La democrazia cristiana in Europa
Alla locuzione «democrazia cristiana», attestata sin dall’epoca della Rivoluzione francese, sono stati attribuiti nel corso di oltre due secoli significati molto disparati sia in ragione del carattere polisemico assunto in epoca moderna dal termine democrazia sia in rapporto alla diversità dei soggetti che l’hanno utilizzata. Anche la determinazione dell’aggettivo cristiana ha presentato nel tempo importanti variazioni, dipendenti dai criteri difformi adottati nell’attribuzione di una tale qualifica di origine religiosa a fenomeni di natura culturale, sociale e politica. Se poi si considera che la locuzione «democrazia cristiana» risulta diffusa in prevalenza nelle aree cattoliche, si comprende come il suo accoglimento e la sua estensione semantica abbiano dovuto misurarsi con l’autorità della Chiesa in materia dottrinale e disciplinare, cioè con la sua competenza nel definire i contenuti e le forme dell’ortodossia e quindi nello stabilire i criteri per cui quell’aggettivo cristiana ne rispettava o meno i confini. Posto che la locuzione «democrazia cristiana» suggerisce in ogni caso una relazione tra democrazia e cristianesimo, si possono indicare, a grandi linee, due modalità – già ravvisabili alla fine del Settecento – di concepire e rappresentare tale relazione, che potremmo brevemente definire della compatibilità e della filiazione. La prima si basava sull’accezione classica di democrazia come forma di governo e sulla individuazione delle condizioni che la rendevano compatibile, cioè non contraddittoria, con il sistema di credenze e di valori del cristianesimo. In area cattolica, questo punto di vista tendeva a far dipendere, in ultima istanza, il giudizio di compatibilità da una serie di condizioni enunciate dall’autorità ecclesiastica. La seconda modalità di relazione assumeva un concetto più esteso e più complesso di democrazia, identificandola con un sistema di valori e di diritti non limitati né limitabili all’ordine politico, e dunque principalmente con un sistema etico, includente il principio di eguaglianza, sino a identificare nella democrazia la traduzione in termini politici e sociali di elementi specifici e selezionati del cristianesimo, di solito reperiti nel messaggio evangelico e nel cristianesimo delle origini. Ciò produceva una griglia di lettura della democrazia moderna che postulava una revisione, più o meno radicale, dei rapporti tra le Chiese cristiane e i diversi regimi politici, e, nel caso del cattolicesimo, una più generale messa in discussione delle prerogative della Chiesa istituzionale nella sfera politica. A sostegno della tesi di una filiazione della democrazia moderna dal cristianesimo si schierarono prevalentemente già nella Francia rivoluzionaria (ma poi anche in Italia) correnti cattoliche in posizione critica nei confronti della Chiesa istituzionale, come, per es., alcuni esponenti tardogiansenisti del clero detto costituzionale. A rendere più complessa la storia della democrazia cristiana soprattutto nelle aree cattoliche concorsero due ordini di fattori, tra loro contrastanti, emersi con forza nella prima metà del sec. 19°. Il primo fu il sorgere di movimenti d’opinione, assumenti talora il profilo di movimenti politici, fautori di una «nuova alleanza» tra Chiesa e popolo, in alternativa alla tradizionale alleanza fra trono e altare, e collocatisi comunque al di fuori del quadro politico-religioso di ancien régime. In tale contesto il riferimento a una democrazia a denominazione cristiana implicava una speciale enfasi posta sull’esigenza di promozione e riscatto dei ceti popolari, piuttosto che indicare uno specifico ordinamento politico, sebbene i regimi costituzionali fossero considerati, solitamente, precondizione di tale opera emancipatrice. Su questa linea, l’approdo a forme di democrazia a matrice cristiana venne a costituire una delle linee di sviluppo dei movimenti cattolico-liberali, o più precisamente di quelle tendenze cattolico-liberali più sensibili all’emergere della questione sociale. Molto rappresentativo in proposito fu il movimento avviato in Francia dal prete cattolico F. Lamennais e da alcuni dei suoi seguaci, che svilupparono in senso democratico (ma non privo di risvolti teocratici) le teorie cattolico-liberali enunciate intorno al 1830 dal giornale L’Avenir. Nonostante la frattura intervenuta tra Lamennais e la Chiesa cattolica, alcuni dei suoi seguaci (J.