La rappresentazione visiva della musica romana
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel mondo romano la presenza della musica caratterizza quasi tutte le occasioni pubbliche. Diversi tipi di trombe in bronzo compaiono in scene legate alla vita militare (battaglie, lustrationes, trionfi) e al mondo dello spettacolo (combattimenti dei gladiatori). La musica è elemento insostituibile durante i riti religiosi, ai quali presenziano suonatori di tibiae e di cetra. Talora la presenza di elementi musicali si carica di valenze simboliche e significati politici, come nel caso del tema dell’Apollo citaredo, che con Augusto diventa nume tutelare dell’impero. Strumenti musicali rientrano anche nell’iconografia di altre divinità di origine orientale, come Dioniso, Cibele e Iside.
Fin dall’età repubblicana, numerosi monumenti ricordano vittoriosi eventi militari in cui si sono distinti generali e magistrati. Le immagini mostrano che, nelle scene che espongono temi legati al mondo della guerra, gli strumenti più spesso illustrati sono diversi tipi di trombe di bronzo, soprattutto la tuba, dal canneggio dritto terminante con un padiglione; e il corno (cornu), dal lungo e sottile tubo ritorto, la cui impugnatura è facilitata da una traversa di legno. Talora tuba e cornu compaiono nella rappresentazione delle battaglie, più spesso nelle scene di purificazione dell’esercito e dell’accampamento (lustratio), e nella processione trionfale (triumphus).
Nella colonna traiana, ad esempio, sono presenti diverse scene di lustratio: in una in particolare è illustrata la processione che conduce le vittime sacrificali, un maiale, un ariete e un toro (suovetaurilia), che si svolge alla presenza di tre suonatori di tuba (tubicines) e tre di cornu (cornicines) che soffiano vigorosamente nei loro strumenti.
Per quanto riguarda le processioni in cui il generale vittorioso entra in città passando sotto l’arco trionfale, esibendo i bottini riportati dalle terre conquistate, è famosa quella rappresentata sull’arco di Tito, in cui, tra le spoglie del tempio di Gerusalemme, compare anche il candeliere a sette bracci (Menorah). Durante il trionfo il ritmico e ripetitivo motivo dell’“Io, Triumphe!”, intonato dai soldati, è inframmezzato da canti al contempo di elogio e derisione (carmina triumphalia) nei confronti del generale trionfatore (M. P. Guidobaldi, Musica e danza, 1992, pp. 15-17).
I testi e le immagini raccontano che un altro tipo di processione, quella funebre, prevede la partecipazione di musicisti che suonano strumenti a fiato di bronzo (aenatores). La presenza della musica durante il funerale avrebbe una funzione complessa e diversificata in relazione agli strumenti musicali usati: il suono delle tibiae (corrispettivo romano degli auloi), con cui sono accompagnate le lamentazioni funebri (neniae), contribuirebbe a elaborare il lutto e a placare gli animi, nonché a isolare in qualche modo il luogo in cui si sta celebrando il funerale e a segnalare ai passanti che la casa accanto a cui si trovano è stata contaminata dalla morte. Le trombe di bronzo invece, insieme con le tibiae, scandiscono l’incedere del corteo funebre, in particolare quello delle persone più in vista. Oltre a questi tipi di trombe che i Romani ereditano dalla tradizione etrusca, abbiamo notizia anche della karnyx, la tromba gallica che si suona verticalmente, con padiglione a forma di testa di drago con le fauci spalancate. Nell’iconografia romana questo tipo di tromba viene spesso usato per identificare le popolazioni galliche, come appare nelle panoplie dell’Arco di Orange (49 a.C.), o nella personificazione delle Gallie, rappresentata tra gli altri popoli sottomessi dai Romani nella corazza dell’Augusto di Prima Porta (fine I sec. a.C.).
Per le loro caratteristiche sonore, le trombe di bronzo sono usate anche durante i giochi nell’arena, soprattutto spettacoli dei gladiatori: le scene mostrano, accanto a tuba e cornu, anche la presenza dell’hydraulus, un tipo di organo ad acqua, suonato spesso da donne. Nell’antica Budapest (Aquincum), Aelius Justus, arruolato come organista presso la II legione col compito di intrattenere i soldati, ricorda in un’iscrizione la cara moglie Sabina che, istruita nelle arti, capace di cantare e di suonare gli strumenti a corda, si esibiva in gradevoli concerti suonando l’organo idraulico (Corpus Inscriptionum Latinarum III 10501).
I riti religiosi durante le cerimonie pubbliche si svolgono alla presenza del suonatore di tibiae, il tibicen, musicista sacro per eccellenza che è tenuto ad assistere sempre ai sacrifici, in quanto assicura la corretta e regolare esecuzione del rituale. La presenza dei tibicines durante i sacrifici, già conosciuta nel mondo greco ed etrusco, acquisisce nel mondo romano una particolare importanza, attestata anche dal fatto che essi erano riuniti in una antichissima corporazione (collegium tibicinum), la cui fondazione viene fatta risalire addirittura ai tempi di Numa Pompilio. La musica delle tibiae non ha semplicemente un generico ruolo di accompagnamento, ma le si attribuisce la funzione di isolare il rito dai rumori provenienti dall’esterno, facendo in modo che il sacrificio abbia un esito positivo. Dalla fine dell’età repubblicana, al tibicen si affianca talora il suonatore di cetra (fidicen), come si può vedere in alcuni esempi del I secolo, ad esempio l’altare di Domizio Enobarbo o alcune monete di Domiziano.
