COMO, Lago di (A. T., 20-21)
È il Lario o Lacus comensis degli antichi: importante bacino lacustre della Lombardia; il terzo d'Italia per superficie (kmq. 145), essendo superato soltanto dal Lago Maggiore e dal Lago di Garda. La sua massima lunghezza da Gera, il punto più settentrionale, a Como, il punto più meridionale, è di km. 46; seguendo l'andamento del fondo è di km. 50,5; con l'appendice del Lago di Mezzola, che è pure parte integrante del lago, la lunghezza raggiungerebbe i 77 km. La massima larghezza, tra Riva, sotto il Sasso di S. Martino, e Fiumelatte, è di m. 4300; la larghezza media risulterebbe di m. 2890. Il perimetro si sviluppa per più di 170 km., superando così quello degli altri laghi che sono superiori al Lago di Como in superficie (perimetro del Lago di Garda, km. 121, del Lago Maggiore, 161). Il volume delle acque è (secondo G. De Agostini) di mc. 22.500.000.000; la trasparenza (secondo A. Forel) di circa m. 6; e il colore è rispondente al V e VII della scala Forel. Il livello del pelo d'acqua è a circa m. 199 s. m. La forma del lago è assai caratteristica: esso si allunga nel fondo di un'antica valle percorsa dall'Adda e dal ghiacciaio abduano, con l'aspetto di un grande Y rovesciato.
L'andamento del fondo è assai vario: da Gera a Dervio si ha un primo bacino, poiché fra Dervio e Rezzonico il fondo presenta un sensibile rialzo di circa m. 20; la massima profondità è qui di m. 210. Da Dervio a Bellagio compare assai spiccato un secondo bacino, chiuso da una sella verso la Tremezzina e aperto verso Lecco fino a Onno e Mandello, dove si rialza un'altra sella. La massima profondità di questo secondo bacino si mantiene di m. 280, fra la punta della Gaeta, Menaggio, la punta di Bellagio, Varenna e la punta di Morcate. A sud di Mandello il fondo cala fino a 132 m., per risalire a 123 di fronte alla punta di Abbadia, rispondente a una larga sella, che, verso Lecco, si abbassa in modo che il fondo discende di nuovo a m. 148, fra le rive sottostanti al M. Moregallo e al S. Martino. Il ramo di Como è assai più profondo: alla sua imboccatura, fra Bellagio e Griante, il fondo, da 144 m., scende a 375 m., di fronte a Balbaniello, a 400 fra Argegno e Cavagnola e a 410 (massima profondità dei laghi italiani) fra Cavagnola e Nesso. Si rialza poi gradatamente sino al suo termine meridionale, a Como.
L'origine di questa grande conca lacustre valliva subalpina è in relazione con l'azione esercitata dall'imponente massa glaciale del ghiacciaio abduano, il quale, dalla Valtellina e dalla Valle della Mera (Spluga), si avanzò, dapprima unico e poi diviso in due rami, erodendo e spianando il fondo valle e lisciando le pareti laterali, sino a sboccare nella regione briantea, dove abbandonava grande quantità di detriti morenici; questi sono pure sparsi sui terrazzi laterali, che interrompono i pendii delle pareti chiudenti il lago. Ma tale ipotesi, sebbene sostenuta da molti geologi, come quella che meglio d'ogni altra ci potrebbe spiegare la provenienza delle alluvioni che si trovano a valle dei bacini lacustri e lo sbarramento delle conche lacustri per rocce in posto, trovò degli oppositori, che non credettero poter attribuire alla semplice azione fluvio-glaciale certi fatti morfologici, quali ad esempio la biforcazione. Fra le varie ipotesi che si contrapposero a quella glaciale, è notevole quella del Heim, il quale affermò che i nostri grandi bacini lacustri sarebbero antiche valli d'erosione sbarrate, allo sbocco, in seguito a un ripiegamento dell'orlo della montagna verso l'interno; per cui le catene del versante alpino meridionale avrebbero subito un abbassamento di ben 400 metri, rispetto alle pianure sottostanti. Ma se per i laghi svizzeri tale ipotesi può essere avvalorata da ben controllate osservazioni, ciò non si può dire per i nostri laghi prealpini, soprattutto per quello di Como.
