LA MOTTA, Alfonso Langosco conte de
Figlio di Annibale (morto dopo il 1572) e Barbara Ajazza, nacque, probabilmente a Vercelli, intorno al 1545.
I La Motta erano una delle più antiche famiglie della nobiltà vercellese. Il padre del L., avvocato fiscale nel 1550, era un cadetto, ma nel 1551 il duca Carlo II - che all'epoca aveva trasferito la sua residenza a Vercelli in seguito all'occupazione francese di Torino e di gran parte del suo Stato - gli concesse il titolo di conte, in base ad alcuni punti di giurisdizione sul feudo di Motta dei Conti, dal XIII secolo appartenente ai Langosco di La Motta.
Le prime notizie sul L. datano dal 1581, quando il duca di Savoia Carlo Emanuele I lo nominò referendario di Vercelli: era il primo passo di una carriera destinata a durare per oltre un trentennio.
Quando, nel 1585, sposò l'infanta Caterina d'Asburgo, figlia di Filippo II di Spagna, Carlo Emanuele I decise di creare intorno a lei una corte, che in breve divenne un autentico luogo di potere nella capitale sabauda. Lo stretto rapporto che univa quella corte al governo di Madrid era garantito dall'ambasciatore spagnolo, Paolo Sfondrato, cui il duca concesse la carica di maggiordomo maggiore (passata dal 1587 al marchese Carlo Pallavicino e successivamente a José Vázquez de Acuña). Dal maggiordomo maggiore dipendevano tre maggiordomi, scelti tra gli esponenti più in vista della fazione filospagnola della nobiltà piemontese. Fra essi fu anche il L., che si affermò presto come uno dei punti di riferimento della corte.
Il ruolo del L. accanto alla duchessa Caterina costituì una posizione da cui esercitare compiti politici sempre più rilevanti. Nel 1587 il L. si trovava nelle Fiandre al seguito del duca di Parma Alessandro Farnese, governatore della provincia spagnola. Nel gennaio del 1588 Carlo Emanuele I, inviando come proprio ambasciatore presso il duca di Parma il conte veronese Vinciguerra di San Bonifacio, lo incaricava di chiedere a Farnese il ritorno del L. e di Giovan Battista Piatta "desiderando noi", scriveva il duca, "che vedano et riconoscano le nostre fortezze, artiliarie et munizioni et che ci diano loro parere di quello che giudicaranno gli manchi, per potergli provvedere, havendo noi gran confidenza nel valore et intelligenza loro" (Arch. di Stato di Torino, Corte, Negoziazioni, Spagna, m. 1, f. 26: Istruzioni del duca al conte Vinciguerra). Subito dopo il rientro del L. in Piemonte, il 7 maggio 1588 il duca lo infeudò di San Damiano di Vercelli, sottolineando nelle patenti di concessione come tale decisione rispondesse alla volontà della duchessa che lo aveva "caramente richiesto". Il L. riprese, quindi, il suo posto alla corte dell'infanta, la quale, in seguito alle frequenti assenze del duca, impegnato nelle campagne militari contro la Francia, agiva, d'intesa con il marito, come una vera e propria reggente. A conferma della crescente influenza del L., il 17 sett. 1590 il duca lo nominò consigliere di Stato con uno stipendio di poco superiore alle 1500 lire annue.
Alla fine dell'agosto 1591 la duchessa lo creò governatore di Mondovì, dove egli si trattenne per circa quattro mesi, facendo ritorno a Torino nel gennaio del 1592. Il rientro nella capitale dalla breve ma impegnativa missione segnò per il L. l'inizio di una nuova fase. Nel febbraio del 1592, infatti, il duca lo inviò a Milano presso il governatore don Carlo d'Aragona perché sollecitasse il suo intervento in aiuto delle truppe sabaude impegnate contro quelle del duca di Lesdiguières.
