Abstract
Il contributo tratta il lavoro agile introdotto dalla l. n. 81/2017. Ne analizza i rapporti con istituti affini (quali il lavoro a domicilio e il telelavoro), tenendo conto della prassi contrattuale collettiva in materia. Si sofferma quindi sui principali aspetti della disciplina, come quelli relativi alla forma e ai contenuti dell’accordo individuale, all’esercizio dei poteri datoriali, ai tempi e ai luoghi della prestazione, alla sicurezza sul lavoro. Conclude con riflessioni sistematiche sul lavoro agile tra subordinazione e autonomia e con considerazioni sulla necessità e l’utilità dell’intervento legislativo.
Il capo II della l. 22.5.2017, n. 81 (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato) è dedicato al «lavoro agile». Esso è definito quale «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva» (art. 18, co. 1).
Simile modalità non era del tutto sconosciuta all’ordinamento. Un precedente normativo si rinviene nell’art. 14, l. 7.8.2015, n. 124, per la promozione nel pubblico impiego di «nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa». La disposizione è richiamata dall’art. 18, co. 3, l. n. 81/2017, al fine di estendere la nuova disciplina alla pubblica amministrazione nel limite della compatibilità (cfr. la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 1.6.2017, n. 3; tra le esperienze applicative a livello regionale, cfr. il regolamento sullo smart working della Giunta regionale della Lombardia, del. n. X/6521, 28.4.2017).
L’istituto, visto pure l’obiettivo di promozione della flessibilità organizzativa aziendale, è poi considerato dall’art. 2, co. 2, d.m. 25.3.2016 (v. anche il n. 10 della sezione 6 dell’allegato), che in attuazione dell’art. 1, co. 188, l. 28.12.2015, n. 208, individua il lavoro agile tra gli indicatori degli «incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione» dell’azienda, cui è ricollegabile il premio di risultato ad aliquota fiscale agevolata, sulla base delle previsioni dei contratti collettivi di secondo livello (incentivo “stabilizzato” dall’art. 18, co. 4, l. n. 81/2017).
Soprattutto, un ruolo propulsivo nella diffusione dell’istituto è stato giocato dalla contrattazione collettiva, prevalentemente aziendale (per una rassegna, cfr. Dagnino, E.-Tomassetti, P.-Tourres, C., Il «lavoro agile» nella contrattazione collettiva oggi, in Working Paper Adapt, 2016, n. 2). La disciplina è stata spesso qualificata come “sperimentale” e finalizzata, analogamente agli scopi esplicitati dal legislatore, da un lato a introdurre modalità organizzative del lavoro più efficienti, dall’altro a conciliare lavoro e vita privata (in questa prospettiva, cfr. pure il riferimento al lavoro agile al punto 48 della Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2016 sulla creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale).
In assenza di disposizioni transitorie, gli accordi previgenti alla l. n. 81/2017 mantengono la loro efficacia, salvo il problema dell’eventuale contrasto con le norme legali sopravvenute, il cui rischio è però attenuato dal carattere non invasivo della legge, anche ricca di rinvii all’autonomia privata, soprattutto individuale. Il che comunque non impedisce l’esercizio di quella collettiva (particolarmente di secondo livello, che, come detto, è incentivata sul piano fiscale).
Mentre nella disciplina anteriore alla l. n. 81/2017 il riferimento era sovente allo smart work, il legislatore ha ora prescelto la denominazione, appunto, di «lavoro agile». Ciò, secondo alcuni, costituisce una traduzione adeguata dell’espressione inglese (cfr. Gruppo Incipit presso l’Accademia della Crusca, Comunicato stampa n. 3, 1.2.2016); per altri, tradisce invece una diversa concezione del lavoro flessibile (cfr. Manzella, P.-Nespoli, F., Le parole del lavoro: agile o smart?, in Boll. spec. Adapt, 2016, n. 5).