Il Lago di Como riceve il tributo di trentasette corsi d'acqua di varia importanza; i principali sono l'Adda, che discende dalla Valtellina, e la Mera, che porta le acque della Val Bregaglia e della Val S. Giacomo (Liro). L'Adda ne esce, unico emissario, dall'estremità sud del ramo di Lecco; il bacino di sud-ovest, quello che costituisce il ramo di Como, finisce a fondo cieco. Alcuni dei minori immissarî, discendendo dalle piccole valli laterali sospese, ossia da un fondo assai più elevato di quello che sia il livello del lago, hanno profondamente inciso il bordo, dando luogo a delle strette gole in cui l'acqua precipita fragorosa; tali interessanti fenomeni naturali sono chiamati con il nome di orridi (Bellano, Nesso). All'opera dei corsi d'acqua si devono pure le formazioni deltizie, le conoidi e i piani alluvionali; prime per importanza sono le conoidi, specie nei riflessi sulla distribuzione e lo sviluppo dei centri abitati che in esse hanno trovato spazio adatto al loro estendersi. Gravedona, Dongo, Dervio, Bellano, Menaggio, Varenna, Mandello, Abbadia, tutti i principali paesi del lago sorgono su queste formazioni fluviali. Nella sezione più settentrionale è importante il vasto piano alluvionale, detto Piano di Spagna, che occupa i due rami del Lario, i quali penetrano, uno nella bassa Valtellina, a oriente, e l'altro nella valle della Mera risalendo quasi fino a Chiavenna.
Il regime del Lago di Como è in rapporto a quello dei suoi immissarî, tutti corsi d'acqua a regime alpino. Il suo specchio si eleva durante la stagione più piovosa (ottobre) e all'epoca della fusione delle nevi e dei ghiacciai (giugno); si abbassa generalmente nei mesi intermedî. Secondo il Fantoli la quota media del pelo dell'acqua del Lario è di 199 m.; nelle massime può elevarsi sino a 8 m. sopra tale media. La portata dell'Adda, all'uscita del Lario (secondo Pestalozza e Valentini), è, in media, di 210 mc.; con un massimo di 826 mc. e un minimo di 29 mc. (nell'anno 1896).
Clima. - Il clima della regione del Lario è dolce, sicché alcune località più soleggiate e più riparate si prestano ottimamente quali soggiorni invernali. Il lago, con la sua massa d'acqua, è in inverno sorgente di calore, giacché nel gennaio le acque hanno una temperatura di 6°,8; mentre nell'estate, l'alternarsi dei venti rende più gradevole la temperatura, rispetto alle regioni del piano lombardo. A questi venti gli abitanti dettero nomi speciali: la brezza, che di giorno rimoma le valli, è detta breva (breva di Lecco e breva di Como); e quella notturna che soffia in direzione opposta è denominata tivano. Un annuvolamento, una pioggia, una grandinata possono disordinare questo regolare movimento dell'aria, e produrre paurose burrasche improvvise. I venti variabili, che producono tali cambiamenti improvvisi, sono detti montivi, con i varî nomi di Menaggino, Molinatto, ecc. Tali condizioni climatiche permettono alla vegetazione uno sviluppo assai rigoglioso, che si esplica in forme grandiose nei parchi delle ville, dove con speciali cure si sono potute acclimatare piante tropicali. Prosperano i rododeudri e le azalee del Ponto, le camelie dell'Estremo Oriente, la magnolia grandiflora degli Stati Uniti meridionali, l'ulivo, il cipresso, il pino da pinoli, e, in qualche punto più riparato, il limone, la palma dattilifera e parecchie altre piante dei paesi tropicali.
