Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nonostante le sue origini arabe, nel XIII secolo il liuto è già diffuso in tutta Europa; è comunque dal Cinquecento che esso raggiunge la sua auge in Occidente. La versatilità musicale e la maneggevolezza strutturale di questo cordofono lo rendono strumento privilegiato non solo in ambienti aulici, ma anche in occasioni conviviali e nella pratica, anche amatoriale, della musica da camera vocale e strumentale.
Il liuto viene introdotto nel continente europeo al principio dell’VIII secolo, a seguito della dominazione araba nella Penisola Iberica. Il suo nome, che deriva dalla parola al-’ud, cioè “il legno”, ha conservato la radice araba in tutte le lingue occidentali: nello spagnolo laúd, nel francese luth, nell’inglese lute, nel tedesco Laute, nell’olandese luit, nel russo ljutnja. Lo strumento, che nella cultura di provenienza ha mantenuto sino a oggi intatte le sue caratteristiche morfologiche, ha invece subito numerose trasformazioni in Occidente. Se durante il Medioevo le fonti iconografiche documentano vari modelli di liuto, suonati preferibilmente a plettro, con un numero variabile di corde e senza tastatura, dalla fine del XV secolo lo strumento assume una fisionomia più standardizzata, proprio mentre acquisisce un ruolo di primo piano nella pratica musicale.
Il liuto rinascimentale si presenta estremamente leggero, a manico corto, con un numero di tasti da sei sino a dieci, un minimo di quattro ordini (ovvero coppie) di corde di budello, più una semplice all’acuto (cantino), montate su un cavigliere a paletta, il fondo piriforme a doghe, ovvero fasce di legno a spicchio, piegate e incollate l’una all’altra, un piano armonico con un foro di risonanza decorato da una rosetta intagliata. La distanza tra i suoni emessi dalle corde “a vuoto”, dal grave all’acuto, è di norma di una quarta, a eccezione di quella fra terza e quarta corda, che è di una terza maggiore; l’accordatura può tuttavia essere modificata, qualora lo richieda espressamente la partitura.
L’esigenza di ampliare l’estensione del liuto verso il grave, per utilizzarlo nel basso continuo, porta, a fine secolo, a una forma ampliata dello strumento, l’arciliuto, e alla sua variante della tiorba, chiamata anche chitarrone, nel secolo successivo. Si tratta di strumenti armati di corde supplementari, usate come bordoni, tese fuori del manico, su un cavigliere che si sviluppa molto oltre la tastiera principale.
La tecnica liutistica subisce una profonda trasformazione dal Medioevo al Rinascimento: si può infatti ipotizzare che, sotto l’influenza della cultura di provenienza, lo strumento sia inizialmente utilizzato monodicamente, e che in tutti i casi l’uso del plettro ne condizioni l’impiego. Il passaggio all’uso delle dita è il risultato delle nuove prestazioni richieste allo strumento per poter far risaltare l’intreccio delle voci di una composizione e per allargare le possibilità sonore.
Diversamente da quanto è accaduto nei secoli precedenti, nei quali la musica strumentale, a parte qualche eccezione, non possiede una tradizione scritta, nel Cinquecento assistiamo alla nascita di una vera e propria letteratura strumentale: e il liuto è il primo strumento al quale sono dedicate opere a stampa.
La partitura con la quale viene scritta la musica liutistica è detta “intavolatura”. Si tratta di una visualizzazione della tastiera dello strumento in un sistema di righe orizzontali parallele, sul quale vengono evidenziati i tasti che devono essere suonati. Nella musica vocale accompagnata, all’intavolatura è aggiunto un normale rigo musicale per la parte del canto.
Il liuto si adatta a diversi utilizzi, come strumento solista e come accompagnamento della voce o, più raramente, di altri strumenti.
I brani caratteristici della musica “a liuto solo” sono il ricercare, la toccata, la fantasia, composizioni di forma aperta e ritmo libero che prendono spunto dalla tecnica improvvisativa e si strutturano in successioni di brevi episodi. A cavallo tra Quattro e Cinquecento essi alternano progressionimelodiche a successioni accordali; nel Seicento daranno maggiore evidenza all’intreccio delle parti e al disegno contrappuntistico. Avranno allora grande rilievo anche le trascrizioni di brani sacri e profani originariamente cantati: riduzioni per liuto di frottole, mottetti e chansons saranno disponibili nelle raccolte a stampa dell’epoca, oppure adattabili da qualsiasi strumentista capace di applicare le istruzioni, impartite dai manuali, per intavolare brani vocali.