La flessibilità spaziale e temporale della prestazione non è esclusiva, naturalmente, del lavoro agile. Esso presenta dunque elementi di affinità con altri istituti, per i quali si pone un problema sia di distinzione, sia di relazione, anche al fine dell’eventuale coordinamento e integrazione di discipline tra le diverse fattispecie.
Nella misura in cui il lavoro agile, ex art. 18, co. 1, consente l’adempimento dell’obbligazione di lavoro all’esterno dei locali aziendali in un luogo nella disponibilità del prestatore, esso pone la questione del raccordo con il lavoro a domicilio. Ex art. 1, co. 1, l. 18.12.1973, n. 877, è infatti «lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia disponibilità […] lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori». L’affinità emerge, oltre che per l’elemento del luogo, per la natura subordinata della prestazione, comune, per espressa qualificazione legale, al lavoro a domicilio e al lavoro agile. Né, alla luce della prevalente interpretazione, gioverebbe opporre che la disciplina del lavoro a domicilio è stata concepita per prestazioni manifatturiere, mentre il lavoro agile è frutto, tra l’altro, dell’economia digitale. Infatti, salvi specifici eventuali profili di incompatibilità, è deducibile in contratto di lavoro a domicilio pure l’attività intellettuale (cfr. Nogler, L., Art. 2128 – Lavoro a domicilio, in Comm. c.c. Schlesinger, Milano, 2000, 51 ss. e 544 ss.; Cass., 7.6.2003, n. 9168).
A distinguere lavoro agile e a domicilio sono piuttosto, essenzialmente, la modalità alternatamente interna ed esterna ai locali aziendali, nel primo, e la stabile esecuzione esterna, nel secondo, come emerge rispettivamente dall’art. 18, co. 1, l. n. 81/2017, e dall’art. 1, co. 1, l. n. 877/1973; la conseguente diversa tecnica normativa della disciplina: minimale e flessibile, nel primo, più complessa e rigida, nel secondo (si pensi alle annotazioni obbligatorie nel libro unico del lavoro, ex art. 10, l. n. 877/1973); l’accessorietà del patto di lavoro agile (mera modalità della prestazione e non tipo contrattuale) in opposizione alla tipicità del contratto di lavoro a domicilio, con conseguenze ad es. sulla disciplina del recesso, che nel caso del lavoro agile fa rivivere la modalità tradizionale di esecuzione del rapporto (cfr. art. 19, co. 2, l. n. 81/2017), mentre nel lavoro a domicilio determina l’estinzione del rapporto; la natura necessariamente imprenditoriale e dunque privata del datore di lavoro a domicilio. Simili differenze di struttura, a livello di fattispecie, paiono escludere reciproche integrazioni di disciplina.
Il probabile impiego di strumenti di lavoro (telefonici, informatici, digitali) atti ad assicurare il contatto del lavoratore agile, seppure a distanza, con l’unità produttiva di appartenenza evoca invece il telelavoro. L’affinità qui è più marcata (salvo immaginare fattispecie di lavoro agile senza l’utilizzo di dette tecnologie) anche in ragione dei comuni obiettivi di innovazione organizzativa, conciliazione tra lavoro e vita privata, inclusione dei lavoratori disabili (cfr. gli artt. 19, co. 2, l. n. 81/2017, e 4, co. 3, l. 12.3.1999, n. 68), tanto da far pensare che obiettivo del legislatore fosse in realtà di rilanciare il telelavoro, reso meno rigido e oneroso (come ipotizza Tullini, P., La digitalizzazione del lavoro, la produzione intelligente e il controllo tecnologico dell’impresa, in Ead., a cura di, Web e lavoro – Profili evolutivi e di tutela, Torino, 2017, 19).
In astratto – ma anche nella applicazione prevalente – la disciplina del telelavoro sembra perlopiù presupporre, analogamente al lavoro a domicilio, una prestazione effettuata «regolarmente» (cioè stabilmente, o almeno in misura non occasionale) a distanza (cfr. Gottardi, D., Telelavoro, in Dig. comm., Agg., Torino, 2003, 909). Il che spiega particolari previsioni come l’obbligo di prevenire l’isolamento del lavoratore dalla compagine aziendale e di prevedere periodici rientri.
