La periodizzazione della Grecia antica. Il periodo geometrico
Si definisce geometrico quel periodo caratteristico della cultura formale greca nel quale prevalgono forme geometriche (1050-700 a.C.). Questo periodo può essere suddiviso in una fase iniziale (Protogeometrico: 1050-900 a.C.) e in una nella quale lo stile greco trova nel geometrismo delle forme e della decorazione le manifestazioni più imponenti (Geometrico: 900-700 a.C.).
La sorte delle popolazioni che abitarono la Grecia alla fine del II millennio a.C. era tutt’altro che lieta. I commerci, i viaggi, le possibilità di conoscere più grandi culture e di assimilarne il modo di vivere si erano interrotti. La civiltà che prima a Creta e poi nel continente aveva permesso ai popoli della Grecia notevole fioritura, sulla serie delle esperienze delle culture egiziane, anatoliche e mesopotamiche, si era andata rarefacendo con lo svolgersi degli anni. A seguito di invasioni o per lento soffocamento, le culture del II millennio erano decadute, o non davano che scarsi segni di sopravvivenza. A società ricche, cosmopolite, classiste, assuefatte al dominio su larghi strati di popolazione, dai quali traevano benessere e rendite che commerciavano con l’Oriente, si erano sostituiti gruppi di pochi abitanti che abitavano luoghi spesso impervi, dedicandosi in larghissima maggioranza a un’agricoltura e a un allevamento miseri e stentati.
In questi, il ricordo del passato dovette essere sempre presente, condizionando atteggiamenti e modi di vivere. Il passato, glorioso, divenne spunto di orgoglio e di rancore. Sul ricordo delle grandi famiglie del II millennio si formarono miti e leggende che, trasmessi di generazione in generazione, tramandarono le gesta degli antenati. Ma la reale sostanza delle più antiche dinastie andò modificandosi: ciascuno intendeva il passato nell’esperienza del proprio vivere quotidiano. I canti narravano di grandissimi eroi che molto potevano, ma sui quali incombeva la solitudine o la morte; di dinastie condannate al delitto o alla sciagura. Sulla sorte degli antenati si rovesciava una propria infelicità quotidiana, la maledizione del proprio vivere miserabile, legato al temuto ciclo dell’anno, alla paura di un cattivo raccolto che la povera rendita accumulata non riusciva ad aumentare. L’odio dei tempi poveri per quelli ricchi, amplificati nel ricordo e nella leggenda, è tipico della società greca sullo scorcio del II millennio. Pure questa società oppressa dalla necessità seppe creare un’ideologia; il bisogno fu considerato sorte comune a tutti: egoista e aggressiva, costretta alla ricerca faticosa del quotidiano, analfabeta, astuta e crudele, ma fedele alle leggi della propria povertà, la società non poté fare a meno di rifarsi a un passato che ne sosteneva l’orgoglio. Le necessità di questa società erano ridotte all’essenziale; gli oggetti d’uso adatti a poche e indispensabili funzioni: bronzo, rame, stagno, piombo, poco ferro, argilla, pietra ancora non squadrata, legno, lana, cuoio e pelli, vimini, osso, sono materie, esclusi i metalli, a disposizione di tutti. Solo mediante una larga e ingegnosa produttività artigiana se pure elementare quanto ai materiali e agli strumenti adottati, differenziata per singoli centri, gli uomini della fine del II millennio seppero stemperare la pesante condizione umana.
Nel momento più grave di crisi le forme dei vasi diminuirono quanto a numero. Nel mondo cretese o in quello miceneo esse raggiunsero il numero di circa 70: quelle di alcuni vasi di argilla sembravano suggerire modelli di bronzo o di metalli preziosi (l’attività del fabbricante di vasi fu allora sottomessa a quella dell’artigiano dei metalli, nella ricerca di imitare un artigianato più qualificato). Alla fine del II millennio il fenomeno si modificò. I vasi si ridussero, quanto a forme, a circa una decina. Vasi per contenere acqua, per versarla, per bere, per conservare oggetti preziosi. Ma col Protogeometrico le forme risalirono a 17. Nella forma e nella decorazione i vasi protogeometrici tradiscono l’imitazione da quelli di età tardomicenea. Il processo per rendere autonome forme e decorazioni fu molto rapido. Se questo processo si può seguire con maggiore difficoltà esaminando l’evoluzione delle forme più condizionate dalle necessità d’uso dei vasi e che presentano tipi più rigidi, esso può essere colto più facilmente nella decorazione, per intima natura più accessoria. L’analisi dell’irrigidirsi di un motivo naturalistico, che diviene nel tempo il simbolo di una originaria forma della natura, è quanto mai utile per comprendere i problemi dei ceramografi tardomicenei e protogeometrici. Ma il simbolo, che deriva da un più antico spunto naturalistico, rimase sempre, nella fantasia dell’artigiano e di chi possedeva il vaso, forma vivente e naturale (anche se essa è rappresentata astratta); aveva lo stesso valore della forma naturalistica, che ora è concettualizzata. La riduzione a schemi geometrici di forme naturalistiche è indispensabile per comprendere l’autonomia della cultura formale della Grecia di età protogeometrica.
