Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Novecento la rapida evoluzione dello sviluppo tecnologico e le sue profonde implicazioni con i processi d’industrializzazione hanno mutato radicalmente le modalità di produzione, fruizione e conservazione della musica. L’invenzione più importante è quella della riproduzione del suono (1877), premessa all’industria discografica e alla distribuzione di massa della musica. Da allora le tecnologie hanno avuto un’evoluzione rapida e per certi versi sorprendente. La fonografia è oggi una delle forme principali di comunicazione mediatica accanto a cinematografia, radiofonia, televisione e telematica.
Fonografia
Nel Novecento la rapida evoluzione dello sviluppo tecnologico e le sue profonde implicazioni con i processi d’industrializzazione hanno mutato radicalmente le modalità di produzione, fruizione e conservazione della musica. Tale evoluzione trova il suo fondamento nelle ricerche sulla trasmissione e sulla riproduzione del suono che si svolgono negli Stati Uniti nella seconda metà dell’Ottocento. Di fatto, la riproduzione del suono nasce dalle sperimentazioni in corso sulla trasmissione dei dati attraverso il telegrafo (1832, Samuel Morse) e il telefono (1876, Graham Bell; attribuito a posteriori ad Antonio Meucci, 1857), ambito nel quale operano i due pionieri della riproduzione sonora: lo statunitense Thomas Alva Edison (1847-1931), che per primo brevetta un apparecchio per la riproduzione del suono, il fonografo a cilindri (1877), e il tedesco Emil Berliner (1851-1929), che, emigrato negli Stati Uniti, brevetta il grammofono a dischi (1887, ma introdotto solo nel 1889 in Europa e nel 1894 in USA). È il grammofono a uscire storicamente vincente dal confronto tra i due apparecchi, anche perché risolve il problema della riproduzione dei supporti in serie a partire da un’unica matrice, premessa indispensabile alla produzione industriale di musica registrata. È dunque solo a metà degli anni Novanta, grazie al successo riscontrato dai primi juke-box (introdotti nel 1889) e all’invenzione di Berliner, che è chiaro che la riproduzione del suono – fino ad allora considerata utile per dettare telegrammi e per altri usi più o meno bizzarri – non può essere sfruttata economicamente che per riprodurre musica.
Nel 1925, con l’avvento della registrazione e dell’amplificazione elettrica, le potenzialità della registrazione e della trasmissione del suono si ampliano enormemente. La riproduzione del suono si orienta così sempre più verso un lavoro di sfruttamento della tecnologia non solo, e non tanto, per riprodurre esecuzioni musicali in modo realistico, quanto per produrre eventi sonori. Nasce la “fonografia” propriamente detta che, insieme a radiofonia, cinematografia e televisione, rientra a pieno titolo tra le forme di comunicazione moderna che, lungi dal riprodurre alcunché, mediano la realtà producendo “illusioni”. Non è certo un caso se, da allora, tra questi settori si siano sviluppate forti sinergie tecniche, espressive ed economiche. Di fatto, le tecnologie del suono si sono sviluppate in simbiosi con lo sviluppo tecnologico in generale, con il mondo delle comunicazioni di massa e l’industria dell’intrattenimento, fondendo i propri interessi dapprima con la radio, potenziata anch’essa dall’amplificazione elettrica, poi con il cinema, che nel 1928 diventa sonoro, e, in seguito, con la televisione e le telecomunicazioni.
Dall’analogico al digitale
La registrazione del suono alla fine degli anni Quaranta vede l’introduzione di varie innovazioni. È in questo periodo che entra in uso la registrazione magnetica su nastro, che è la premessa allo sviluppo del lavoro in studio di registrazione in senso moderno. La registrazione su nastro, infatti, permette quelle operazioni di sovra-incisione, montaggio e manipolazione del suono oggi del tutto normali, ma che all’epoca sembravano nulla più che bizzarie agli occhi dei musicisiti e dei discografici, che tardavano ad apprezzarne i risvolti pratici e creativi. È questo il motivo per il quale il lavoro in studio di registrazione in senso moderno si sviluppa molto lentamente. Lo stesso mixer, apparecchio fondamentale di ogni studio di registrazione che consente di trattare ogni strumento o traccia musicale in modo indipendente dagli altri, assume caratteristiche standard solo negli anni Sessanta. Anche l’affermazione della stereofonia è assai lenta: tecnicamente possibile fin dagli anni Trenta ma usata assai di rado – molto clamore fa la registrazione stereofonica del film Fantasia di Walt Disney (1940) –, vede una sua prima timida diffusione a partire dalla metà degli anni Cinquanta per affermarsi definitivamente solo alla fine degli anni Sessanta.
Alla fine degli anni Quaranta è anche introdotto il disco microsolco in vinile, che permette di ottenere una maggiore qualità del suono e supporti più maneggevoli e leggeri. Si impongono dunque il long playing, il “singolo” a 45 giri, e altri formati quali l’extended playing. Intanto viene avviata una progressiva miniaturizzazione delle tecnologie, che porta dalla radio a transistor (1954) fino al registratore a cassette (1963), al walkman (1978) e al lettore portatile di mp3 (1999). Quest’ultimo è figlio dell’era digitale, il cui avvento ha mutato radicalmente le tecnologie introducendo ad esempio il CD (1982), il DVD (1996) e, appunto, il formato mp3 (1996). Va però detto che tutte queste innovazioni non mutano i principi fondanti della fonografia, ma semmai ne sviluppano e ne ampliano le applicazioni.
