fasc. "Culto e Processioni".
118. Torelli al ministro dell'Interno, 12 giugno 1868 (minuta), ibid.
119. Cf. la lettera al prefetto, 25 maggio 1869 (minuta), in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Trevisanato, b. 1. Secondo Trevisanato correva voce di un possibile impiego contro la processione "di bombe, di petardi e di armi". La minaccia aveva gettato nel panico il clero.
120. Lettera di Torelli a Trevisanato, 25 maggio 1869, ibid. Allo stesso tempo il prefetto assicurava: "ho la convinzione di poter reprimere qualunque moto e tanta forza da mettere al dovere chi si permetterà di voler disturbare la processione; ma oltre il limite della repressione io non posso andare".
121. La decisione fu comunicata il 26 maggio 1869, come risulta dalla risposta indirizzata da Torelli a Trevisanato lo stesso giorno, ibid.
122. Cf. Antonio Niero, La questione dei capitelli in Venezia dal 1867 al 1878, in Chiesa e religiosità in Italia dopo l'Unità (1861-1878). Atti del convegno, Comunicazioni, II, Milano 1973, pp. 374-395.
123. Swift organizzò delle parodie delle processioni pubbliche nel corso delle quali si dava sfogo a insulti anticlericali. Cf. E. Franzina, Introduzione, p. 55.
124. In occasione della visita di Trevisanato a Murano, nell'aprile 1869, nottetempo l'esterno della chiesa di S. Pietro fu imbrattato "con sterco bovino, con aggiunta di iscrizioni che dicevano 'Morte al Patriarca - Morte al carnefice di Roma'". Lettera del reggente della regia questura di Venezia alla prefettura, 30 aprile 1869, in A.S.V., Gabinetto di Prefettura (1866-1871), b. 17, 7, 1/1, nr. 735.
125. A un cane dei facchini della dogana della Salute fu apposto il nome di Berengo, per dileggiare il canonico e professore del seminario patriarcale che transitava quotidianamente nella zona. Cf. E. Franzina, Introduzione, pp. 88-89.
126. Cf. Giuseppe Battelli, Cattolici. Chiesa, laicato e società in Italia (1796-1996), Torino 1997, pp. 56-58; Id., Fra età moderna e contemporanea (secoli XIX e XX), in Storia della Chiesa di Bologna, a cura di Paolo Prodi-Lorenzo Paolini, I, Bergamo 1997, p. 313 (pp. 285-372).
127. Cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, pp. 377-383; Silvio Tramontin, Opera dei Congressi e Società della Gioventù cattolica. Storia e motivi dei contrasti, in La 'Gioventù Cattolica' dopo l'Unità 1868-1968, a cura di Luciano Osbat-Francesco Piva, Roma 1972, p. 140 (pp. 139-204); Id., A cento anni dal primo congresso dei cattolici italiani, in Il movimento cattolico e la società italiana in cento anni di storia. Atti del colloquio, Roma 1976, pp. 20-44, e Id., I Veneziani e la preparazione del primo Congresso cattolico italiano, "Archivio Veneto", ser. V, 109, 1977, pp. 125-138 (con appendice di documenti, pp. 139-157).
128. Su di esso cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, pp. 325-363.
129. Cf. Angelo Gambasin, Il movimento sociale nell'Opera dei Congressi (1874-1904). Contributo per la storia del cattolicesimo sociale in Italia, Roma 1958, pp. 23-31.
130. In realtà questa denominazione sarebbe stata assunta solamente il 27 agosto 1881, al posto di quella adottata nel 1875 di Opera stabile dei Congressi cattolici in Italia: cf. S. Tramontin, Opera dei Congressi e Società della Gioventù cattolica, p. 141 n. 6.
131. Cf. ibid., pp. 141-144. La fusione tra l'Opera dei Congressi e la Lega O'Connell fu realizzata successivamente, nel 1880. Cf. ibid., p. 150.
132. Cf. ibid., pp. 144-156.
133. Una ricezione in ambito veneziano della finalità impressa da Leone XIII all'affermazione del tomismo come filosofia della Chiesa cattolica nell'opuscolo del prete Carlo Silvio Vio, La teologia scolastica e S. Tommaso d'Aquino, Venezia 1901 (cf. in partic. p. 26). Su Vio, studioso di teologia secondo una prospettiva scolastica, cf. Bruno Bertoli, Una diocesi all'ombra di Pio X, in La Chiesa di Venezia nel primo Novecento, a cura di Silvio Tramontin, Venezia 1995, pp. 37-38 (pp. 11-61).
134. Sulle linee portanti del programma di Leone XIII, con particolare riferimento alla situazione italiana, cf. Alessandra Marani, Il progetto politico-religioso di Leone XIII in Italia: la costituzione delle conferenze episcopali regionali, in Marcello Malpensa-Alessandra Marani-Giovanni Vian, Episcopato e società tra Leone XIII e Pio X. Direttive romane ed esperienze locali in Emilia-Romagna e Veneto, a cura di Daniele Menozzi, Bologna 2000, pp. 13-33 (pp. 13-69).
135. Su Agostini cf. l'agiografico Ferdinando Ferretton, Cardinal Patriarca Domenico Agostini nelle sue opere e nella sua parola, a cura del Comitato per la commemorazione centenaria 1825-1925, Treviso s.a. [ma 1925]; A. Niero, I patriarchi di Venezia, pp. 194-198; Francesca Lorenzet, Il patriarcato di Domenico Agostini nell'Italia postunitaria (1877-1891), tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, a.a. 1981-1982, e S. Tramontin, La diocesi, pp. 35-39.
136. Cf. F. Lorenzet, Il patriarcato di Domenico Agostini, pp. 45-67, e S. Tramontin, La diocesi, pp. 35-37.
137. Cf. lettera di Trevisanato al commissario del re per la provincia di Venezia Giuseppe Pasolini, del 13 novembre 1866, in A.S.V., Gabinetto di Prefettura (1866-1871), b. 17, 7, 1/1, nr. 242.
138. Cf. la lettera di Agostini a D. Tajani, 15 febbraio 1879 (minuta), in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, D. Agostini, b. 1. Vi faceva seguito la rapida concessione del beneplacito regio cinque giorni più tardi. Cf. S. Tramontin, La diocesi, p. 37.
139. Per il contrasto sorto alla nomina di Sarto v. qui, nel testo. Nel 1904 invece Cavallari accondiscese a domandare il placet regio. Ma ancora nel 1915, al momento della nomina di Pietro La Fontaine, durante il cui episcopato veneziano sarebbero stati firmati i Patti lateranensi che di fatto posero fine alla controversia, la Santa Sede suggerì al nuovo eletto di adottare la formula volutamente vaga cui si faceva ricorso in casi simili per sbloccare la situazione senza compromettere la posizione di principio (sede "ritenuta di Patronato regio"). Cf. Pietro La Fontaine, Diario della Diocesi di Venezia per parte del Patriarca, quaderno 5 gennaio 1915-23 febbraio 1916: 12 gennaio 1915, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia I, Patriarchi, La Fontaine, b. 4, "Card. La Fontaine. Diari Autografi. Copialettere autogr. Lettere aut. Manoscritti".
140. Cf. Daniele Menozzi, Li avrete sempre con voi. Profilo storico del rapporto tra Chiesa e poveri, Torino 1995, pp. 121-134.
141. Cf. Domenico Zarpellon, Per le solenni esequie di sua eminenza il Cardinale Domenico Agostini patriarca di Venezia nella basilica di S. Marco. Orazione di mons. D.Z. canonico teologo nella detta basilica, 14 gennaio 1892, Venezia 1892, pp. 16-17; A. Niero, I patriarchi di Venezia, pp. 197-198, e S. Tramontin, La diocesi, p. 39. Lo stesso Agostini, nel descrivere a Leone XIII le difficoltà che incontrava il suo governo veneziano, alluse al grave problema della miseria popolare. Cf. la lettera del 15 marzo 1883, in Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per gli Affari Pubblici della Chiesa, Italia 1882-1883, fasc. 119, p. 27 (pp. 27-28v). Per un inquadramento del problema a livello veneziano cf. il capitolo di Casimira Grandi in questo volume. Utili elementi anche in Andrea Nordio, Contro le intemperie delle stagioni e contro le tentazioni del male. La nascita degli Asili notturni nella Venezia di fine '800, Venezia 2000.
142. Cf. le lettere pastorali del 10 giugno 1879 (straripamenti, eruzione dell'Etna), in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, D. Agostini, b. 1; 19 settembre 1882 (straripamenti di fiumi e torrenti), ibid.; 1° agosto 1883 (nuovi sprofondamenti a Ischia), ibid.; la pastorale del 15 gennaio 1885 (terremoto in Spagna), ibid., b. 3. Era un uso che aveva intrapreso già a Chioggia: cf. Domenico Agostini, Lettera pastorale dell'Ill.mo e R.mo Monsignore D.A. vescovo di Chioggia per i danneggiati dal tremuoto del 29 giugno 1873, Chioggia 1873.
143. Cf. Domenico Agostini, Per la emancipazione degli schiavi in Africa. Lettera pastorale di s.e. il cardinale D. A. patriarca di Venezia, Venezia 1889. Nell'occasione Agostini autorizzava la costituzione di una commissione per la raccolta delle offerte destinate a sostenere l'attività antischiavistica di Lavigerie (cf. ibid., p. 9).
144. Cf. François Renault, Lavigerie, l'esclavage africain et l'Europe 1868-1892, II, Campagne antiesclavagiste, Paris 1971, pp. 182-183. Su Lavigerie cf. Id., Le cardinal Lavigerie, Paris 1992.