Flora e fauna lacustre. - La flora lacustre è molto limitata perché le rive scendono generalmente oltremodo ripide e mancano di stagni marginali, di lagune, di canneti. Le piante anfibie si incontrano appena alle foci dei fiumi Breggia e Liro, abbondano invece al Piano di Spagna dove si estendono larghe spiagge ghiaiose e arenili facilmente inondabili. Ma lungo tutta la riva del lago, dove le acque sono alte da quattro a dieci metri, esiste una cornice di vegetazione sommersa, composta essenzialmente di potamogetoni, di miriofilli, di Elodea canadengis, di ceratofilli. Oltre questa zona si estende ancora un tappeto di tallofite costituito di Characee, Confervacee e di Oedogoniacee; questo tappeto è d'ordinario spolverato di numerose alghe e specialmente di Diatomee.
Si osservano piccole società litorali localizzate: molto caratteristiche ad esempio quelle della cornice di fanerogame sommerse lungo le cos. te aperte o quelle dei limnobî chiusi in piccoli porti, o delle spiagge ghiaiose battute dalle onde, o delle pareti di roccia che scendono talvolta a picco.
Dove prevale la vegetazione delle fanerogame si raccolgono anche abbondanti spirogire, staurastri, closterie, pediastri, eudorine, anabene e bacillarie. Fra le alghe pullulano i protozoi. I rotiferi costieri non sono ugualmente numerosi nei diversi luoghi e nelle diverse stagioni; meno frequenti, ma diffusi, i polipi d'acqua dolce e i briozoi del genere Plumatella.
I piccoli crostacei costieri hanno caratteri di forme cosmopolite capaci di resistere a forti sbalzi di temperatura; s'incontrano spesso Eurycercus, Graptolebris, Acroperus, Pleuroxus, ecc. Abbondantissimi gl'idracnidi; i molluschi dei generi Planorbis, Ancylus, Valvata, Limnaea, sono frequenti nei bassifondi; le bivalvi sono abbondanti solo nel Golfo di Colico, dove accanto ad Anodonta si trovano pisidi, sferie, bitinie e limnee.
Le società dei porti hanno in generale una fisionomia molto diversa, perché le acque sono di solito molto impure, cosicché si sviluppano abbondanti batterî putrifici, protozoi resistenti alla putrefazione, vermi del genere Tubifex e larve di ditteri. Le società delle spiagge ghiaiose sono meno ricche; i ciottoli sommersi, spesso rivestiti da un velluto di alghe verdi, servono di rifugio a rotiferi costieri, a tardigradi, a gamberetti (Gammari e Aselli) a larve di efemere, di friganee, di idroptile, piccoli coleotteri, ecc. Il gambero comune è diventato rarissimo. Le società litorali si collegano con le società dei bassifond, che tendono ad assumere un carattere sempre più uniforme e più povero di mano in mano che si scende negli abissi. Il limo raccolto a 400 m. di profondità consta in prevalenza di gusci di diatomee morte. Insieme con le diatomee s'incontrano nebele, arcelle, cifoderie che presentano gusci più piccoli e più delicati di mano in mano che si giunge alle maggiori profondità; dalla zona litorale si estendono anche verso il fondo dendroceli, rabdoceli e nematodi. Taluni oligocheti del genere Bythonomus, e talvolta aselli, insieme col Nyphargus e con pisidi arrivano fino negli abissi del lago.
La conformazione del Lario consente una ripartizione omogenea del limnobio planctonico, il quale, se non è molto ricco come specie, è straordinariamente abbondante come individui, anche durante l'inverno
Nella prima parte dello strato superiore a temperatura variabile, e cioè precisamente fino alla profondità di 10 metri, troviamo abbondantissimi gli unicellulari, soprattutto nella buona stagione. Inoltre sono abbondanti le alghe verdi filamentose quali le spirogire, ovvero lunghe serie di Anabaena flos aquae, insieme a Microcystis, Gomphosphaeria, ecc., e diatomee pelagiche. Insieme si osservano Euglena e Peridinium, però non mai abbondanti in confronto dei cerazî che popolano densamente tutto il lago. In questa massa fitoplanctonica si muovono arcelle, diffugie, eliozoi e ciliati. Fra queste schiere vivono specialmente rotiferi, che nel fitoplancton stesso e nei protozoi cercano il loro alimento; molti discendono però anche a 20 m. (Keratella) o fino a 30 (Notholca).