Gli oggetti che si rinvengono nelle tombe come corredo, secondo un rituale fisso (pur con infinite varianti), destinati a uomini, donne, bambini (altissimo il tasso delle mortalità infantili), documentano sostanziale omogeneità quanto a modo di vivere. Le sepolture spesso non furono segnalate sul terreno: non esisteva il desiderio di distinguere i defunti. Tutti si riconoscevano in una civiltà di massa, ben diversa da quella classista e familiare di età micenea. Sulle necessità dei singoli individui prevalevano le necessità della cittadinanza; ognuno era confuso e si riconosceva negli altri. La mentalità delle popolazioni di età protogeometrica era caratterizzata da un senso incombente della natura: questa non si manifestava solo attraverso i fenomeni naturali, ma attraverso la concettualizzazione degli stessi, che furono personificati nelle divinità. Queste, all’inizio ancora indeterminate, presto dovettero assumere un carattere ben diverso da quello in parte magico della religiosità minoico-micenea, legato all’orgoglio delle dinastie, sebbene diffuso anche negli strati subalterni della popolazione.
Comunque tutti i problemi che si sono sin qui delineati vanno articolati nel loro divenire e riconosciuti nelle varianti regionali più caratteristiche. La diversità pur nella sostanziale omogeneità, la priorità di alcuni ambienti culturali su altri caratterizzano la civiltà protogeometrica che si distingue per capacità, impegno, lunga e costante consuetudine al lavoro.
Nessuno ha saputo chiarire il problema di questa società meglio di Tucidide, in un suo brano famoso (I, 2); gli autori antichi cercavano anche di spiegare il perché della situazione creatasi alla fine del II millennio. Gli sconvolgimenti che sarebbero seguiti alla spedizione achea contro Troia, circa il 1250-1230 a.C. (secondo le fonti la città sarebbe stata distrutta nel 1194/3 a.C.), e che avrebbero portato alla fine più antiche dinastie, sarebbero stati seguiti da movimenti di intere popolazioni e da un nuovo assetto della Grecia. I Tessali avrebbero occupato la Tessaglia e con i loro movimenti avrebbero spinto i Beoti, mentre gli Eoli si sarebbero spostati in Asia Minore, attraverso il mare. Sessant’anni dopo la guerra di Troia i Beoti si sarebbero stanziati in Beozia; venti anni dopo i Dori e i discendenti di Herakles avrebbero occupato il Peloponneso, Milo e Thera, Creta, le isole del Dodecaneso e le vicine coste dell’Asia Minore, mentre il loro tentativo di conquistare l’Attica sarebbe fallito. Ma accanto a questi una serie, anche se minore, di spostamenti è attribuita ai popoli della Grecia per molte generazioni. Certo è (così come confermano le fonti antiche, in particolare Erodoto e Tucidide) che per più di un secolo dopo la caduta di Troia una serie immane di scuotimenti investì la Grecia; una pausa si ebbe solo attorno al 1100 a.C. La conferma di queste notizie nelle fonti orientali e in quelle archeologiche permette di stabilire che la guerra contro Troia è realmente avvenuta, che la città è stata distrutta in seguito a una guerra, che al ritorno della spedizione, per circa cinque generazioni, la Grecia fu sotto-posta a una serie di scuotimenti conclusisi attorno al 1100, che diedero una nuova fisionomia a tutto il territorio, nuova organizzazione politica e sociale alle popolazioni.
Ma non si deve credere che solo la Grecia sia stata investita dalla bufera. In Egitto, in Mesopotamia, in Anatolia i popoli furono sottoposti a un flagello analogo e le fonti orientali insistono nel descrivere, spesso con terrore, l’arrivo di genti nuove e i sommovimenti che ne derivarono. D’altra parte i Greci stessi, o meglio alcune popolazioni greche, profittarono della situazione per impadronirsi di terre non ben conosciute prima. A questo periodo deve infatti essere ricondotta la colonizzazione greca delle coste dell’Asia Minore a opera di popoli diversi di stirpe greca, che, divenuti ben presto stanziali in quelle terre, avrebbero dato vita a una cultura di assai notevole importanza, soprattutto per la possibilità di mediare motivi orientali alla grecità. Dal fenomeno delle invasioni si sarebbero, in parte, sottratte Atene e l’Attica. In seguito a una nuova serie di avvenimenti dei quali non è sempre facile valutare la portata, ma dei quali abbiamo notizie sia dalla tradizione, sia dalle fonti archeologiche, attorno al 1100 a.C. (in alcuni territori forse più tardi) le strutture della più antica civiltà micenea erano già crollate: i palazzi distrutti e mai più ricostruiti (raramente riutilizzati), le popolazioni disperse in tutto il territorio. Il calo del tono culturale fu enorme e dimostrato ad esempio dal sostanziale analfabetismo. La tradizione micenea divenne sempre più sterile, ripropose motivi vuoti di significato; non fu sostenuta da una società in grado di rinnovarla. Gli Ioni in Attica, in Eubea, in grandissima parte delle Cicladi e delle Sporadi e sulle coste centrali dell’Asia Minore e nelle isole adiacenti; i Dori nel Peloponneso orientale, a Milo, a Thera, a Creta, nel Dodecaneso e sulla costa antistante dell’Asia Minore; gli Arcadi in Arcadia; gli Eoli in Tessaglia, in Beozia e sulle coste settentrionali dell’Asia Minore e nelle isole adiacenti; le popolazioni, forse giunte da ultime, che abitavano le isole dello Ionio, la Grecia nord-orientale e la parte settentrionale e occidentale del Peloponneso (dove si rifugiano anche più antiche popolazioni soprattutto del Peloponneso centrale) vissero nei modi di una struttura sostanzialmente uniforme con strutture sociali omogenee. Si tratta delle genti che avevano portato in crisi la struttura micenea, che insieme ne avevano raccolto parte dell’eredità: esse presentavano un’organizzazione politica ed economica estremamente semplice e livellata dall’isolamento e dal bisogno; stabilirono le basi di una nuova civiltà, completamente autonoma rispetto a quella precedente.
