La scienza in Cina: epilogo. La scienza nella Cina premoderna: un'analisi comparativa
La scienza nella Cina premoderna: un'analisi comparativa
Le indagini scientifiche condotte in Cina nel corso dei molti secoli che dividono l'Età degli Stati combattenti da quella moderna hanno riguardato un'ampia gamma di argomenti. Gli studi relativi alle diverse fasi di questo lungo periodo hanno interpretato in modo profondamente diverso il loro lavoro, si sono prefissati scopi differenti, hanno adottato metodi di indagine ben distinti, ottenendo risultati dei generi più diversi. Non è quindi il caso di tentare un esame dell'insieme di questi straordinari sforzi attraverso descrizioni di carattere generale; in questa sede vogliamo invece proporre alcune considerazioni che l'esperienza cinese suggerisce per quel che riguarda la storiografia della scienza. È lecito presentare la storia della scienza come una disciplina unitaria? Quali sono le condizioni di cui deve tener conto la storia comparativa della scienza? E che cosa possiamo sperare di apprendere dalle indagini comparative condotte nel rigoroso rispetto di tali condizioni?
La nostra analisi è imperniata su cinque questioni fondamentali. Esamineremo in primo luogo il problema delle differenti modalità di sviluppo della scienza nelle diverse società premoderne, evidenziando la specifica importanza del lavoro svolto dai Cinesi, soprattutto per quel che riguarda i tentativi di classificazione dell'insieme delle scienze e delle singole discipline. Questo discorso ci condurrà ad affrontare la seconda questione: in quale misura oggi possiamo comprendere queste differenze? Quali tipi di fattori esplicativi devono essere impiegati e a quali limitazioni sono soggetti i tentativi di spiegazione in questo campo? In terzo luogo, affronteremo il problema relativo alla possibilità di intraprendere indagini comparative e alle circostanze in cui queste devono essere condotte. Naturalmente, l'individuazione di differenze fondamentali tra le società e i periodi presi in esame rischia di invalidare la tesi secondo cui è possibile richiamarsi a una categoria onnicomprensiva, più o meno etichettabile con il termine 'scienza', alla quale ricondurre tutte le indagini a confronto. In quarto luogo, prenderemo in esame il tema delle modalità di conduzione delle indagini comparative. Infine, nell'ultima parte della nostra analisi, indicheremo le conclusioni che possiamo sperare di trarre da questo piano di lavoro e le sue prospettive future.
1. Il primo problema che ci troviamo ad affrontare riguarda le differenti forme che l'indagine scientifica sembra assumere nelle diverse società premoderne. Si potrebbe sostenere, in modo aprioristico, che un'indagine considerata scientifica non dovrebbe diversificarsi a seconda delle culture e dei periodi in cui è stata condotta. Secondo questa tesi, i risultati dell'applicazione di un corretto metodo scientifico, o almeno di un approccio veramente scientifico, dovrebbero essere sempre e dovunque gli stessi. Tuttavia, a nostro parere, la scienza non può e non deve essere definita soltanto in termini di risultati ottenuti ‒ dal momento che essi sono sempre soggetti a revisione ‒, ma anche e soprattutto in base all'obiettivo che si propone, ossia, in termini generali, la comprensione dei fenomeni. Naturalmente, se la scienza si riducesse a una questione di risultati, non avrebbe senso alcuna comparazione. In questo caso, l'esame delle diverse tradizioni servirebbe unicamente a stabilire la relativa rapidità o facilità con cui si è riusciti a giungere a queste conclusioni predeterminate. Esaminando la scienza in termini di obiettivi, si può invece iniziare a indagare su ciò che in un dato periodo era considerato conoscenza, sui criteri adottati per valutare le tesi a essa relative e a esaminare più a fondo i criteri di selezione dei fenomeni considerati più importanti, cioè il modo in cui erano definite le aree d'indagine delle diverse discipline.
È sufficiente conoscere a grandi linee le indagini dedicate al mondo fisico in alcune società premoderne per rendersi conto della grande diversità dei concetti e delle teorie impiegati, dei metodi applicati e soprattutto dei modi in cui erano definite le stesse aree d'indagine. È pur vero che questa diversità tende a essere in gran parte occultata dalla storia della scienza che utilizza categorie convenzionali a noi più familiari. I lettori delle opere storiche di tradizione occidentale sono informati sulle tipologie di 'astronomia', di 'matematica', di 'fisica', di 'anatomia', di 'fisiologia', di 'zoologia', di 'botanica' e di 'medicina' praticate in Cina, a Babilonia, in Egitto, in India e nell'antica Grecia, anche se l'uso di questi termini in riferimento alle indagini effettivamente condotte in queste aree appare decisamente problematico.
Nella maggior parte dei casi, i termini usati nelle lingue europee derivano dal greco, ma il significato degli originali greci spesso non corrisponde a quello dei loro equivalenti moderni. A questo punto, facciamo una breve digressione per chiarire la questione e dissipare le illusioni suscitate dall'idea che la scienza cinese sia del tutto peculiare o particolarmente 'svantaggiata' a causa della profonda diversità delle mappe concettuali delle discipline in essa incluse. A tal fine, ci sembra opportuno evidenziare tre aspetti dell'uso del termine greco physikḗ, da cui deriva il moderno 'fisica'. In primo luogo, bisogna precisare che questo vocabolo era usato in riferimento a tutta la Natura, inclusi gli animali e le piante: esso, infatti, derivava dal termine phýsis, impiegato soprattutto nell'accezione di 'Natura'. In secondo luogo, ricorderemo che questo termine iniziò a essere utilizzato in funzione polemica ‒ si trattava più di un'invenzione che di una scoperta ‒ dai cosiddetti filosofi della Natura o physikói per definire i temi di loro competenza: intendevano in questo modo mettere in luce il dilettantismo dei saggi, dei profeti e dei poeti, accusati di far ricorso a quello che poteva essere definito il 'sovrannaturale'. Questi attribuivano infatti all'intervento delle divinità una serie di fenomeni, come, per esempio, i terremoti, i fulmini o le malattie che, secondo i filosofi della Natura, rientravano chiaramente nella categoria dei fenomeni naturali. In terzo luogo, per difendere la loro concezione della physikḗ, gli autori dei trattati dedicati a questo tema, come Aristotele, si occupavano estesamente di quelli che oggi definiremmo problemi filosofici, connessi al concetto di causalità e alle nozioni di infinito, spazio, tempo, ecc. Il termine greco physikḗ non evoca quindi in alcun modo il lavoro svolto nei moderni laboratori di fisica.