Produrre e ascoltare dischi
La fonografia muta profondamente il processo della comunicazione musicale. Anzitutto, nel processo di produzione musicale, che tradizionalmente comprende fasi quali l’esecuzione e, nel caso di musica scritta, la composizione e l’orchestrazione, si inserisce la fase della realizzazione della traccia (track) da porre sul supporto, che consiste nella presa e nel trattamento del suono. Questa “tecnologizzazione” del processo produttivo ridefinisce il concetto di “autore” in senso collettivo, portandolo ad assumere uno statuto cinematografico. Si tratta infatti di un processo che fa perno su una figura di coordinamento generale, il “produttore”, che organizza e supervisiona il lavoro sia delle figure professionali tradizionali (quali compositore, orchestratore, direttore, cantante, strumentista, autore delle parole) sia di figure professionali nuove che, pur rimanendo spesso in secondo piano, sono cruciali nelle fasi di realizzazione della traccia. Tali figure sono dette “tecnici del suono” (sound engineers) e operano nello studio di registrazione occupandosi delle operazioni di microfonatura, registrazione, montaggio (editing), mixaggio e cura complessiva del suono di un disco (mastering).
Dal punto di vista della fruizione, la possibilità di distribuire in massa le opere musicali, favorita per ovvie ragioni dall’industria discografica, ha reso l’ascolto della musica attraverso i media preponderante rispetto a quello dal vivo, generando nuovi tipi d’esperienza musicale basati sulla perdita dell’“aura” e sulla separazione tra fonte sonora e fruizione. Ciò ha favorito, ad esempio, la diffusione dell’ascolto privato e l’ubiquità della musica, presente diffusamente sia in quanto tale sia applicata ai media (cinema, televisione, videoclip), nonché la diffusione delle pratiche di “riuso” e di appropriazione tipiche del consumo moderno, dove le opere, al di là dei loro eventuali significati originari, assumono nuovi sensi e nuovi ruoli a seconda dei contesti comunicativi contingenti. La fonografia, infine, incide radicalmente anche sulle dinamiche dell’apprendimento della musica, tradizionalmente basate sulla scrittura, e apre prospettive e problematiche inedite per la ricerca musicologica e la conservazione dei beni culturali.
La fonografia e l’Europa
La diffusione pervasiva della comunicazione mediatica ha invitato vari autori a osservare che le società industrializzate sono entrate in un’era dove il ruolo della scrittura, fondante per le culture occidentali, risulta profondamente modificato. In musica, ciò ha significato l’avvento di un’oralità “secondaria”, ovvero mediata dall’apparato tecnologico, le cui conseguenze sono al centro di un acceso dibattito. In effetti la fonografia continua ancor’oggi a destare perplessità: anzitutto, l’idea di una “produzione collettiva” non riesce a esser accettata nel nostro contesto culturale dove, tradizionalmente, per attribuire valore artistico a una musica è determinante la presenza di un autore; in secondo luogo, il distacco dalla scrittura e dal concerto hanno generato l’ideale dell’“alta fedeltà” (Hi-Fi) che porta spesso a considerare l’ascolto dei dischi come un surrogato di quella che si considera l’unica esperienza musicale “autentica”, ovvero l’ascolto di musica dal vivo (e/o la lettura della partitura). A questi aspetti si somma l’evidente intreccio tra la fonografia e le logiche massmediatiche ed economiche, che – al contrario di quanto succede ad esempio nel cinema – è sentita come un ostacolo alla piena legittimazione della fonografia come arte in sé.
Queste contraddizioni in cui si dibatte la critica musicale hanno radici lontane, alle origini stesse della fonografia. Questa nasce infatti in un contesto, quello statunitense, dove ricerca scientifica, tecnologizzazione e capitalismo sono universi profondamente intrecciati. Non ci si stupirà, dunque, se l’arrivo nel Vecchio Continente di questi progressi tecnologici, che vi giungono non solo nella loro dimensione meramente tecnica, ma anche carichi di contenuti, è inizialmente stigmatizzato dall’intellighenzia europea, instancabile osteggiatrice della crescente “americanizzazione” dell’Europa. Ma questo atteggiamento, la cui eco vive fino ad oggi, non può certo fermare il più generale processo politico-economico in atto, e fin dall’inizio del Novecento l’Europa si trova sulla stessa linea degli Stati Uniti.
Di rado, però, l’Europa assume il ruolo di leader nel settore. E comunque, come nel caso della radio e del telefono, è perlopiù il contesto statunitense a mostrare le potenzialità creative ed economiche di idee e tecnologie frutto di ricerca sviluppate in Europa. Vale la pena ricordare il caso della registrazione magnetica, inventata dal danese Valdemar Poulsen (1869-1942) con il telegrafono (1898), ma non sviluppata perché priva di applicazioni commerciali immediate. Essa verrà ripresa in Germania, dove nel 1935 viene presentato il magnetofono, e poi definitivamente migliorata dai tecnici tedeschi per fini militari durante la seconda guerra mondiale. Ci vorranno però le sperimentazioni e le idee del cantante Bing Crosby (1903-1977) e del poliedrico musicista-tecnico Les Paul (1915-2009), entrambi statunitensi, per mostrare le potenzialità di tale innovazione. Si noti inoltre che lo standard per il registratore a cassette è introdotto nel 1962 da una società europea: l’olandese Philips. Oggi, in epoca di globalizzazione, la ricerca e l’innovazione si sviluppano a livello transnazionale sulla base degli accordi tra le multinazionali dell’intrattenimento.