145. Testo della Catholicae Ecclesiae in Enchiridion delle encicliche, a cura di Erminio Lora-Rita Simionati, III, Leone XIII (1878-1903), Bologna 1997, nrr. 850-860. Già in precedenza Leone XIII era intervenuto chiedendo l'abolizione della schiavitù con la lettera apostolica In plurimis del 5 maggio 1888 (ibid., nrr. 1803-1822), ma essa, che pure si soffermava sugli aspetti generali della questione - alludendo anche alla situazione dell'Africa (cf. In plurimis, nr. 1818) - era stata indirizzata specificamente ai vescovi del Brasile, in occasione della prima ampia revoca della schiavitù decretata in quel paese, e non aveva ottenuto una particolare ricezione da parte dei vescovi italiani. Su questi interventi e sulla strategia missionaria della Chiesa cattolica di fine Ottocento nella quale essi si inserivano secondo una prospettiva complessivamente apologetica, cf. Stefano Trinchese, Sviluppi missionari e orientamenti sociali. Chiesa e Stato nel magistero di Leone XIII, in Storia dell'Italia religiosa, III, L'età contemporanea, a cura di Gabriele De Rosa, Roma-Bari 1995, pp. 79-85 (pp. 61-86), e, con una più puntuale percezione dei limiti di quella strategia, Daniele Menozzi, La Chiesa cattolica, in Storia del cristianesimo, a cura di Giovanni Filoramo-Daniele Menozzi, IV, L'età contemporanea, Roma-Bari 1997, pp. 176-182 (pp. 131-257). Testimonia il silenzio sotto cui passò il problema della schiavitù presso i vescovi italiani la sua quasi assoluta assenza nelle lettere pastorali di un campione significativo come quello rappresentato dai vescovi lombardi, veneti, emiliani-romagnoli e toscani dopo la pubblicazione della In plurimis e invece la sua significativa comparsa dopo l'uscita della Catholicae Ecclesiae, come risulta da Lettere pastorali dei vescovi della Toscana, a cura di Bruna Bocchini Camaiani-Daniele Menozzi, Genova 1990, p. 220 (pastorale di F. Capponi, arcivescovo di Pisa, 22 febbraio 1889, l'unica lettera, oltre a quella di Agostini, precedente alla Catholicae Ecclesiae: anche in questo caso il riferimento era all'intervento milanese di Lavigerie); Lettere pastorali dei vescovi dell'Emilia-Romagna, a cura di Daniele Menozzi, Genova 1986, pp. 76 (pastorale di F. Foschi, vescovo di Cervia, 15 dicembre 1890), 120 (G.B. Scalabrini, vescovo di Piacenza, 25 dicembre 1890), 305 (S. Galeati, arcivescovo di Ravenna, 2 febbraio 1891); Lettere pastorali dei vescovi della Lombardia, a cura di Xenio Toscani-Maurizio Sangalli, Roma 1998, pp. 165 (pastorale di F. Sabbia, vescovo di Crema, 22 novembre 1892), 491 (P.G. De Gaudenzi, vescovo di Vigevano, 16 dicembre 1890), e le pastorali del cardinale L. di Canossa, vescovo di Verona, 7 dicembre 1890; L. Marangoni, vescovo di Chioggia, 12 dicembre 1890; S.G.B. Bolognesi, vescovo di Feltre e Belluno, 18 dicembre 1890; A. Polin, vescovo di Adria, 31 dicembre 1890; S. Brandolini-Rota, vescovo di Ceneda, 2 febbraio 1891; G. Apollonio, vescovo di Treviso, 5 febbraio 1891, che mi sono state segnalate gentilmente da Marcello Malpensa, che sta preparando un volume sulle lettere pastorali dei vescovi veneti analogo a quelli citati qui sopra.
146. Cf. S. Tramontin, Opera dei Congressi e Società della Gioventù cattolica, pp. 162-164.
147. Cf. Giovanni Vian, Istituti di credito cattolici, Santa Sede e Opera dei Congressi tra fine Ottocento e inizio Novecento: il caso del 'Banco di San Marco' di Venezia, "Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti", classe di scienze morali, lettere ed arti, 156, 1997-1998, p. 292 (pp. 283-375, con appendice di documenti, pp. 376-411). Il comitato diocesano dell'Opera dei Congressi fu ricostituito a Venezia solamente il 20 aprile 1893: cf. Silvio Tramontin, Il movimento cattolico, in La Chiesa veneziana dal 1849 alle soglie del Novecento, a cura di Gabriele Ingegneri, Venezia 1987, p. 178 (pp. 165-188).
148. Cf. Silvio Tramontin, Un patriarca 'clericale' fra transigenti e intransigenti, "Rassegna di Politica e di Storia", 15, 1969, pp. 4-15; Id., La polemica del 1891 tra l'Opera dei Congressi e la Società della Gioventù cattolica, ibid., pp. 119-126, 148-160, e F. Lorenzet, Il patriarcato di Domenico Agostini, pp. 159-167.
149. Cf. A. Gambasin, Il movimento sociale nell'Opera dei Congressi, pp. 271-542, e S. Tramontin, Opera dei Congressi e Società della Gioventù cattolica, pp. 181-199.
150. Cf. G. Vian, Istituti di credito cattolici, Santa Sede e Opera dei Congressi, p. 293. I risultati della consultazione sono riportati da Sergio Barizza, Il Comune di Venezia 1806-1946. L'istituzione, il territorio, guida-inventario dell'Archivio Municipale, Venezia 19872, pp. 52-54.
151. Cf. Virgilio Procacci, La questione romana. Le vicende del tentativo di conciliazione del 1887 (con documenti inediti), Firenze 1929; Giovanni Spadolini, L'opposizione cattolica da Porta Pia al '98, Firenze 19722, pp. 260-268; Arturo Carlo Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino 1990, pp. 301-315; G. Battelli, Cattolici. Chiesa, laicato e società, pp. 67-69, e Alberto Forni, Lo storico delle tempeste. Pensiero e azione in Luigi Tosti, Roma-Montecassino 1997, pp. 163-196.
152. La missione fu affidata a Giacomo Della Chiesa: cf. "Istruzioni per Mgr. Della Chiesa", 10 luglio 1887 (minuta), in Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per gli Affari Pubblici della Chiesa, Stati Ecclesiastici 1887, fasc. 346, pp. 16-17v.
153. In questo caso l'incarico fu svolto da Gaetano De Lai: cf. la relazione di De Lai al cardinale Rampolla, del 24 novembre 1887, ibid., fasc. 347, p. 78 (pp. 10-51v).
154. Cf. A.C. Jemolo, Chiesa e Stato, pp. 348-350.
155. Cf. la relazione di Giacomo Della Chiesa a Rampolla, 1887 [agosto?], in Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per gli Affari Pubblici della Chiesa, Stati Ecclesiastici 1887, fasc. 346, p. 31v (pp. 18-38v).
156. Cf. ibid., p. 29v.
157. Ibid., p. 30.
158. Cf. ibid., p. 31.
159. Il riferimento era alla provincia ecclesiastica della Venezia, che, con sede metropolitana nel Patriarcato lagunare, comprendeva le diocesi suffraganee di Treviso, Padova, Vicenza, Verona, Chioggia, Adria, Feltre e Belluno, Ceneda, Concordia.
160. Relazione di De Lai al cardinale Rampolla, 24 novembre 1887, p. 85v.
161. Cf. S. Tramontin, Opera dei Congressi e Società della Gioventù cattolica, p. 171, e Id., Il movimento cattolico, pp. 175-178. Ancora alla fine del 1893 però Andrea Scotton, dopo una visita nel Patriarcato, segnalava la scarsa attività del Comitato diocesano e di quelli parrocchiali. Cf. A. Gambasin, Il movimento sociale nell'Opera dei Congressi, p. 334.
162. Cf. Silvio Tramontin, La figura e l'opera sociale di Luigi Cerutti. Aspetti e momenti del movimento cattolico nel Veneto, Brescia 1968, pp. 135, 138. Su Cerutti cf. anche la voce redatta da Id., in Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia 1860-1980, a cura di Giorgio Campanini-Francesco Traniello, II, I protagonisti, Casale Monferrato 1982, pp. 106-109, e Id., Luigi Cerutti (1865-1934) fondatore delle Casse rurali cattoliche, in Un secolo di cooperazione di credito nel Veneto. Le casse rurali ed artigiane 1883-1983, a cura di Giovanni Zalin, Padova 1985, pp. 41-62.
163. Sulla vicenda cf. Annibale Zambarbieri, Patriarca a Venezia (1894-1903), in Pio X. Un papa e il suo tempo, a cura di Giampaolo Romanato, Cinisello Balsamo 1987, pp. 146-153 (pp. 143-168); Id., Il patriarca Sarto, in La Chiesa veneziana dal 1849 alle soglie del Novecento, a cura di Gabriele Ingegneri, Venezia 1987, pp. 136-141 (pp. 129-163), e Giampaolo Romanato, Pio X. La vita di papa Sarto, Milano 1992, pp. 187-192.
164. Cf. A. Zambarbieri, Il patriarca Sarto, pp. 153-155; Maurilio Guasco, La formazione del clero: i seminari, in Storia d'Italia, Annali, 9, La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all'età contemporanea, a cura di Giorgio Chittolini-Giovanni Miccoli, Torino 1986, pp. 691, 697 (pp. 631-715); Id., Seminari e clero nel Novecento, Cinisello Balsamo 1990, pp. 44, 54, e Giovanni Vian, La riforma della Chiesa per la restaurazione cristiana della società. Le visite apostoliche delle diocesi e dei seminari d'Italia promosse durante il pontificato di Pio X (1903-1914), Roma 1998, pp. 821-822.
165. V. Enchiridion delle encicliche, a cura di Erminio Lora-Rita Simionati, III, Leone XIII (1878-1903), Bologna 1997, nrr. 732-794.
166. Cf. Giuseppe Sarto, Giubileo pontificale di sua santità Leone XIII. Lettera Pastorale dell'eminentissimo cardinale G.S. Patriarca di Venezia, 11 novembre 1901, Venezia 1901, p. 13: 7, ora in Id., Le pastorali del periodo veneziano (1899-1903), a cura di Antonio Niero, "Quaderni della Fondazione Giuseppe Sarto", 2, gennaio 1991, nr. 3, p. 85 (pp. 84-90).