Lo stesso vale per il termine da cui ha avuto origine il moderno 'matematica'. Il vocabolo greco mathēmatikḗ deriva dal verbo manthánein, che indica l'apprendimento inteso in senso generale. L'antico vocabolo greco mathēmatikḗ era impiegato in riferimento non soltanto agli studi matematici di Euclide e di Archimede, ma anche a una serie di ricerche relative ad altre aree di indagine, come, per esempio, quelle dell'astrologia e dell'astronomia.
Entrambi questi termini hanno antecedenti greci e latini, il loro uso corrente nell'Antichità non corrisponde però alla contrapposizione che siamo soliti riconoscere tra queste due discipline. Tuttavia, nel II sec. d.C., Tolomeo operò una chiara distinzione tra lo studio del moto dei corpi celesti e le ipotesi relative alla loro influenza su ciò che si verifica sulla Terra, ritenendo di aver definito in tal modo due diversi metodi di predizione.
Non bisogna dimenticare che le definizioni delle discipline studiate dai Cinesi e le loro relazioni reciproche sono completamente diverse sia dalle classificazioni moderne, sia da quelle elaborate nell'antica Grecia, come dimostra il caso del dili (v. Dorofeeva-Lichtmann, cap. XVI). Molti studiosi moderni hanno tentato senza successo di rintracciare l'esistenza della scienza della geografia nella Cina premoderna, ma a causa delle loro aspettative riguardo al contenuto di questa disciplina, spesso hanno sottovalutato il vasto materiale incluso nella tradizione dei trattati dedicati al dili e al zhou jun contenuti nelle storie dinastiche. Queste modalità di approccio in gran parte si sovrappongono, anche se, come suggeriscono i loro nomi, la prima tende a porre in risalto l'organizzazione terrestre e la seconda a conferire un maggior rilievo alle unità amministrative. Come sostiene Dorofeeva-Lichtmann, la scelta dell'una o dell'altra rifletteva la situazione politica ‒ di relativa unità o al contrario di disgregazione ‒ in cui si trovava il paese nel periodo in cui i trattati erano composti.
A prescindere dalla validità di tale tesi, bisogna riconoscere che questi trattati contengono un gran numero di materiali estremamente importanti dal punto di vista politico ‒ relativi alla popolazione, alla salute, alle tasse e alle comunicazioni ‒, che riflettono il pensiero cosmologico (soprattutto per quel che concerne le corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo, e i parallelismi individuabili tra le mappe del cielo e quelle della Terra) e contengono descrizioni molto dettagliate delle caratteristiche delle varie regioni e dei costumi dei loro abitanti. È evidente quindi che tali trattati non possono essere etichettati come semplici prodotti dell''ideologia' (benché contengano alcuni elementi di carattere ideologico). Essi, tuttavia, non possono neppure essere ricondotti alla scienza della 'geografia' (pur riconoscendo a questo termine un significato molto più ampio di quello che a essa viene comunemente attribuito). Comunque, la discordanza tra le categorie cinesi e quelle occidentali, qui come in altri casi, non deve essere interpretata in senso negativo, come presunta deficienza della geografia cinese premoderna, ma in senso positivo, come riconoscimento dell'importanza del dili e della necessità di esaminare il tema nei suoi termini per esplorarne il contenuto.
Queste osservazioni valgono anche per alcuni termini generici impiegati nelle classificazioni cinesi concernenti gruppi di discipline connesse tra loro. Si pensi all'estensione del campo d'indagine dello shushu ('calcoli e metodi') nel periodo Han, nel corso del quale i lavori di Liu Xiang e di Liu Xin esercitarono una profonda influenza. Lo shushu era diviso in sei sottogruppi: (1) tianwen (astronomia, cataloghi stellari, meteoromanzia); (2) lipu (sistemi calendaristici, trattati di armonia, genealogie, studio dello gnomone e trattati sui calcoli); (3) wuxing (Cinque fasi, che includevano l'astrologia calendaristica e l'emerologia sessagesimale); (4) shigui (divinazione attraverso gli steli di achillea e i gusci di tartaruga); (5) zazhan (raccolta di procedimenti diversi destinati alla formulazione di pronostici, che comprendeva la divinazione attraverso i sogni, gli auspici e i rituali); (6) xingfa (la morfoscopia, che includeva la geografia simbolica, la topomanzia e la fisiognomica).
Tra queste categorie e quelle che oggi saremmo portati a utilizzare vi è una manifesta discordanza. La divinazione, che compare in diversi sottogruppi dello shushu, è menzionata anche in altre categorie. Lo stesso Classico dei mutamenti (Yijing) e gli scritti relativi alla sua interpretazione non rientrano nella categoria dello shushu, ma in quella dei Classici. I pronostici militari sono menzionati tra le opere dedicate allo yin-yang. Non si può neppure affermare che tutte le materie elencate nella categoria dello shushu includano elementi di divinazione, dal momento che questi ultimi spesso non figurano nei cataloghi stellari e nei trattati di armonia.
