Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso dell’Ottocento si completa la trasformazione in senso sperimentale delle scienze biomediche. Ma nello stesso tempo l’applicazione sistematica delle strategie d’indagine adottate in chimica e fisica si rivela insufficiente e l’organizzazione stessa della materia vivente rende necessario l’impiego di nuovi concetti, metodi e strumenti di indagine. La chimica fisiologica, la biochimica e la fisiologia sperimentale si affermano sempre più nel corso del secolo come discipline in grado di spiegare le basi strutturali e i meccanismi funzionali delle manifestazioni normali e patologiche della vita.
Premessa
L’analisi chimica del vivente
Agli inizi dell’Ottocento, sulla scorta degli studi di Lavoisier che aveva mostrato la possibilità di sottoporre ad analisi quantitativa il processo della respirazione e di spiegare su queste basi il fenomeno del calore animale, si diffonde l’idea che all’interno degli organismi viventi avvengano dei processi chimici analoghi alle reazioni ottenute in laboratorio, e che queste siano riconducibili alla trasformazione cui vanno incontro le sostanze quando vengono sottoposte al calore. Comincia allora l’analisi della composizione elementare delle sostanze coinvolte in processi fisiologici, come la respirazione e la digestione, allo scopo di trovare le equazioni chimiche proprie della materia vivente.
Jöns Berzelius (1779-1848) e William Prout cercano di utilizzare la chimica per comprendere la fisiologia. La sintesi dell’urea a partire da composti inorganici, ottenuta nel 1828 da Friedrich Wöhler, alimenta l’aspettativa di risolvere in termini di chimica organica i problemi della fisiologia degli organismi. Tuttavia, già dagli studi di Prout emerge che la chimica organica, a metà del secolo praticamente unificata con la chimica inorganica, non è in grado di descrivere e spiegare le trasformazioni degli alimenti nei costituenti dei tessuti animali, cioè il metabolismo. Nel 1838 Gerardus Johannes Mulder identifica un gruppo chimico comune a tutto il mondo organico che chiama “proteina”: la scoperta spiana definitivamente la strada al riconoscimento di una specificità della ricerca sulle basi chimiche dei processi biologici.
Nel frattempo, comunque, tra gli studiosi della chimica animale continuano a prevalere le teorie di Justus von Liebig. Nel 1842, in un libro intitolato Chimica animale, Liebig riorganizza i dati sulla costituzione chimica degli organismi viventi raccolti nei precedenti 50 anni di analisi qualitative elementari del latte, del sangue, della carne e delle urine. Secondo Liebig, che condivide le teorie di Lavoisier, gli animali sono delle specie di “stufe ambulanti” la cui economia funzionale dipende solo da ciò che vi entra e dal calore che se ne ottiene, ovvero il calore animale può essere spiegato in termini di processi di combustione (ossidazione) all’interno dell’organismo. Anche per Liebig, che esprime in equazioni chimiche del tutto speculative ed erronee i processi di trasformazione della materia vivente, le reazioni chimiche nel vivente sono prodotte da un’energia vitale specifica che tuttavia può essere spiegata dall’indagine chimica. Liebig si oppone comunque alla spiegazione dei processi di fermentazione e decomposizione in termini di crescita e attività metabolica di specifici microrganismi, come sostengono Theodor Schwann e come dimostra Louis Pasteur. Egli ritiene infatti che tali processi siano il risultato dell’interazione tra sostanze instabili e sostanze stabili, in cui si trasmette dalle prime alle seconde un moto vibratorio che è causa della decomposizione e della fermentazione.
Le origini della biochimica
La biochimica prende forma dalle ricerche di chimica vegetale e animale, identificata sino al 1850 con la chimica organica e praticata negli istituti di chimica, e si delinea dallo sviluppo della chimica zoologica e fisiologica, praticata nella seconda metà dell’Ottocento dai medici, dai citologi e dai biologi negli istituti di fisiologia delle scuole mediche.
Il termine biochimica viene introdotto nel 1877 da Ernst Felix Hoppe-Seyler, per definire l’approccio alle funzioni degli organismi viventi basato sull’applicazione della chimica. Negli anni Settanta e Ottanta il laboratorio di chimica fisiologica di Strasburgo, diretto da Hoppe-Seyler, è riconosciuto come il più importante al mondo: nel laboratorio si ottiene la cristallizzazione dell’emoglobina, si studiano i meccanismi della fermentazione e la produzione degli zuccheri nell’organismo.
La biochimica rinuncia a ridurre i processi fisiologici a processi chimici, ma utilizza gli strumenti di analisi della chimica e della fisica per definire a diversi livelli la specificità delle interazioni tra i componenti della materia vivente.
Negli anni Trenta dell’Ottocento vengono scoperti gli enzimi responsabili della decomposizione – in particolare la pepsina – ed emerge così il coinvolgimento dei fermenti in diverse reazioni vitali, senza che comunque venga loro attribuito un ruolo importante al di là di qualche funzione nel coordinamento del metabolismo e specialmente dei processi digestivi.