167. Cf. Constitutiones ab eminentissimo et reverendissimo d.d. Josepho tituli s. Bernardi ad Thermas s.r.e. presbytero cardinali Sarto miseratione divina s. metropolitanae ecclesiae Venetiarum patriarcha in synodo dioecesana diebus VIII, IX, X mensis augusti anno MDCCCXCVIII habita promulgatae, Venetiis 1898. Su questa sinodo cf. Bruno Bertoli, Il sinodo del patriarca Sarto (1898) e le riforme di Pio X, in Le radici venete di san Pio X. Atti del convegno, a cura di Silvio Tramontin, Brescia 1987, pp. 105-124.
168. Cf. Mauro Serafini, Relazione della Visita Apostolica della Diocesi di Venezia, dicembre 1906, c. 41, in Roma, Archivio Storico del Vicariato di Roma, Sacra Congr. Concistoriale. Visite apostoliche, b. V, Diocesi: 1. Valva e Sulmona 2. Venezia 3. Ventimiglia 4. Vercelli 5. Verona 6. Vicenza, fasc. "Venezia", e B. Bertoli, Una diocesi all'ombra di Pio X, pp. 12, 17 e 45 n. 6.
169. Cf. B. Bertoli, La pastorale di fronte ai mutamenti, p. 68.
170. Tra il 1° gennaio 1866 e il 31 marzo 1890 furono ordinati 116 preti diocesani e ne morirono 218: cf. Stato personale del clero della città ed archidiocesi di Venezia per l'anno 1890, Venezia 1890, p. 103, dove però la somma totale indicata per i morti in 209 va corretta, sulla base dei dati riportati per i singoli anni del periodo considerato, in 218.
171. Cf. X. Toscani, La dinamica delle ordinazioni.
172. Nel biennio 1859-1860 l'ammontare delle ordinazioni scese a 10 (rispettivamente 7 nel 1859 e 3 nel 1860), unico periodo tra il 1857 e il 1865 nel quale i nuovi preti secolari del Patriarcato per anno scesero sotto le 10 unità (in precedenza erano stati solamente 9 nel 1855 e 5 nel 1856). Per questi dati cf. Stato personale del clero della città ed archidiocesi di Venezia per l'anno 1866, Venezia s.a. [ma 1866], p. 99.
173. Non ho potuto reperire i dati relativi agli ultimi due anni del suo governo veneziano.
174. A proposito del rapporto numerico tra ordinazioni presbiterali e decessi occorre notare che già durante l'ultimo decennio di Venezia sotto il governo austriaco (1856-1865) si era avuto un saldo negativo di 25 (le ordinazioni ammontarono complessivamente a 95, i morti a 120). Il trend negativo si accentuò nei dodici anni successivi (1866-1877), quando si contarono 73 nuovi preti a fronte di 110 defunti, con un saldo di ‒37, per raggiungere la punta più alta, come accennato, al tempo di Agostini. Elaborazioni compiute sulla base dello Stato personale del clero della città ed archidiocesi di Venezia per l'anno 1866, p. 99, e Stato personale del clero della città ed archidiocesi di Venezia per l'anno 1890, p. 103.
175. Per esempio era il problema rilevato dal visitatore apostolico agli inizi del Novecento nella diocesi di Chieti: cf. Relazione della Visita Apostolica compiuta nell'Archidiocesi di Chieti da Mr Gennaro Cosenza Vescovo di Caserta Ottobre 1911, s.d. [ma 12 febbraio 1912], c. 16, in Roma, Archivio Storico del Vicariato di Roma, Sacra Congr. Concistoriale. Visite apostoliche, b. "Diocesi: 1. Cesena 2. Chieti e Vasto 3. Chiavari 4. Chioggia 5. Chiusi e Pienza", fasc. "Num. di protocollo 408/10. S.C. CONCISTORIALE. Diocesi o regione: Chieti e Vasto. Oggetto: Visita Apostolica".
176. V. per esempio il caso della diocesi perugina, risalente alla metà del XIX secolo, studiato analiticamente da M. Lupi, Il clero a Perugia durante l'episcopato di Gioacchino Pecci, pp. 5-72.
177. Circa un decennio più tardi il visitatore apostolico della diocesi sottolineava: "Da un breve sguardo ai varii cespiti descritti di sopra facilmente si comprende come il Clero di Venezia, senza avere ricche prebende, possa essere largamente provvisto, ed in numero considerevole". Avvertiva però che l'amministrazione delle diverse rendite era frammentata in più enti e che non tutti operavano in modo conveniente alla tutela dei beni gestiti (nonostante il tentativo di riordino avviato proprio da Sarto attraverso la promozione, solo in parte riuscita, di un censimento dei legati e delle fondazioni pie in mano alle fabbricerie), concludendo che sarebbe stato opportuno "escogitare qualche provvedimento d'ordine economico per sopperire alle spese di Culto e di conservazione delle Chiese, spesso monumentali, alle quali le rendite delle Fabbricerie non possono evidentemente bastare". Cf. M. Serafini, Relazione della Visita Apostolica della Diocesi di Venezia, cc. 39-40. La povertà del clero secolare di Venezia era confermata all'inizio degli anni Venti dal patriarca Pietro La Fontaine, Relatio Dioecesana Venetiarum 1921, s.d. [ma 10 giugno 1921], nr. 4, in Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, Congregazione Concistoriale, Relat. Dioec., "Patriarcato di Venezia, Pietro La Fontaine, nr. 99".
178. Sul modello di clero promosso da Pio X durante il proprio pontificato cf. Giampaolo Romanato, Il prete ideale secondo Pio X, in Pio X. Un papa e il suo tempo, a cura di Id., Cinisello Balsamo 1987, pp. 263-265; Maurilio Guasco, Storia del clero in Italia dall'Ottocento a oggi, Roma-Bari 1997, pp. 152-154, e G. Vian, La riforma della Chiesa, pp. 731-742.
179. Cf. Giuseppe Sarto, Al Venerabile Clero della Archidiocesi di Venezia [lettera del 2 gennaio 1895], Venezia 1895.
180. Cf. [Angelo Zaniol], Pio X, Venezia s.a. [1903?], p. 19.
181. Cf. B. Bertoli, Una diocesi all'ombra di Pio X, pp. 28 e 52-53 nn. 113-114.
182. Cf. G. Vian, Istituti di credito cattolici, Santa Sede e Opera dei Congressi, pp. 291-319.
183. Cf. S. Tramontin, La figura e l'opera di Luigi Cerutti, p. 69 n. 116. Per allontanare dai cattolici l'accusa di sovversivismo che nelle disposizioni del governo li accomunava ai socialisti e concentrare su questi ultimi l'attenzione delle pubbliche autorità, Sarto nell'allocuzione pubblica tenuta durante la sinodo dell'agosto 1898 affermò: "Non è il Sacerdozio colla fede che predica, che porti il disordine nei popoli, ma di questo è autrice la irreligione e l'empietà. Non è la morale da noi insegnata, che conduca alla catastrofe le nazioni, ma la falsa morale dell'ateismo e della corruzione, la licenza del male e la guerra accanita alla libertà del bene. Non è la soggezione da noi predicata alle autorità costituite, che turbi la tranquillità e la pace, ma quella furia della Rivoluzione, che disseminando per ogni parte discordie, grida: rompiamo le catene che ci legano e gettiamo lontano il giogo del potere che ci aggrava". Constitutiones ab eminentissimo et reverendissimo d.d. Josepho tituli s. Bernardi ad Thermas, p. 113.
184. Cf. S. Tramontin, La figura e l'opera di Luigi Cerutti, pp. 222-245.
185. Cf. A. Zambarbieri, Il patriarca Sarto, p.136; G. Romanato, Pio X, pp. 199-200, e G. Vian, La riforma della Chiesa, pp. 887-889.
186. Cf. G. Romanato, Pio X, p. 199; G. Vian, Istituti di credito cattolici, Santa Sede e Opera dei Congressi, pp. 315-316.
187. Cf. Mario Belardinelli, Movimento cattolico e questione romana dopo l'Unità, Roma 1979, pp. 97, 184 n. 55, e A. Zambarbieri, Il patriarca Sarto, p. 159.
188. Sul significativo sostegno di preti e laici cattolici alla maggioranza clerico-moderata cf. Emilio Franzina, L'eredità dell'Ottocento e le origini della politica di massa, in Venezia, a cura di Id., Roma-Bari 1986, pp. 135-136 (pp. 117-151).
189. Dell'azione di Sarto alle spalle dei cattolici veneziani impegnati nell'amministrazione pubblica rappresenta una testimonianza emblematica l'intervento, relativo al consiglio provinciale di Venezia, compiuto il 30 maggio 1903, con lettera a Carlo Candiani, per fare ritirare una richiesta del voto di fiducia che avrebbe verosimilmente portato alla crisi della maggioranza clerico-moderata: testo edito in appendice a G. Vian, Istituti di credito cattolici, Santa Sede e Opera dei Congressi, p. 411. Sull'impegno dell'Opera dei Congressi in vista delle amministrative e delle provinciali del 1899, che portarono a un nuovo successo elettorale dei cattolici veneziani, cf. S. Tramontin, La figura e l'opera di Luigi Cerutti, p. 40.
190. Cf. Sergio Barizza, Il Comune di Venezia da Napoleone all'Italia repubblicana (1806-1946), in Id., Il Comune di Venezia 1806-1946. L'istituzione, il territorio, guida-inventario dell'Archivio Municipale, Venezia 19872, pp. 14-15 e 26 n. 58 (pp. 11-27). Grimani diventò sindaco il 15 novembre 1895, dopo la scomparsa del nuovo sindaco Dante Serego degli Allighieri. Cf. ibid., p. 14. Sulla giunta Grimani cf. Alvise Zorzi, Venezia e la giunta Grimani, in Pio X. Un papa e il suo tempo, a cura di Giampaolo Romanato, Cinisello Balsamo 1987, pp. 172-175, e nel presente volume il contributo di Maurizio Reberschak.