È importante poi osservare che il wuxing costituisce un sottogruppo a parte. Da una prospettiva comparativa, è sorprendente constatare che le idee relative alle Cinque fasi costituiscono la sola opzione per la discussione di problemi fisici. Vi era, naturalmente, un gran numero di varianti nelle elaborazioni dettagliate delle corrispondenze delle Cinque fasi, ma questa dottrina non si contrapponeva alle altre teorie, contrariamente a quanto accadeva nell'antica Grecia, dove le teorie atomiste entrarono in competizione con quelle del continuo. Il wuxing non entrava in conflitto con altre dottrine anche radicalmente diverse, ma forniva un linguaggio comune all'interno del quale potevano essere elaborate e sviluppate numerose varianti.
La stessa classificazione Han, peraltro, subì modifiche sostanziali nel XII sec. e poi, in modo ancor più netto, nel XVIII secolo. In questo periodo, come riflesso di un profondo cambiamento di prospettiva, lo shushu entrò in contrasto con il tianwen suanfa: a partire da questo momento, l'astronomia e la matematica saranno ricondotte a quest'ultima categoria, mentre lo shushu finirà per includere soltanto le materie relative alla divinazione. Anche il caso dei biji (v. Fu Daiwie, cap. XXXII) può essere considerato un chiaro esempio dei cambiamenti intervenuti nel corso del tempo e delle modalità di sviluppo di una categoria che non coincide con i confini convenzionali stabiliti in Occidente.
Dal momento che era utilizzata per scopi bibliografici (il che non vuol dire, tuttavia, che Liu Xiang e Liu Xin furono semplici bibliografi), l'originaria classificazione Han dello shushu potrebbe aver dato luogo a una serie di distorsioni. L'inserimento del sottogruppo del zazhan, la raccolta dei procedimenti diversi, potrebbe essere stato determinato dal proposito di delineare un quadro completo dei testi disponibili. Dopo tutto, i bibliografi dovevano trovare una collocazione per tutti i trattati. D'altra parte, dobbiamo riconoscere che, in molti casi, le aspettative di noi Occidentali sono contraddette non soltanto dai nomi delle diverse discipline o dal posto che occupano in schemi tassonomici generali, ma anche dal loro contenuto e dai loro metodi.
Nel caso della matematica troviamo una conferma particolarmente significativa di questa circostanza: si potrebbe supporre, infatti, che in tutte le culture questa disciplina abbia assunto un profilo sostanzialmente analogo; invece è possibile rilevare una serie di differenze fondamentali tra la tradizione matematica cinese e quelle di altre civiltà, non soltanto per ciò che concerne i problemi presi in esame, ma anche per quanto riguarda i metodi impiegati e gli obiettivi della ricerca, che sembrano contrastare soprattutto con quelli dell'antica Grecia. I Nove capitoli sui procedimenti matematici (Jiuzhang suanshu) e i loro commenti confermano questa tesi. In questo testo sono descritti e illustrati con esempi concreti alcuni procedimenti destinati a essere impiegati in molti contesti diversi. I problemi affrontati riguardano soprattutto la determinazione delle aree e dei volumi, la soluzione delle equazioni con numerose incognite, e così via. Molti di questi problemi sono riconducibili al genere di questioni che i funzionari dell'amministrazione affrontavano quotidianamente nello svolgimento delle loro mansioni. Si potrebbe quindi raffrontare questa tradizione matematica a quelle che, almeno in modo superficiale, sembrano incentrate su problemi pratici analoghi, come, per esempio, l'aritmetica egizia e la descrizione dei problemi di misurazione da parte di Erone di Alessandria.
Tuttavia, non si possono ridurre gli obiettivi strategici dei Nove capitoli a quelli dei manuali pratici. Come dimostra Karine Chemla nel cap. XII, Liu Hui, che nel III sec. redasse un commento a questo testo, richiama l'attenzione sull'identità dei procedimenti impiegati nei diversi contesti: i Nove capitoli, infatti, si propongono di esplorare le loro affinità e le loro differenze. Una serie di termini, come, per esempio, qi, 'rendere omogeneo', tong, 'rendere uguale' e tong*, 'porre in comunicazione', oltre a essere utilizzati in riferimento ai singoli procedimenti, svolgono una funzione di 'connessione' tra questi ultimi. Liu Hui parla della necessità di indicare i gangji, cioè i principî guida, applicabili a tutti i procedimenti analizzati. In effetti, egli non fa altro che indicare in modo esplicito un intento implicito nel testo originale. Ma le sue osservazioni consentono di mettere in luce alcuni aspetti tutt'altro che trascurabili del testo in questione. Le aspirazioni dell'antica tradizione greca rappresentata da Euclide, che si proponeva di dedurre tutta la matematica da un solo insieme di assiomi indimostrabili ma evidenti, non sono state condivise dalla matematica cinese, almeno fino all'Età moderna. In Cina, infatti, l'obiettivo non era la dimostrazione assiomatico-deduttiva, ma cogliere i principî unificatori dell'intera matematica. Ciò non significa che i Cinesi non fossero interessati alla dimostrazione; al contrario, erano particolarmente attenti alla verifica degli algoritmi onde poterne dimostrare la correttezza. Come osserva Liu Hui, applicando tali algoritmi i valori non avrebbero dovuto cambiare e questo ne garantiva la verità.
