La Rivoluzione scientifica: i domini della conoscenza. La sostanza e il dogma dell¿Eucaristia
La sostanza e il dogma dell’Eucaristia
La concezione ilemorfica aristotelico-tomistica considera il corpo naturale un composto di materia e forma, di sostanza e accidenti, e costituisce la base dottrinale della spiegazione tomistica, accolta dal Concilio di Trento, del dogma della transustanziazione. Sancito dal IV Concilio Lateranense nel 1215, il dogma stabilisce che nel pane e nel vino consacrati i fenomeni sensibili (colore, odore e sapore) rimangono identici, mentre sono le sostanze a subire un cambiamento radicale. La Chiesa intervenne diverse volte condannando ogni singola tesi che non presupponesse la spiegazione ortodossa dell’Eucaristia, fino ad affermare, nella XIII sessione del Concilio di Trento, l’idea tomistica della transustanziazione.
La concezione atomistica e quella cartesiana della materia, opposte all’ilemorfismo, avevano da un punto di vista teorico delegittimato le idee di matrice aristotelico-scolastica di ‘forma sostanziale’ e di ‘accidente reale’. Il concetto di corpo naturale costituito da una materia prima cui è impressa la forma sostanziale, e al quale aderiscono gli accidenti, è incompatibile con quello di corpo naturale costituito da atomi o da corpuscoli, dai quali derivano le ‘qualità primarie’ e le ‘qualità secondarie’, e con quello di sostanza come pura estensione. Queste concezioni vennero a scontrarsi con il dogma della transustanziazione, fondamento della fede cattolica, in quanto conseguenza necessaria della fede nella presenza reale di Cristo nel sacramento eucaristico.
All’autorità ecclesiastica che nel 1616 aveva giudicato temerarie e pericolose le opere di Galilei, poiché sostenevano, tra l’altro, la tesi dell’identificazione di sostanza e quantità, non sfuggirono le problematiche teologiche implicite nella concezione cartesiana dell’estensione. Nel maggio del 1647, infatti, l’Università di Caen emanò un documento in cui le idee a fondamento del sistema cartesiano erano definite come saniori theologorum doctrinae contraria. Nel 1663 l’opera di Descartes fu messa all’Indice. Le motivazioni della condanna – come si evince dai documenti della Facoltà delle arti dell’Università di Lovanio e da quelli, recentemente ritrovati, dell’Archivio della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede – pur essendo state ritenute di carattere ‘essenzialmente filosofico’, riguardano la dottrina fisica cartesiana dell’Eucaristia, e dunque le problematiche che scaturiscono dalla negazione degli ‘accidenti reali’, ivi inclusa la quantità.
L’idea cartesiana di ‘quantità’, posizione non ortodossa per eccellenza, è espressa nella seconda parte dei Principia. Avendo stabilito che «l’estensione in lunghezza, larghezza e profondità costituisce la natura della sostanza corporea», Descartes, a proposito del problema della condensazione e rarefazione dei corpi, afferma che esse sono attribuibili a un cambiamento non della qualità, ma della figura del corpo e, a sostegno di ciò, adotta l’esempio della spugna le cui parti, una volta immersa nell’acqua, si dispongono secondo intervalli maggiori.
Lo scontro dottrinale investe, dunque, il cuore del sistema filosofico in quanto la sostanza materiale (estensione) è connotata unicamente da attributi quantitativi come la dimensione e il numero, a differenza della dottrina peripatetica in cui l’idea di sostanza era distinta da quella dei suoi attributi sensibili: come spiega Tommaso d’Aquino nella Summa theologica, «il Corpo di Cristo è presente nel sacramento per modum substantiae e non per modum quantitatis» (III, q. 76, art. 1). Il miracolo della transustanziazione è, infatti, comprensibile soltanto qualora si consideri la materia scindibile dalla sua estensione, e dunque dalla sua quantità, e gli accidenti si intendano separabili dalla sostanza.