Il cosiddetto “stile protogeometrico” è, per intima natura, inscindibile da quello geometrico. Pur trattandosi di uno stile che è all’inizio della produzione figurativa di età classica, nel quale tutti gli elementi che saranno poi successivamente caratteristici trovano un’intima giustificazione, varrà considerarlo autonomamente. Il fenomeno della cultura figurativa protogeometrica può essere compreso soprattutto attraverso l’esame della ceramica. Questa permette infatti di definire le aree geografiche che partecipano del fenomeno della cultura protogeometrica e di articolare nel tempo la sua dinamica. Ceramica protogeometrica è stata ritrovata in pratica in tutta la Grecia (Macedonia, Tessaglia, Focide, Beozia, Itaca, Atene e Attica, Corinzia, Argolide, Acaia ed Elide, Messenia, Laconia, Eubea, Cicladi, coste dell’Asia Minore, Rodi e Coo, Creta). Ceramica protogeometrica è inoltre esportata a Cipro, in Cilicia, in Siria, in Palestina. Per quanto concerne l’inizio della cultura protogeometrica, si discute ancora se essa abbia avuto origine soprattutto in Tessaglia o ad Atene: certo è che essa trovò ad Atene le manifestazioni più caratteristiche. Ciò che maggiormente sorprende è notare che la ceramica presenta sostanziale uniformità, sia per quanto concerne le forme che la decorazione, in tutte le aree dove è stata prodotta; i caratteri distintivi di singole aree non sono tali da distruggere questa uniformità. Probabilmente da Atene, centro dove il Proto-geometrico trovò le manifestazioni più caratteristiche, lo stile si diffuse in tutta la Grecia, insieme con consuetudini tipiche: forse, ad esempio, quella di cremare i morti. Atene, sin dal X secolo, è la città culturalmente egemone in tutta la Grecia. La relativa tranquillità che aveva caratterizzato l’Attica durante il periodo dei grandi sommovimenti, l’essersi conservata ad Atene una consuetudine artigiana, può spiegare la preminenza della città. Ad Atene la tradizione artigianale micenea subisce, sin dall’inizio, un sostanziale capovolgimento.
Per quanto concerne i tempi in cui si articolò lo stile protogeometrico è possibile così riassumere i risultati delle ricerche più recenti:
1050 a.C. circa: Nascita dello stile protogeometrico, forse, in Tessaglia o ad Atene.
980-960 a.C. circa: Lo stile protogeometrico trova le manifestazioni più caratteristiche, soprattutto ad Atene.
960-900 a.C. circa: Lo stile protogeometrico si diffonde da Atene; ha manifestazioni autonome soprattutto nel Peloponneso orientale, in Beozia, nella Focide, a Itaca, in Eubea, nelle Cicladi settentrionali, a Skyros, nel Dodecaneso, nella Creta centro-settentrionale.
900-875 a.C. circa: In Attica, nel Peloponneso orientale, a Itaca, in Beozia e, forse con lieve ritardo, nel Dodecaneso, si ha la transizione dallo stile protogeometrico a quello geometrico.
860 a.C. circa: Esportazione di vasi protogeometrici dalle Cicladi (?) sulle coste della Siria.
825-800 a.C. circa: Transizione dal Protogeometrico al Geometrico in Laconia e soprattutto nella Creta centro-settentrionale.
800-725 a.C. circa: Elementi protogeometrici persistono nelle Cicladi settentrionali, in Tessaglia e in Macedonia; vasi di tradizione protogeometrica sono esportati dalle Cicladi in Siria e Cipro.
Resti attribuibili a età protogeometrica si ritrovano abbastanza frequentemente in tutta la Grecia, ma essi appaiono in così misere condizioni da non poter essere facilmente interpretabili. Per quanto concerne i centri più importanti nei quali si articolò la vita in età protogeometrica, la documentazione è così modesta da permettere solo di costruire ipotesi. Questa lacuna è grave perché sembrerebbe poter intendere che già in età protogeometrica siano stati definiti alcuni tipi di edifici, valga per tutti il tempio. La dispersione della popolazione in tutto il territorio della Grecia, con nuclei di poche migliaia di abitanti (il fenomeno, peraltro, è indicato già dalle fonti antiche: Omero ricorda a Creta 90 o 100 città), dovette facilitare la nascita di formule urbanistiche e di tipi architettonici casuali e diversi. Nei nuclei abitati che occuparono i più antichi stanziamenti micenei, la pianta degli antichi edifici monumentali poté essere di qualche suggestione (in qualche caso conosciamo la riutilizzazione, in età protogeometrica, di edifici micenei).
Il problema dell’architettura è ora riproposto dalla scoperta, nel 1981, a Lefkandi (forse l’antica Eretria: Strab., X, 403) in Eubea, di un eccezionale edificio, la cui datazione si può porre attorno al 1000 a.C.
