La quarta volta di frau Merkel
La prima cancelliera donna della storia e la più giovane di sempre, se vincerà le elezioni del 2017 supererà in tenuta il suo predecessore Helmut Kohl. La crisi dei profughi e la serrata sfida politica all’interno e fuori del suo partito le rendono la strada sempre più in salita. Ma le alternative non si vedono.
Per Angela Merkel è arrivato l’anno più difficile. Quello della crisi dei profughi e della sfida politica più ardua dei suoi 3 mandati da cancelliera. Mai come in quest’anno, Merkel ha subito le pressioni di un partito che non si è mai lasciato convincere dalla sua ormai storica frase, «ce la faremo», pronunciata il 31 agosto del 2015, e dalla sua scelta di non stabilire un tetto per i profughi. Nonostante 4 mesi dopo abbia concesso ai suoi avversari, al congresso della CDU di Karlsruhe, l’impegno per una riduzione sostanziale dei flussi, la cancelliera ha mantenuto fede, testardamente, all’impegno di non contravvenire alla Convenzione di Ginevra e alla Costituzione tedesca, che impediscono di respingere un richiedente asilo alla frontiera.
Questa la sostanza della sua promessa. E ha scatenato una guerriglia che si è dimostrata essere, in realtà, più una querelle nominalistica che reale. Mentre il governatore della Baviera e capo dello storico alleato bavarese (CSU) del partito, Horst Seehofer, ha continuato a chiedere senza sosta una Obergrenze, un «limite» ai rifugiati e respingimenti alla frontiera per spezzare la promessa di Merkel, il governo ha approvato 2 Asylpakete, pacchetti legislativi che hanno introdotto una stretta sui paesi di provenienza cosiddetti ‘sicuri’, regole più stringenti per le espulsioni e i ricongiungimenti e obblighi più severi per l’integrazione. E in sede europea, Merkel si è battuta per un accordo tra la Turchia e la UE, che in cambio di 6 miliardi di euro ha già ottenuto una riduzione dei flussi dei migranti che tentano di raggiungere la Grecia partendo dalle coste turche.
Si è speculato molto sulla fine prematura del suo cancellierato o sull’ipotesi che non si candidi, ma la verità è che Merkel è attualmente senza alternative. Dopo 11 anni alla guida della più grande economia europea, la cancelliera ha sbaragliato tutti i potenziali avversari nel partito cristiano-democratico. Tanto che la sua candidatura al quarto mandato, alle elezioni per il rinnovo del Bundestag del 2017, viene data per scontata. L’eterna candidata alla successione, per la verità più popolare sulla stampa che nel partito, è la ministra della Difesa, Ursula von der Leyen. In prospettiva, l’unico avversario serio che si sta formando nelle file dei conservatori tedeschi e si è distinto per una forte opposizione alla cancelliera, sia sulla politica per i profughi sia sul bando del velo integrale o su altre questioni, è il viceministro delle Finanze, Jens Spahn.
Classe 1980, membro del Präsidium, l’organismo di vertice della CDU, sta crescendo nella percezione comune come l’unico successore credibile della cancelliera. Anche perché sta tentando di restituire alla CDU un’anima più conservatrice, dopo la lunga ‘corsa al centro’ di Merkel che ne ha reso l’identità più sfumata e troppo ‘socialdemocratica’, secondo molti esponenti di spicco cristiano-democratici. Una colpa tanto più grave, nell’anno che ha decretato l’affermazione di Alternative für Deutschland (AfD), i populisti di destra che stanno collezionando un boom dopo l’altro alle elezioni regionali. In Meclemburgo-Pomerania Anteriore la formazione guidata da Frauke Petry ha superato, alla tornata per il rinnovo del Landtag del 4 settembre, addirittura la CDU, ottenendo oltre il 20% dei voti contro il 19% dei cristiano-democratici. Un risultato storico. Consola poco che si tratti di un Land minuscolo; dopo le 3 elezioni di marzo, che hanno regalato un successo clamoroso ai populisti anche al di qua della vecchia Cortina di ferro, l’AfD è sdoganato, nel panorama politico della Germania.