-B.-H. Lacordaire, H. Maret, A.-F. Ozanam), raccolti intorno al periodico L’Ère nouvelle, rilanciarono fino al 1848 e oltre, il progetto di una cristianizzazione della democrazia, che alludeva, in sostanza, al disegno di riguadagnare al cristianesimo le masse popolari scristianizzate, sposandone gli impulsi di emancipazione sociale. Il culmine del movimento fu raggiunto nel 1848, per poi declinare. Anche in altre aree europee si levarono voci orientate a introdurre la democrazia in contesti cristiani, mettendo solitamente l’accento sulla convergenza di valori etici piuttosto che sulle sue forme politico-istituzionali (senza tuttavia ignorarne il rilievo). In tale direzione, ma partendo da diverse premesse, si mossero in Italia talune figure di considerevole peso culturale, come il padre G. Ventura, N. Tommaseo o V. Gioberti. Il secondo ordine di fattori, incidente, invece, in senso negativo sulla diffusione della democrazia cristiana come sistema di idee e come programma politico-sociale, furono le reiterate condanne inflitte dalla Chiesa cattolica ai principi ispiratori e alle basi teoriche del «mondo moderno». Queste condanne, culminate nell’enciclica di Pio IX Quanta cura (1864) e nell’annesso Sillabo, colpirono in modo particolare il liberalismo (coinvolgendovi il cattolicesimo liberale) e il socialismo, ma riguardarono altresì la democrazia moderna con particolare riferimento al principio della sovranità popolare, denunciato come incompatibile con quello della origine divina di ogni autorità. La prolungata ostilità della Chiesa cattolica alla «democrazia moderna», che si estendeva al termine stesso di democrazia, si attenuò durante il pontificato di Leone XIII (1878-1903). Perseguendo una linea di avvicinamento ai vigenti regimi politici degli Stati europei e prendendo atto della gravità della questione sociale connessa alla diffusione dei sistemi capitalistici (enciclica Rerum novarum, 1891), Leone XIII operò qualche apertura sul piano istituzionale (ammettendo la legittimità dei regimi basati sulle elezioni popolari dei governanti: enciclica Diuturnum, 1881), e nel contempo fece propria la locuzione democrazia cristiana, escludendone però il significato politico di «governo del popolo», per rimarcarne la sola componente sociale, intesa come «attività benefica verso il popolo» (enciclica Graves de communi, 1901). In questo modo il pontefice dava incoraggiamento ai movimenti sociali cattolici, sorti numerosi in Europa nella seconda metà del sec. 19° (al cui interno l’espressione democrazia cristiana era servita a designare semplicemente l’organizzazione popolare) e nel contempo ne frenava gli impulsi autonomistici sul piano politico. Tale limitazione, che fece parlare di una democrazia cristiana di modello leonino, riguardava in modo particolare il contesto italiano, dove si erano formati, a iniziare dagli anni Novanta, raggruppamenti giovanili cattolici, di preti e laici, che avevano impugnato il vessillo della democrazia cristiana, raccogliendosi intorno ad alcuni leader: tra questi G. Toniolo (autore nel 1897 di un saggio sul Concetto cristiano di democrazia che in parte anticipava le posizioni della Graves de communi), don R. Murri, F. Meda, don L. Sturzo e altri. Una sezione di questo movimento, più tardi definito nel suo insieme «prima democrazia cristiana», procedette alla enunciazione di propri programmi politici e alla costituzione di una propria rete organizzativa, assumendo i contorni di un embrionale partito, contrastato dalla gerarchia ecclesiastica. Ciò indusse le frange più radicali del movimento (Lega democratica nazionale, poi Lega democratico-cristiana) ad appellarsi a un principio di incompetenza della Chiesa in campo politico, incorrendo nella generale condanna del modernismo cattolico, comminata nel 1907 con l’enciclica Pascendi Dominici gregis da papa Pio X, e in altre censure ecclesiastiche. Un’analoga sorte toccò al gruppo democratico cristiano del Sillon raccolto