191. Cf. A. Zambarbieri, Il patriarca Sarto, pp. 148-152. La citazione è tratta dalla lettera di Sarto ai parroci veneziani, 17 gennaio 1895, in Giuseppe Sarto, Le pastorali del periodo veneziano (1894-1898), a cura di Antonio Niero, "Quaderni della Fondazione Giuseppe Sarto", 1, luglio 1990, nr. 2, p. 55 (pp. 51-55).
192. Cf. B. Bertoli, La pastorale di fronte ai mutamenti, p. 71.
193. Cf. Giovanni Milanese, Brevissimi cenni biografici di Pio X, Treviso 1903, p. 23.
194. Cf. A. Zambarbieri, Il patriarca Sarto, p. 154.
195. Giuseppe Sarto, Congresso eucaristico. Lettera dell'eminentissimo cardinale G.S. Patriarca di Venezia, 1° novembre 1896, in Id., Le pastorali del periodo veneziano (1894-1898), a cura di Antonio Niero, "Quaderni della Fondazione Giuseppe Sarto", 1, luglio 1990, nr. 2, pp. 108-109 (pp. 103-111).
196. Cf. A. Zambarbieri, Il patriarca Sarto, pp. 153-155.
197. Tale pratica aveva avuto un significativo prodromo nelle finalità antimoderne che avevano caratterizzato la proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione da parte di Pio IX nel 1854: cf. G. Miccoli, Chiesa e società in Italia fra Ottocento e Novecento, p. 71. Sulla devozione mariana nell'Ottocento cf. la sintesi di Pietro Stella, Prassi religiosa, spiritualità e mistica nell'Ottocento, in Storia dell'Italia religiosa, III, L'età contemporanea, a cura di Gabriele De Rosa, Roma-Bari 1995, pp. 128-135 (pp. 115-142). Per un approfondimento del tema della politicizzazione della liturgia attraverso alcuni esempi relativi ai decenni a cavallo dei due secoli e inerenti ai culti di Cristo re e del Sacro Cuore, cf. Daniele Menozzi, Regalità sociale di Cristo e secolarizzazione alle origini della Quas primas, "Cristianesimo nella Storia", 16, 1995, pp. 79-113; Id., Il primo riconoscimento pontificio della regalità sociale di Cristo: l'enciclica 'Annum sacrum' di Leone XIII, in Anima e paura. Studi in onore di Michele Ranchetti, a cura di Bruna Bocchini Camaiani-Anna Scattigno, Macerata 1998, pp. 287-305; Id., Liturgia e politica: l'introduzione della festa di Cristo Re, in Cristianesimo nella storia. Saggi in onore di Giuseppe Alberigo, a cura di Alberto Melloni et al., Bologna 1996, pp. 607-656 (alle pp. 609-611 è ricostruita la posizione di Sarto di piena condivisione del tema della regalità sociale di Cristo, che trovò un'eco significativa nella sua prima enciclica papale, E supremi apostolatus); Id., Una devozione politica tra '800 e '900. L'intronizzazione del s. Cuore nelle famiglie, "Rivista di Storia e Letteratura Religiosa", 33, 1997, pp. 29-65; Id., Secolarizzazione, cristianità e regno sociale di Cristo, "Le Carte. Notizie e testi dalla Fondazione Romolo Murri, dal Centro studi per la storia del modernismo e dagli Archivi dei movimenti di rinnovamento religioso e politico dell'Italia repubblicana (Università degli studi di Urbino)", 1997, nr. 2, pp. 3-36; Id., Devozione al Sacro Cuore e instaurazione del regno sociale di Cristo: la politicizzazione del culto nella Chiesa ottocentesca, in Santi, culti, simboli nell'età della secolarizzazione (1815-1915), a cura di Emma Fattorini, Torino 1997, pp. 161-194; Annibale Zambarbieri, Per la storia della devozione al s. cuore in Italia tra '800 e '900, "Rivista di Storia della Chiesa in Italia", 41, 1987, pp. 361-432, e Fulvio De Giorgi, Forme spirituali, forme simboliche, forme politiche. La devozione al s. cuore, ibid., 48, 1994, pp. 365-459. Un ampio esame del tema dell'uso politico del culto da parte della Chiesa cattolica ora in Maria Paiano, Liturgia e società nel Novecento. Percorsi del movimento liturgico di fronte ai processi di secolarizzazione, Roma 2000. Per un riscontro nella realtà veneziana dei risvolti sociali delle devozioni all'Immacolata Concezione e al Sacro Cuore cf. Antonio Niero, La formazione della spiritualità del clero e del popolo, in La Chiesa veneziana dal 1849 alle soglie del Novecento, a cura di Gabriele Ingegneri, Venezia 1987, pp. 93-99 (pp. 93-127).
198. Cf. La Gerarchia Cattolica, la famiglia e la cappella pontificia con appendice, Roma 1905, p. 121, e B. Bertoli, Una diocesi all'ombra di Pio X, pp. 11-12. Per una ricostruzione del cursus ecclesiastico di Cavallari negli anni precedenti cf. Alberto Zanconato, Il patriarca Aristide Cavallari e il movimento cattolico veneziano nell'età giolittiana (1904-1914), tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, a.a. 1987-1988, pp. 24-34.
199. Cf. B. Bertoli, Una diocesi all'ombra di Pio X, p. 12, e "La Civiltà Cattolica", 58, 1907, II, pp. 257-261.
200. Cf. B. Bertoli, Una diocesi all'ombra di Pio X, p. 15.
201. Cf. ibid., p. 12.
202. Cf. M. Serafini, Relazione della Visita Apostolica della Diocesi di Venezia, c. 4.
203. I risultati conseguiti dal governo episcopale veneziano di Sarto furono sottolineati ripetutamente (con richiami più o meno espliciti al predecessore di Cavallari) dal visitatore apostolico del Patriarcato: cf. ibid., cc. 3, 6, 25, 39. A sua volta il delegato pontificio che visitò il seminario lagunare nel 1908 aprì il proprio resoconto in questi termini: "È questo il Seminario che formò la cura del S. Padre, nel tempo che resse la Chiesa di Venezia, e non fa meraviglia se vi si nota, in generale un ottimo spirito; notevole l'affiatamento tra superiori ed alunni, così che al primo entrare colà, subito si vede di essere come in famiglia". Cf. Giovanni Battista Nasalli Rocca, Relazione della visita apostolica ai seminari di Udine, Padova, Verona, Portogruaro, Ceneda, Venezia, Treviso fatta nel 1908 - maggio-luglio da mons. G.B.N.R. vescovo di Gubbio delegato pontificio per i seminari della regione veneta, 1° novembre 1908, dattiloscritto, p. 20, in Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per l'Educazione Cattolica, Seminari. Italia. Visite Apostoliche, b. "Veneto dall'anno 1905 all'anno 1908", fasc. "Veneto Veneto 1908 Relazione di S.E. Mg. Nasalli Rocca Delegato Ap.co".
204. La nomina a visitatore apostolico della diocesi veneziana di Mauro Serafini, abate generale della Congregazione benedettina cassinese, ne era un chiaro esempio: cf. G. Vian, La riforma della Chiesa, p. 89 e n. 273, e Id., La riforma dell'episcopato italiano promossa da Pio X attraverso le visite apostoliche. Il caso dei vescovi veneti, in Marcello Malpenso-Alessandra Marani-Giovanni Vian, Episcopato e società tra Leone XIII e Pio X. Direttive romane ed esperienze regionali in Emilia-Romagna e Veneto, a cura di Daniele Menozzi, Bologna 2000, pp. 220-221 (pp. 207-258).
205. Cf. G. Romanato, Pio X, p. 209, e B. Bertoli, Una diocesi all'ombra di Pio X, p. 11.
206. Cf. G. Vian, Istituti di credito cattolici, Santa Sede e Opera dei Congressi, p. 309 n. 112, pp. 331-338, e i documenti, pp. 387-389, 411.
207. Tra l'altro, anche Cavallari mantenne l'ufficio di rettore del seminario patriarcale: cf. G.B. Nasalli Rocca, Relazione della visita apostolica ai seminari, pp. 23-24.
208. Cf. B. Bertoli, Una diocesi all'ombra di Pio X, pp. 20-21.
209. Sulla crisi modernista soprattutto nella sua dimensione di crisi dottrinale cf. Roger Aubert, Le problème de l'acte de foi. Données traditionnelles et résultats des controverses récentes, Louvain-Paris 19694; Émile Poulat, Histoire, dogme et critique dans la crise moderniste, Paris 19963; Giovanni Miccoli, Intransigentismo, modernismo e antimodernismo: tre risvolti di un'unica crisi, "Ricerche per la Storia Religiosa di Roma", 8, 1990, pp. 13-38. Per uno sguardo complessivo (con particolare attenzione alle vicende italiane) cf. Michele Ranchetti, Cultura e riforma religiosa nella storia del modernismo, Torino 1963; Pietro Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Bologna 19692; Nicola Raponi-Annibale Zambarbieri, Modernismo, in Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia, a cura di Giorgio Campanini-Francesco Traniello, I/2, I fatti e le idee, Casale Monferrato 1981, pp. 310-333; Maurilio Guasco, Modernismo. I fatti, le idee, i personaggi, Cinisello Balsamo 1995.
210. Cf. M. Serafini, Relazione della Visita Apostolica della Diocesi di Venezia, cc. 13, 25. I due visitatori del seminario non allusero nemmeno al problema, accennando solamente all'integrità dottrinale che vigeva nell'istituto. Cf. G.B. Nasalli Rocca, Relazione della visita apostolica ai seminari, p. 21; Giuseppe Bernardo Doebbing, Relazione alla S. Cong. Concistoriale della Visita Apostolica eseguita nel Patriarcale Seminario di Venezia nel Maggio dell'anno 1911, 1° luglio 1911, c. 3, in Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per l'Educazione Cattolica, Seminari. Italia. Visite Apostoliche, b. "Veneto dall'anno 1911 all'anno 1911", fasc. "Venezia Relazione della Visita Apost.a nel Seminario 744/11", e B. Bertoli, Una diocesi all'ombra di Pio X, pp. 35-36.