Tra il 1853 e il 1860 Louis Pasteur dimostra che i diversi fenomeni di fermentazione dipendono dalla presenza e dall’attività di organismi specifici, generalizzando questa scoperta al problema della putrefazione e ponendola all’origine delle malattie infettive. Le teorie protoplasmatiche della vita e gli studi di Pasteur valorizzano infatti l’idea che sia la cellula nella sua integrità a determinare i processi di fermentazione.
Nel 1897 Edward Büchner dimostra la possibilità di ottenere la fermentazione dello zucchero, utilizzando un estratto di lievito. La scoperta, che viene interpretata come una confutazione della teoria pasteuriana sulla natura biologica delle fermentazioni, apre così la strada allo studio del metabolismo microbico. Büchner pensa che un solo enzima sia coinvolto nel processo fermentativo, cioè che la trasformazione avvenga in un solo passaggio, ma già agli inizi del Novecento si comprende che la fermentazione del glucosio in alcol etilico è costituita da più passaggi, a ognuno dei quali è deputato un singolo enzima appropriato.
La fondazione della fisiologia sperimentale
Prima in Germania e Francia, poi in Inghilterra e negli altri Paesi occidentali, l’applicazione delle tecniche sperimentali allo studio delle funzioni organiche produce l’affermarsi della fisiologia come disciplina autonoma e separata dall’anatomia. La fisiologia viene dunque praticata in istituti adeguatamente equipaggiati per la ricerca e l’insegnamento, e diffonde le proprie metodologie di ricerca attraverso scambi di ricercatori, la creazione di cattedre, riviste specializzate, società scientifiche e l’organizzazione di convegni internazionali.
La fisiologia tedesca è ispirata da una filosofia riduzionistica, per cui i fisiologi di area tedesca ritengono possibile ricondurre tutti i fenomeni naturali a leggi omogenee e a processi fisici e chimici. In Germania l’introduzione delle tecniche sperimentali è dunque accompagnata dal tempestivo riconoscimento che il nuovo approccio avrebbe richiesto la costruzione di adeguate sovrastrutture, edifici e laboratori dotati dell’opportuna strumentazione.
La figura chiave per la nascita della fisiologia sperimentale in Germania è Johannes Müller. Nonostante egli sia ancora legato all’approccio osservativo e deduttivo della filosofia della natura di ispirazione romantica, riconosce non solo l’importanza dell’esperimento in fisiologia, ma anche la difficoltà di ottenere risultati affidabili. Nel 1836 Müller va all’università di Berlino, dove avrà tra i suoi allievi alcuni dei più importanti scienziati tedeschi, fra cui Schwann, Jakob Henle e Rudolf Virchow, e le quattro figure chiave della fisiologia sperimentale tedesca: Carl Ludwig (1816-1895), Ernst Wilhelm Brücke, Hermann Helmholtz ed Emil du Bois-Reymond.
I contributi della scuola fisiologica tedesca sono innumerevoli.
Helmholtz misura la velocità di conduzione dell’impulso nervoso e realizza fondamentali studi sulla fisiologia delle sensazioni, ipotizzando un meccanismo della visione dei colori per cui ritiene che i coni della retina siano differenzialmente sensibili al rosso, al verde e al viola. Il nome di Helmholtz è inoltre legato allo sviluppo di importanti strumentazioni di ottica e acustica e alla fondazione dell’ottica e dell’acustica fisiologiche.
A Du Bois-Reymond si deve invece la fondazione metodologica dell’elettrofisiologia. Sulla base dei suoi studi riguardanti la natura della contrazione muscolare, realizzati tra il 1842 e il 1884, Du Bois-Reymond concepisce una teoria del funzionamento del cervello che identifica “principio nervoso” ed elettricità, con cui cerca di eliminare i residui vitalistici associati all’idea di una specificità delle funzioni del vivente.
La fisiologia tedesca, comunque, si ispira prevalentemente al programma di fondazione fisica della fisiologia sperimentale, varato a metà del secolo da Carl Ludwig che tra il 1852 e il 1856 pubblica un manuale in due volumi in cui sono raccolte e rese accessibili al medico pratico le nuove conoscenze sulla chimica e la fisiologia degli organismi animali. Per Ludwig l’obiettivo della ricerca fisiologica è quello di scomporre le strutture dell’organismo negli elementi costitutivi ultimi e comuni a tutte le manifestazioni della vita. L’abilità e il talento di Ludwig come sperimentatore lo rendono famoso in tutta Europa e numerosi sono i fisiologi che da ogni parte cercano di trascorrere un periodo di formazione nel laboratorio di Lipsia. Ludwig, inoltre, non si limita a studiare la chimica del sangue, l’innervazione dei vasi sanguigni, la fisiologia respiratoria e renale, ma realizza i primi strumenti grafici per registrare le funzioni fisiologiche.
