Lazio
geografia umana ed economica
di Piergiorgio Landini
Regione dell'Italia centrale, dominata dalla presenza della capitale politica, Roma, città che, con la sua poderosa massa, sia demografica sia funzionale, ha sostanzialmente condizionato lo sviluppo del territorio e dell'economia regionale. La popolazione risultava, al censimento del 2001, pari a 5.112.413 ab., poco più che stazionaria dal 1981 (dato censuario ufficiale: 5.001.684 ab.), con un lieve picco nel 1991 (5.140.371 ab.). L'incremento complessivo, nel ventennio, è dunque pari al 2,2%, tuttavia con un decremento dello 0,5% nel decennio più recente. Il movimento naturale è pervenuto, anche nel L., alla cosiddetta crescita zero: nel 2004 il tasso di natalità (9,3‰) risultava, pur lievemente, inferiore al tasso di mortalità (9,5‰), mentre ancora nel 2000 lo superava di mezzo punto (9,5‰ contro 9‰). Ciò evidenzia il fenomeno dell'invecchiamento strutturale, peraltro comune a gran parte dell'Italia, mentre la pur lieve ripresa delle nascite può attribuirsi al contributo della popolazione straniera immigrata (151.600 residenti regolari già nel 2001, in prevalenza europei e asiatici), caratterizzata da età media giovane e da dinamica demografica attiva. Al 2004 la popolazione era stimata in 5.269.972 ab.: la crescita si deve, appunto, al saldo migratorio positivo, con il numero degli stranieri residenti salito a 248.000 unità.
Pur se la dominanza demografica di Roma può dirsi appena intaccata dai fenomeni di controurbanizzazione e decentramento che continuano a interessarla e che, peraltro, si sono riversati in gran parte all'interno della sua provincia (la quale contiene tuttora il 72% della popolazione laziale, nonostante un decremento dell'1,6% fra i censimenti del 1991 e del 2001), si registrano divari territoriali apprezzabili nell'andamento demografico. Negli anni dal 1981 al 2001, a fronte dei dati regionali sopra riportati, la popolazione di tutte le province - fatta eccezione, appunto, di Roma - ha fatto registrare trend di crescita differenziati: prima fra tutte Latina, con un incremento superiore al 13%, tuttavia concentrato per i tre quarti nel periodo 1981-1991 come per Frosinone (in misura inferiore: +4,2% nel primo decennio; +1% nel secondo); mentre Viterbo (+7,6% nell'intero periodo) e Rieti (+3,2%) hanno diviso equamente la crescita fra i due decenni intercensuali. È l'alto L. così a mostrare il maggiore dinamismo recente, come effetto della ripresa di centralità di Viterbo (importante la sua funzione universitaria) e di alcuni sistemi locali del Reatino; nel contempo, il rallentamento dell'industria ha manifestato effetti opposti sulla dinamica demografica del basso Lazio.
L'assetto insediativo del L. continua, inevitabilmente, a risentire dell'espansione spontanea che ha caratterizzato la seconda metà del 20° sec., considerando che la regione si è dotata di una legge urbanistica soltanto nel 1999. Tale normativa tuttavia, proprio a causa della sua lunga gestazione, si è pienamente inserita nel nuovo orientamento di copianificazione, il quale tende a costruire quadri conoscitivi condivisi dell'assetto geografico, da cui discende una nuova consapevolezza dei limiti e delle condizioni per uno sviluppo sostenibile. Entro il 2004, tutte le province hanno portato a una fase di avanzata elaborazione i rispettivi piani territoriali, che hanno affrontato i problemi strutturali emergenti nelle diverse aree: dalla delimitazione della metropoli romana ai processi di deindustrializzazione e riconversione localizzativa nel basso L. e al rafforzamento dei sistemi urbani nell'alto L., avendo come tema comune la valutazione della trasformabilità e della capacità di carico residua del territorio. Sotto questo profilo, emerge il vantaggio competitivo delle province settentrionali, rimaste al margine dello sviluppo nella seconda metà del 20° sec. e, pertanto, dotate oggi di maggiori potenzialità, a condizione di una effettiva integrazione delle reti infrastrutturali regionali e locali.
Dal punto di vista ambientale, la legge quadro nazionale n. 394 emanata nel 1991 nonché le successive norme regionali hanno portato alla rivalorizzazione di parchi storici, come, per es., quello del Circeo e alla creazione di numerose riserve naturali, con lo scopo di preservare i biotopi più caratteristici. Permangono, tuttavia, evidenti criticità sia nella fascia costiera, per i massicci interventi di cementificazione, sia nelle aree montane, per la ricerca spesso indiscriminata di forme di economia turistica.
