di Franco Bruni
Fra le cause della crisi internazionale iniziata nell’estate del 2007 vi sono gravi carenze della vigilanza sui rischi assunti dagli operatori finanziari. In particolare, si sono trascurati i ‘rischi sistemici’, cioè quelli che originano non tanto dalle esposizioni individuali di banche o investitori, ma dal loro intreccio, che rende interdipendenti le condizioni di liquidità e solvibilità degli operatori in tutto il mondo. È stata inoltre sottovalutata la ‘pro-ciclicità’ dei rischi di credito, che vengono assunti più facilmente quanto più il ciclo dell’economia e del credito è positivo, favorendo l’ulteriore rigonfiamento del ciclo, salvo poi far danni quando il ciclo si inverte; allora la propensione degli investitori ad assumere rischi si contrae improvvisamente, peggiorando la caduta ciclica. Un altro aspetto trascurato è stato l’incentivo all’assunzione di eccessivi rischi, da parte di banche e investitori, creato da politiche monetarie troppo espansive, con tassi di interesse troppo bassi.
La crisi ha dunque ispirato, soprattutto negli USA e in Europa, riforme importanti dell’architettura della vigilanza finanziaria, miranti a renderla: più severa ed efficiente; attenta ai ‘rischi sistemici’; capace di limitare la pro-ciclicità del credito; coordinata con la politica monetaria delle banche centrali.
Negli USA il provvedimento principale è stato il Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act del 2010. Esso rimedia un poco alla confusione delle numerose autorità di vigilanza esistenti, che duplicano inutilmente i controlli mentre lasciano gravi lacune. La Banca centrale assume responsabilità di vigilanza più precise e rilevanti e collabora con un nuovo organo che vigila i rischi sistemici e aiuta a correggere per tempo la pro-ciclicità del credito. Nell’Unione Europea (EU) la riforma è stata ancor più radicale: per la prima volta sono state create, a partire dal gennaio 2011, autorità di vigilanza sovranazionali, con personalità giuridica, possibilità di deliberare a maggioranza e il compito di rendere omogenei e collaborativi i criteri di vigilanza delle autorità nazionali. Come negli USA, è stato costituito un organo per monitorare i rischi sistemici e suggerire misure di contrasto della pro-ciclicità, collocato presso la Banca centrale europea e presieduto dal suo stesso presidente. Un organo analogo è stato costituito a fianco della Banca d’Inghilterra. C’è stato dunque dappertutto uno storico avvicinamento fra le responsabilità di politica monetaria e quelle di vigilanza finanziaria.
Le riforme dovrebbero migliorare la circolazione delle informazioni e i controlli sui rischi finanziari, sia all’interno degli USA che in Europa, superando l’opacità che deriva dal particolarismo burocratico delle molteplici autorità e dal favore nazionalistico che le autorità nazionali tendono a concedere agli operatori della loro piazza, fino al punto di ‘chiudere un occhio’ su irregolarità e pericoli che possono creare danni internazionali.
L’idea è che l’architettura dei poteri di vigilanza finanziaria debba diventare globale, perché globalmente integrati sono i mercati finanziari e i rischi che assumono le banche e gli investitori. Occorre dunque che funzionino le misure adottate sui due lati dell’Atlantico e che il tutto converga in un coordinamento mondiale della vigilanza. Quest’ultimo passo è difficile. Ma lo si sta facendo, fin da quando il G20 ha cominciato a dettare i principi generali per riformare le regole e la vigilanza finanziarie mondiali dopo la crisi. Per questo coordinamento globale, il G20 si serve di un organo tecnico che assume crescente importanza: il Financial Stability Board. Questa architettura globale di vigilanza, anche per coordinarsi con le politiche monetarie, si connette al lavoro del Fondo monetario internazionale, (IMF) del quale si attende peraltro una riforma che ne aggiorni e ne potenzi il mandato e la governance.
La crisi ha dunque avviato profonde modifiche della geopolitica della vigilanza finanziaria, che dovranno esser completate nei prossimi anni.