Poco dopo la débâcle della CDU in Meclemburgo-Pomerania, l’AfD è riuscito persino ad affermarsi nella capitale, tradizionalmente ‘rossa’, ottenendo più del 14% dei voti nelle elezioni della città-stato Berlino.
Siede ormai in 10 parlamenti regionali su 16 e nessuno sembra avere dubbi sul fatto che alle elezioni politiche del 2017 supererà agevolmente la soglia di sbarramento del 5% per entrare nel Bundestag. Nei sondaggi nazionali oscilla tra il 10 e il 14 % dei voti, nelle regioni della vecchia Germania Est incassa ormai risultati da Volkspartei, cioè da partito trasversale, di massa. In Sassonia-Anhalt, il 13 marzo del 2016, ha convinto un elettore su 4.
I tempi tradizionalmente lunghi della politica tedesca obbligano i sostenitori di Spahn a guardare al più presto alle elezioni per il rinnovo del Bundestag del 2021.
Intanto, Merkel è pronta a superare l’ennesimo record. Prima cancelliera donna della storia e la più giovane di sempre, si appresta a superare il primato del suo mentore, Helmut Kohl. Lui governò la Germania per 16 anni, se Merkel vincerà le elezioni dell’anno prossimo lo supererà.
Un ostacolo serio alla ricandidatura di Merkel nel 2017 è sembrato a lungo Horst Seehofer, capo della CSU e governatore della Baviera.
Nell’autunno del 2015, la stragrande maggioranza dei rifugiati è passata per Monaco, il capoluogo della Baviera. E in una riunione con Merkel di quei drammatici mesi, il numero uno della CSU è arrivato a minacciare la crisi di governo. Da allora, continuano ad affluire come un fiume carsico notizie sulla tentazione di Seehofer di presentare il suo partito anche nelle altre 15 regioni tedesche. Ma la storia insegna a essere cauti con minacce del genere: quando il vecchio leone della CSU Franz Josef Strauss ventilò l’ipotesi di presentarsi altrove, la CDU gli rispose che allora si sarebbe presentata in Baviera. E se c’è una cosa che l’alleato bavarese del partito di Merkel non vuole rischiare, è perdere la maggioranza assoluta dei voti nella sua regione.
Angela Merkel ha anche cannibalizzato la SPD a tal punto da renderla, e non solo nella percezione internazionale, il debole comprimario di un governo totalmente dominato dalla sua figura.
Il Merkel-ter che volge alla fine ha prodotto alcune riforme importanti volute dai socialdemocratici, come il salario minimo, la revisione del sistema pensionistico o il tetto agli aumenti degli affitti, ma in Germania la percezione comune è quella di un esecutivo a 2 teste, governato soprattutto da Merkel e dal suo potente ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble. La cancelliera non muove un dito sui grandi dossier internazionali senza consultarsi con lui. E nella formazione del governo, all’inizio del 2014, la rinuncia della SPD a guidare il ministero più importante è stato il sintomo di un patto che è costato caro ai socialdemocratici. In cambio di alcune riforme interne come, appunto, il salario minimo, la SPD ha ceduto a Merkel e Schäuble i grandi dossier internazionali come la crisi della Grecia o quella dell’euro, senza rendersi conto del peso che hanno per l’opinione pubblica tedesca.
L’altra faccia della medaglia è che il duo MerkelSchäuble è diventato il simbolo dell’austerità nella percezione europea, soprattutto in quella dei cittadini. Ma il comandamento di mantenere i conti pubblici in ordine viene rigorosamente rispettato anzitutto dalla Germania. Il Merkelter è anche il governo che ha conseguito nel 2014 il primo pareggio di bilancio dalla fine degli anni Sessanta e continua da allora a mantenere l’impegno di un disavanzo azzerato. E a nulla servono gli inviti espliciti di Mario Draghi o di miriadi di economisti a investire di più per stimolare la domanda interna, da sempre tallone d’Achille dell’economia tedesca, trainata soprattutto dalle esportazioni. Il duo MerkelSchäuble è irremovibile sul feticcio del pareggio di bilancio.