La prima conclusione che può essere tratta da queste constatazioni è che gli interessi teorico-dimostrativi assumono forme differenti nelle diverse tradizioni matematiche; la seconda è che la stessa cosa si può dire per gli interessi strategici della matematica nel suo insieme. L'esperienza cinese dimostra che in questo campo il raggiungimento di un elevato livello di ricercatezza non presuppone necessariamente un grande interesse per l'assiomatizzazione, nel senso attribuito a questa espressione sia nell'antica Grecia sia nell'Età moderna. Le aspirazioni della matematica greca, che si proponeva di fornire dimostrazioni deduttive inconfutabili dell'intera matematica, si fondavano essenzialmente sul ruolo degli assiomi, il cui status, tuttavia, a volte era tutt'altro che evidente, come dimostra chiaramente la celebre disputa sul postulato delle parallele. I Cinesi non condivisero affatto quest'ambizione e si proposero invece uno scopo diverso (ma non meno strategico): correlare i differenti procedimenti di calcolo impiegati in diverse aree della matematica per dimostrare la loro unità.
Analoghe osservazioni possono essere fatte anche per quanto riguarda le discordanze rilevabili nelle diverse tradizioni di studio sia della salute e delle malattie ('la medicina') sia della composizione delle cose e dei loro cambiamenti ('la fisica'). Nel primo campo, le divergenze non si riducono alla diversità degli stili terapeutici adottati nelle diverse culture. L'agopuntura e la moxibustione sono pratiche mediche proprie della medicina tradizionale cinese ‒ il loro graduale sviluppo all'interno di quest'ultima è descritto da Harper e da Despeux nel cap. XVIII. Alla dietetica, alla cauterizzazione, alla flebotomia e all'uso delle droghe era attribuita una diversa importanza non soltanto dalle differenti civiltà premoderne, ma anche dalle diverse tradizioni nell'ambito delle stesse civiltà. Ma queste discordanze appaiono trascurabili se confrontate con quelle esistenti tra le diverse nozioni di 'benessere', uno stato che tutti i procedimenti medici si propongono di ripristinare. Le diverse nozioni di 'benessere', infatti, riflettono le differenti concezioni del corpo umano e variano con esse. Anche in questo caso, le concezioni cinesi contrastano nettamente con quelle dell'antica Grecia. Al contrario dei Greci, prevalentemente dediti allo studio delle strutture e degli organismi, i Cinesi tentarono di porre in risalto soprattutto i processi di interazione. Il termine gan, per esempio, non si limitava a indicare il fegato, ma anche le funzioni a esso associate e il ruolo svolto nel bilanciamento del sistema o, come si usava dire nel periodo Han, nell'amministrazione del corpo.
Allo stesso modo, per quanto riguarda le descrizioni di carattere generale del cambiamento, è stato ormai riconosciuto che la nozione di wuxing non può essere in alcun modo presentata come un tentativo di formulazione di una teoria degli elementi, nel significato attribuito a questa espressione in Occidente. Questo errore d'interpretazione deriva dal progetto gesuita di presentare i concetti cinesi come soluzioni mal riuscite dei problemi felicemente risolti dalle loro teorie fisiche, a quel tempo ancora fondate sui quattro elementi aristotelici. Ma, mentre nella descrizione di Aristotele gli elementi sono le componenti, irriducibili e inalterabili di tutte le cose, le Cinque fasi sono soggette a un continuo cambiamento. Anche in questo caso, l'enfasi è posta sull'interazione. La conclusione da trarre dalla situazione descritta è, ancora una volta, ovvia: l'interpretazione dei processi fisici sviluppata in Cina ‒ cioè, se si preferisce impiegare questa espressione, la fisica cinese ‒ era profondamente diversa da quella privilegiata per molti secoli (ma non oggi) nel mondo occidentale.
2. Gli studi relativi all'antica scienza cinese hanno messo in luce l'esistenza di metodi di indagine completamente diversi da quelli descritti nella maggior parte delle speculazioni dell'antico Occidente, sollevando la questione delle ragioni di tali differenze. In che misura possiamo sperare di comprendere questa diversità? Anche in questo caso, è possibile cadere in una serie di trappole.
La prima consiste nella stravagante ipotesi secondo cui il pensiero cinese sarebbe il riflesso di una particolare mentalità. La difficoltà principale è rappresentata da una sorta di circolo vizioso dell'argomentazione: come individuare la mentalità di un popolo indipendentemente dalle caratteristiche con le quali si dovrebbe spiegarla? Questa ipotesi non offre alcuna spiegazione, ma è una mera riformulazione del problema. Per quanto riguarda la Cina (così come in altri casi) non è affatto chiaro in che modo l'idea di una mentalità peculiare possa spiegare la molteplicità delle credenze ritenute valide nei diversi periodi storici o, in alcuni casi, persino nello stesso periodo, per non parlare delle modifiche subite da tali convinzioni nel corso del tempo. In che modo una mentalità generale avrebbe dato origine alle diversità rilevabili in alcuni campi d'indagine, come, per esempio, quelli della divinazione e delle terapie mediche, nelle quali le pratiche adottate da alcuni venivano contestate o avversate da altri? Se il succedersi delle varie credenze, nei singoli individui così come all'interno di un gruppo, deve essere attribuito ai cambiamenti di mentalità, il modo in cui questi si sarebbero verificati rimane avvolto nel mistero.