In questo stesso orizzonte superficiale, caratterizzato dagli sciami di rotiferi, accorrono numerosi nella stagione estiva i nauplî, insieme con forme giovanili di copepodi e di cladoceri; fra questi ultimi è di norma solo la Leptodora hyalina anche adulta, che predilige tale regione, sfuggendo alle maggiori profondità. Al disotto di questo primo strato superficiale, e precisamente in un secondo orizzonte fino a 60 metri, troviamo di preferenza in estate tutta la rimanente fauna planctonica. Essa è rappresentata da Cladoceri dei generi: Sida, Daphnia, Diaphanosoma, Bythotrephes, Bosmina, e dai Copepodi dei generi: Heterocope, Diaptomus, Cyclops. Queste specie durante le notti estive salgono in massa alla superficie; cosi che il fenomeno della migrazione verticale del plancton appare nel Lario molto accentuato.
Col sopravvivere dell'autunno subacqueo, mentre la temperatura superficiale diminuisce, la popolazione planctonica scende anche a maggiore profondità. Più tardi tutti gli organismi pelagici sono coinvolti dai movimenti convettivi delle acque che portano a una ripartizione verticale, abbastanza uniforme durante l'inverno subacqueo, quando la temperatura tende a diventare uniforme in tutti gli strati del lago: è col ritorno della primavera, quando il sole riscalda le acque superficiali, e il calore si propaga, che il plancton risale e variamente si stratifica, pur non lasciando deserte le regioni profonde. Questa fauna eulimnetica fornisce la più ghiotta mensa ai pesci pelagici per eccellenza: l'agone, il coregone, la trota lacustre, che oggi costituiscono nel Lario le maggiori fonti dell'industria peschereccia. Nella regione pelagica, in caccia, arriva spesso il luccio; meno frequenti, e pure sempre notevoli, vagano in alto lago solitarî pesci persici adulti e le encobie in grossi banchi. Rara nella regione pelagica è l'anguilla, quantunque abituata ad esplorare i grandi fondali, dove giunge anche la bottatrice che divora il fregolo dei pesci e talora si nutre di animali morti; preferisce la foce dei fiumi.
Le zone rivierasche sono invece abitate da altre specie. Le carpe, ormai circoscritte al bacino di Colico e al golfo di Piona, erano un tempo abbondanti in tutto il lago e, lungo le coste di Grosgallo, diventavano così grosse da raggiungere un peso di 30 kg. e la lunghezza d'un uomo; erano celebrate dal Giovio col nome di Bulburi pisces, ma ora hanno lasciato soltanto il loro ricordo nella grotta delle Carpe, grotta dei Bulberi, che i cartografi hanno malamente trascritto in Grotta dei Bulgari. I lucci sono i predoni del lago: si vedono epesso in agguato lungo le rive, pronti a sorprendere insetti acquatici e piccoli pesci costieri, ma fanno anche grandi escursioni al largo, inseguendo i banchi di arborelle, di agoni, di encobie. Possono raggiungere il peso di 12 kg., e una lunghezza di m. 1,20. Talvolta si sono pescati esemplari anche più grossi. La pesca oltre che con le reti si esercita con la fiocina e con la tirlindana. Le anguille, che si pescano con la spaderna e coi bertovelli, ma anche con le reti, sono diventate molto frequenti dopo le grandi semine fatte in questi ultimi anni. Le lamprede invece sono rare, e le tinche sono in diminuzione continua. Il Leuciscus pigus, noto sul Lario col nome antichissimo di encobia, vive a grandi profondità e solo nella stagione degli amori si accosta in grossi banchi alle sponde rocciose; allora si pesca a quintali, specialmente con la rete a strascico. I cavedani appaiono in frotte sotto le case e i giardini che si specchiano nel lago, non abboccano all'amo, incappano nelle grandi reti, ma sono poco pregiati. Le scardole erano un tempo molto comuni e si pescavano a quintali nei mesi d'aprile e giugno lungo i bassifondi coperti di vegetazione sommersa; venivano salati e disseccati e costituivano un cibo popolare: ora sono molto ridotte e in certi bacini sono scomparse. Lungo le rive, nella buona stagione, nuotano in grandi sciami le alborelle, mentre d'inverno si portano al largo, dove si