Ma il confine non appare netto. Infatti, se è vero che l’art. 18, co. 1, l. n. 81/2017, contempla per il lavoro agile la carenza di una postazione fissa – spesso presente, al contrario, nel telelavoro – da un lato ciò non pare precludere un accordo delle parti sul luogo di esecuzione esterna (v. infra, § 3.1); dall’altro occorre considerare che il telelavoro è fruibile pure nella modalità mobile, dunque senza precisa predeterminazione di luogo.
Ancora, è vero che nel lavoro agile l’utilizzo di strumenti informatici potrebbe essere limitato ai periodi, brevi nella prassi corrente, di esecuzione esterna della prestazione, con conseguenze ad es. sulla normativa applicabile in materia di sicurezza (v. in particolare l’art. 3, co. 10, d.lgs. 9.4.2008, n. 81, sul lavoro a distanza «continuativo»; in tema, cfr. Peruzzi, M., Sicurezza e agilità: quale tutela per lo smart worker?, in Dir. sic. lav., 2017, n. 1, 1 ss.; Allamprese, A.-Pascucci, F., La tutela della salute e della sicurezza del lavoratore «agile», in Riv. giur. lav., 2017, I, 307 ss.). Ma ciò non toglie, da un lato, che detti periodi possano essere pattuiti in misura ampia sino a (quasi) coincidere con il tempo integrale di lavoro (cfr. l’accordo aziendale di Siemens, 6.6.2017, in cui il lavoro agile esterno è individuato come modalità prevalente); dall’altro, che la prassi conosce pure il telelavoro in modalità alternata (cfr. l’Accordo quadro sul telelavoro nel pubblico impiego, 23.3.2000, all’art. 5, co. 1).
Pertanto, un accordo stipulato con espresso riferimento all’art. 18, co. 1, difficilmente varrà ad evitare l’applicazione della normativa sul telelavoro (ivi compresi naturalmente gli incentivi, normativi ed economici: cfr. gli artt. 23, d.lgs. 15.6.2015, n. 80, e 14, co. 4, lett. b, l. n. 68/1999) in caso di utilizzo continuativo di dispositivi informatici e prevalente esecuzione esterna. Per converso, il nomen iuris di telelavoro utilizzato dalle parti potrebbe non escludere, in caso di prevalenza del lavoro nei locali aziendali, l’applicazione di disposizioni sul lavoro agile (come l’obbligo di comunicazione dell’accordo ai servizi per l’impiego o la disciplina sul recesso dal patto accessorio). In definitiva, l’assimilazione o la distinzione tra le due figure, con la relativa possibile integrazione di disciplina, dipende in gran parte dalla concreta configurazione del rapporto.
Tra i profili di disciplina, appaiono di speciale interesse quelli relativi all’accordo individuale, all’esercizio dei poteri datoriali, ai tempi e ai luoghi della prestazione, alla sicurezza sul lavoro.
L’accordo individuale riveste un ruolo centrale nella disciplina del lavoro agile, in coerenza con l’esigenza di consentire una regolazione utile pure alla conciliazione tra lavoro e vita privata del singolo prestatore. La forma scritta è obbligatoria per la regolarità amministrativa, posto che l’accordo deve comunicarsi al servizio per l’impiego (cfr. artt. 19, co. 1, e 23, co. 1, l. n. 81/2017); e ad probationem sul piano civilistico. L’accordo può recare o meno un termine e pare poter accedere, di principio, ad ogni tipo contrattuale, salve eventuali strutturali incompatibilità.