Negli ultimi decenni del 20° sec., il L. (come tutte le regioni italiane caratterizzate da assetti fortemente polarizzati) è stato investito da un drastico processo di ristrutturazione, tanto nel comparto industriale quanto nel terziario (che è per gran parte rappresentato dalla pubblica amministrazione); le attività agricole hanno registrato modificazioni più graduali. Il terziario pubblico in particolare, vera anomalia della regione per la presenza degli apparati politici e burocratici della capitale, è andato perdendo il ruolo di prima fonte di occupazione in seguito ai processi di decentramento e ai nuovi orientamenti di razionalizzazione e di efficienza. Prendendo a riferimento generale dell'economia il valore aggiunto per abitante, la media regionale mostra comunque un ulteriore incremento: 116 punti nel 2003, fatta uguale a 100 la media italiana. In base a questo indicatore, però, si stenta a cogliere l'attenuazione del divario fra l'area romana e il resto della regione: a fronte di un valore relativo di ben 125 punti per la provincia di Roma, tutte le altre restano al di sotto della media e solo quella di Latina vi si avvicina (98 punti), mentre Frosinone, Viterbo e Rieti si collocano fra 89 e 81 punti, ricadendo nella seconda metà della graduatoria nazionale, in quella fascia di transizione fra Centro e Mezzogiorno che include anche il vicino Abruzzo.
Per quanto concerne la divisione settoriale del lavoro, al censi-mento della popolazione del 2001 il settore primario assorbiva il 3,4% degli occupati, ma con valori ben più elevati nelle province di Viterbo e Latina (9,6% e 9,4%, rispettivamente). Nella prima, l'agricoltura tradizionale, mantenendo notevole rilevanza insediativa, limita il de-cremento non tanto degli occupati (−4,8% nei confronti del censimento precedente) quanto delle aziende (−2,9%) e della superficie utilizzata (−6%, contro il −22% della provincia di Roma). Nella seconda, la mo-dernizzazione del settore consente una maggiore tenuta occu-pazionale (−2,3% ancora rispetto al 1991), almeno nelle aree di pianura: qui sono state introdotte tecniche innovative, con produzioni or-tofrutticole specializzate, spesso adottando metodi di coltivazione biologica. Fenomeni che solo in piccola misura si sono estesi alla fascia montana interna della regione, come dimostra la prosecuzione dell'esodo rurale nelle aree dei Lepini e della Ciociaria.
Il settore secondario ha visto l'incidenza dell'occupazione (media regionale: 22% nel 2001) ridursi più sensibilmente, di circa il 3%, proprio nelle province industrializzate, Frosinone e Latina (37,6% e 30,4%, rispettivamente, nel 2001), a suo tempo favorite dagli incentivi della Cassa per il Mezzogiorno e ora colpite da crisi di riconversione. La tendenza può riassumersi nella contrazione dei comparti produttivi maturi (metalmeccanica e chimica di base) e nel rafforzamento della specializzazione produttiva (chimica farmaceutica, elettronica), con particolare rilevanza per il comparto high-tech (circa il 15% delle esportazioni nazionali del settore). Significativa della differenziazione territoriale e della dinamica settoriale è anche la dimensione delle imprese: maggiore ancora nelle province di Frosinone e Latina (11,5 e 9 addetti per unità locale, rispettivamente, al 2001) per la presenza dell'industria medio-grande, a prevalente carattere esogeno; minore (5÷6 addetti per unità locale) nel resto della regione, dove si afferma sempre più la piccola imprenditorialità a carattere endogeno.
Nella provincia di Frosinone, peraltro, le grandi imprese della meccanica e dell'elettronica ubicate nel capoluogo, a Ferentino e a Cassino, hanno generato un indotto di piccole imprese specializzate nella subfornitura nonché di servizi e di terziario avanzato: in questo contesto ha assunto un ruolo importante l'Università di Cassino, nel-l'ambito del Parco scientifico e tecnologico del Lazio Meridionale. Anche nel Reatino piccole imprese sono nate grazie all'iniziativa di tecnici precedentemente occupati nei grandi stabilimenti dell'elettronica e delle telecomunicazioni; l'area, inoltre, si proietta verso l'innovazione tecnologica, cui dedica specifica attenzione il Patto territoriale di Rieti. Con i medesimi obiettivi è stato costituito, nel 1994, il Polo tecnologico industriale romano, formato dall'Università di Tor Vergata e dai tecnopoli Tiburtino e di Castel Romano.