Il ricorso all'idea di mentalità sembra essere particolarmente fuorviante, ma anche le altre spiegazioni fondate su una sola causa presentano gravi incongruenze. In particolare, sembrano insoddisfacenti quelle fornite dal determinismo linguistico e sociale, secondo cui il pensiero cinese sarebbe stato determinato dalla struttura della lingua o dalle caratteristiche dell'organizzazione politica e sociale dello Stato. Come tutti ammetteranno, vi sono grandi discordanze nella sintassi e nella semantica delle varie lingue naturali e il cinese si distingue soprattutto per la relativa mancanza di morfologia. L'idea che la lingua determini il pensiero ‒ oppure in modo più sfumato che essa lo guidi e lo vincoli ‒ può essere messa alla prova considerando il modo in cui i Cinesi traducono o interpretano pensieri espressi in una lingua diversa dalla loro. Le caratteristiche linguistiche del cinese non hanno impedito, per esempio, l'assimilazione del buddhismo, a partire dalla dinastia Han, né del cristianesimo nel tardo XVI e XVII secolo. In una dettagliata ricerca di recente pubblicazione (Aristotle in China: language, categories, and translation, Cambridge, 2000), Robert Wardy dimostra che i problemi incontrati dai Cinesi nel tradurre la versione latina delle Categorie di Aristotele erano dello stesso genere di quelli affrontati dai traduttori latini dell'originale greco; egli giunge così alla conclusione che l'opinione secondo cui la lingua cinese non può esprimere alcune astrazioni tipiche della metafisica occidentale deve essere rigettata.
Il legame tra sviluppo del pensiero e organizzazione sociale si basa su elementi più certi, che tuttavia non giustificano neppure in questo caso l'adesione alle tesi deterministe. In molti capitoli di questa Sezione è stato posto in rilievo il coinvolgimento dello Stato anche in settori diversi da quello della tecnologia, in cui erano in gioco interessi economici e di natura pratica. Non è solo questione del modo in cui l'interesse imperiale per alcune branche del sapere quali il tianwen e il lifa condusse all'istituzione di uffici incaricati di indagare in queste aree di ricerca, che rimasero in attività nel corso di un periodo eccezionalmente lungo. Gli esempi degli imperatori che ordinarono la revisione del bencao e la sua diffusione (nel 657 Gaozong del periodo Tang, nel 973 Taizu e nel 1058 Renzong del periodo dei Song settentrionali), illustrati da Métailié nei capp. XX e XXXII, rappresentano soltanto un caso tra molti altri (si vedano gli articoli di Guo Zhengzhong e Lamouroux, cap. XXVI, e di Bray, cap. XVII) in cui gli interessi dello Stato incoraggiarono l'ordinamento sistematico del sapere e l'esecuzione di nuove ricerche. Anche quando lo Stato non organizzava direttamente i programmi di ricerca, le opportunità di carriera e le possibilità di avanzamento offerte ai membri dell'élite intellettuale garantivano che il lavoro svolto fosse presentato in modo da mettere in luce la sua utilità diretta o indiretta per gli interessi statali. Gli interlocutori a cui i letterati preferivano rivolgersi, sia in modo formale, redigendo memoriali destinati al trono, sia in modo informale, erano il sovrano e i suoi ministri, un'inclinazione che ovviamente condizionò non soltanto lo stile di presentazione dei risultati, ma anche il contenuto dei lavori proposti.
Le strutture sociali e politiche indubbiamente condizionarono molte indagini intraprese nella Cina premoderna; tuttavia, bisogna riconoscere i limiti di questa influenza e soprattutto i limiti della sua utilità come fattore esplicativo dei caratteri distintivi dell'esperienza cinese. In primo luogo, dobbiamo segnalare le attività di un gran numero di individui eccezionali, le cui carriere seguirono percorsi diversi da quelli ufficiali e che si dedicarono allo studio delle materie di loro interesse al di fuori delle strutture burocratiche, anche se bisogna riconoscere che queste figure rischiarono sempre di passare inosservate, sia ai contemporanei sia ai posteri. La riscoperta e, in un certo senso, la riabilitazione di Wang Chong (27-97 ca.) nell'Età moderna illustra sia le possibilità dell'individualismo sia i rischi che esso comportava. La movimentata carriera di Shen Gua, vissuto molto più tardi, esemplifica il problema sempre attuale delle difficoltà che i pensatori più originali si trovavano ad affrontare.
In secondo luogo, bisogna ricordare che se esiste un condizionamento esercitato dalle istituzioni sociali sugli esiti del lavoro intellettuale, ce n'è un altro operante anche in senso inverso. Le più importanti sintesi cosmologiche del tardo periodo degli Stati combattenti e dell'epoca Han, Primavere e autunni del Signor Lü (Lüshi chunqiu), il Libro del Maestro dello Huainan (Huainanzi) e la Profusione di rugiada sulle 'Primavere e autunni' (Chunqiu fanlu) possono essere considerate opere che riflettono valori e ideologie preesistenti. Esse, tuttavia, diedero anche un importante contributo allo sviluppo e al consolidamento dell'ideale dello Stato unificato, governato da un sovrano che, come mediatore tra il cielo e la Terra, doveva in linea di principio garantire la prosperità di "tutto ciò che vive al di sotto del cielo".
Le conclusioni in gran parte negative di questo punto contribuiscono a evidenziare i limiti degli schemi esplicativi a nostra disposizione, laddove volessimo render conto, con essi, della grande diversità insita nei lavori discussi nelle pagine di questo volume. Molte teorie convenzionali che si propongono di spiegare i caratteri distintivi della 'scienza' cinese incorrono in errori di tipo concettuale o empirico e, in alcuni casi, di entrambi i tipi. Le peculiarità caratteristiche di molte indagini vanificano, comunque, le generalizzazioni esplicative. In molti casi, e soprattutto per i primi ricercatori, le testimonianze relative alla loro vita e alla loro opera sono molto lacunose e, anche nei casi in cui abbiamo maggiori informazioni, non vi è alcuna ragione di ritenere che i risultati da essi raggiunti possano essere spiegati; infatti, a volte non riusciamo neppure a spiegare in modo soddisfacente i risultati conseguiti dagli scienziati moderni (ovunque operino), sebbene sia possibile contare su un gran numero di testimonianze e persino sulle riflessioni degli stessi protagonisti in merito alle indagini condotte. Dobbiamo riconoscere che la creatività scientifica sfugge a qualsiasi nostro tentativo di definizione e tanto più a quello di fornire una spiegazione del fenomeno in generale.