All’accordo si demandano, in generale, la disciplina dell’esecuzione della prestazione esterna ai locali aziendali (art. 18, co. 1) e, specificamente, delle «forme di esercizio del potere direttivo» (art. 18, co. 1), dell’«esercizio del potere di controllo» nei limiti ex art. 4 st. lav. (art. 21, co. 1), delle «condotte, connesse all’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari» (art. 21, co. 2), degli «strumenti utilizzati dal lavoratore», dei «tempi di riposo» e delle «misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro» (art. 19, co. 1), nonché, eventualmente, di «fasi, cicli e obiettivi» della prestazione (art. 18, co. 1) e del «diritto all’apprendimento permanente» e «alla periodica certificazione delle competenze» (art. 20, co. 2).
Appare di speciale interesse, anche ai fini del nesso tra modalità agile e subordinazione (v. infra, § 4.1), la previsione della negoziazione individuale dell’esercizio dei poteri datoriali, che ha certo la funzione di adattare la disciplina del rapporto a ipotesi di lavoro a distanza (in cui i poteri non possono esercitarsi secondo modalità identiche a quelle interne ai locali aziendali), ma che potrebbe pure sortire l’effetto di circoscrivere l’esercizio legittimo delle tipiche prerogative del datore.
Quanto al potere direttivo, potranno ad es. individuarsi il superiore gerarchico di riferimento nel periodo di lavoro esterno e i mezzi con cui impartire le direttive. Quanto al potere di controllo, potrà ad es. convenirsi l’esercizio a consuntivo dell’attività svolta (e l’accordo potrebbe pure contenere l’informativa richiesta dall’art. 4, co. 3, st. lav. ai fini del diritto alla riservatezza del lavoratore). Quanto al potere disciplinare, la tipizzazione nell’accordo individuale delle infrazioni rilevanti all’esterno dell’azienda (si pensi ad es. a particolari cautele per il riserbo sul segreto aziendale) pare derogare al principio di pubblicità del codice disciplinare ex art. 7, co. 1, st. lav., ma non incide significativamente sul sistema di fonti di disciplina del potere medesimo. Infatti, se in assenza di contratti collettivi il codice disciplinare può essere previsto da un regolamento aziendale unilateralmente emanato dal datore, a fortiori potrà convenirsi in un accordo. Gravi inadempimenti specificamente attinenti alla modalità agile di lavoro possono poi integrare un «giustificato motivo» di recesso dal patto accessorio ex art. 19, co. 2. In tal senso, la norma legale sembra derogare al principio dell’art. 7, co. 4, st. lav., per il quale le sanzioni (conservative) non possono comportare un mutamento definitivo del rapporto di lavoro.
Quanto agli strumenti di lavoro, l’accordo potrebbe prevedere la fornitura da parte datoriale e la regolazione dell’obbligo di custodia da parte del prestatore, fermo restando – in ciò analogamente a quanto previsto sia per il lavoro a domicilio sia per il telelavoro – che non è per sé incompatibile con la subordinazione l’utilizzo di mezzi di proprietà del lavoratore (naturalmente, nei limiti in cui non si configuri la titolarità di una organizzazione di mezzi di dimensioni imprenditoriali).
Per il resto, il trattamento economico-normativo del lavoratore agile deve essere complessivamente non inferiore, ex art. 20, co. 1, a quello applicabile sulla base dei contratti collettivi qualificati ex art. 51, d.lgs. 15.6.2015, n. 81, ai lavoratori «che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda». Si può ritenere che, difettando l’identità (ravvisabile almeno in base a un criterio di prevalenza delle mansioni eseguite), possa aversi riguardo a compiti analoghi. La deroga alla parità di trattamento) attraverso il criterio del trattamento complessivamente non inferiore si giustifica qui per la particolare modalità di esecuzione della prestazione (si pensi alla regolazione di profili quali l’erogazione di buoni pasto o le indennità di trasferta). Da ultimo, il riferimento ai contratti collettivi qualificati pare implicare, almeno in pratica, la loro generale applicazione da parte del datore interessato a valersi del lavoro agile: infatti, a parte le difficoltà di coordinamento di disciplina, non sarebbe conveniente per il datore valersi di tale istituto, se più costoso del trattamento riservato al lavoratore meramente interno in relazione a un diverso contratto collettivo applicato.