Rimanendo in tema religioso, nel mondo romano elementi musicali compaiono anche nell’iconografia di alcuni dèi. Dall’età augustea sono frequenti le rappresentazioni di Apollo, divenuto la divinità ufficiale dell’impero, in linea con l’affermarsi di un programma di moralizzazione e di ripristino dell’ordine e della tradizione religiosa (pietas). Dedicandogli un grande tempio sul Palatino (28 a.C.), Augusto celebra solennemente quel dio che considera suo protettore e il cui aiuto è stato determinante nel conseguimento delle vittorie su Pompeo, ma soprattutto su Antonio, nella battaglia di Azio. “Poi, effigiato tra la madre e la sorella, lo stesso dio pitico in una lunga veste intona il canto”: questi versi di Properzio si riferiscono forse all’immagine del dio all’interno del tempio (2, 31, 15-16) che doveva essere così rappresentato come un citaredo vestito di peplo, simile forse all’Apollo Barberini.
La presenza dello strumento musicale al posto dell’arco, tradizionalmente attribuitogli, sottolinea ed enfatizza il nuovo ruolo di Apollo non più come arciere vendicatore, ma piuttosto come dio di pace, di conciliazione e di cultura: “ho cantato già abbastanza la guerra: Apollo vincitore chiede la cetra, e si spoglia delle armi per i placidi cori” (Properzio, 4, 6, 74-75). Anche alcuni miti greci sono riproposti in chiave di propaganda politica: la gara musicale tra Apollo e Marsia, rappresentata in una famosa corniola incisa da Dioscuride, non significa solo la superiorità della musica della cetra su quella degli strumenti a fiato, ma allude anche agli avvenimenti di Azio, la vittoria di Augusto-Apollo su Marsia e sul mondo dionisiaco prediletto da Antonio.
Se la propaganda augustea fa di Apollo la divinità ufficiale dell’impero, al contrario i temi, gli oggetti e gli strumenti musicali che caratterizzano le divinità orientali, soprattutto Dioniso, sono presenti nell’arte privata in modo capillare, anche come semplice tema decorativo. I soggetti legati al mito che i Romani ricchi e colti commissionavano per le loro case o per gli oggetti di uso personale, richiamando citazioni e suggestioni letterarie e mitologiche del mondo greco, riflettono così la cultura raffinata dei committenti. Dei temi dionisiaci si evidenzia la valenza misterica del culto del dio, il riferimento alla vita ultraterrena destinata agli iniziati: gli strumenti musicali che compaiono sono quelli tradizionalmente considerati dionisiaci, come il timpano (tympanum) e le tibie (tibiae), soprattutto in scene di sacrificio davanti ad altari; ma anche la syrinx, uno strumento legato al mondo pastorale. Anche la lira compare con una certa frequenza in questi contesti, benché non caratterizzata come strumento dionisiaco, né pastorale, ma piuttosto come generica allusione alla musica.
Il culto di Cibele, una antica divinità frigia della vegetazione e della fecondità, si diffonde molto rapidamente a Roma, anche se, prevalentemente riservato ai liberti e alle persone di bassa condizione, è considerato secondario rispetto alle divinità del pantheon romano. La statua cultuale nel tempio fatto erigere da Augusto sul Palatino, non in marmo, come quello di Apollo, ma in tufo, rappresenta Cibele seduta accanto ad un leone, simbolo della natura selvaggia, con la corona turrita sul capo e il timpano in mano. Così Catullo descrive l’episodio di Attis, che, fatto impazzire dalla dea, sacrifica i genitali e, prima di essere trasformato in pino, incita le menadi: “seguitemi al tempio di Cibele, ai boschi frigi della dea, dove risuona la voce dei cimbali, dove rimbombano i timpani, dove il tibicen frigio emette cupi suoni dalla canna ricurva, dove le menadi coronate d’edera agitano con forza il capo, dove esse celebrano sacre orge con squillanti ululati, dove di solito volteggia l’errabondo corteo della dea, dove ci conviene andare veloci con impetuose danze” (63, 20-26). Anche i sacerdoti della dea fanno risuonare questa specie di tamburello, insieme con cimbali e auloi frigi (un tipo di strumento in cui uno dei tubi è dritto e l’altro termina con un padiglione ritorto all’indietro), nelle cerimonie in suo onore previste durante i Ludi Megalenses, le feste a lei dedicate che si svolgono ogni anno a Roma.
Quando, dopo la battaglia di Azio, l’Egitto diventa provincia romana, il culto di Iside si diffonde in tutte le province dell’impero, e con esso anche il sistro usato nei rituali in onore della dea. Virgilio lo considera egizio per eccellenza, come nel passo in cui, descrivendo la battaglia di Azio rappresentata sullo scudo di Enea, racconta di Cleopatra che incita le truppe con il “patrio sistro” (Eneide, 8, 696). Nelle immagini questo strumento, formato da un telaio a forma di ferro di cavallo nel quale sono inserite trasversalmente tre o più barrette mobili ripiegate alle estremità, compare sempre in riferimento all’Egitto, sia come attributo di Iside, sia nella personificazione dell’Egitto stesso.