in Francia da M. Sangnier intorno all’omonima rivista fondata nel 1894, che si connetteva all’opera e alle idee di alcuni membri del clero francese denominati abbés démocrates. I colpi subiti dalle tendenze autonomistiche della prima democrazia cristiana provocarono una temporanea latitanza della formula, ma non arrestarono lo sviluppo di culture politiche che ne rappresentavano la prosecuzione, pur nei nuovi scenari delineati dalla fine della Prima guerra mondiale. Alla prima democrazia cristiana si rifece il Partito popolare italiano fondato da don Sturzo nel 1919, basato, in teoria, sul principio dell’aconfessionalità, e orientato alla realizzazione di un sistema di democrazia politica alternativo a quelli di matrice liberale o socialista, in quanto connotato, tra l’altro, da un sistema di ampie autonomie locali. Esso fornì un modello di partito democratico a base cattolica, ottenendo ai suoi esordi un buon successo elettorale, ma venendo poi stritolato dall’ascesa del fascismo al potere, che provocò una serie di scissioni all’interno del PPI, ponendo quindi fine alla sua esistenza nel 1926. Taluni elementi programmatici riferibili alla DC furono presenti anche in altre formazioni politiche del primo dopoguerra: nel Partito sociale popolare spagnolo, poi lacerato dalla dittatura di P. de Rivera, nel Partito democratico popolare francese, che ebbe tuttavia scarso seguito, e nel ben più importante Zentrum tedesco, esistente già dal 1871 e poi collassato e disciolto in seguito all’avvento della dittatura nazionalsocialista (1933). Com’era accaduto al Partito popolare italiano, tutti i partiti politici radicati a vario titolo nei rispettivi mondi cattolici sparirono progressivamente dall’orizzonte o perché inglobati nei nuovi regimi corporativi-autoritari guardati con favore dalla Chiesa, sorti in Portogallo, in Austria, in Spagna (dopo la vittoria del franchismo nella guerra civile), nella Francia di Vichy (dopo la sconfitta militare subita dalla Germania nel 1940), o perché dissolti dai regimi totalitari. Tuttavia proprio l’esperienza dei totalitarismi (e, nel caso della Germania, della repressione messa in atto dal Terzo Reich contro le organizzazioni cattoliche) diede l’avvio a una svolta, anche di natura culturale, principalmente imperniata intorno alla diffusione di teorie dette personaliste, che riportò gradatamente in auge taluni dei principi ispiratori della democrazia cristiana e ripropose con maggior intensità il tema della democrazia politica nei mondi cattolici. Ne scaturirono, durante la Seconda guerra mondiale, vari movimenti di opposizione e poi di resistenza cristiana ai regimi totalitari e dittatoriali (in Italia, in Francia, in Belgio e più sotterraneamente nella stessa Germania). Non vi furono estranei gli sviluppi del magistero pontificio espresso durante la guerra da Pio XII, che manifestò aperture della Chiesa nei confronti dei sistemi politici democratici in contrapposizione ai sistemi totalitari. Gli anni successivi alla Seconda guerra mondiale furono l’epoca d’oro della democrazia cristiana. In molti Stati dell’Europa occidentale si ricostituirono partiti a base cattolica (e in taluni casi interconfessionale) e d’ispirazione cristiana, ora con il consenso e il sostegno anche organizzativo della Chiesa e delle associazioni collegate. Essi conseguirono nella maggior parte dei casi grandi successi elettorali, insediandosi al governo degli Stati di appartenenza. Alcuni di questi partiti adottarono per la prima volta la denominazione di partiti democratico-cristiani (tale il caso della DC italiana e dell’Unione cristiano-democratica tedesca, CDU). Anche quando un espresso riferimento alla democrazia cristiana non compariva nella loro denominazione ufficiale – come nel caso del Movimento repubblicano popolare francese, o del Partito popolare austriaco o dei Cristiano-sociali belgi e olandesi – l’asse programmatico e ideologico prevalente in questi nuovi partiti fu orientato, seppur con varie sfumature, a una cultura democratico cristiana ormai inglobante, come propria componente essenziale, l’adesione alle regole e ai principi della democrazia politica moderna (suffragio universale, garanzie costituzionali