211. M. Serafini, Relazione della Visita Apostolica della Diocesi di Venezia, c. 13.
212. Cf. B. Bertoli, Una diocesi all'ombra di Pio X, pp. 27-29, 37.
213. Fu l'autore dell'articolo pubblicato su "La Difesa", 24-25 maggio 1890, nel quale si denunciava l'esistenza di una lega di giornali e di uomini già appartenuti allo schieramento intransigente, impegnati a premere sui cattolici, sui vescovi e sul papa per favorire un'evoluzione in chiave transigente. Esso segnò uno dei momenti di maggiore asprezza nel contrasto tra l'Opera dei Congressi e la Società della Gioventù cattolica per il controllo della guida del laicato cattolico organizzato in Italia. Cf. S. Tramontin, Opera dei Congressi e Società della Gioventù cattolica, pp. 181-183.
214. Cf. M. Serafini, Relazione della Visita Apostolica della Diocesi di Venezia, c. 10. Cf. anche B. Bertoli, Una diocesi all'ombra di Pio X, p. 38. Apollonio (25 luglio 1838-6 gennaio 1924) fu ordinato il 20 settembre 1862, mansionario a S. Maria della Pietà dal 1862 al 1863, cooperatore di S. Martino dal 1863, parroco a S. Marcuola dal 1874 e dal 1900 arciprete di S. Marco. Fu anche coadiutore di curia, docente di lettere nel seminario patriarcale e direttore de "La Difesa". Cf. Clero Secolare del Patriarcato di Venezia, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Clero. Stato personale, b. "Clero stato personale fino al 1922", e Necrologio. Mons. Ferdinando Apollonio, "Bollettino Diocesano del Patriarcato di Venezia", 9, 1924, p. 7. In vista della sua promozione a parroco di S. Marcuola, il questore Calderai ne tracciò il seguente profilo: "è Sacerdote d'esemplare condotta morale e politica, di soda dottrina, prudente, e che si acquistò sempre bella fama pel Suo ottimo contegno". Lettera al prefetto di Venezia, 14 gennaio 1876, in A.S.V., Gabinetto di Prefettura (1872-1876), b. 73, 7, 1/3, nr. 123.
215. Cf. M. Serafini, Relazione della Visita Apostolica della Diocesi di Venezia, c. 9. Nonostante i precedenti difficili rapporti l'11 aprile 1905 Pio X lo nominò prelato domestico: cf. La Gerarchia Cattolica, la famiglia e la cappella pontificia, le amministrazioni palatine, le sacre congregazioni e gli altri dicasteri pontifici con appendice, Roma 1907, p. 351.
216. Cf. B. Bertoli, Una diocesi all'ombra di Pio X, p. 47 n. 36.
217. Cf. per esempio Condanne nuove del modernismo, "La Civiltà Cattolica", 60, 1909, III, p. 212 (pp. 204-213).
218. Cf. Nicola Raponi, I veri promotori del convegno di Molveno, "Fonti e Documenti" [Centro Studi per la Storia del Modernismo], 16-17, 1987-1988, pp. 359-361 (pp. 348-408, con appendice di documenti, pp. 409-449).
219. Cf. S. Tramontin, La figura e l'opera di Luigi Cerutti, pp. 39-40 e 69 n. 118.
220. Sull'attività veneziana di Antonietta Giacomelli tra il 1898 e il 1902 e sulla sezione lagunare dell'Unione per il bene v. i cenni contenuti nel Carteggio Giacomelli-Sabatier, a cura di Camillo Brezzi, "Fonti e Documenti" [Centro Studi per la Storia del Modernismo], 2, 1973, pp. 344-377 (pp. 296-473); Camillo Brezzi, Giacomelli Antonietta, in Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia 1860-1980, a cura di Giorgio Campanini-Francesco Traniello, II, I protagonisti, Casale Monferrato 1982, pp. 233-234 (pp. 233-240), e Roberta Fossati, Élites femminili e nuovi modelli religiosi nell'Italia tra Otto e Novecento, Urbino 1997, pp. 43-44.
221. Cf. Filippo Crispolti, Pio IX, Leone XIII, Pio X, Benedetto XV. Ricordi personali, Milano-Roma 1932, p. 88.
222. Sulla presenza a Venezia di Casciola cf. le pièces del carteggio Casciola-Murri relative a quei mesi, edite da Ferdinando Aronica, Il vero amico di Murri, "Fonti e Documenti" [Centro Studi per la Storia del Modernismo], 25-27, 1996-1998, pp. 444-455 (pp. 429-437, con appendice di documenti, pp. 439-488). La citazione è tratta da una lettera di Casciola a Murri s.d. [ma dicembre 1902], pp. 448-450 (cit. a p. 449). Su Casciola v. Id., Don Brizio Casciola. Profilo Bio-Bibliografico, Soveria Mannelli 1998.
223. L'espressione, riferita al modernismo, era di Pio X: cf. l'allocuzione del 17 aprile 1907 per la consegna della berretta ai nuovi cardinali (in questo discorso il modernismo non era menzionato esplicitamente), l'enciclica Pascendi dominici gregis e il motu proprio del 18 novembre 1907 Praestantia Scripturae, rispettivamente "La Civiltà Cattolica", 58, 1907, II, Cronaca contemporanea, p. 359 (pp. 354-359); Enchiridion delle encicliche, a cura di Erminio Lora-Rita Simionati, IV, Pio X, Benedetto XV (1903-1922), Bologna 1998, nr. 228 (nrr. 190-246), e "Pii X P.M. Acta", 4, 1907, p. 236 (pp. 233-236).
224. Sull'episodio cf. G. Vian, La riforma dell'episcopato italiano promossa da Pio X, pp. 236-237.
225. Cf. "La Civiltà Cattolica", 60, 1909, II, pp. 103-104.
226. Cf. B. Bertoli, Una diocesi all'ombra di Pio X, p. 36.
227. Cf. la lettera di Cavallari a monsignor Antonio Bassani, 23 settembre 1909, in Chioggia, Archivio della Curia Vescovile di Chioggia, Vescovi, b. 481, fasc. "N. 2 di Archivio. Sac. Marella". Nei giorni seguenti anche Pio X scrisse al vescovo di Chioggia per ordinargli di intimare a Marella la sospensione a divinis a nome del papa. Cf. la lettera a Bassani del 24 settembre 1909, ibid. Sui precedenti sospetti nei confronti di Marella cf. Tommaso Pio Boggiani, Relazione della Visita Apostolica della Diocesi di Chioggia. 15 Marzo-15 Aprile 1907, 22 aprile 1907, c. 87, in Roma, Archivio Storico del Vicariato, Visite, b. "Diocesi: 1. Cesena 2. Chieti e Vasto 3. Chiavari 4. Chioggia 5. Chiusi e Pienza", fasc. intestato sul retro "Chioggia Visita Apost. 64/5", e Giovanni Battista Nasalli Rocca, prima parte della relazione della visita apostolica ai seminari veneti, Incipit "Seminario di Chioggia", 1° settembre 1908, dattiloscritto con integrazioni a penna, pp. 1-2, in Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per l'Educazione Cattolica, Seminari. Italia. Visite Apostoliche, b. "Veneto dall'anno 1905 all'anno 1908", fasc. "Veneto Veneto 1908 Relazione di S.E. Mg. Nasalli Rocca Delegato Ap.co".
228. Cf. A. Niero, La formazione della spiritualità, p. 124 n. 85. Il consiglio di vigilanza contro il modernismo a Venezia era stato istituito nel 1907 in esecuzione dell'enciclica Pascendi. Sulla sua composizione cf. B. Bertoli, Una diocesi all'ombra di Pio X, p. 35.
229. Cf. la lettera della Concistoriale a La Fontaine, 8 gennaio 1915, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, La Fontaine, 1, "Documenti". Ma già il 5 gennaio, nel corso di un'udienza d'ufficio, Benedetto XV aveva anticipato al prelato viterbese i propri intendimenti. Cf. P. La Fontaine, Diario della Diocesi di Venezia per parte del Patriarca, nota del 5 gennaio 1915. La volontà personale di Benedetto XV di nominare La Fontaine patriarca di Venezia emerge da La conciliazione ufficiosa: diario del barone Carlo Monti incaricato d'affari del governo italiano presso la Santa Sede 1914-1922, a cura di Antonio Scottà, I, Città del Vaticano 1997, pp. 180-183, 187-188.
230. Era nato a Busto Arsizio, nell'arcidiocesi di Milano.
231. Lettera del prefetto di Venezia al procuratore generale del re presso la Corte d'Appello di Venezia, 23 gennaio 1915, in Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione Generale Affari di Culto, b. 134, fasc. 331. In realtà in passato La Fontaine era stato chiamato a Venezia più volte come predicatore. Cf. S.E. Rev.ma Mons. La Fontaine nuovo Patriarca di Venezia (La nomina non è ancora ufficiale), "La Difesa", 24-25 gennaio 1915. Sicuramente alle autorità di polizia veneziane non mancavano informazioni sui predicatori, ma ritengo che sia stata proprio la sorpresa per l'inaspettata nomina di La Fontaine a indurre il prefetto lagunare, nella concitazione dei primi momenti successivi all'uscita della notizia, a esprimersi nei termini riferiti nel testo. In seguito, anche sulla scorta delle informazioni giuntegli dal prefetto di Cosenza, avrebbe corretto il tiro, senza smentire completamente la propria precedente missiva: "Debbo soggiungere [...] che Monsignor La Fontaine non è conosciuto a Venezia, per ciò che riguarda la condotta morale e politica, specie in riguardo alle sue idee sui rapporti dello Stato con la Chiesa. È vero che [...] predicò, durante due periodi quaresimali, in questa città, riportandone fama di oratore facondo e temperato". Lettera del prefetto al procuratore generale del re presso la Corte d'Appello di Venezia, 26 febbraio 1915, in Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione Generale Affari di Culto, b. 134, fasc. 331.