La possibilità di conciliare lavoro e vita privata dipende, almeno in parte, dall’autodeterminazione dei tempi e luoghi della prestazione da parte del lavoratore. Seppure tale aspetto di flessibilità “agita” dal prestatore appaia coessenziale alla ratio dell’istituto, il grado di simile autonomia sembra tuttavia rimesso, in definitiva, all’accordo individuale.
Quanto ai tempi della prestazione resa all’esterno dei locali aziendali, unico vincolo legale appare quello della durata massima dell’orario giornaliero e settimanale, in base alla legge e ai contratti collettivi (art. 18, co. 1). La disposizione sembra però in contraddizione con l’art. 17, co. 5, d.lgs. 8.4.2003, n. 66, per il quale il limite orario massimo non si applica «ai lavoratori la cui durata dell'orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell’attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi e, in particolare, quando si tratta […] d) di prestazioni rese nell’ambito di rapporti di lavoro a domicilio e di tele-lavoro». L’antinomia può però risolversi avendo riguardo alle concrete modalità orarie del lavoro agile. Può darsi infatti che l’accordo individuale vincoli significativamente il prestatore a distanza sul piano temporale, e si giustificherà dunque il limite massimo orario. Può darsi invece che egli disponga di effettiva autonomia, e allora il richiamo dell’art. 18, co. 1, ai vincoli legali potrà pure riferirsi al citato art. 17, co. 5, d.lgs. n. 66/2003. L’art. 18, co. 1, richiedendo l’assenza di «precisi vincoli» orari, denota del resto più possibili soluzioni pratiche.
Permane naturalmente il problema della misurazione del limite massimo in carenza di uno stringente potere di verifica sulla prestazione: esso potrà determinarsi sia garantendo il diritto di disconnessione in un arco orario (ex art. 19, co. 2, l. n. 81/2017), sia pattuendo carichi di lavoro che si presumano soddisfacibili nel limite temporale, secondo una preoccupazione già presente nella normativa del telelavoro (v. l’art. 9, co. 2, Accordo-quadro europeo sul telelavoro, 16.6.2002; e l’art. 7, co. 1, d.P.R. 8.3.1999, n. 70).
Un aspetto peculiare attiene poi al luogo di esecuzione della prestazione, posto che la stessa definizione di lavoro agile ex art. 18, co. 1, contempla l’alternanza tra locali interni o esterni all’azienda. Il disposto legale tuttavia non chiarisce se sia costitutiva del lavoro agile la libera scelta del luogo da parte del prestatore o se esso debba o possa inerire all’oggetto dell’accordo individuale. Plurimi indici parrebbero deporre per la prima soluzione: l’assenza di una postazione fissa (art. 18, co. 1), la mancata menzione del luogo tra i contenuti richiesti per la forma dell’accordo, il riferimento al luogo «prescelto» dal lavoratore nelle disposizioni sulla tutela in caso di infortunio (art. 23, co. 3) e, in definitiva, lo stesso obiettivo di conciliazione tra lavoro e vita privata.
Nell’attuale prassi contrattuale collettiva, tuttavia, vincoli talora sono previsti vuoi con riguardo alla possibilità di scelta, da parte del prestatore, tra alternative tassative (v. l’accordo di Bassilichi, 1.4.2016); vuoi con rinvio all’accordo individuale (v. l’accordo di Intesa Sanpaolo, 10.12.2014); vuoi con la posizione di particolari limiti, quali il divieto di esecuzione in luoghi pubblici (v. l’accordo di Randstad Group Italia, 2.2.2016). Lo stesso art. 18, co. 1, nel riferirsi all’assenza di «precisi vincoli» sembra ammettere una regolazione sul punto.
