LATINISMI
I latinismi (o cultismi o parole dotte) sono vocaboli della lingua latina rimasti esclusi dall’uso parlato nel processo di formazione dell’italiano e delle altre lingue neolatine. Solo in un secondo momento queste parole sono state riprese da modelli scritti (ovvero per via colta, dotta) e via via immesse nella nuova lingua.
Nell’italiano contemporaneo queste parole o espressioni latine sono usate a volte nella loro forma originaria
Che ti è preso: un raptus?
un fondo [...] da 200 milioni di dollari ad hoc (= appositamente per questo scopo) per gli investimenti in agricoltura («Corriere della Sera»)
Sir Edmund Hillary scalò l’ Everest (assieme a Tenzing Norgay) soltanto nel 1953. Ergo (= quindi), il racconto era palesemente artefatto («Corriere della Sera»)
Altre volte sono state adattate almeno parzialmente ai suoni e alle desinenze della nostra lingua
esempio (dal latino exemplum)
esprimere (dal latino exprimere)
figlio (dal latino filium)
Sopravvivono nell’italiano contemporaneo anche alcuni latinismi di tipo sintattico, ovvero costrutti italiani favoriti dal modello latino. Tra questi:
– le proposizioni soggettive o oggettive implicite all’infinito con soggetto proprio (il modello è il costrutto latino dell’accusativo con l’infinito)
Ritengo essere questo il punto cruciale da affrontare
– costrutti ispirati all’ablativo assoluto latino
Le banche italiane – fiutata l’opportunità – hanno tenuto in allerta i loro gestori di patrimoni privati anche per questo agosto («La Repubblica»)
Altre volte il latinismo riguarda il significato di alcune parole, che recupera quello etimologico dando vita a un ➔calco semantico
attendere (= con il significato di ‘prestare attenzione’, come nel latino adtendere)
esigere (= con il significato di ‘riscuotere’, come nel latino exigere).
Nei testi italiani antichi (specie in quelli quattro-cinquecenteschi) i latinismi sono molto abbondanti, come in questo esempio
Ivi era Adovardo e Lionardo Alberti, uomini umanissimi e molto discreti, a’ quali Lorenzo quasi in simili parole disse:
– Non vi potrei con parole monstrare quanto io desideri vedere Ricciardo Alberto nostro fratello, sí per compor seco alcune utilitati alla famiglia nostra, sí ancora per raccomandargli questi due miei figliuoli costí Battista e Carlo, e’ quali pur mi sono all’animo non piccolissimo incarco, non perch’io dubiti però in niuno loro bene, quanto gli fia possibile, Ricciardo non vi sia desto e diligente, ma pure e’ mi pesava non assettar prima questa a noi padri adiudicata soma, e spiacevami lasciare adrieto simile alcuna giusta e piatosa mia faccenda (L. B. Alberti, I libri della famiglia)
Già al primo sguardo, nel testo dell’Alberti colpiscono in particolar modo i latinismi che riguardano la veste grafica delle parole, come ad esempio monstrare per mostrare, seco (dal latino secum) per con sé, niuno (dal latino ne unum) per nessuno. Oltre alla grafia, si notano alcuni calchi semantici dal latino, come adiudicata (dal latino adiudicare) per assegnata o utilitati (dal latino utilitatem) nel significato di ‘interesse’. Ricalcano il latino anche l’uso di ivi (dal latino ibi) per lì e l’uso del verbo fieri in fia possibile. Il respiro stesso della complessa sintassi dell’autore ricalca quello dei classici latini assunti a modello della sua prosa.
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