232. Cf. la lettera di Pio X al cardinale Pietro Respighi, 16 febbraio 1910, e quella di Respighi a La Fontaine, 17 febbraio 1910, entrambe in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia I, Cause di beatificazione, La Fontaine, incartamento "Causa II".
233. Cf. G. Vian, La riforma della Chiesa, pp. 518, 600-608, 619.
234. Cf. Id., L'azione pastorale del patriarca La Fontaine, in La Chiesa di Venezia nel primo Novecento, a cura di Silvio Tramontin, Venezia 1995, pp. 86-91, 102-105 (pp. 85-123).
235. Cf. Id., Tra democrazia e fascismo. L'atteggiamento del card. La Fontaine, patriarca di Venezia, nel primo dopoguerra, "Rivista di Storia e Letteratura Religiosa", 26, 1990, p. 108 (pp. 75-116).
236. Cf. ibid., pp. 93-105.
237. Cf. in questo volume i capitoli di Casimira Grandi e Bruna Bianchi.
238. Cf. Silvio Tramontin, Patriarca e cattolici veneziani di fronte al Partito Popolare Italiano, in Id., Cattolici, popolari e fascisti nel Veneto, Roma 1975, pp. 1-61, e, nella parte di questa Storia di Venezia dedicata al Novecento, il capitolo di Loredana Nardo. Sull'atteggiamento assunto da La Fontaine di fronte al partito popolare v. in partic. G. Vian, Tra democrazia e fascismo, pp. 83-93.
239. Cf. Giovanni Miccoli, La chiesa e il fascismo, in Id., Fra mito della cristianità e secolarizzazione. Studi sul rapporto chiesa-società nell'età contemporanea, Casale Monferrato 1985, pp. 112-130.
240. Cf. G. Vian, Tra democrazia e fascismo, pp. 105-116.
241. Su Piazza v. Bruno Bertoli, Indirizzi pastorali del patriarca Piazza, in La Chiesa di Venezia dalla seconda guerra mondiale al Concilio, a cura di Id., Venezia 1997, pp. 15-68. Su Agostini e sul cambiamento di governo introdotto a Venezia da Roncalli cf. Giuseppe Battelli, I patriarcati di Agostini e Roncalli: due tipologie episcopali?, ibid., pp. 87-126. Per la svolta impressa alla Chiesa cattolica dal pontificato di Giovanni XXIII cf. Andrea Riccardi, Dalla Chiesa di Pio XII alla Chiesa giovannea; Giovanni Miccoli, Sul ruolo di Roncalli nella Chiesa italiana; e Giuseppe Alberigo, Giovanni XXIII e il Vaticano II, tutti in Papa Giovanni, a cura di Giuseppe Alberigo, Roma-Bari 1987, rispettivamente pp. 135-173, 175-209, 211-243.
242. Cf. P. Stella, Prassi religiosa, spiritualità e mistica, pp. 118-119.
243. Cf. S. Tramontin, Il patriarca Pyrker e la sua visita pastorale, p. CXV.
244. Cf. P. Stella, Prassi religiosa, spiritualità e mistica, pp. 115-118.
245. Ne fu un esempio il Catechismo approvato nelle conferenze episcopali della regione veneta, Padova 1896, nella cui formulazione, come ricordava il patriarca Sarto nella sua lettera introduttiva, si era cercato di "unire colla esattezza teologica il linguaggio popolare" (cf. p. VI).
246. Cf. l'avviso patriarcale di Trevisanato, 12 agosto 1865, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Trevisanato, b. 1.
247. Cf. la lettera di Agostini al clero, 1° ottobre 1884, manifesto a stampa, ibid., D. Agostini, b. 2.
248. Cf. il monitum a stampa del vicario generale G. B. Andreotta (in assenza di Trevisanato, impegnato al Concilio Vaticano), 17 maggio 1870, ibid., Trevisanato, b. 1.
249. Cf. l'avviso patriarcale di Agostini, 17 ottobre 1885, ibid., D. Agostini, b. 1.
250. Sulla Chiesa cattolica come soggetto creatore nei secoli di una "religiosità popolare" (non interpretabile tout court come superstizione) attraverso le risposte offerte alle inquietudini della società cf. Émile Poulat, Premesse, a Id., Chiesa contro borghesia. Introduzione al divenire del cattolicesimo contemporaneo, Casale Monferrato 1984, pp. 17-23 (pp. 9-58).
251. Cf. la pastorale del 28 settembre 1866, manifesto a stampa, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Trevisanato, b. 1. Segno dell'ulteriore progresso di questo atteggiamento le ampie prescrizioni igieniche contenute nella lettera di Agostini al clero, 1° ottobre 1884, manifesto a stampa, ibid., D. Agostini, b. 2.
152. Sulla realtà veneziana cf. i cenni di A. Niero, La formazione della spiritualità, pp. 93-99. Per una sintesi relativa allo sviluppo delle devozioni indicate tra le popolazioni italiane cf. P. Stella, Prassi religiosa, spiritualità e mistica, pp. 123-135. Sulla politicizzazione del culto nel secondo Ottocento v. D. Menozzi, La Chiesa cattolica, pp. 159-166.
253. Cf. B. Bertoli, La pastorale di fronte ai mutamenti, pp. 68-69.
254. Cf. ibid., p. 72.
255. Cf. M. Serafini, Relazione della Visita Apostolica della Diocesi di Venezia, cc. 61-62. L'opposizione della Chiesa alla pratica dilatoria nell'amministrazione del battesimo era volta a scongiurare il pericolo che qualche bambino potesse morire senza avere ricevuto il sacramento che secondo la dottrina cattolica assicura la salvezza eterna.
256. "Nella Città i concubinati noti non sono molti: i Parrochi non arrivano a numerarne due o tre nelle rispettive parrocchie: in qualche parrocchia non se ne conosce veruno". Cf. ibid., c. 61.
257. Cf. ibid., c. 62.
258. Ibid.
259. Ibid., c. 61.
260. Per alcune considerazioni critiche sulle ricerche compiute in questo ambito cf. Renato Moro, Pregiudizio religioso e ideologia: antiebraismo e antiprotestantesimo nel cattolicesimo italiano fra le due guerre, "Le Carte. Notizie e testi dalla Fondazione Romolo Murri, dal Centro studi per la storia del modernismo e dagli Archivi dei movimenti di rinnovamento religioso e politico dell'Italia repubblicana (Università degli studi di Urbino)", 1998, nr. 3, pp. 17-23 (pp. 17-66) e Giovanni Miccoli, Chiesa cattolica, 'questione ebraica' e antisemitismo fra Ottocento e Novecento nella recente storiografia. Linee di ricerca e problemi aperti, in I grandi problemi della storiografia civile e religiosa, a cura di Giacomo Martina-Ugo Dovere, Roma 1999, pp. 324-354.
261. La limitazione del concetto di acattolico da parte della patente di tolleranza ai soli luterani, valdesi e ortodossi era ricordata da Spaur a Monico, lettera del 31 luglio 1840, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia I, Abiure, b. 1 "Abiure e apostasie", fasc. "XVII Normali". La non estensione della patente di tolleranza alle province del Lombardo-Veneto era ribadita con dispaccio governativo del 13 dicembre 1840, citato nella lettera del vescovo di Concordia Carlo Fontanini a Monico, 23 dicembre 1840, ibid.
262. Cf. Giovanni Miccoli, Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo fra Otto e Novecento, in Storia d'Italia, Annali, 11, Gli ebrei in Italia, II, Dall'emancipazione a oggi, a cura di Corrado Vivanti, Torino 1997, pp. 1394-1429 (pp. 1371-1574).
263. Cf. la lettera a Pasolini, 1° novembre 1866, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Trevisanato, b. 1, fasc. "Card. Trevisanato 1866 A = (Richieste alla S. Sede delle facoltà per una imminente temuta guerra); 1866-1867 B = (Dimostrazioni popolari contro il Card. Trevisanato-lettere)".
264. Lettera per l'annuncio dell'esposizione del santissimo per le Quarantore, 27 dicembre 1873 (formato manifesto a stampa), ibid., b. 1. Sugli ebrei a Venezia durante l'Ottocento cf. in questo volume il capitolo di Gadi Luzzatto Voghera.
265. Cf. la documentazione in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia I, Abiure, b. 1 "Abiure e apostasie", fasc. "XVII Normali".
266. Cf. i documenti relativi al passaggio alla Chiesa greca ortodossa di Catterina Zimolo (1845) e Carlotta Morosini (1846-1847), ibid., b. 2 "Protestantesimo 1804-1878. 1921", rispettivamente fasc. "Oggetti varj. XV. Culto. 1845. Passaggio di Catterina Zimolo dal Culto Cattolico al greco non unito" e fasc. "Oggetti varj. XV. Culto. 1846.1847 Passaggio di Carlotta Morosini dal culto cattolico al greco non unito". Le linee di fondo che occorreva mantenere nei confronti degli appartenenti alle altre confessioni cristiane furono precisate dal concilio provinciale veneto I: cf. A. Gambasin, Religione e società, p. 123.
267. Il primo culto evangelico si era tenuto alla sua presenza il 9 dicembre 1866. Cf. Eugenio Stretti, Le Chiese evangeliche battista, metodista e valdese a Venezia, in Presenze ebraico-cristiane nelle Venezie, a cura di Giuseppe Dal Ferro, Vicenza 1993, p. 146 (pp. 146-156, con appendice documentaria alle pp. 156-158).
268. La Chiesa cristiana libera d'Italia si formò per separazione dall'evangelismo italiano in occasione della seconda assemblea nazionale celebrata a Milano nel giugno 1870 dalle Chiese che vi si riconoscevano. Cf. Paolo Ricca, Le chiese protestanti, in Storia del cristianesimo, a cura di Giovanni Filoramo-Daniele Menozzi, IV, L'età contemporanea, Roma-Bari 1997, p. 68 (pp. 5-128). Nel 1890 la Chiesa cristiana libera d'Italia prese il nome di Chiesa evangelica italiana. Si sciolse nel 1905 e la gran parte dei suoi membri confluì nella Chiesa metodista. Cf. ibid., p. 70.