Si tratta di un heroon a pianta rettangolare absidata, con pareti di mattoni crudi che poggiavano su pietre (il tetto è stramineo), che sembra fosse circondato da un colonnato ligneo. All’interno una fossa divisa in due settori. Uno conteneva i resti di quattro cavalli, l’altro le ossa di un guerriero avvolte in stoffa decorata e deposte in un’anfora di bronzo (l’anfora era chiusa da un secondo vaso di bronzo; accanto la lancia e la spada del guerriero, di ferro). Vicino era una tomba con gli avanzi di una donna che recava gioielli d’oro e monili di bronzo e di ferro. I problemi del rinvenimento (gli avanzi della donna potrebbero far pensare a un sacrificio, forse rituale; quelli dell’uomo, certamente, al culto di un eroe) non sono stati chiariti definitivamente. Dopo la distruzione l’edificio (rimasto visibile poco tempo) fu ricoperto da un enorme tumulo.
La situazione di disagio che caratterizzò il mondo protogeometrico sembra stemperarsi intorno al 900 a.C. Per un arco di ben cinque generazioni le popolazioni della Grecia erano vissute nell’isolamento culturale, nell’indigenza di fronte alle necessità del vivere quotidiano, nel pericolo di lotte continue per il possesso del territorio. Un notevole livellamento di civiltà era stato il risultato di questo processo: questo aveva permesso il formarsi di una cultura sostanzialmente uniforme in tutto il territorio. Atene era la città culturalmente egemone in tutta la Grecia, da Atene i modi della civiltà protogeometrica si diffondevano ovunque. Attorno al 900 a.C., in Attica, la proprietà fondiaria doveva essere suddivisa (benché i termini di questa suddivisione siano ancora poco chiari).
Il possesso della terra, lavorata da manodopera servile, si trasmetteva forse per eredità nelle famiglie più ricche e nei santuari. Olio, vino, grano, orzo venivano prodotti in eccedenza e esportati in altri territori. Il commercio si riattivò: soprattutto quello verso Cipro, la Cilicia, la Siria e la Palestina. Navi delle Cicladi e dell’Eubea commerciavano prodotti di eccedenza raccolti in Macedonia, in Tessaglia, in Beozia, in Attica, sulle coste dell’Asia Minore, verso il Mediterraneo orientale. Profittando dei venti estivi attraverso una rotta che portava a Creta, poi nelle isole del Dodecaneso, quindi sulle coste meridionali dell’Anatolia, esse raggiungevano Cipro, la Cilicia, la Siria, la Fenicia. Oltre a prodotti agricoli i commercianti potevano offrire stoffe lavorate, pesce, ceramiche, forse schiavi. In cambio ottenevano ferro e bronzo, legname, avorio, oro, terrecotte invetriate.
Non si deve pensare che l’attività commerciale nel Mediterraneo fosse esclusivamente in mano ai Greci. Accanto a essi, in concorrenza, erano i Fenici che, negli stessi anni e nei mari ancora più lontani, e certo con maggior frequenza di quanto non facessero i Greci, si dedicavano a intensi traffici commerciali. Il raggiungimento di un equilibrio politico a Cipro e sulle coste della Cilicia, della Siria e della Palestina, permise scambi, mediati probabilmente proprio dai Fenici, con la più interna Mesopotamia. L’equilibrio del potere nell’Anatolia interna, permetteva scambi tra le popolazioni greche della costa e quelle dell’altopiano. Questi fenomeni dovettero essere complessi e non possono essere classificati in termini scolastici (quasi che essi si siano svolti nel tempo ordinatamente, con disinvoltura e lucida ragionevolezza). Il contatto tra civiltà eterogenee, come quello che si articolò a partire dal 900 a.C. circa, si svolse in modi, luoghi e circostanze diversi: negli scali dell’Egeo e in quelli del Mediterraneo orientale, in funzione commerciale e culturale, più o meno intensamente, a seconda della domanda e dell’offerta. In definitiva secondo un piano molto poco organico e quanto mai mutevole nel tempo. Le genti greche che parteciparono a queste operazioni erano diverse quanto a estrazione. Si trattava con ogni probabilità di famiglie di coraggiosi commercianti, che si differenziavano dalle famiglie di proprietari terrieri. Iniziava così, già intorno al 900 a.C., una suddivisione di funzioni nelle classi sociali più abbienti: i proprietari ricchi della rendita agricola, dediti alle armi per la necessità di difendere la terra e dominare le classi subalterne che la lavoravano (classi già suddivise secondo precise mansioni); i commercianti con un capitale sempre esposto ai rischi della navigazione e della pirateria (che si era andata radicando nel Mediterraneo orientale); gli artigiani, ormai in grado di produrre gli strumenti per l’agricoltura e la navigazione e i beni per il consumo interno e per l’esportazione (gelosissimi della propria capacità e del proprio mestiere altamente specializzato che li emancipava dalla condizione servile e li rendeva indipendenti dalle classi egemoniche); da ultimo le classi subalterne.