A partire dal Medioevo si assiste a numerose dispute di carattere dottrinale intorno al problema del modo in cui si produce la transustanziazione – annichilazione o conversione della sostanza originaria in corpo e sangue di Cristo – risalente a Giovanni Duns Scoto (1266 ca.-1308), ma con precedenti sin dall’XI sec., e al proliferare di diverse concezioni filosofiche che risultano inconciliabili con il dogma, come quella di Berengario di Tours, il quale affermò che la sostanza del pane e del vino continuava a esistere dopo la transustanziazione, o quella espressa da Guglielmo di Ockham nel Tractatus de sacramento altaris, in cui si sostiene l’identificazione tra sostanza e quantità e si considerano gli accidenti eucaristici come realtà identificabili con la sostanza o, ancora, quelle che portarono alle feroci condanne comminate a John Wyclif e Jan Hus. Ma è soltanto dopo che Francisco Suárez, all’interno della trattatistica teologica ortodossa del XVII sec., ebbe elaborato una dottrina eucaristica che presentava delle varianti rispetto alla spiegazione del dogma comunemente adottata che il problema riemerse in tutta la sua portata nelle puntuali obiezioni di Antoine Arnauld a Descartes.
Nella conclusione delle Quartae objectiones alle Meditationes de prima philosophia (1641) di Descartes, Arnauld identifica con chiarezza le conseguenze, di natura teologica, della negazione delle qualità sensibili – estensione, figura, colore, odore, sapore – alla base della teoria della percezione cartesiana che considera la superficie dei corpi come punto di partenza di tutti i movimenti che colpiscono i nostri sensi. Il filosofo, nella sua risposta al giovane teologo Arnauld, dichiarando l’impossibilità di potersi convincere riguardo alla dottrina degli accidenti reali, afferma che a suo avviso la superficie del pane consacrato a contatto con il nostro corpo non è che il termine medio che si frappone tra ciascuna delle particelle di cui si compone il corpo e gli altri corpi che lo circondano, e pertanto non costituisce la sostanza, né la quantità del pane. La risposta di Descartes alle obiezioni che riguardavano il dogma dell’Eucaristia riuscì a soddisfare Arnauld, perché seppe mirabilmente conciliare l’impossibilità di distinguere gli accidenti dalla sostanza con il dogma in questione. Successivamente, però, il teologo ritornò su tale problema chiedendo una spiegazione relativa alla mancanza di estensione locale del corpo di Cristo nel sacramento: Descartes decise di non affrontare un problema così strettamente teologico sul quale neppure il Concilio di Trento aveva stabilito nulla.
Oltre al dibattito con Arnauld, il problema si presenta nuovamente in diverse lettere di Descartes a Mersenne e nella celebre lettera a Pierre Mesland del 9 febbraio 1645 (?) in cui nella spiegazione del dogma fa uso di un linguaggio del tutto nuovo. Utilizzando il modello alimentare, infatti, Descartes perviene a una spiegazione del dogma dell’Eucaristia ancora una volta eterodossa: come i cibi si integrano nel nostro corpo, così le particelle del pane e del vino si mescolano con il corpo e il sangue di Cristo in virtù delle parole pronunciate durante la consacrazione, permanendo, quindi, nell’ostia e nel vino.
Il tentativo cartesiano di spiegare la transustanziazione e di conciliare la nuova concezione della materia con il dogma eucaristico non ebbe fortuna: secondo le tesi ortodosse, ribadite in via definitiva dal Concilio di Trento, lungi dal permanere nell’ostia consacrata, il pane e il vino dovevano subire un cambiamento radicale per non incorrere nell’eresia della consustanziazione, il terribile errore di Berengario e di Ockham prima, e in seguito di Lutero e di Descartes.
Arnauld, Quartae objectiones
«Prevedo però che ciò che offenderà di più i Teologi è che, secondo le convinzioni dell’Illustre Uomo, non possano restare salve ed integre le cose che la Chiesa insegna, sui sacrosanti misteri dell’Eucaristia.
Noi crediamo per fede che, tolta dal pane Eucaristico la sostanza del pane, rimangano in esso i soli accidenti: ora questi sono l’estensione, la figura, il colore, l’odore, il sapore e tutte le altre qualità sensibili.