Il processo di terziarizzazione, che dall'area romana (dove il ridimensionamento del terziario pubblico ha determinato persino una lieve flessione fra il 1991 e il 2001: dall'80 al 79% degli occupati) si va estendendo all'intera regione, ha attinto, dunque, soprattutto dal primario nella provincia di Viterbo (dal 59,5 al 65,7%), dal secondario in quella di Latina (dal 55 al 60,2%) e da entrambi i settori, all'incirca in uguale misura, nelle restanti (Rieti, dal 61,3 al 65,9%; Frosinone, dal 51,5 al 58,5%). Proprio il discrimine fra terziario banale e terziario avanzato individua una delle problematiche più interessanti ai fini dello sviluppo regionale: in prima approssimazione si può rilevare come, tra il 1991 e il 2001, i servizi strettamente commerciali siano cresciuti appena del 3% in termini di unità locali, perdendo il 4% degli addetti, mentre gli altri servizi hanno quasi raddoppiato le unità locali e incrementato del 25% il numero di addetti. Certamente non mancano, in questo secondo raggruppamento, attività di routine, come pure ne va rilevata la fortissima concentrazione in provincia di Roma (78% delle unità locali e 84% degli addetti); tuttavia è significativa la quota dei servizi alle imprese, di ricerca e innovativi, in gran parte scaturenti - come detto - dai processi di riconversione industriale.
La composizione del valore aggiunto per settori economici rappresenta la verifica speculare delle valutazioni sopra espresse: alle buone rese del primario nelle province di Viterbo e Latina (6,6 e 5,1% dei rispettivi totali, a fronte di una media regionale di 1,3%) fanno riscontro quelle mediocri dell'industria (17% su base regionale): solo Latina (32,5%) registra un'incidenza superiore a quella degli occupati, mentre nel caso di Rieti i due terzi del prodotto complessivo di settore si devono al comparto delle costruzioni. Per differenza, il terziario produce ben l'81,7% del totale regionale, valore al quale i servizi di consumo e amministrativi della capitale continuano pur sempre a fornire un contributo determinante.
Un punto debole dell'economia laziale è l'apertura ai mercati esteri: le esportazioni rappresentano, infatti, una quota esigua del prodotto regionale (8,2% nel 2003), dato trainato verso il basso dalla provincia di Roma, che, in ragione della sua struttura produttiva, non supera il 5%; mentre, il primo posto, pur nella limitata dimensione assoluta, spetta a quella di Rieti, che con il 32,4% si colloca fra le prime venti province italiane per propensione all'esportazione. Un dato positivo risiede comunque nel fatto che la funzione esportatrice si concentra in pochi comparti produttivi con elevati indici di specializzazione: per alcuni (aerospaziale, autoveicoli, ceramica, elettronica), essa discende dalla elevata concentrazione produttiva in ambito regionale, rispetto al quadro italiano; per altri, da una maggiore propensione all'export da parte delle imprese laziali rispetto alla media nazionale del proprio settore, dovuta anche alla presenza, in regione, di imprese multinazionali (specie nel comparto chimico).
La dotazione qualitativa e quantitativa di infrastrutture economiche e sociali mostra indici generali, alla scala dell'intera regione, nettamente superiori alla media italiana, fatta uguale a 100, sia per le prime (reti di trasporto, energetico-ambientali, telematiche, finanziarie e dei servizi: 122,5 punti) sia, e ancor più, per le seconde (culturali e ricreative, formative, sanitarie: 168 punti). Scendendo nel dettaglio subregionale, come pure dei singoli comparti funzionali, si osservano tuttavia lacune solo apparentemente sorprendenti: così, nel sistema delle comunicazioni stradali, le province di Roma, Viterbo e Latina risultano nettamente al di sotto della media, come peraltro testimoniato dal costante so-vraffollamento delle arterie principali che le percorrono e dalla difficile accessibilità dei centri minori. Nel campo delle infrastrutture portuali si segnala la recente costituzione di un ente di gestione consortile unificato tra tutti gli scali della regione, che dovrebbe favorirne la messa a sistema e l'ottimizzazione delle funzioni. Generalmente debole, con l'eccezione di Roma, è anche la dotazione energetica, mentre, nel campo delle infrastrutture sociali, il cono d'ombra proiettato dalla capitale sul rimanente territorio laziale relega quest'ultimo su valori, in alcuni casi, addirittura inferiori alla metà della media italiana.
Bibliografia
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