3. Nel primo punto abbiamo preso in esame il tema delle importanti differenze individuabili nelle definizioni delle singole discipline e dei rapporti esistenti tra loro, così come tra le diverse culture e, in particolare, tra la Cina e l'Occidente. Nel secondo abbiamo evidenziato i problemi che si deve porre chi tenti di fornire una spiegazione sulle ragioni di queste diversità. Ora analizziamo un'altra questione fondamentale, quella della possibilità di intraprendere indagini di tipo comparativo nonostante l'esistenza di tali differenze e problemi. Dato che il termine 'scienziato' è stato coniato nel XIX sec., è ovvio che i ricercatori vissuti nelle epoche precedenti non avrebbero potuto considerarsi tali. Se prima del XIX sec. non esistevano 'scienziati' né 'scienza', nel senso moderno della parola, che possano, a rigor di termini, essere comparati tra loro, quale sarà l'oggetto delle indagini comparative?
A questo interrogativo cercheremo di dare una risposta articolata in tre momenti. Nei primi due trova posto il riconoscimento delle difficoltà inerenti a questo tentativo, mentre il terzo propone una soluzione costruttiva. Prima di tutto, dunque, bisogna riconoscere l'importanza della mancanza di una categoria onnicomprensiva corrispondente alla scienza, nel senso propriamente moderno del termine, in tutte le culture del mondo antico e medievale. È evidente che l'istituzionalizzazione moderna dell'indagine scientifica, così come è operata nei laboratori di ricerca e nei dipartimenti universitari, rende profondamente diversa la natura di questo lavoro, oggi svolto secondo modalità che non trovano equivalenti nell'Età premoderna.
Nelle diverse culture antiche, invece, lo scopo che i ricercatori si proponevano ‒ oltre a quelli più mondani di soddisfare i loro padroni o datori di lavoro, di proteggere il proprio impiego e di produrre i risultati che gli altri si aspettavano da loro ‒ era il conseguimento della saggezza, della conoscenza, del sapere, del perfezionamento di sé e persino dell'illuminazione interiore. Le notevoli differenze rilevabili nei modi in cui tali scopi erano descritti possono essere associate a quelle esistenti tra i mezzi utilizzati per conseguirli, anche se questi termini non sono legati tra loro da un vero e proprio rapporto di correlazione. Se, a un'estremità della gamma delle possibilità, i mezzi privilegiati da un certo numero di individui potevano essere quelli della preghiera e della contemplazione, o pratiche rituali o religiose di altro tipo, all'estremità opposta, la via da seguire per raggiungere gli scopi desiderati poteva includere lo studio sistematico ed empirico di certi fenomeni o la loro analisi teorica.
La prima difficoltà che occorre riconoscere è che la scienza, nel senso che oggi attribuiamo a questo termine, è un fenomeno tipicamente moderno; la seconda è che le categorie generali divergono nell'Antichità non meno delle definizioni dello studio del cielo o della medicina. In effetti, dobbiamo essere rispettosi del modo in cui gli antichi ricercatori percepivano gli scopi che si proponevano di conseguire con le loro indagini; ma su questo torneremo nel punto successivo.
Dopo aver ammesso queste difficoltà, possiamo tuttavia individuare alcuni punti di contatto che rendono possibile l'avvio di indagini comparative. A questo punto, ritorniamo a una tesi introdotta all'inizio per riformularla. Intendiamo quel principio secondo cui è il desiderio di comprendere i fenomeni, espresso in diverse forme e variamente connesso ad altre aspirazioni, che costituisce nelle diverse culture premoderne la principale testa di ponte dei nostri studi comparativi. Per quanto riguarda i fenomeni in questione, non vi è alcun bisogno che gli studiosi delle ipotesi comparative compilino elenchi definitivi di tali fenomeni. Molti sono stati esplorati in tutte o in quasi tutte le culture premoderne. Tra questi ricorderemo i problemi relativi al calendario, la durata dell'anno solare e del mese lunare, i moti dei pianeti, i loro periodi di visibilità e di non visibilità, le eclissi, il corpo umano, la salute e le malattie, gli animali e i loro modi di riproduzione, i tipi di piante e di minerali e i loro poteri, i modi di interazione e di combinazione di cose di diverso genere e in alcuni casi l'armonia e ciò che la distingue dai suoni disarmonici.
Questo non significa, tuttavia, che i programmi delle indagini premoderne fossero omogenei. Prima di tutto, variavano i temi suscettibili di attrarre l'attenzione: in presenza di un diffuso interesse per gli oggetti insoliti e meravigliosi, questi temi potevano includere fattori umani, culturali e linguistici, sotto forma di parole o di cose. Poi, anche tra i temi più ricorrenti, la natura dell'interesse da essi suscitato era ben lungi dall'essere uniforme e, come abbiamo precisato nel primo punto, la stessa osservazione può essere applicata alle categorie all'interno delle quali tali temi erano analizzati. Le motivazioni esplicite e implicite dei ricercatori variavano, come, del resto, le idee (dei ricercatori e del loro pubblico) relative ai criteri di valutazione delle spiegazioni. In alcuni casi, i fenomeni erano ricondotti a cause naturali, in altri, a cause divine e in altri ancora a entrambe. Inoltre, la maggior parte delle indagini presenta significati e implicazioni morali e persino politiche di importanza diversa.