La fisiologia si mostra in grado di assicurare un fondamento oggettivo alle teorie e pratiche mediche, e un contatto diretto con gli avanzamenti nel campo delle scienze esatte. Così, mentre la fisiologia diventa una scienza autonoma, il modello sperimentale si diffonde in ogni ambito della ricerca biomedica tedesca, inclusa l’igiene e la batteriologia.
A metà degli anni Cinquanta Rudolf Virchow promuove l’istituzione di un laboratorio chimico in aiuto alla ricerca patologica e scrive il programma della fisiopatologia, fondato sulla teoria cellulare e il metodo sperimentale.
La fisiologia sperimentale in Francia
Due sono i fattori che concorrono alla nascita della fisiologia in Francia: lo sviluppo della medicina ospedaliera a Parigi, che mette a disposizione di medici e insegnanti un gran numero di casi clinici, inducendoli a ricercare la spiegazione dei processi patologici, e la disponibilità di animali per esperimenti, in quanto l’esercito francese dà i cavalli vecchi e malati ai veterinari. La fisiologia francese, infatti, si caratterizza per l’applicazione sistematica delle tecniche di vivisezione e per l’interesse rivolto alle funzioni del sistema nervoso.
La diffusione del metodo sperimentale nella ricerca biomedica in Francia si deve soprattutto a François Magendie. Ispirandosi alle scienze fisiche, egli va alla ricerca di pochi principi elementari che individua mediante la dissezione anatomica praticata su animali vivi. L’obiettivo di Magendie è quello di evidenziare l’incoerenza delle posizioni vitalistiche e di diffondere l’immagine della ricerca fisiologica come ricerca riduzionistica e sperimentale: in tal senso fa largo uso di concetti chimici e utilizza nelle sue ricerche metodi fisici e osservativi.
La figura chiave della ricerca fisiologica in Francia è comunque Claude Bernard, allievo di Magendie, che tra il 1845 e il 1865 produce straordinarie scoperte sulla fisiologia dei viventi.
A lui si deve la scoperta della funzione glicogena del fegato, il ruolo digestivo del succo pancreatico nel metabolismo lipidico, la concezione del diabete come disfunzione di meccanismi fondamentali e lo studio degli effetti che le sostanze velenose hanno sul sistema nervoso, sulla composizione chimica del sangue e sul problema della temperatura corporea. Bernard elabora il concetto che lo svolgimento delle funzioni organiche complesse richiede un “ambiente interno” (milieu intérieur) costante, ovvero arriva ad affermare che i tessuti e gli organi funzionano in maniera integrata e le funzioni organiche devono mantenere costante l’ambiente interno. Egli mostra un interesse prevalente per la specificità dei modi di organizzazione della vita nelle sue diverse manifestazioni (autoregolazione, crescita e riproduzione) e nell’Introduzione allo studio della medicina sperimentale, pubblicato nel 1865, enuncia il suo credo metodologico. Secondo Bernard esistono certamente una sola meccanica, una sola fisica e una sola chimica, alle cui leggi sono sottoposti anche i viventi, che tuttavia manifestano le loro funzioni attraverso “strumenti” e “procedimenti” specifici e che possiedono una “morfologia che è loro propria”. La fisiologia quindi non può, secondo Bernard, cercare i suoi fondamenti nel vitalismo o nel meccanicismo, in quanto la struttura organica del vivente è governata da una legge fisiologica “organotrofica” specifica che non può essere catturata da nessun’altra scienza. La causa di cui va alla ricerca il fisiologo mediante il metodo sperimentale è la “causa prossima” e secondo Bernard, che è contrario all’introduzione della statistica nelle scienze biomediche, lo scopo della ricerca sperimentale è ricondurre ogni evento a un’unica causa.
La fisiologia in Inghilterra
In Inghilterra la fisiologia decolla più lentamente, sia per il peso della tradizione anatomica sia perché a livello dell’opinione pubblica vi è una forte avversione nei riguardi della vivisezione.
Le figure emergenti della fisiologia in Inghilterra sono Michael Foster e John Burdon Sanderson.
La fisiologia inglese, specialmente in rapporto all’insegnamento, è organizzata in tre aree che rappresenteranno anche la suddivisione disciplinare della fisiologia a fine secolo: l’istologia che si riflette nelle particolari scelte architettoniche per soddisfare la necessità di luce per l’osservazione microscopica; la chimica fisiologica che estende l’approccio di Bernard e Ludwig e consiste nell’analisi chimica dei fluidi organici e dei costituenti dell’organismo; la fisiologia pratica, cioè la manipolazione sperimentale di organi e tessuti, l’indagine sulla loro innervazione e vascolarizzazione e lo studio dell’integrazione, coordinazione e regolazione all’interno dell’organismo inteso come un tutto. Quest’ultimo approccio, che richiede la sperimentazione con animali vivi, nel 1876 viene contrastato dalla promulgazione della legislazione Cruelty to Animal Act che limita la possibilità dei ricercatori di utilizzare animali per gli esperimenti.