Semmai, la minore libertà elettiva da parte del prestatore potrebbe riverberarsi sui profili della salute e sicurezza sul lavoro), oltre che su quello della indennizzabilità dell’infortunio alla stregua del principio di ragionevolezza ex art. 23, co. 3 (principio generalmente criticato nei primi commenti in quanto fonte di incertezza: v. ad es. Rausei, P., Smart work: contenuti del contratto e caratteristiche del rapporto, in Dir. prat. lav., 2017, 1935; per la rilevanza dell’accordo individuale ai fini dell’individuazione dei rischi assicurati, cfr. circ. Inail 2.11.2017, n. 48). Se, nel caso in cui il luogo della prestazione fosse integralmente rimesso al lavoratore, l’obbligo datoriale di sicurezza (a parte quello relativo agli strumenti di lavoro consegnati al prestatore, ex art. 18, co. 2) potrebbe dirsi limitato alla annuale informativa sui rischi ex art. 22, co. 1, la presenza di un luogo fisso (coincidente o meno con il domicilio) potrebbe comportare obblighi ulteriori, come l’elaborazione del documento di valutazione dei rischi (cfr. Malzani, F., La qualità del lavoro nelle politiche per l’impiego e nella contrattazione decentrata, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 313/2016, 19) o l’applicazione delle norme sul telelavoro. Simile principio di proporzionalità degli obblighi di sicurezza alla libertà di scelta pare del resto ricavarsi anche dall’art. 22, co. 2: da un lato, alla stregua di tale libertà dovrà valutarsi il diligente adempimento dell’obbligo di cooperazione del lavoratore in materia di sicurezza; dall’altro, sempre in base ad essa dovranno determinarsi le «misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali».
Il disposto legale riconduce dunque espressamente il lavoro agile alla subordinazione. Ciò offre lo spunto per riflessioni di sistema, anche alla luce di altre recenti riforme nonché del capo I della stessa l. n. 81/2017, dedicato alla «tutela del lavoro autonomo». Per sé, l’assenza di «precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro» non è incompatibile con la subordinazione, come mostrano la riflessione sul lavoro a domicilio e il telelavoro, dove al più si è posta la questione della specialità della subordinazione (cfr. ad es. Ichino, P., Il contratto di lavoro – I, Milano, 2000, 328 ss.) o della diretta ascrizione all’art. 2094 c.c. (cfr. ad es. Gaeta, L., Lavoro a distanza e subordinazione, Napoli, 1993, 187 ss.). E ciò – si è detto – perché anche nel lavoro a distanza possono esercitarsi i tipici poteri datoriali, pur in modalità diversa da quella usuale nel lavoro interno (per la deviazione causale del lavoro agile rispetto alla fattispecie ex art. 2094 c.c., v. Perulli, A., Il Jobs Act del lavoro autonomo e agile: come cambiano i concetti di subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 341/2017, 13 ss.).
D’altro canto, se la prestazione eterorganizzata dal datore «anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro», ex art. 2, co. 1, d.lgs. n. 81/2015, dovesse intendersi costitutiva, presuntiva o indicativa della subordinazione pur in una accezione attenuata e aggiornata, la modalità agile, per se stessa, potrebbe orientare l’interprete verso una qualificazione diversa, appunto non subordinata.
Ancora, per l’art. 409, n. 3, c.p.c., novellato dall’art. 15, co. 1, lett. a, l. n. 81/2017, «la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa». Ma l’accordo individuale di lavoro agile ex art. 18, co. 1, nel quale siano pattuiti luoghi o tempi della prestazione, non muta il rapporto da subordinato – secondo la qualificazione direttamente proposta dal legislatore – a meramente coordinato.
La regolazione legale del lavoro agile mostra una volta di più, in definitiva, le aporie dell’ordinamento sulla natura giuridica dei rapporti (cfr. Tiraboschi, M., Il lavoro agile tra legge e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 335/2017, 46 ss.; cfr. anche, per l’ambiguità del lavoro agile tra autonomia e subordinazione, la stessa Relazione orale sul disegno di legge n. 2233-B, Assemblea del Senato della Repubblica, 9.5.2017, dell’on. M. Sacconi).