Viceversa, la stampa tedesca, inquinata da pregiudizi verso i cosiddetti ‘paesi debitori’ e poco pluralista (nelle redazioni economiche prevale nettamente la scuola ordoliberale), ha prodotto in questi anni mostri collettivi come una Banca centrale europea sentita come longa manus dei paesi debitori e una diffidenza cronica verso paesi come l’Italia, la Spagna o la Grecia. La popolarità di cui Merkel e Schäuble godono è spesso inversamente proporzionale ai margini che lasciano a Draghi o alle misure che approvano in favore dei ‘debitori’. Su queste dirimenti questioni, per la stragrande maggioranza dei tedeschi, Merkel ha difeso discretamente gli interessi del suo paese. Finché non è arrivata la crisi dei profughi.
Schäuble: il veterano della politica tedesca
È il decano della politica tedesca: il suo ingresso in Parlamento risale al 1972, ai tempi della ‘cortina di ferro’, quando la Germania era ancora divisa e un muro tagliava Berlino. Nato nel 1942, Wolfgang Schäuble cresce durante il cancellierato di Helmut Kohl, ricoprendo tra il 1984 e il 1989 gli incarichi di ministro per gli Affari speciali e capo della Cancelleria e poi, tra il 1989 e il 1991, quello di ministro dell’Interno. Nel 1991 diventa capogruppo della CDU al Bundestag e nel 1998, dopo la sconfitta di Kohl alle elezioni, assume la leadership nazionale del partito. La forza politica viene però travolta da uno scandalo di finanziamenti illeciti, e lo stesso Schäuble ammette di aver ricevuto per il partito 100.000 marchi: è costretto a lasciare la guida della CDU e a rinunciare all’ambizione di diventare cancelliere. La sua carriera politica però continua: nel 2004 il suo nome circola per la presidenza della Repubblica, ma gli viene preferito Horst Köhler, mentre dal 2005 al 2009 è ministro dell’Interno del governo di Große Koalition presieduto da Angela Merkel, che l’aveva sostituito al vertice del partito. Nel 2009 diventa titolare del dicastero delle Finanze, venendo poi confermato nell’incarico dopo le elezioni del 2013. In questo ruolo, Schäuble assume grande rilevanza a livello europeo come ‘falco’ del rigore e dell’austerity, ed è lui – con Atene sull’orlo del fallimento – a giudicare poco credibili le proposte del governo ellenico per il salvataggio, arrivando a non escludere l’ipotesi di una temporanea uscita della Grecia dalla moneta unica. Le divergenze con la cancelliera non sono mancate e non ha mai fatto mistero di essere su posizioni più rigide sui rifugiati. Del resto, il rapporto MerkelSchäuble è sempre stato assai complesso.
Il veterano della politica tedesca lo aveva messo in chiaro: da ministro delle Finanze sarebbe stato leale, ma trattare con lui non sarebbe stato facile. Merkel si è però fidata dell’uomo di Stato che non si è mai arreso, neanche quando Dieter Kaufmann nel 1990 attentò alla sua vita sparandogli e condannandolo per sempre su una sedia a rotelle. Dopo 40 anni di vita politica, Schäuble ancora oggi continua a essere tra i politici più apprezzati dall’opinione pubblica tedesca.