269. Cf. Luigi Santini, Alessandro Gavazzi (Aspetti del problema religioso del Risorgimento), Modena 1955, p. 164, ed E. Stretti, Le Chiese evangeliche battista, metodista e valdese, p. 147. Turin, prima della rottura con Gavazzi, cui aveva lasciato la sede di palazzo Gambara, si era spostato temporaneamente in un locale posto in Frezzeria per coprire con la sua attività di predicazione un'area diversa della città. Cf. la lettera del questore di Venezia alla prefettura, 10 febbraio 1867, in A.S.V., Gabinetto di Prefettura (1866-1871), b. 17, 7, 9/2.
270. Cf. la lettera in A.S.V., Gabinetto di Prefettura (1866-1871), b. 17, 7, 9/2.
271. Cf. la lettera del questore di Venezia alla prefettura, 10 febbraio 1867, ibid.
272. Cf. la lettera di Trevisanato, ibid.
273. Cf. la pastorale del 26 febbraio 1867, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Trevisanato, b. 1.
274. Gavazzi smentiva la prima sostenendo che le dottrine dei cristiani liberi provenivano direttamente dal Vangelo; la seconda definendo "la chiesa romana papale irreformabile". Cf. Alessandro Gavazzi, I cristiani evangelici in Venezia, Venezia s.a. [ma inizi 1867], pp. 2-3. Dato il testo agli inizi del 1867 sulla base della dichiarazione riportata a p. 1 di non voler rispondere con questo scritto alle polemiche suscitate dalle sue conferenze.
275. Cf. Alessandro Gavazzi per la grazia e bontà di Dio ministro dell'evangelo a don Giuseppe Luigi Trevisanato per divina misericordia ecc. ecc. ecc. Risposta, Venezia 1867.
276. Cf. il trafiletto in Seconda edizione, "Gazzetta di Venezia", 25 marzo 1867.
277. Cf. la minuta della lettera del prefetto, del 25 marzo 1867, in A.S.V., Gabinetto di Prefettura (1866-1871), b. 17, 7, 9/2, nr. 805.
278. Cf. la lettera al prefetto di Venezia, ibid.
279. Cf. L. Santini, Alessandro Gavazzi, p. 165.
280. Turin si era fatto sostituire da George Appia nel tardo dicembre 1866, ma aveva ripreso in prima persona la predicazione nel 1867. Nel marzo aveva a sua volta abbandonato palazzo Gambara per gli eccessivi costi della locazione, ripiegando sulla propria abitazione nei pressi di campo S. Zulian. Cf. E. Stretti, Le Chiese evangeliche battista, metodista e valdese, p. 147.
281. Cf. ibid. Comba, durante la sua presenza a Venezia, avviò anche le sue importanti ricerche sulla storia della Riforma in Italia. Cf. Giorgio Spini, Risorgimento e protestanti, Milano 19892, p. 362. Per un profilo di Comba cf. Stefania Biagetti, Emilio Comba (1839-1904): storico della Riforma italiana e del movimento valdese medievale, Torino 1989.
282. Cf. "Atti del Consiglio della Chiesa Evangelica italiana - Venezia" [dal 12 febbraio 1868 al 24 maggio 1909], p. 1, in Venezia, Archivio della Chiesa Valdese. Il culto del Natale 1867 fu tenuto nel locale affittato dai valdesi in calle della Testa, nei pressi di campo SS. Giovanni e Paolo, a partire dall'aprile precedente. Cf. E. Stretti, Le Chiese evangeliche battista, metodista e valdese, p. 147. Ringrazio la pastora Laura Leone che con grande disponibilità mi ha permesso di consultare alcuni registri dell'Archivio della Chiesa Valdese di Venezia, sito in palazzo Cavagnis, nonostante le difficoltà e le limitazioni alla consultazione che i lavori di radicale restauro dello stabile, con la conseguente chiusura di detto archivio, hanno inevitabilmente imposto.
283. Nella pastorale per la Quaresima del 1868 Trevisanato reagiva alla predicazione riformata che aveva denunciato la mancanza di fondamento evangelico nella pratica del digiuno raccomandata dalla Chiesa cattolica. Cf. la lettera pastorale del 16 febbraio 1868, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, Trevisanato, b. 1.
284. Cf. B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico, pp. 287-288.
285. Lettera in A.S.V., Gabinetto di Prefettura (1866-1871), b. 17, 7, 9/1, nr. 1628.
286. Dopo un'interlocutoria del 22 luglio nella quale il prefetto riferiva a Trevisanato di avere ordinato di controllare se la conversione fosse stata imposta con la violenza - "nel quale solo caso potrebbe esservi luogo a provvedimenti da parte dell'autorità politica" (minuta ibid.) -, la vicenda giungeva a conclusione a fine mese, sulla base del rapporto della questura, che esponeva che i due padri dei bambini, ormai battezzati, avevano voluto la conversione dei figli ritenendo "che la religione evangelica, sia la vera religione di Cristo". Cf. la lettera del questore al prefetto, 29 luglio 1867, ibid., nr. 1700.
287. Domenico Agostini, Sulla necessità della fede. Lettera pastorale di sua eccellenza reverendissima Mons. D.A. patriarca di Venezia al venerabile clero e dilettissimo popolo della città e del Patriarcato per la quaresima 1881, Venezia 1881, p. 1.
288. Ibid., pp. 12-13.
289. Cf. Relazione del discorso di sua eccellenza reverendissima monsignor Domenico Agostini patriarca di Venezia tenuto nella chiesa parrocchiale di S. Nicola da Tolentino il 25 marzo 1881 intorno ai sedicenti cristiani evangelici, estr. da "Il Veneto Cattolico", 15, 1881, nr. 69.
290. Cf. Domenico Agostini, La fede pratica. Lettera pastorale di sua eccellenza reverendissima Monsig. D.A. patriarca di Venezia al venerabile clero e dilettissimo popolo della città e del patriarcato per la quaresima MDCCCLXXXII, Venezia 1882.
291. Cf. Gerolamo M. Rossi, Al cortese lettore veneziano, in Confutazione della risposta d'un ministro evangelico al discorso di sua eminenza reverendissima il cardinale Domenico Agostini patriarca di Venezia detto in Santa Maria del Carmine il 18 giugno 1882. Lettera del P.G.M.R. d. O.d.P., Venezia 1882, p. VIII (pp. V-X).
292. Cf. Discorso pronunziato da s. em. il card. Domenico Agostini patriarca di Venezia nella chiesa di S. Maria del Carmine il giorno 18 giugno 1882 quando gli evangelici aprivano al loro culto il non lontano locale dell'antica chiesa di S. Margherita ridotto ad uso profano fino dal 1810, ibid., pp. XI-XXII.
293. Diviso per paragrafi, l'opuscolo è ripubblicato (apparentemente in forma completa) da Gerolamo M. Rossi, Confutazione della risposta del ministro evangelico, ibid., p. 22 (pp. 1-111).
294. Cf. il decreto di condanna in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia III, Patriarchi, D. Agostini, b. 2.
295. Cf. "Atti del Consiglio della Chiesa Evangelica italiana - Venezia", 9 febbraio 1871, p. 30 (il pastore "comunica una lettera dei presbiteri della Comunità Evangelica Alemanna che accompagna la copia di una istanza al Municipio, intesa ad ottenere che sia ceduto terreno sufficiente per la sepoltura de' defunti. Il Consiglio autorizza il presidente ad appoggiare con qualche riserva tale istanza ufficialmente, ed a scrivere alla Comunità Alemanna suddetta per esprimerle la nostra gratitudine"), e 1° marzo 1871, p. 31. La linea dell'amministrazione comunale era confermata nel 1876, quando si assicurava la Chiesa valdese che nel nuovo cimitero sarebbe stato concesso uno spazio adeguato per il culto evangelico. Cf. ibid., 24 febbraio 1876, p. 69. Per quanto riguarda le sepolture di acattolici già nel 1719 la nazione alemanna (cioè i luterani tedeschi) aveva ottenuto dalla Repubblica di Venezia di potere allestire un proprio cimitero nell'isola di S. Cristoforo, che era rimasto in funzione (l'ultima inumazione vi fu eseguita nell'estate 1810) fino all'avvio dei lavori per la creazione di un cimitero pubblico in applicazione delle disposizioni sulle sepolture emanate da Napoleone. Cf. S. Oswald, Die Inquisition, die Lebenden und die Toten, pp. 67-73.
296. Cf. "Atti del Consiglio della Chiesa Evangelica italiana - Venezia", 6 agosto 1869, p. 16.
297. Cf. ibid., 27 dicembre 1869, p. 19; 29 ottobre 1873, p. 55; 3 agosto 1875, p. 66.
298. Cf. ibid., 25 gennaio 1882, p. 107. Qualche tempo prima i responsabili della Chiesa valdese avevano rifiutato la proposta del Comune di concedere alle pazienti evangeliche una sala in coabitazione con le malate di mente. Cf. "Atti della Chiesa Evangelica Italiana di Venezia e verbali delle Assemblee di Chiesa dal 31 marzo 1870 al 20 febbr. 1950", 19 gennaio 1882, pp. 40-41, in Venezia, Archivio della Chiesa Valdese. Peraltro si ha notizia che nel 1893 una degente metodista che non aveva voluto confessarsi era stata trasferita contro la propria volontà nella camera destinata alle malate psichiatriche e qui sottoposta a restrizioni fisiche. Cf. Erica Sfredda, I metodisti nel Veneto, in Presenze ebraico-cristiane nelle Venezie, a cura di Giuseppe Dal Ferro, Vicenza 1993, p. 163 (pp. 159-170).
299. Cf. "Atti del Consiglio della Chiesa Evangelica italiana - Venezia", 9 giugno 1886, p. 138. Sul ripetuto tentativo operato dal clero veneziano di ottenere il ritorno al cattolicesimo di persone in fin di vita si veda anche l'episodio relativo a Luigi Bonatti, evangelico, che, dopo avere abiurato, in un secondo momento denunciò le pressioni cui era stato sottoposto: cf. Ritrattazione, "Il Tempo. Giornale Politico-Letterario-Commerciale del Veneto", 6 dicembre 1883.