L’Illustre Uomo ritiene che non ci siano qualità sensibili, ma solo vari movimenti dei corpuscoli che sono vicini a noi, per mezzo dei quali percepiamo le impressioni diverse che poi chiamiamo coi nomi di colore, di sapore, di odore. Restano, dunque, la figura, l’estensione, il movimento. L’Autore nega però che si possano intendere queste facoltà senza una sostanza alla quale ineriscano e che pertanto possano esistere senza la sostanza; il che ripete anche nella risposta al Teologo.
Riconosce poi tra quelle affezioni e la sostanza solo una distinzione ‘formale’, che non sembra sufficiente, perché le cose così distinte siano separate l’una dall’altra anche da Dio» (Descartes, Meditationes, in OF, I, pp. 796-797).
Descartes, Quartae responsiones
«Infine si deve notare che per superficie del pane o del vino o di altro corpo qui non si intende una qualche parte della sostanza e neppure della quantità dello stesso corpo e neanche una parte dei corpi che la circondano, ma soltanto quel termine che si concepisce stia tra le singole particelle di questo corpo ed i corpi che le circondano e che non ha entità, se non modale.
Poiché il contatto avviene solo in questo termine e non si percepisce nulla se non per contatto, è manifesto che dal semplice fatto che le sostanze del pane e del vino si dice che cambino nella sostanza di qualche altra cosa, in modo tale che questa nuova sostanza sia contenuta del tutto negli stessi termini entro i quali erano prima contenute le altre, o che esista proprio nello stesso luogo nel quale prima esistevano il pane e il vino o, piuttosto (poiché i loro termini si muovono continuamente), nel quale esisterebbero se fossero presenti, segue necessariamente che questa nuova sostanza deve influenzare tutti i nostri sensi proprio nello stesso modo nel quale il pane e il vino li influenzerebbero, se non fosse avvenuta la transustanziazione [...].
Infine, non si possono supporre come reali gli accidenti senza che al miracolo della transustanziazione, che si può ricavare solo dalle parole della consacrazione, non se ne aggiunga, senza necessità, uno nuovo e invero incomprensibile, per mezzo del quale questi accidenti reali esistano senza la sostanza del pane in modo da non divenire tuttavia essi stessi sostanze; il che è contrario non solo alla ragione umana, ma anche agli assiomi dei Teologi, i quali sostengono che queste parole della consacrazione non producono altro che quel che significano, e le cose che possono essere spiegate attraverso la ragione naturale non vogliono che siano attribuite a miracolo» (ibidem, p. 808).
Descartes a Jacques Dinet, maggio 1642
«Per quel che riguarda la Teologia, posto che una verità non può mai esser contraria ad un’altra, sarebbe empietà temere che le verità scoperte in Filosofa fossero contrarie a quelle della fede: affermo anzi senza riserve che non v’è insegnamento della nostra religione che non possa spiegarsi con uguale facilità, o persino ancora più agevolmente, seguendo i miei principî, che non quelli comuni; di ciò mi par di aver già dato un esempio sufficientemente chiaro alla fine della mia risposta alle quarte obiezioni» (OF, II, pp. 15-16).
Descartes a Pierre Mesland, 9 febbraio 1645(?)
«Inoltre, ritengo che quando noi mangiamo pane e beviamo vino, le particelle di questo pane e di questo vino si disciolgano nel nostro stomaco, da lì scorrano subito nelle nostre vene e soltanto a questo punto si mescolino con il nostro sangue, subiscano una transustanziazione naturale e diventino parti del nostro corpo; benché se noi avessimo la vista tanto penetrante da distinguerle da tutte le altre particelle del sangue, vedremmo che esse rimangono dello stesso numero che precedentemente componeva il pane e il vino; in maniera che, se non ponessimo attenzione alla loro unione con l’anima, le potremmo chiamare pane e vino come prima. Questa transustanziazione, dunque, si fa senza miracolo» (AT, IV, p. 172).
Si veda anche La Rivoluzione scientifica: i domini della conoscenza. Corpi, materia e spazio