La qualificazione subordinata ex art. 18, co. 1, si giustifica probabilmente per l’accessorietà del patto di lavoro agile rispetto al contratto di lavoro principale (anche tenuto conto della prassi contrattuale collettiva, che relega la modalità agile a periodi ridotti della settimana o del mese). Sicché, in qualche modo, detta modalità resta assorbita dalla prevalente subordinazione del rapporto svolto nei locali aziendali. Ciò, peraltro, indurrà i datori di lavoro a valutare con attenzione la convenienza del patto accessorio e magari a considerare, dove l’attività lo consente, la sperimentazione di forme “ibride” di subordinazione e autonomia (cfr. Marazza, M., Il bancario “ibrido” nell’economia liquida (nuove proposte dall’autonomia collettiva), in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 328/2017). L’apertura della legge agli «obiettivi» (art. 18, co. 1) assegnabili al lavoratore agile, con la correlativa responsabilità da inadempimento, potrebbe eventualmente esercitare una certa attrattiva per le imprese.
La questione della effettiva subordinazione potrebbe porsi, semmai, qualora l’esecuzione esterna assuma un ruolo prevalente nell’economia generale del rapporto, il che non è impedito dalla legge, la quale richiede al più l’alternanza della prestazione all’interno e all’esterno dei locali aziendali. In ogni caso, l’ascrizione al rapporto di lavoro subordinato operata dalle parti, ad es. mediante il richiamo della l. n. 81/2017 nel patto di lavoro agile, sdrammatizza sul piano pratico il problema qualificatorio, in quanto soluzione generalmente più favorevole al prestatore.
In tale prospettiva, alla qualificazione subordinata ex art. 18, co. 1, può attribuirsi almeno un valore presuntivo.
A fronte di una disciplina legale minimale, ci si è domandati se la sua introduzione fosse necessaria e sia realmente innovativa, anche alla luce della crescente esperienza dell’istituto nell’autonomia collettiva, o se assolva a una mera funzione pubblicitaria (cfr. Pinto, V., La flessibilità funzionale e i poteri del datore di lavoro: prime considerazioni sui decreti attuativi del jobs act e sul lavoro agile, in Riv. giur. lav., 2016, I, 367). Del resto, non pare che l’ordinamento precludesse la possibilità di esperire, anche con accordo individuale, una modalità di lavoro alternata tra locali aziendali ed esterni, e che fosse dunque indispensabile un provvedimento normativo di “legittimazione” di una prassi incerta.
Per contro, va osservato come la l. n. 81/2017 preveda vincoli potenzialmente controindicativi per la promozione dell’istituto (v. ad es. Ichino, P., Il lavoro agile un po’ appesantito, 13.5.2017, in www.pietroichino.it), come la comunicazione obbligatoria dell’accordo individuale e l’applicazione di contratti collettivi qualificati. Di maggiore utilità appaiono invece le disposizioni che ne stabilizzano l’incentivazione fiscale e regolano il delicato profilo del recesso dal patto accessorio.
Un intervento più puntuale sarebbe stato forse opportuno nella materia della sicurezza in quanto, come visto (v. supra, § 3.2), è dubbio che le scarne previsioni di cui all’art. 22 esauriscano gli obblighi datoriali, e potrebbe prospettarsi l’estensione in via interpretativa delle disposizioni del d.lgs. n. 81/2008 sul lavoro a distanza e l’utilizzo di strumenti informatici, in ragione della concreta configurazione del lavoro agile.
Fonti normative
Art. 2094 c.c.; art. 409, n. 3, c.p.c.; l. 18.12.1973, n. 877; art. 7 d.P.R. 8.3.1999, n. 70; artt. 4 e 14, l. 12.3.1999, n. 68; art. 17 d.lgs. 8.4.2003, n. 66; art. 3 d.lgs. 9.4.2008, n. 81; art. 23 d.lgs. 15.6.2015, n. 80; artt. 2 e 51 d.lgs. 15.6.2015, n. 81; art. 14 l. 7.8.2015, n. 124; art. 1, co. 188, l. 28.12.2015, n. 208; l. 22.5.2017, n. 81.
Bibliografia essenziale
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