La complessità del mondo del IX e dell’VIII secolo non può essere ricondotta a denominatori troppo generici, ma comporterebbe, per essere intesa, l’uso di strumenti critici ben più complessi. In questa sede basterà tenere presenti solo spunti che possono riuscire di qualche utilità per intendere alcuni fenomeni che interessano le arti figurative. Un esempio notevole del livello economico raggiunto in questo periodo è fornito da numerose tombe delle necropoli di Atene e più in generale dell’Attica. I corredi testimoniano notevolissima ricchezza: in particolare quelli di due tombe maschili e di una femminile della necropoli del Dipylon. Le suppellettili attestano la differenziazione delle classi sociali, esse sono caratterizzate dalla maggiore o minore ricchezza degli oggetti deposti; questa differenziazione non comporta però una diminuzione, in senso qualitativo, del tono artigianale degli oggetti deposti nelle sepolture più povere. Il livello qualitativo del prodotto è costante.
È stata rinvenuta in Atene, sulle pendici settentrionali dell’Areopago, una tomba che permette di definire aspetti della più ricca società terriera di questo periodo. A cremazione (secondo le consuetudini delle maggiori famiglie di età geometrica, consuetudini che si contrappongono all’inumazione, più caratteristica di età micenea), la tomba, di una donna, è databile intorno all’850 a.C. Per il seppellimento delle ceneri è stata utilizzata un’anfora di eccezionale qualità, il corredo è di altissimo livello; forse si trattava della moglie di un arconte, per certo appartenente alle famiglie di censo più elevato di Atene.
Un’analisi del materiale rinvenuto lascia intravedere quali erano le funzioni che caratterizzavano la donna in vita, quali i costumi della società cui essa apparteneva. Dalla tomba provengono due modelli di granaio (almeno secondo l’opinione più comune) di cui uno formato da cinque contenitori disposti su una base; esso sta probabilmente a indicare che la donna aveva precise mansioni nel controllo di aziende agricole, il prodotto delle quali era convogliato nei granai, dopo essere stato controllato (lo dimostrano i sigilli di avorio che dovevano servire a chiudere i sacchi pieni probabilmente di grano). La donna traeva il proprio prestigio dall’essere conduttrice e amministratrice dei beni agricoli della famiglia: la rendita doveva essere abbastanza cospicua se nel corredo compaiono sigilli di avorio (materia importata dalla Siria), una collana di pasta vitrea (importata dalla Fenicia), anelli e orecchini d’oro.
Non sappiamo se quell’oro provenisse dall’Oriente o se si fosse tramandato in famiglia dall’epoca micenea (o se fosse stato rinvenuto a caso o ad arte in una tomba di quel periodo); certamente l’avorio e la pasta vitrea sono materiali di importazione che testimoniano scambi commerciali con l’Oriente. La pasta vitrea è un manufatto fenicio, ma sia l’avorio che l’oro sono lavorati ad Atene; l’oro con tecnica molto specializzata.
Gli artigiani di Atene, attorno all’850 a.C., erano in grado di lavorare, con la perizia che viene dalla consuetudine, materiali più preziosi, in parte acquistati grezzi in seguito a cambi commerciali. Il commercio con l’oriente non significa l’assimilazione dei caratteri culturali del mondo orientale: se si esclude infatti la collana, gli altri oggetti preziosi sono lavorati secondo le formule della civiltà figurativa geometrica, quasi con la consapevolezza e l’orgoglio di una civiltà che nelle ceramiche deposte nelle tombe trova le manifestazioni più elevate, quanto a tono stilistico. In una tomba del cimitero del Dipylon databile nella generazione successiva compare una coppa di bronzo sbalzata, di artigianato fenicio-cipriota che testimonia l’acquisizione, per scambio commerciale, di oggetti figurati orientali. Probabilmente in questo periodo, attraverso i contatti che i Greci avevano con i Fenici, in qualcuno degli stabilimenti commerciali delle coste della Cilicia e della Siria (anche al fine di risolvere i problemi della contabilità commerciale che diveniva sempre più intensa), l’alfabeto fenicio fu assimilato ed utilizzato per esprimere graficamente il suono della lingua greca. Certo per giungere ai primi documenti di scrittura bisognerà attendere molto tempo: i più antichi sinora conosciuti risalgono a dopo il 750, quelli su ceramiche di Atene o dell’Attica possono essere datati al 730 a.C. Attorno all’800 a.C. la vita nelle città della Grecia aveva una complessità rilevante rispetto a quella del periodo precedente. Tebe, Atene, Corinto, Argo e Sparta presentavano una notevole densità urbana; si andavano delineando le aree del territorio agricolo che dipendevano da ciascuna città, nascevano contrasti tra i vari centri che andavano definendo le proprie sfere di influenza (si pensi alla guerra lelantina tra Calcide ed Eretria o a quella tra Atene ed Egina).
Già in età geometrica vengono definite le aree delle singole città e del territorio. Lo stato ateniese (compresa Salamina) occupava 2647 km2; nel Peloponneso, su una estensione di 23.300 km2, lo stato spartano occupava i 2/5 dell’intero territorio (8418 km2; di questo 1/3 toccava a Sparta, il resto a un centinaio di città di meteci). Altri stati occupavano aree nella misura indicata nella Tab. 1. La Megaride si estendeva per 470 km2. In Beozia, su 2580 km2, 1000 spettavano a Tebe, il resto a 12 città con una media di 130 km2 ciascuna. La Focide, con 22 città, occupava 1615 km2. Calcoli più precisi possono essere stabiliti per le isole più importanti (Tab. 2). Le città-stato più ricche della Ionia avevano una estensione che andava da 200 a 1500 km2. Le città dell’Eolide avevano una estensione molto minore: un centinaio di chilometri quadrati. Elementi precisi risultano dal calcolo delle isole asiatiche (Tab. 3).
