di Antonella Mori
Dopo un decennio di continua espansione, interrotto solo nel 2009, le previsioni più recenti per il biennio corrente indicano un leggero rallentamento della crescita economica per l’America Latina e i Caraibi. La Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPAL) stima che la regione crescerà del 2,6% nel 2013 e del 3,2% nel 2014. La regione si trova ad affrontare una situazione globale complessa, caratterizzata da bassa crescita nei paesi industrializzati e da un rallentamento della Cina e dell’India. L’impatto del calo delle esportazioni è diverso a seconda dei paesi, in base a quanto siano diversificati in termini di prodotti e destinazioni delle esportazioni. La maggior parte delle nazioni esportatrici di materie prime, principalmente quelle sudamericane, ha comunque subito un peggioramento delle ragioni di scambio a seguito del calo dei prezzi.
La regione continua a ricevere ingenti investimenti diretti esteri, che sono molto importanti per aumentare la dotazione di capitale fisico e migliorare la capacità tecnologica. Tuttavia, negli ultimi anni stanno aumentando i flussi in uscita degli utili delle aziende straniere, che vengono inviati nei paesi d’origine, spesso economie avanzate in crisi. Il rimpatrio degli utili, assieme al disavanzo nello scambio di servizi, hanno fatto aumentare il disavanzo del conto corrente della bilancia dei pagamenti. Questo squilibrio è stato finanziato finora con nuovi afflussi di investimenti diretti dall’estero e con investimenti speculativi alla ricerca di rendimenti più elevati rispetto a quelli nei paesi avanzati. Anche se con una politica monetaria più restrittiva negli Stati Uniti nel 2014 si invertisse l’afflusso di capitali a breve termine, la maggior parte dei paesi sembra comunque preparata ad affrontare un’eventuale uscita di investimenti finanziari grazie alle ingenti riserve di valuta estera accumulate negli anni passati.
Il buon andamento dell’economia, assieme a una gestione prudente delle politiche macroeconomiche negli ultimi anni, danno inoltre ai paesi ampi margini per realizzare politiche economiche espansive in caso di necessità. Da una parte, il tasso d’inflazione rimane per la maggior parte degli stati inferiore al 5% – solo il Venezuela e l’Argentina hanno un’inflazione elevata – e quindi la politica monetaria può sostenere la domanda interna con riduzioni dei tassi d’interesse. Dall’altra, anche la politica fiscale ha spazio per diventare più espansiva poiché nella maggior parte dei paesi sono bassi sia il disavanzo di bilancio sia il debito pubblico, i quali, per la regione nel suo insieme, sono rispettivamente l’1,6% e il 50% del PIL.
Dieci anni di continua crescita economica hanno contribuito al miglioramento delle condizioni sociali dei latinoamericani. La povertà si è ridotta di 15,7 punti percentuali dal 2002, praticamente in tutti i paesi e in tutti gli anni, anche se dal 2007 il ritmo del miglioramento è rallentato. Nel 2012, il 28,2% della popolazione dell’America Latina e dei Caraibi viveva in povertà, con l’11,3% in condizioni di estrema povertà o di indigenza. In numeri assoluti, significa che nel 2012 ancora 164 milioni di persone erano povere, di cui 66 milioni estremamente povere. L’elevata disuguaglianza della distribuzione del reddito rimane uno dei tratti distintivi del subcontinente, anche se la situazione è lentamente migliorata negli ultimi dieci anni. I dati più recenti indicano che il quintile di reddito più povero (cioè il 20% delle famiglie più disagiate) in media ha ricevuto il 5% del reddito totale, con la cifra che varia tra il 4% (Repubblica Dominicana, Honduras e Paraguay) e il 10% (Uruguay). Mentre il 20% più ricco della popolazione ha guadagnato il 47% del reddito complessivo, percentuale che va dal 35% (Uruguay) al 55% (Brasile).
Le possibilità di crescita nei prossimi anni dipendono dalla capacità dei paesi di superare due limiti importanti: la bassa produttività dei fattori produttivi e la limitata diversificazione della produzione.
Per aumentare la produttività totale dei fattori produttivi sono necessari investimenti in infrastrutture fisiche – strade, porti e aeroporti – e telematiche, che migliorino la logistica e la comunicazione all’interno dei paesi e con il resto del mondo. La regione ha anche bisogno di aumentare il livello di istruzione e formazione professionale, ridurre il peso della burocrazia e combattere in modo deciso la corruzione. L’altra sfida è riuscire a diversificare la produzione verso prodotti con più alto valore aggiunto. Da questo punto di vista, il decennio passato ha fatto registrare alcuni passi indietro, perché la forte domanda estera di materie prime ha spinto molti paesi ad aumentare la produzione e le esportazioni di questi beni a scapito dei manufatti. Per riprendere il cammino verso una maggiore diversificazione, alcuni stati latinoamericani hanno adottato politiche di stimolo e protezione dell’industria nazionale e quasi tutti hanno puntato su una maggiore integrazione regionale. Si stanno comunque delineando due approcci diversi all’integrazione economica regionale: da una parte il MERCOSUR, che vede in questo processo la possibilità di sviluppare vantaggi competitivi dinamici e aumentare la diversificazione delle esportazioni non tradizionali. Dall’altra, l’Alleanza del Pacifico, che mira a rafforzare i legami produttivi e commerciali con la catena del valore nordamericana e asiatica.
Sebbene nel breve termine la regione abbia solide basi macroeconomiche per contrastare eventuali rischi esterni, le prospettive di medio termine sono più incerte rispetto al decennio precedente: per mantenere una crescita elevata e di qualità l’America Latina ha bisogno di maggiori investimenti in capitale fisico e umano e di importanti riforme strutturali.