Due possibili successori
■ Ursula von der Leyen
L’erede di Angela Merkel potrebbe essere una donna. Ursula von der Leyen, classe 1958, medico e madre di 7 figli, è nel Partito dei cristiano-democratici dal 1990. Il suo cognome da nubile è di quelli che pesano: nata Albrecht, Ursula è infatti la figlia di Ernst Albrecht, in passato importante esponente della CDU e alla guida del Land della Bassa Sassonia tra il 1976 e il 1990. A Hannover von der Leyen riceve i suoi primi incarichi locali, ma è nel Parlamento della Bassa Sassonia che la sua carriera politica prende forma: dal 2003 al 2005 è infatti deputata regionale, esercitando anche l’incarico di ministra per gli Affari sociali, le donne, la famiglia e la salute. Nel 2005 Angela Merkel – alla sua prima esperienza da cancelliera – la sceglie come ministra della Famiglia e della gioventù, incarico che mantiene sino al 2009 e nell’esercizio del quale si adopera per incoraggiare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, anche attraverso l’aumento dei finanziamenti per la costruzione di asili nido e la riforma della normativa sui congedi parentali. Nel 2009, von der Leyen assume l’incarico di ministra del Lavoro e degli affari sociali, mentre nel 2013 Merkel le affida il dicastero della Difesa, presso il quale è chiamata a occuparsi di una profonda riforma dell’esercito. Nel settembre 2015 è accusata di plagio per la sua tesi di dottorato, ma la vicenda si chiude nel marzo successivo senza conseguenze. Proveniente dai ranghi dell’alta borghesia, von der Leyen è donna elegante e dal linguaggio forbito, europeista e naturalmente cosmopolita, avendo vissuto in Belgio, Regno Unito, Germania e Stati Uniti. Nei sondaggi di opinione, la ministra non sembra però godere negli ultimi tempi di particolare popolarità: secondo una rilevazione di ottobre 2016, von der Leyen era solo sesta negli indici di gradimento tra i membri del governo, e in un sondaggio di settembre solo il 17% degli intervistati la riteneva una candidata vincente per la coalizione CDU/CSU al posto di Merkel.
■ Jens Spahn
Il giornale Politico lo ha definito «cancelliere in pectore», quasi a lasciar intendere che la vera domanda non riguardi il ‘se’, ma ‘quando’ concorrerà per quella poltrona. Jens Spahn, classe 1980, è una delle figure emergenti nella CDU: eletto per la prima volta al Bundestag poco più che 22enne, nel 2002, in Parlamento e nel partito si occupa soprattutto di pensioni e sanità, lavorando anche alla riforma sanitaria che vede la luce nel 2007. Nel 2013, dopo essere stato portavoce del gruppo parlamentare CDU/CSU presso la Commissione salute e presso l’intero Bundestag in materia sanitaria, Spahn coltiva l’ambizione di diventare ministro della Salute: al suo posto, però, viene nominato Hermann Gröhe. I tempi per una rivincita politica maturano rapidamente: nel 2014, Spahn sfida proprio Gröhe per entrare nel Präsidium, il nucleo esecutivo del partito, e vince; poi nel luglio 2015 diventa viceministro delle Finanze. Schietto e diretto – anche se nel partito non manca chi lo considera arrogante –, il viceministro si è mostrato critico sulla politica delle porte aperte promossa da Merkel, sostenendo la necessità di una linea più rigida e rilevando – dopo i primi preoccupanti risultati delle regionali di marzo – che il partito aveva commesso degli errori, confondendo gli elettori.
Contrario al burqa e sostenitore di politiche più ‘decise’ perché i migranti possano adattarsi rapidamente alla nuova società in cui vivono, Spahn è un convinto sostenitore della tolleranza, ritenendo però non negoziabili i valori essenziali della Germania: questo perché, ha detto, «non voglio subire ulteriori attacchi e insulti quando passeggio mano nella mano con il mio compagno». Il viceministro è infatti dichiaratamente omosessuale, ma questo – precisa – non ha nulla a che vedere con lo ‘Spahn politico’: un conservatore che, orientando più a destra il partito di quanto non lo sia con Merkel, vuole giocarsi le sue carte. Forse non ora, ma presumibilmente in vista delle elezioni del 2021.