nutrono di diaptomidi. Anche il truglio o triotto (Leuciscus aula) è frequente presso le rive e si pesca facilmente con la lenza. Un tempo erano frequenti anche altri pesci come lo strigio (Chondrostoma soetta), il barbo plebeo (Barbus plebejus), lo scazzone (Cottus gobio), il cobite (Cobitis taenia), la botola (Gobius fluviatilis), il vairone (Squalius muticellus), ma ora sono diventati rari, e ciò, secondo i pescatori, è avvenuto in seguito alle forti immissioni di anguille, che divorano il fregolo. Il temolo e la sanguinerola s'incontrano raramente: per lo più giungono al lago per la via dell'Adda. Tra i pesci importati, il salmerino non si è diffuso; invece vanno purtroppo moltiplicandosi il persico sole e il pesce gatto, che sono poco pregiati e soppiantano specie migliori. Sul Lario esistevano già diverse piccole stazioni di ripopolamento: è stato poi creato, per iniziativa di Marco De Marchi, un grande incubatorio a Fiumelatte, che è il maggiore d'Italia, e fornisce avanotti e novellame non solo al Lario, ma anche ad altri laghi.
Centri abitati. - Oggidì più di 100.000 persone abitano lungo le rive del Lario; i centri principali sono Como, Lecco, Bellano e Menaggio. L'industria alberghiera costituisce una delle prime fonti di prosperità; tuttavia, accanto ad essa, sono andate progredendo altre più importanti e vitali attività, specie a Como (seta) e a Lecco (ferro). In tutti i paesi si è sviluppata la piccola industria dei lavori in legno d'olivo. Le comunicazioni si effettuano per belle strade carrozzabili lungo le rive, adatte ai servizî automobilistici, e per ferrovia fra Lecco e Colico, oltre che per via lacustre. Il primo piroscafo che solcò le acque del lago fu varato nel 1826, e si chiamò Lario. Nel 1843 la Società lariana dalla villa dell'Olmo varava il Lariano, il primo piroscafo in ferro di grandi dimensioni. Ferrovie, autostrade e strade uniscono la regioue comasca a Milano.
La regione del Lago di Como è amministrativamente compresa nella provincia di Como; il lago è tutto in territorio italiano.
V. tavv. CLXXXIII e CLXXXIV.
Bibl.: Fra gli scritti più antichi è pregevole quello di C. Amoretti, Viaggio ai tre laghi, Milano 1824. Una bibliografia esauriente è in T. Taramelli, I tre laghi, Milano 1903. Vedi pur G. De Agostini, Atlante dei laghi italiani, Novara-Roma 1917; F.A. Forel, Ricerche fisiche sui laghi dell'Insubria, in Rend. del R. Ist. lombardo di scienze e lettere, Milano 1899; O. Marinelli, Area e profondità dei principali laghi italiani, in Riv. geografica italiana, Firenze 1894-95; id., Sopra alcune ricerche relative alle condizioni di temperatura del lago di Como, in Riv. geogr. italiana, Firenze 1896; L. Volta, Un quindicennio di regime dei tre laghi lombardi, in L'Elettrotecnica, 1920; G. Fantoli, Il lago di Como e l'Adda emissario nella condizione idraulica odierna, Milano 1921; C. Errera, Sulla separazione del lago di Mezola dal Lario, in Boll. C. A. I., Torino 1893; A. Heim, Die Entstehung der Alpinen Randseen, in Vierteljahrsschr. d. naturf. Ges., Zurigo 1894; T. Taramelli, Le spiegazioni dei nostri laghi attraverso un secolo, in Rend. R. Ist. Lombardo, LIII (1920); E. Mariani, Appunti geologici sul secondario della Lombardia Occidentale, in Atti Soc. ital. soc. nat., XXIV (1904); id., Cenni geologici sul gruppo delle Grigne (con carta geologica), in C. A. I.: Cinquant'anni di vita della Sezione di Milano, Milano 1923; E. Repossi, I massi erratici della regione dei tre laghi, in Natura, V (1914); id., La tectonica dei terreni secondari fra Como ed Erba, in Boll. . Uff. geol. ital., LI (1926); id., Campagna di rilevamento nell'Alta Brianza, in Boll. Uff. Geol., LII (1927); M. Vanni, L'Alta Brianza e i suoi problemi morfologici e idrografici, in Atti X Congr. geogr. ital., Milano 1927; G. Dainelli e S. De Capitani, Guida delle escursioni (del X Congr. geogr. ital.), in Atti X Congr. geogr. ital., Milano 1927; R. Monti, La limnologia del Lario, Roma 1924; G. Olivieri, Il lago di C. e le sue vallate, Milano 1927.