A partire dall’800 a.C. circa i popoli della Grecia iniziarono a riunirsi periodicamente nei santuari (che forse avevano avuto fortuna già nell’età precedente); questo significò la possibilità di giungere attraverso incontri a un’uniformità di culti. Dodona, Olimpia, Delfi, Delo iniziarono la propria fortuna. Nel 776 a.C., secondo le fonti antiche, si tenne la I Olimpiade. Atene domina culturalmente incontrastata: i suoi vasi sono esportati a Corinto, Egina, Trezene, Delo, Sifno, Thera, Coo, Rodi, Creta, Cipro e in Etruria. Lo stile attico è imitato ovunque. La consapevolezza della strapotenza della città fa sì che la sua produzione divenga sempre più specializzata. Tra il 760 circa e il 700 a.C. ad Atene sono attive una ventina di botteghe, che raccolgono vasai e pittori, che si vanno differenziando, ciascuna, con una produzione autonoma. L’orgoglio delle grandi famiglie che si rivestono degli atteggiamenti e delle consuetudini degli eroi di Omero, impone la codificazione dell’epica che diviene testo fondamentale per l’educazione della gioventù e punto di riferimento e modello di uno stile di vita.
A partire dalla metà dell’VIII sec. a.C. un fondamentale scuotimento viene a travolgere più antichi costumi: la colonizzazione verso occidente. Attorno al 780-750 a.C., per più di una generazione, le città di Eubea, Corinto, Sparta, le città dell’Acaia, le città di Creta e Rodi fecero emigrare, con spedizioni bene organizzate, le proprie popolazioni eccedenti sin nell’estremo occidente, in Italia. Questo avvenimento è certo il più importante che si sia verificato in Grecia dopo l’invasione dorica. Non si trattava di spedizioni casuali, formate da poche persone, o di imprese di tipo commerciale che si ripagavano in un breve arco di tempo; ma di vere e proprie imprese di stato che non potevano certo essere produttive prima di qualche generazione.
Le spedizioni dovettero mobilitare gran parte delle finanze delle città che vi partecipavano, in qualche caso ne impoverirono per sempre la densità demografica. L’avvenimento fu così clamoroso che si giunse a fissarlo nell’epica: l’Odissea è, tra l’altro, il poema delle spedizioni coloniali verso occidente. All’epica terrestre dell’Iliade, si aggiunge così, forse nella generazione immediatamente successiva, quella marinara dell’Odissea. La colonizzazione dette il colpo definitivo alla struttura della società geometrica. Le antiche famiglie che vantavano il proprio potere sulla rendita agricola, orgogliose dei propri diritti e delle proprie consuetudini, videro cancellate molte giustificazioni del proprio modo prestigioso di vivere. Le classi subalterne trovarono nell’emigrazione l’emancipazione dal lavoro forzoso; l’artigianato subì anch’esso un contraccolpo, sia per l’emigrazione di molti artigiani, sia per lo squilibrio nel sistema di produzione (le officine di Atene non hanno, ad esempio, troppa importanza nel commercio che si articolava verso occidente; sembrano superate da quelle dell’Eubea, di Rodi, di Corinto). Le città che, arroccandosi a più antiche tradizioni, come ad esempio Atene, meno avevano partecipato del fenomeno della colonizzazione, fiduciose nella propria potenza, subirono una flessione culturale ed economica almeno per una generazione. Non è il caso di spiegare il perché della colonizzazione: se essa obbedisse solo a motivi commerciali o se, come sembra più probabile, fosse intesa a liberare le città dall’eccesso di popolazione. Certo è che coloro i quali si recavano in Occidente furono dalle città madri ben organizzati, forniti di guide, di strumenti, di cibo per almeno un anno. Essi si trovarono in terre lontane, abitate da pochi pastori, dove l’agricoltura era quasi sconosciuta: l’uva cresceva senza che si sapesse ricavarne il vino, l’olivo selvatico non dava prodotto. Ben presto, arricchiti dal proprio lavoro, dal frutto di terre mai prima dissodate, dai metalli che commerciavano con gli indigeni, autonomi, con propri artigiani, con proprie credenze religiose spesso diversificate da quelle della madrepatria, dovettero guardare con rancore più che con nostalgia alle città della Grecia dalle quali li aveva cacciati la fame.
In un panorama così complesso, che si svolge durante quattro o cinque generazioni, ricco di movimenti e di contatti, la produzione artistica attica mostra un’apparente staticità, arroccata ai canoni della produzione geometrica sia pure con una ricerca estremamente intensa all’interno di quello stile. Gli elementi orientali, così notevoli, quanto a importazione nel momento del massimo fiorire dello stile geometrico, nel IX sec. a.C. non influenzano la produzione artigiana. Lo stile protogeometrico aveva condizionato, infatti, in modo tale l’artigianato da essere norma di ogni successiva esperienza artistica. Esso era lo stile emblematico di una società come quella che si era formata in Grecia dopo la catastrofe dei secoli bui. Questa società, orgogliosa di una propria condizione così faticosamente raggiunta, vedeva nelle forme geometriche elaborate dai propri artigiani la compiuta espressione di un modo di essere, il modello insuperabile attraverso il quale ricomprendere la propria intima natura. L’ordine logico che condizionava le forme dei vasi, la rigida casistica degli elementi decorativi, la precisa ripartizione di quelli sulle superfici, erano espressione di elementarità, non certo di banalità di nessi mentali: volontà di dominare l’apparenza per mezzo di concetti semplici.