Tornato a Torino, in giugno il L. fu inviato a Madrid per rendere conto della situazione militare e, soprattutto, per ottenere a favore del duca il comando dell'armata sabaudo-spagnola. Da allora il L. si trattenne come ambasciatore in Spagna per quasi otto anni, alternando al soggiorno presso le corti di Filippo II e di Filippo III frequenti ritorni in patria. L'ingresso nell'Ordine di Santiago costituì un segno ulteriore del suo legame con la causa spagnola. Durante la sua ambasciata in Spagna, referente del L. continuava a essere la duchessa Caterina. Alla morte di questa (la notte fra il 6 e il 7 nov. 1597) il L. fece ritorno a Torino. Nell'anno successivo si trattenne in Piemonte, partecipando alle riunioni del Consiglio di Stato - che governava il paese per l'assenza del duca impegnato al fronte - e occupandosi della riorganizzazione delle corti dei principi e delle principesse. Lo scoppio della peste obbligò il L. ad affrettare tale opera, poiché era necessario che le due corti lasciassero quanto prima la capitale. In agosto, trasferite a Fossano, furono profondamente ridisegnate. Molti degli spagnoli giunti in Piemonte con la duchessa per il servizio presso la sua corte erano partiti, ma la continuità fu comunque garantita dalla presenza dei principali nobili piemontesi filospagnoli che erano stati il nerbo della corte di Caterina. Fra loro era anche il L., che si divise tra Fossano e Mondovì, dove avevano trovato rifugio i principi, e la capitale, dove aveva acquistato una "vigna" in collina, vicina al Monte dei cappuccini.
Nel dicembre del 1598 il L. faceva ritorno in Spagna, inviato da Carlo Emanuele per trattare con il nuovo sovrano, Filippo III, l'intervento spagnolo nella campagna per la conquista del Marchesato di Saluzzo, rimasta irrisolta dopo la pace di Vervins (maggio 1598). Rientrato in Piemonte nel giugno 1599, il L. fu nominato da Carlo Emanuele aio dei principi, incarico per il quale era stato determinante l'aiuto del duca di Lerma F. Goméz de Sandoval y Rojas, il potente ministro di Filippo III (Arch. di Stato di Torino, Lettere di particolari, "M", 76: il L. a Filippo III, 8 sett. 1600).
La carriera del L. alla corte sabauda proseguì sino alla notte del 22 marzo 1605, quando fu arrestato su ordine del duca. Le ragioni di tale provvedimento non sono chiare, anche se probabilmente sono da legarsi al progressivo allontanamento del duca dall'alleanza con la Spagna. Il riavvicinamento politico alla Francia di Enrico IV fu accompagnato dall'allontanamento dalla corte, nel volgere di pochi anni, di tutti i principali esponenti della fazione filospagnola. Il L. restò in carcere per tre anni, sino all'aprile del 1608, quando il duca lo liberò, confinandolo nel feudo di San Damiano. Qui, provato dalla prigionia, il L. morì nel settembre del 1608.
Il L. aveva sposato dapprima Isabella Cagnoli, morta nel 1570 circa, e quindi, nel 1574, Saveria Vialardi di Villanova, entrambe provenienti dalla nobiltà vercellese. Suoi eredi furono Girolamo e Alessandro (morto nel 1644), cavaliere di Malta e colonnello della fanteria sabauda.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Corte, Materie politiche per rapporto all'estero, Lettere ministri, Spagna, mm. 5-10; Negoziazioni, Spagna, m. 1, ff. 40, 42, 49, 63; Materie politiche per rapporto all'interno, Lettere di particolari, "L", m. 3; "M", m. 76; Paesi, Monaco e La Turbie, m. 10, f. 59; Mondovì, m. 2, f. 7; Torino, m. 13, f. 16; Paesi per A e B, "S", m. 3: San Damiano, ff. 1, 4; m. 20: Santhià, f. 2; Patenti controllo finanze, regg. 1588 in 1589, c. 3; 1590 in 1591, cc. 26, 70; 1591 in 1593, c. 258; 1593 in 1594, c. 280; 1594 in 1595, c. 153; 1599, c. 39; Patenti Piemonte, regg. 17, c. 4; 20, c. 107; Cartas de Felipe II a sus hijas, a cura di F. Bouza, Madrid 1998, pp. 188-190, 193, 198; G. Cambiano di Ruffia, Memorabili dal 1542 al 1611, in Miscellanea di storia italiana, s. 1, IX (1870), pp. 301, 310; E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, IV, Firenze 1861, pp. 9 ss.; G. Claretta, Dell'Ordine Mauriziano nel primo secolo della sua fondazione e del suo grand'ammiraglio Andrea Provana di Leinì, Torino 1890, passim; L.C. Bollea, Assedio di Bricherasio dato da Carlo Emanuele I duca di Savoia (18 settembre - 23 sett. 1594), Torino 1906, pp. 33 s., 48, 54, 78, 80-83; P. Merlin, Tra guerre e tornei. La corte sabauda nell'età di Carlo Emanuele I, Torino 1991, pp. 105, 112; Id., La corte di Carlo Emanuele I, in Storia di Torino, III, Dalla dominazione francese alla ricomposizione dello Stato (1536-1630), a cura di G. Ricuperati, Torino 1998, pp. 271, 274.