300. Cf. "Atti del Consiglio della Chiesa Evangelica italiana - Venezia", 13 ottobre 1886, p. 139.
301. Cf. ibid., 11 maggio 1887, p. 143.
302. Cf. Yves Chiron, Saint Pie X, Versailles 1999, p. 105 n. 17. Alla luce della ricostruzione che ho condotto in precedenza, dalla quale risulta chiaramente la pressione esercitata da alcuni ecclesiastici cattolici sui degenti di altre confessioni, è evidente la vistosa forzatura di Chiron che attribuisce l'iniziativa di Sarto all'esigenza di "combattre l'influence protestante au sein de l'hôpital de Venise".
303. Cf. "Atti del Consiglio della Chiesa Evangelica italiana - Venezia", 28 marzo 1899, p. 227.
304. A essa il fondatore dell'ordine, Mechitar, aveva voluto fossero aggiunti i tre tradizionali voti religiosi e un quarto voto di apostolato: cf. Boghos Levon Zekiyan, Il monachesimo mechitarista a San Lazzaro e la rinascita armena nel Settecento, in La Chiesa di Venezia nel Settecento, a cura di Bruno Bertoli, Venezia 1993, pp. 233-235 (pp. 221-248). Sull'Ordine mechitarista di Venezia cf. Garabed Amadouni-Mesrobio Gianascian, Mechitaristi di Venezia, in Dizionario degli istituti di perfezione, diretto da Guerrino Pelliccia-Giancarlo Rocca, V, Roma 1978, coll. 1117-1120; Aleramo Hermet-Paola Cogni Ratti Di Desio, La Venezia degli Armeni. Sedici secoli, tra storia e leggenda, Milano 1993, pp. 119-140, e Boghos Levon Zekiyan, Venezia, gli armeni e Mechitar, in Presenze ebraico-cristiane nelle Venezie, a cura di Giuseppe Dal Ferro, Vicenza 1993, pp. 99-124.
305. Cf. G. Amadouni-M. Gianascian, Mechitaristi di Venezia, col. 1118.
306. Cf. B.L. Zekiyan, Il monachesimo mechitarista, pp. 234, 239.
307. Per una sintesi cf. Giacomo Martina, Pio IX (1867-1878), Roma 1990, pp. 53-96.
308. Cf. l'Attestato dei molto reverendi Parrochi di Venezia e dei reverendissimi canonici della Chiesa metropolitana di San Marco, San Lazzaro-Venezia 1852.
309. Cf. la lettera del prefetto della Congregazione di Propaganda Fide, cardinale G.F. Franzoni al patriarca Pietro Aurelio Mutti, 15 settembre 1853, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Abiure, b. 2 "Protestantesimo 1804-1878. 1921".
310. Cf. ibid.
311. Cf. la lettera di Mutti a Franzoni, 19 novembre 1853 (minuta), ibid.
312 Cf. la lettera di Franzoni a Mutti, 6 dicembre 1853, ibid.
313. Cf. Neminem vestrum, 2 febbraio 1854, in Enchiridion delle encicliche, a cura di Erminio Lora- Rita Simionati, II, Gregorio XVI, Pio IX (1831-1878), Bologna 1996, nr. 201 (nrr. 199-209).
314. Cf. ibid., nrr. 811-820.
315. Cf. la lettera agli armeni cattolici del Patriarcato di Cilicia Quo impensiore, 20 maggio 1870, ibid., nr. 854 (nrr. 851-857). Ho apportato qualche piccola modifica, quando opportuna, alla traduzione redazionale di questo documento.
316. Cf. la lettera Quo impensiore, nr. 855.
317. Cf. B.L. Zekiyan, Il monachesimo mechitarista, p. 239.
318. Cf. G. Martina, Pio IX (1867-1878), p. 87.
319. Cf. ibid., p. 88.
320. Cf. ibid.
321. Nella sua "relatio ad limina apostolorum" del 1897 Sarto riferiva: "In insula denique S. Lazari familia Monachorum Mechitaristarum [est], qui ex Armenia decimo octavo saeculo huc advenerunt, et quorum Abbas Archiepiscopali gaudet dignitate. Hi in civitate habent etiam Collegium adolescientium Armeniorum a fundatore Raphaelian nuncupatum ad juvenes in humanistibus litteris instituendos et in catholicis doctrinis informandos". Cf. "Relatio Status Patriarchatus Venetiarum Pro Triennio CIV Ab anno 1894 ad annum 1897", 1° dicembre 1897 (minuta), c. 7, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia I, S. Sede, b. 4, fasc. "Visitationes 'ad limina'". Circa un decennio più tardi il visitatore apostolico del Patriarcato veneziano si limitava, in modo ancora più laconico, a rilevare la presenza dei mechitaristi a S. Lazzaro: cf. M. Serafini, Relazione della Visita Apostolica della Diocesi di Venezia, c. 2.
322. Vincenzo Sardi, arcivescovo titolare di Cesarea di Palestina, assessore della Concistoriale e consultore di Propaganda Fide. Sulla sua presenza a Venezia cf. Pietro La Fontaine, Diario della Diocesi di Venezia per parte del Patriarca, quaderno 24 febbraio - 3 settembre 1916, passim a partire dalla nota del 3 marzo 1916, in Venezia, Archivio Storico del Patriarcato, Curia I, Patriarchi, La Fontaine, b. 4 "Card. La Fontaine. Diari Autografi. Copialettere autogr. Lettere aut. Manoscritti".
323. Cf. la lettera di Benedetto XV a P. La Fontaine, 1° ottobre 1916, in La Santa Sede, i vescovi veneti e l'autonomia politica dei cattolici 1918-1922, a cura di Antonio Scottà, Trieste 1994, p. 85. Sulla volontà di Benedetto XV di coinvolgere i mechitaristi veneziani nel progetto teso a favorire il ritorno all'unione con Roma delle Chiese orientali separate - di cui l'istituzione della Congregazione per la Chiesa orientale (1° maggio 1917) e dell'Istituto pontificio per lo studio delle cose pertinenti alla Chiesa orientale (15 ottobre 1917) rappresentarono i passi di maggiore rilievo -cf. il discorso tenuto durante l'udienza concessa ai mechitaristi di Venezia il 7 luglio 1918, in Il Santo Padre riceve la Congregazione Armena dei Mechitaristi di Venezia, "Bollettino Diocesano del Patriarcato di Venezia", 3, 1918, pp. 99-101 (pp. 98-101).
324. Cf. E. Stretti, Le Chiese evangeliche battista, metodista e valdese, p. 149. L'arrivo dei battisti inglesi e americani in Italia ebbe luogo rispettivamente nel 1861 e nel 1870: cf. Paolo Ricca, Le Chiese evangeliche, in Storia dell'Italia religiosa, III, L'età contemporanea, a cura di Gabriele De Rosa, Roma-Bari 1995, p. 425 (pp. 405-440); Id., Le chiese protestanti, p. 70.
325. Cf. E. Sfredda, I metodisti nel Veneto, p. 161, e E. Stretti, Le Chiese evangeliche battista, metodista e valdese, p. 149. I primi missionari metodisti episcopali giunsero in Italia nel 1873: cf. P. Ricca, Le Chiese evangeliche, p. 425.
326. Cf. "Atti del Consiglio della Chiesa Evangelica italiana - Venezia", 23 luglio 1880, p. 95.
327. Cf. E. Stretti, Le Chiese evangeliche battista, metodista e valdese, p. 149.
328. Cf. "Atti della Chiesa Evangelica Italiana di Venezia e verbali delle Assemblee di Chiesa dal 31 marzo 1870 al 20 febbr. 1950", 6 ottobre 1880, p. 37. I voti a favore furono 26, quelli contrari 4.
329. Cf. "Atti del Consiglio della Chiesa Evangelica italiana - Venezia", p. 96.
330. "Atti del Consiglio della Chiesa Evangelica italiana di Venezia e verbali delle Assemblee di Chiesa dal 31 marzo 1870 al 20 febbr. 1950", 19 gennaio 1882, p. 40.
331. Cf. "Atti del Consiglio della Chiesa Evangelica italiana - Venezia", 10 maggio 1882, p. 112.
332. Cf. ibid., 12 marzo 1884, p. 123.
333. Cf. ibid., 21 maggio 1884, p. 124.
334. Cf. ibid., 30 luglio 1884, p. 125.
335. Cf. ibid.
336. Cf. ibid., 24 settembre 1884, p. 127. Un primo incontro tra i pastori delle Chiese evangeliche veneziane aveva rinviato a una seconda convocazione la stesura del regolamento della nascente alleanza evangelica: cf. ibid., 17 dicembre 1884, p. 127.
337. Cf. ibid., 25 febbraio 1885, p. 129.
338. Cf. ibid., 7 ottobre 1885, p. 132.
339. Cf. ibid., 16 dicembre 1885, p. 133.
340. Cf. ibid., 13 gennaio 1886, p. 134, e 18 gennaio 1886, p. 45.
341. Cf. ibid., 17 febbraio e 16 marzo 1886, entrambi p. 136, e "Atti della Chiesa Evangelica Italiana di Venezia e verbali delle Assemblee di Chiesa dal 31 marzo 1870 al 20 febbr. 1950", 22 marzo 1886, p. 46.
342. Cf. "Atti del Consiglio della Chiesa Evangelica italiana - Venezia", 17 dicembre 1886, p. 140.
343. Cf. "Atti della Chiesa Evangelica Italiana di Venezia e verbali delle Assemblee di Chiesa dal 31 marzo 1870 al 20 febbr. 1950", 18 gennaio 1886, p. 45.
344. Cf. "Atti del Consiglio della Chiesa Evangelica italiana - Venezia", 1° marzo 1900, p. 235, ed E. Sfredda, I metodisti nel Veneto, p. 165.