La misurata padronanza di una realtà povera, fatta di volumi elementari, di forme geometriche semplici, rappresenta ciò che i Greci dell’età più antica sentivano di aver saputo elevare a stile. Quando nel IX sec. a.C. i rapporti con l’Oriente si fecero più intensi i Greci vennero a conoscenza delle forme artistiche orientali. Ma queste forme artistiche vennero recepite più per curiosità che per intima convinzione. Con l’andare del tempo, all’inizio dell’VIII secolo, le importazioni orientali aumentano, ma esse non influenzano la produzione figurata geometrica, tranne, forse, le oreficerie. Sembra anzi che, man mano che queste importazioni aumentano, lo stile geometrico si ritiri in un orgoglioso isolamento e giunga alle manifestazioni più clamorose delle proprie possibilità. Alla metà dell’VIII sec. a.C. la produzione geometrica attica raggiunge una elevatezza di livello e una complessità eccezionali.
Le forme dei vasi, monumentali quelli a destinazione funeraria, hanno una tensione, una pienezza formale non comune. I cicli decorativi si moltiplicano; quelli narrativi assumono, sull’esempio dei primi, estrema coerenza. Ma dalla metà dell’VIII sec. a.C. lo stile geometrico si avvia a subire una flessione rapidissima del proprio sviluppo. La produzione della seconda metà del secolo mostra il veloce rarefarsi delle possibilità di quello stile. Le forme, nel tentativo di innovarsi, divengono più fragili, deboli quanto a struttura, si arricchiscono di elementi plastici non funzionali; la decorazione è trita e minuta, non scandisce più la tettonica dei vasi. Il divorzio tra forma e decorazione determina l’estinguersi delle ultime possibilità dello stile geometrico. Ma dopo un momento di crisi la padronanza dei mezzi tecnici, la tradizione operativa, permetteranno alle officine geometriche, attraverso l’assimilazione di motivi orientalizzanti, di riproporre la propria egemonia con il cosiddetto “stile protoattico”, benché con una diffusione solo in Atene, nell’Attica, a Egina. Per comprendere questi fenomeni sono di notevolissimo aiuto soprattutto i dati offerti dalle ceramiche. La ceramica infatti, quanto mai comune alla produzione artigiana del mondo antico, deposta con particolare frequenza nelle tombe, permette di definire serie cronologiche nell’ambito di una cronologia relativa (articolando cioè gli esemplari secondo sequenze che hanno una giustificazione nell’evoluzione delle forme e in quella delle decorazioni). Queste serie possono essere riagganciate a momenti fissi di cronologia assoluta. Si tratta cioè di vedere se, in coincidenza con qualche avvenimento storico ben precisato nel tempo, è possibile identificare materiale sufficientemente tipico.
Per quanto concerne la ceramica geometrica abbiamo una serie di avvenimenti che ci permette di agganciare la cronologia relativa a quella assoluta. I dati cronologici fondamentali sono offerti dalle colonie greche in Sicilia. Poiché noi conosciamo con esattezza l’anno della fondazione di alcune di esse, in base alle testimonianze di alcuni storici (tra i quali, fondamentale per attendibilità, Tucidide), possiamo trarre la conclusione che i materiali più antichi rinvenuti nelle necropoli più esplorate di queste città debbano ragionevolmente appartenere agli anni della fondazione o a quelli immediatamente successivi. Si è giunti a una notevole attendibilità di risultati, soprattutto confrontando i dati offerti dalle necropoli di città diverse. Oggi, per la fase finale del periodo geometrico, possiamo dire di possedere elementi di cronologia assoluta solidamente collaudati. L’analisi della ceramica permette di definire con esattezza le fasi della cultura figurativa di età geometrica.
Volendo riassumere i risultati delle ricerche più recenti si può affermare che il periodo geometrico può essere così articolato.
900-850 a.C.: primo stile geometrico (in Attica due fasi: I, 900-875; II, 875-850). Fioritura ad Atene e ad Argo e poco dopo (ca. 875 a.C.) a Corinto. In Tessaglia permangono accanto a motivi geometrici, altri di tradizione protogeometrica; così in parte in Beozia. Nelle Cicladi, in Eubea perdurano motivi protogeometrici; così nella Grecia occidentale, in Laconia, a Creta. Nella Grecia orientale appaiono rari motivi geometrici.
850-750 a.C.: medio stile geometrico (in Attica due fasi: I, 850-800; II, 800-750). Fioritura ad Atene e successivamente (ca. nell’825 a.C.) ad Argo e Corinto. In Tessaglia perdurano motivi del primo stile geometrico, sino all’800 a.C. circa. Nelle Cicladi e in Eubea si assiste a una fioritura dello stile mediogeometrico (ma con qualche permanenza di motivi protogeometrici). In Beozia, dove il primo stile geometrico perdura sino all’825 a.C. circa, lo stile mediogeometrico continua sino al 740 a.C. circa. In Laconia e nella Grecia occidentale uno stile mediogeometrico, abbastanza indistinto, inizia circa il 780 a.C. A Creta, dopo una breve fase del primo stile geometrico (810-790 a.C.), lo stile mediogeometrico è ben rappresentato dall’850 a.C. al 745 a.C. circa.