Storia. - Non si sa a quale ceppo appartenessero gli Orobî che abitarono le sponde del Lario, e delle loro vicende sappiamo poco più del nome. Pare anche plausibile che quivi intorno si siano stanziati successivamente Etruschi e Galli a cui si sovrappose la dominazione romana; è probabile che, intorno al 59 a. C., dopo la deduzione di 5000 coloni (fra cui 500 Greci), anche molti paesi del lago, che presentano evidente derivazione greca, siano stati fondati o posseduti da questi coloni; ma le notizie sono sempre oltremodo scarse e quasi prive di interesse.
Caduto l'impero romano, solo con Narsete il lago di Como acquista un'importanza militare; infatti per tutto il tempo della dominazione erula ed ostrogota (fino al 535) la zona comasca era difesa e protetta dalle due provincie retiche, e poteva quindi svolgere tranquillamente la sua vita; non così dopo che la Rezia curiense venne in potere dei Franchi, e questi si affacciarono ai confini naturali. Necessitò allora formare una cortina fortificata che sbarrassse ogni via d'accesso e tenesse a freno quei bellicosissimi barbari. A ciò provvide Narsete, erigendo una serie di fortezze, da Castelmur, in Val Bregaglia, a Chiavenna e Samolaco. Quivi la difesa naturale era data dal lago (quello di Mezzola s'innestava nel Lario), dominato dalla flotta, che aveva appunto come centro Como, e che si appoggiava pure ai due sistemi fortificati di Isola Comacina e Castiglione d'Intelvi. Per tal modo il lago formava uno sbarramento militare, che pareva insuperabile. Questa linea servì a rendere più faticosa la conquista longobarda, che risaliva dalla pianura, e ancora nel 590 essa era difesa da un generale bizantino.
Ai tempi della dominazione longobarda si fa risalire la costruzione della via Regina (così chiamata in onore di Teodolinda), che, percorrendo la riva destra del Lario, congiungeva Como alle Tre Pievi, cioè ancora a Chiavenna. L'altra via correva sulla sponda sinistra, da Lecco a Colico, dove si biforcava per Sondrio e Chiavenna. Questa fu forse la più antica, e gl'itinerarî antichi la ricordano fino a Samolaco, con certezza, senza designare paesi intermedî.