Ciò che era considerato conoscenza variava e questa è una delle questioni più interessanti per chi si dedica a indagini di tipo comparativo. Ma il fatto stesso che fosse ricercato un genere di conoscenza dei tipi di fenomeni a cui abbiamo accennato costituisce per i comparativisti una grande opportunità e, al tempo stesso, una sfida molto impegnativa.
4. Le indicazioni desumibili da quest'analisi per quanto riguarda il modo migliore di procedere nelle comparazioni interculturali sono decisamente complesse, molto più complesse di quando la storia della scienza si occupava delle origini della scienza moderna, delle questioni relative all'individuazione degli autori di una innovazione o di una scoperta e alla priorità di tali scoperte. Bisogna riconoscere che nei primi lavori dedicati alla storia della scienza in Cina sono stati questi i temi prevalentemente affrontati, con l'intento di porre rimedio all'oblio a cui erano state condannate le ricerche svolte in questo paese. Ma ora è possibile definire un nuovo e più ricco campo d'indagine.
La prima questione da affrontare è quella relativa alla riscoperta di ciò che gli antichi ricercatori pensavano delle loro attività, al modo in cui essi concepivano le discipline cui si dedicavano, ai metodi di indagine da essi applicati e ai loro criteri di valutazione dei successi e degli insuccessi. È necessario considerare con la dovuta attenzione i differenti modi in cui ciascuna questione è stata affrontata nelle diverse società del mondo antico. In effetti, si deve approfondire l'analisi mettendo in luce anche i differenti modi di trattare tali questioni da parte dei diversi gruppi che operavano nella stessa società e nei differenti periodi della loro storia. Sarebbe assurdo sostenere che le indagini condotte in Cina o in Europa abbiano conservato le stesse caratteristiche generali nel corso di tutta la loro lunga storia.
Le questioni relative alla definizione di particolari aree di indagine non dovrebbero essere affrontate indipendentemente dall'esame dei contesti sociali in cui i ricercatori operavano, degli scopi che si proponevano di conseguire col loro lavoro e dei valori fondamentali che essi esemplificavano o proponevano. È necessario identificare le aree di provenienza dei ricercatori, i gruppi sociali di appartenenza, i tipi di carriera che potevano intraprendere, le associazioni da essi formate, le istituzioni all'interno delle quali operavano, il pubblico dei loro ascoltatori o lettori e le convenzioni che regolavano le occasioni di comunicazione o di scambio delle idee. Anche in questo caso, il genere dei biji può essere considerato un esempio significativo. Questi testi, che forse potremmo definire 'appunti', si richiamavano tuttavia (come osserva Fu Daiwie) a due modelli generali ‒ anche se non in modo rigoroso ‒ e rispecchiavano gli interessi e l'esperienza dei loro autori e del pubblico al quale essi si rivolgevano.
I comparativisti devono tentare di trarre il massimo vantaggio dalle diverse caratteristiche della storia dell'indagine nelle differenti culture. In che misura il sistema educativo, il livello di alfabetizzazione, i modi di produzione e di distribuzione dei testi o i diversi luoghi di discussione condizionarono questa diversità? Queste sono soltanto alcune delle questioni in relazione alle quali sia la comparazione sia il contrasto tra la Cina e l'Occidente, a diversi livelli e in differenti discipline, potrebbero rivelarsi illuminanti, al di là delle questioni relative alle ragioni per cui le discipline erano definite in un certo modo. Vogliamo sottolineare ancora una volta che in nessuna cultura i fattori sociali determinano la natura delle indagini intraprese. Tuttavia, dal momento che la storia della scienza non si propone solamente di fornire delle descrizioni, ma anche di comprendere le ragioni per cui le diverse indagini hanno assunto una certa forma, essa non deve fare a meno delle indagini comparative.
5. Abbiamo evidenziato le difficoltà che gli studi storici comparativi devono affrontare. Concludiamo ora la nostra esposizione indicando gli insegnamenti desumibili dalla loro analisi che possono essere riassunti in tre aspetti: il riconoscimento del pluralismo dei modelli d'indagine, l'individuazione delle loro correlazioni e il contributo che lo sviluppo delle indagini scientifiche può dare a problemi di carattere più strategico relativi agli studi dello sviluppo cognitivo.
Il primo aspetto è indubbiamente molto meno complesso degli altri. Lo studio comparativo dei primi tentativi di comprensione del mondo esterno conferma la loro considerevole varietà. Essi dimostrano che i modelli d'indagine variavano nelle diverse società del mondo antico. I dati relativi alla Cina sono particolarmente significativi perché invalidano il duplice presupposto secondo cui l'Antichità greca e romana avrebbe elaborato l'unico paradigma del modo in cui la scienza poteva svilupparsi (e, in effetti, si sviluppò) e la scienza moderna non dovrebbe nulla alle altre tradizioni. Le ricerche relative ai numeri, al cielo, al cambiamento, al corpo umano, al benessere e alle malattie, furono definite e condotte in modi diversi nelle differenti culture antiche. Esisteva quindi più di un modello ‒ sia di tipo intellettuale sia istituzionale ‒ utile per svolgere indagini complesse.
In secondo luogo, la rilevazione dei dati relativi ai diversi percorsi della storia dell'indagine nelle diverse società consente di portare alla luce e di verificare una serie di correlazioni. Gli studiosi che si occupano di una sola società potrebbero essere facilmente portati a supporre che le caratteristiche delle indagini svolte in tale società siano universali, identificandole con le caratteristiche naturali e necessarie di ogni indagine. Gli studi comparativi distruggono questa illusione e possono permetterci di determinare con esattezza quali tipi di indagine siano stati promossi da una determinata società o da un certo gruppo e con quali aspirazioni, con quali valori e attraverso quali istituzioni.