750-700 a.C.: tardo stile geometrico (in Attica due fasi e due sottofasi: Ia, 760-750 a.C.; Ib, 750-735 a.C.; IIa, 735-720 a.C.; IIb, 720-700 a.C.). In Attica lo stile tardogeometrico si manifesta prima che altrove (760 a.C.) e termina circa il 700 a.C. A Corinto lo stile tardogeometrico ha breve durata e cede al primo stile protocorinzio attorno al 720 a.C.; ad Argo esso dura invece sino al 690 a.C. circa (e con una fase subgeometrica in pieno VII sec.). In Tessaglia lo stile tardogeometrico continua a lungo anche nel VII secolo. A Nasso e a Paro il tardo stile geometrico si trasforma in primo stile orientalizzante attorno al 700 a.C.; a Milo esso continua invece in pieno VII secolo: a Thera (intorno al 690 a.C.) il tardo stile geometrico cede a una fase subgeometrica. La casistica può sembrare minuziosa, ma permette di poter fare alcune considerazioni generali. In Beozia attorno al 740 a.C., in Laconia intorno al 750 a.C. inizia una fase tardogeometrica, che, verso il 690 a.C., si trasforma in un aspetto subgeometrico che perdura nel VII secolo. Nella Grecia occidentale la fase tardogeometrica, che inizia circa il 750 a.C., cede a una fase subgeometrica attorno al 680 a.C. A Creta la fase tardogeometrica si manifesta tra gli anni 745-710 a.C. circa ed è immediatamente seguita da una fase orientalizzante (preceduta da una brevissima fase transizionale: 710-700 a.C.). Nella Grecia orientale la fase tardogeometrica, che inizia circa il 745 a.C., cede, attorno al 680 a.C., a una fase subgeometrica.
Atene è alla testa del fenomeno della cultura figurativa geometrica, con una produzione ricca e articolata. Nel tardo periodo geometrico, 760-700 a.C., possono riconoscersi già officine ben differenziate o addirittura distinguersi mani diverse di pittori. Argo ha anch’essa notevole importanza, ma nella città sembra che lo stile geometrico non riesca che molto tardi a trasformarsi in quello orientalizzante. Diversa è la situazione di Corinto dove il primo stile geometrico viene assimilato meno precocemente, verso l’875 a.C., ma dove già attorno al 720 si ha un brusco passaggio allo stile protocorinzio (che diviene egemone, soprattutto nelle ceramiche esportate in Occidente, e che supera ben presto, almeno nelle esportazioni, lo stile attico). In Tessaglia lo stile geometrico, assimilato tardivamente (850 a.C. ca.), continua anche nel VII secolo. Nelle Cicladi e in Eubea si ha una notevole differenziazione tra vari ambienti. Attorno al 700 a.C. a Nasso e forse a Paro iniziano i primi motivi orientalizzanti; forse a Milo sembra continuare una tradizione tardogeometrica (così a Thera, e in Eubea) sino al VII secolo inoltrato. In Beozia, in Laconia, nella Grecia occidentale, lo stile geometrico continua con una fase subgeometrica sino all’inoltrato VII secolo. A Creta, dove il primo stile geometrico penetra solo nell’810 a.C. circa e perdura solo un ventennio (sino al 790 a.C.), seguito da una fase mediogeometrica (790-745 a.C.) e tardogeometrica (745-710 a.C.), appare una brevissima fase transizionale (710-700 a.C.), seguita da una molto precoce assimilazione dei primi motivi orientalizzanti (cosicché nell’isola la fase geometrica non presenta forte incisività). Nella Grecia orientale manifestazioni abbastanza tradizionalistiche dello stile geometrico sono seguite da una più stanca fase subgeometrica.
Questa ripartizione dimostra ancora la preminenza della cultura ateniese che culmina nel medio stile geometrico, ma insieme una egemonia un po’ statica dello stile geometrico che nella città è superato solo attorno al 700 a.C. (mentre a Corinto attorno al 720 a.C., a Creta attorno al 710 a.C., a Nasso e a Paro attorno al 700 a.C., motivi orientalizzanti si fanno sentire con piena vivacità). Alla fine dell’VIII sec. a.C. Corinto è alla testa del rinnovamento dello stile geometrico, seguita da Creta, da Nasso, da Paro, e da ultima da Atene (che ha perduto, in questo momento, il ruolo di città guida). Questa casistica, peraltro ancora molto discussa, non può essere ritrasferita, in termini troppo apodittici, dalla ceramica a tutte le altre produzioni artigianali; ognuna di esse infatti presenta una propria e ben precisa autonomia formale. Pertanto essa dovrà essere esaminata, nei suoi vari aspetti, a proposito delle singole classi delle produzioni artigianali.
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Su alcuni problemi relativi all’origine della pittura, particolarmente in ambiente attico:
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Sul problema delle fibule beotiche e, più in generale, sulle prime rappresentazioni mitologiche del mondo greco:
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Sugli avori orientali e loro eventuali correlazioni con quelli greci:
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Sui legni con rappresentazioni geometriche:
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