dei diritti, pluralità di partiti, libere elezioni competitive, separazione dei poteri ecc.). Appare pertanto giustificata la tendenza, entrata anche nella storiografia, a considerare tali partiti come appartenenti a un’unica «famiglia politica», nonostante le considerevoli differenze nazionali e locali: immagine rinsaldata dalla successiva creazione di organismi di coordinamento e di consultazione interpartitica e, ancora più tardi, dalla loro adesione, nel Parlamento europeo, a un unico raggruppamento detto Partito popolare europeo. In senso generale i nuovi partiti democratico cristiani rappresentarono il canale privilegiato di accesso di vaste aree popolari cattoliche (ma non solo cattoliche) alla democrazia politica di modello occidentale, e del loro inserimento nella vita degli Stati europei, che ne sono stati riplasmati anche dal punto di vista costituzionale. Decisivo fu infatti l’apporto dei partiti democratico cristiani alla stesura delle nuove costituzioni democratiche postbelliche, in Italia, in Francia, nella Germania federale, in Austria. Questo ruolo risultò tanto più importante nella fase di assestamento seguita al crollo dei regimi totalitari – il fascismo in Italia e il nazionalsocialismo in Germania – che si erano configurati come regimi di massa, penetrati a fondo nel tessuto sociale. Né si deve trascurare che il processo di democratizzazione dei mondi cattolici europei veicolato dai partiti democratico cristiani ebbe poi qualche incidenza indiretta nell’orientare lo stesso magistero pontificio, all’epoca di Giovanni XXIII (1958-1963) e di Paolo VI (1963-1978), nonché le deliberazioni del Concilio vaticano II (costituzione Gaudium et Spes) a una più esplicita identificazione della democrazia con il sistema di convivenza civile meglio corrispondente al rispetto e alla promozione della persona umana, e di conseguenza con l’ordinamento politico più coerente con i valori del cristianesimo. Quanto poi alle ragioni del consenso e della capacità di durata di tutte queste formazioni politiche (con l’eccezione del Movimento repubblicano francese, sgretolato già negli anni Sessanta dall’ascesa del generale De Gaulle e dalla fine della Quarta repubblica) se ne possono indicare diverse e di vario genere: la rappresentatività di ceti e gruppi sociali multiformi, in ragione della natura «interclassista» del loro insediamento; la funzione preminente da essi assunta in senso antagonistico al comunismo; l’attivazione di politiche internazionali d’integrazione dei rispettivi Stati nell’alleanza occidentale e, nel contempo, di integrazione europea (avviata con particolare fervore da tre leader democratico-cristiani: l’italiano A. De Gasperi, il tedesco K. Adenauer e il francese R. Schuman); la promozione di politiche di welfare, rese anche possibili dal decollo dei sistemi economici e produttivi dei rispettivi Paesi di appartenenza dalla metà degli anni Cinquanta. Poiché la maggioranza dei partiti democratico cristiani ha poi ricoperto per vari decenni funzioni di governo, la loro storia successiva si è intrecciata sotto molti profili con quella dei rispettivi Paesi, a cui si rinvia. La conclusione del lungo dopoguerra, segnata, a cavallo degli anni Ottanta e Novanta del Novecento, dal tracollo dei regimi comunisti e dal conseguente riassetto dello scenario europeo, nel quale i partiti democratico cristiani avevano generalmente esercitato ruoli dominanti o comunque di primo piano, unitamente ad altri fattori di natura politica, economico-sociale, religiosa, giudiziaria, dipendenti dai contesti nazionali, mutò in profondità le condizioni di base e sotto molti profili le originarie ragion d’essere dei partiti democratico cristiani, provocandone o una tendenziale metamorfosi o, nel caso italiano, la frammentazione e il declino. Lo stesso raggruppamento dei popolari europei cambiò volto per la scomparsa di alcuni dei suoi tradizionali componenti e per l’adesione di nuovi partiti che poco o nulla avevano a che fare con la precedente storia della democrazia cristiana. Sul futuro della democrazia cristiana come «forma» e come «famiglia» politica si sono da allora aperti molti interrogativi.
Si veda anche democrazia cristiana