Il tipo di studio comparativo proposto nei punti precedenti consente di stabilire alcune connessioni, per esempio tra gli stili di presentazione delle idee, i loro contesti e il pubblico a cui esse erano destinate. Essi variano in modo considerevole sia in Cina sia in Europa. Ma vi è un aspetto su cui il contrasto tra l'epoca Han e la Grecia del periodo classico è particolarmente significativo; molte opere cinesi furono redatte in forma di memoriali destinati, realmente o in modo immaginario, al trono, uno stile tutt'altro che diffuso nell'antica Grecia: qui la forma più adottata era indubbiamente quella della libera discussione, reale o immaginaria, tra individui dello stesso rango, e non solamente nelle assemblee politiche o nei tribunali. In realtà, la pratica della retorica forense nell'antica Grecia presenta un altro motivo di interesse: si potrebbe suggerire, infatti, che le inadeguatezze delle argomentazioni di carattere esclusivamente persuasivo delle assemblee politiche e dei tribunali greci potrebbero per reazione aver indotto alcuni filosofi, come per esempio Platone e Aristotele, a ricercare forme di ragionamento in grado di assicurare in modo incontrovertibile la verità. Abbiamo già osservato che la dimostrazione assiomatica e deduttiva non ha equivalenti in Cina. Questa circostanza potrebbe essere connessa ai differenti modelli adottati nelle principali occasioni in cui si esercitava la pratica dei mezzi di persuasione. Un gran numero di testimonianze dimostra che in Cina era praticata e analizzata con profonda consapevolezza la retorica deliberativa, mentre la relativa assenza in quest'area della retorica forense corrisponde naturalmente all'esistenza di istituzioni legali molto diverse da quelle greche, dove i cosiddetti 'dicasteri', grandi assemblee di cittadini scelti a sorte, che operavano sia come giudici sia come giurati, valutavano e giudicavano casi penali e civili attraverso il voto.
L'ultimo aspetto ci porta a prendere in esame alcuni problemi di carattere strategico discussi nel campo della scienza cognitiva. Sulla scia di J. Piaget e dei suoi collaboratori, le indagini svolte nel campo dello sviluppo cognitivo dei bambini hanno condotto alla formulazione della tesi secondo cui esso seguirebbe modelli ben definiti e analoghi in tutti gli esseri umani. In base a questa tesi i bambini si sviluppano, fino a una certa fase, in modo corrispondente all'età, passando dall'elaborazione di una psicologia ingenua (in cui si presume che gli oggetti del mondo esterno siano dotati di intenzionalità) a quella di una biologia ingenua (gli oggetti del mondo esterno sono considerati vivi, ma non necessariamente dotati di intenzionalità). Si ritiene che anche lo sviluppo della fisica ingenua presenti certe regolarità, una tesi formulata in riferimento alle concezioni dello spazio, del tempo e della causalità. Si è inoltre sostenuto che, sebbene ovviamente le tassonomie popolari degli animali divergano in modo considerevole, esista un'implicita classificazione universale, di senso comune, in base alla quale tutti percepiscono allo stesso modo le somiglianze e le differenze tra gli animali.
Alcune parti di questa indagine sono più controverse. Molte delle prime ricerche sulla fisica ingenua non soltanto sono state condotte nei linguaggi occidentali ma sono state guidate da concezioni occidentali. In molti casi la verifica interculturale dei risultati non è stata completata e in altri non è stata neppure intrapresa. In questa sede, però, siamo interessati alle implicazioni di queste idee per ciò che concerne la nostra comprensione dell'universalità della scienza.
In una certa misura, ciò che chiamiamo scienza è il risultato di scoperte, ma dobbiamo riconoscere che in gran parte abbiamo a che fare non con scoperte ma con invenzioni. Naturalmente, le capacità inventive cui ci riferiamo sono limitate dai fenomeni in un modo che distingue nettamente le indagini sul mondo esterno dalla ‒ poniamo ‒ poesia. Tuttavia, dobbiamo anche riconoscere che quei fenomeni non determinano interamente le teorie e le credenze che si propongono di spiegarli: in queste ultime, infatti, vi è sempre un ampio spazio per la creatività, che spesso si rivela di alto livello. Mentre si ritiene che la scienza moderna abbia una natura cumulativa, le prime esplorazioni possono essere presentate come una serie di paradigmi complessi e alternativi. Le concezioni del mondo su cui si basano le indagini descritte in questo e in altri volumi di quest'opera erano spesso combinazioni creative che integravano le opinioni tradizionali con le nuove scoperte e i valori con la loro critica.
Da un lato, la storia comparativa delle prime indagini sulle stelle, sul corpo umano, e così via, rivela un'immensa diversità; dall'altro, come abbiamo sostenuto, il punto di contatto che consente di effettuare comparazioni è il fatto che non soltanto l'oggetto di indagine è‒ in qualche modo ‒ lo stesso, ma anche che vi è una comune aspirazione alla comprensione. L'ampia condivisione di tale aspirazione non giustifica il postulato circa l'esistenza di un modulo cognitivo specifico per questo compito, né tanto meno l'idea di reminiscenza platonica di verità già esistenti. La storia comparativa delle indagini condotte nell'Antichità consente di mettere in luce non una graduale e prevedibile realizzazione di una sequenza di scopi predeterminati, quanto piuttosto le tensioni già esistenti tra i tentativi di esplorazione suscitati da questa profonda aspirazione da un lato e, dall'altro lato, la costante necessità comune a tutte le società di persuadere i propri membri, o alcuni gruppi di essi, circa la validità della conoscenza acquisita.