Il lago seguì le vicende della città: unito al ducato longobardo di Milano, fece poi parte dei due comitati di Como e di Lecco, poiché non pare che il comitato di Seprio, alla cui giurisdizione appartenne il lago di Lugano, si sia spinto fin sulle rive del Lario: i paesi, sull'esempio della città e per propria vitalità, a mano a mano si costituirono in comuni autonomi, talora separati, talaltra uniti in piccole federazioni, come le Tre Pievi (Gravedona, Dongo, Dervio) a sommo del lago, di fronte a Colico. Nella guerra decennale fra Milano e Como, anche le terre del lago parteciparono, in maggioranza in favore di Como (Tremezzo, Bellano, Dervio, ecc.), altre, invece, come l'Isola, Bellagio, Menaggio, Gravedona ed altre minori, contro Como. La lotta fu aspra: nel 1120-21 tutto il lago è corso e messo a sacco, con la rovina di Tremezzo, Campo, Bellagio, Lierna, ma la vittoria di Milano e la susseguente distruzione di Como determinarono una più vigorosa autonomia di queste terre che miravano a mantenere e ad arrogarsi una certa indipendenza politico-amministrativa di fronte alla città dominante. Ben poco sappiamo dei paesi del lago durante le guerre fridericiane: solo è notevole lo sterminio dell'Isola (1169), i cui abitanti si ritirarono in gran parte a Varenna, e la partecipazione delle Tre Pievi alla battaglia di Legnano, militando con la Lega Lombarda.
Anche è doveroso ricordare quei di Gravedona che assalirono l'Imperatore che, di ritorno da Venezia, per il lago si recava a Chiavenna, facendo ampio bottino del tesoro imperiale. Per questo in un primo tempo i Gravedonesi furono esclusi dalla pace, che poi, per intercessione di Milano, giurarono a Costanza.
Con tutto ciò, però, Como ebbe attribuito dagl'imperatori un diritto di censo e decima su tutte le terre del lago (1192), che in seguito ebbero assai a soffrire per le lotte fra Vitani e Rusca, possessori di molte terre a titolo allodiale o feudale lungo le rive, fino a che città e diocesi vennero cedute ai Visconti (1335). La suprema autorità di costoro non escludeva la possibilità di piccole signorie locali, come quella dei Malacrida a Musso, dei Castelli a Menaggio (S. Siro e Plesio). Durate in pace più di un secolo (se si eccettui una lieve parentesi movimentata dopo la morte di Gian Galeazzo), le terre del Lario furono ancora corse da soldati veneziani durante la Repubblica ambrosiana, alla quale Como era rimasta fedele, fino a quando tutto il territorio venne nelle mani di Francesco Sforza, seguendo le vicende della città e del ducato di Milano.
Gravi danni ebbero ancora a subire i paesi del lago per le guerre tra Sforzeschi, Francesi e Svizzeri e poi tra Spagnoli e Francesi; per le violenze di Matto di Brenzio, cosiddetto fautore degli Sforzeschi, ma piuttosto capo bandito, di suo figlio Giovanni e di altri.
A questi mali si aggiunse anche l'insultante strapotenza di Gian Giacomo Medici detto il Medeghino, dichiaratosi signore di Musso. Passato dal servizio degli Sforza a quello di Francia, cercò di ostacolare con ogni mezzo gl'Imperiali, corseggiando il lago e tutte le terre circonvicine, finché nel 1528, passato a parte imperiale, fu investito del feudo di Musso, Tre Pievi, Lecco, col titolo di marchese di Musso e conte di Lecco. Così egli riuniva sotto la sua giurisdizione quasi tutto il lago, salvo Como. Ma i suoi disegni ambiziosi, miranti a tutta l'alta Lombardia, gli suscitarono contro le ire dei vicini (Grigioni e Imperiali) che strinsero d'assedio la rocca di Musso, facendo in modo che il Medeghino la cedesse all'imperatore, avendone in cambio il marchesato di Melegnano (1532). Con la morte di Francesco II Sforza (1535), tutta la riviera, come il restante ducato, passò all'Impero e alla casa di Spagna.
Ancora un secolo di tranquillità, e poi le due scorrerie dei lanzichenecchi (1630) e dei Francesi di Rohan (1635). Dopo di che la storia non registra più alcun fatto particolare se non un passaggio quasi indifferente d'uno in altro signore, succedendo alla Spagna l'Austria, a questa la Francia, e poi ancora l'Austria fino al 1859.
Bibl.: G. Rebuschini, Storia del lago di Como, Bergamo 1855; V. Adami, Varenna, Milano 1928.