Il liuto viene impiegato con funzione solistica anche per l’esecuzione di danze, che con il tempo si codificano in successioni prestabilite: in Italia abbiamo la combinazione di pavana – saltarello – piva – pavana – gagliarda – passamezzo – gagliarda, nella quale uno o più movimenti vivaci si contrappongono a un primo movimento lento. La matrice italiana, nella tradizione liutistica europea, è molto forte: la fortuna di questo strumento nella penisola risale già agli ultimi decenni del Quattrocento, al principio del secolo successivo si diffonde in Germania (ove rimarrà in uso sino al XVIII secolo) e in Francia; da quest’ultimo Paese si propagherà in Inghilterra, nei Paesi Bassi, in Polonia, Boemia e Ungheria.
Come strumento d’accompagnamento il liuto in Italia si lega principalmente alla voce, a incominciare dalla frottola dei primi decenni del secolo per proseguire con il madrigale, la villanella, la canzonetta.
L’Intavolatura del lauto, pubblicata a Venezia nel 1507 da Ottaviano Petrucci, è la prima raccolta a stampa di musica liutistica (ma anche di musica strumentale), in quattro volumi dedicati a opere originali e trascrizioni di Francesco Spinacino e Joanambrosio Dalza. Varrà tuttavia la pena di segnalare altre due importanti fonti per la storia del liuto: il manoscritto appartenuto al liutista e compositore Vincenzo Capirola, conservato presso la Newberry Library di Chicago, e quello anonimo denominato Thibault, ora presso la Biblioteca Nazionale di Parigi, un libro di tasca nel quale uno strumentista dei primi anni del secolo annota i brani di successo del suo repertorio personale.
Il più celebrato rappresentante della scuola italiana è Francesco Canova da Milano, compositore ed esecutore che si guadagna l’appellativo di “divino”; nella seconda metà del secolo un altro “divino”, il romano Lorenzino del Liuto, sarà attivo alla corte del cardinale Ippolito d’Este. Fra le opere più note della seconda metà del secolo ricordiamo le raccolte di Giacomo Gorzanis, Giovanni Antonio Terzi, Marco Fabrizio Caroso, che nel suo celebre Ballarino raccoglie musiche e coreografie di danze, del teorico della Camerata de’ Bardi Vincenzo Galilei, padre di Galileo, compilatore del trattato teorico Il fronimo.
La più antica raccolta per liuto tedesca, Etlicher Lobgesang (1512), vede la luce a Magonza, nel 1521, a opera di Arnold Schlick; successive di qualche anno sono le antologie di Hans Judenkunig e di Hans Gerle. I più famosi tra gli esecutori sono Hans Newsiedler e il figlio Melchior.
In Francia è il tipografo Pierre Attaignant a pubblicare, nel 1529, la prima raccolta di musica francese per liuto; nel 1557 il celebre liutista Adrian Le Roy dà alle stampe, per la casa editrice che egli stesso ha fondato alcuni anni prima insieme al cugino Robert Ballard, un metodo per questo strumento: l’Instruction de partir toute musique facilement en tablature de luth. Alla corte di Francesco I sono attivi due esecutori italiani, Alberto Trame e Alberto da Ripa, del quale vengono stampate postume tutte le opere, sempre per i tipi di Le Roy et Ballard.
In tutto il continente ha grande successo il compositore transilvano Bálint Bakfark, celebrato come “Orpheus Pannonicus”, al quale si devono due importanti raccolte di intavolature.
In Inghilterra è abbastanza tardiva la diffusione a stampa della letteratura liutistica, se si pensa che il primo libro dedicato allo strumento è, nel 1563, la traduzione del trattato di Le Roy e che bisogna giungere a fine secolo per avere un’antologia contenente anche musiche autoctone (A new Booke of Tabliture di William Barley, 1569). È comunque bene precisare che la gran parte della musica inglese per liuto circola in forma manoscritta: così accade anche per il repertorio di John Dowland, uno fra i più noti compositori inglesi, i cui brani sono tramandati da tutti i principali lute books dell’epoca. Nei Paesi Bassi vedranno la luce, oltre alle stampe di musica per danza di Pierre Phalèse (1552), improntate al gusto internazionale, le prime raccolte di musica per clavicordo, liuto e flauto, e anche brani a due e tre liuti, che inaugurano una tradizione della musica d’insieme che avrà duraturo successo nei territori del Nord Europa.