Regione dell’Italia centrale (17.232 km2 con 5.755.700 ab. nel 2020, ripartiti in 378 Comuni; densità 334 ab./km2). Si affaccia sul Mar Tirreno tra la foce del Chiarone e quella del Garigliano, mentre all’interno manca di confini naturali, salvo per brevi tratti. Capoluogo di Regione è Roma.
Nell’antichità il nome, di etimologia incerta, designò dapprima il rettangolo compreso fra il Tevere, i Monti Tiburtini e Prenestini, i Colli Albani e il Tirreno; poi, con la conquista romana, si estese fino ad abbracciare tutta la regione fra l’Etruria, la Sabina, il Sannio e la Campania. Nel Medioevo il nome di L. cadde dall’uso e fu ripristinato dai geografi umanisti del 16° sec.; il paese tra il Tevere e il Mar Tirreno, già etrusco, e detto perciò Tuscia Romana o Suburbicaria, oppure Patrimonio di S. Pietro, non fu mai considerato parte del Lazio. Soltanto nel 1870, alla caduta del dominio pontificio, il nome fu esteso a comprendere tutto quanto di esso restava, ossia, oltre Roma e Comarca, le delegazioni di Civitavecchia, Viterbo, Velletri e Frosinone: ne fu costituita un’unica provincia, divisa nel 1927 in quattro (Roma, Viterbo, Frosinone e Rieti, quest’ultima aggregata al L. nel 1923 insieme al territorio sabino), cui si aggiunse nel 1934 Littoria (poi Latina); la regione risultò anche ampliata verso S per l’aggregazione di parecchi comuni della provincia di Caserta.
Allungato secondo la direzione prevalente dell’Appennino Centrale (NO-SE) e delimitato da confini per lo più convenzionali, il L. non corrisponde a una regione naturale, ma presenta subregioni ben definibili per aspetti geomorfologici. Con un saliente della provincia di Rieti il L. viene a comprendere un tratto dell’Appennino Abruzzese, e precisamente il versante occidentale dei Monti della Laga (Pizzo di Sevo e Monte Gorzano, di oltre 2400 m), dell’accidentata Montagna della Duchessa (Morrone, 2141 m) e, per intero, il poderoso gruppo del Terminillo (2216 m). Tra questi gruppi si aprono conche tettonico-orografiche più o meno vaste (di Amatrice e di Leonessa) e, tra i Monti Reatini e Sabini, l’ampia conca di Rieti. Sempre di natura calcareo-meso-cenozoica e con direzione NO-SE si susseguono più a O i Monti Sabini; i Simbruini-Cantari con il Monte Viglio (2156 m), gli Ernici (Pizzo Deta, 2041 m) e ultimi, al confine con Abruzzo, Molise e Campania, i Monti della Meta e le Mainarde. Tra i rilievi calcarei si allargano piani carsici più o meno vasti (Campo Catino, Piani di Arcinazzo); diffusi un po’ ovunque sono anche gli altri fenomeni carsici (idrografia ipogea e grotte), mentre fenomeni di erosione glaciale sono riscontrabili solo nelle quote più alte. Il L. calcareo comprende ancora a N l’isolata dorsale meso-cenozoica del Monte Soratte (691 m) e verso SE, separate dall’Appennino propriamente detto dalla depressione strutturale del Sacco-Liri (Valle Latina), le catene litoranee cretacee dei Monti Lepini, Ausoni e Aurunci (1000-1500 m); all’estremo S della Pianura Pontina emerge il Circeo (541 m), isola calcarea meso-cenozoica intorno alla quale affiorano terreni plio-quaternari. Aride e coperte di magri pascoli sulle sommità, le catene litoranee sono dotate alla base, specie sul versante marittimo, di ricche sorgenti (Ninfa). Della stessa origine sono le cospicue sorgenti del Peschiera, nel Reatino, che alimentano il principale acquedotto per Roma. Tra la destra del Tevere e il mare si sviluppa il L. vulcanico, risultato di un vulcanismo pliocenico-quaternario lineare manifestatosi con una serie di apparati ora smantellati e ospitanti conche lacustri. Si succedono così, da N a S, i Monti Volsini, con forme arrotondate, il Lago di Bolsena, il piccolo Lago di Mezzano e il cratere di Latera; i Monti Cimini, residuo di un vulcano a recinto con il cono centrale (Monte Venere) in gran parte circondato dal Lago di Vico; i Monti Sabatini, con il lago policraterico di Bracciano e altri minori (di Martignano e di Monterosi). A S del Tevere emerge dalla pianura il gruppo dei Colli Albani, o Vulcano Laziale, con evidenti resti della cinta esterna (Artemisio), del cono centrale (Monte Cavo) e di complessi craterici laterali (Lago di Albano o di Castelgandolfo; Lago di Nemi; conca di Ariccia, ora prosciugata). I Volsini si protendono verso il mare con l’apparato trachitico dei Monti Ceriti e della Tolfa, di età pliocenica, e con giacimenti minerari ora esauriti (allume). La vasta Campagna Romana è compresa tra i monti Sabatini, Sabini, Prenestini e i Colli Albani ed è attraversata dal tratto terminale del Tevere; tra l’allineamento Colli Albani-Lepini-Ausoni e il mare, la fascia costiera continua con la Pianura Pontina, cui seguono verso SE le più modeste piane di Fondi e di Gaeta e la bassa valle del Garigliano. Le coste, con ampie falcature comprese tra sporgenze più o meno accentuate (Capo Linaro, delta del Tevere, i promontori di Anzio, del Circeo e di Gaeta), sono in prevalenza basse e sabbiose, e solo in corrispondenza degli Ausoni e degli Aurunci movimentate e ricche di scogli. Sono amministrativamente comprese nel L. le Isole Ponziane (o Pontine), costituite principalmente da depositi di origine vulcanica di età quaternaria.
Il clima, di tipo mediterraneo, presenta nette differenze tra la fascia costiera, con temperature miti e piogge autunnali e primaverili, e le montagne interne che presentano escursione termica più accentuata e precipitazioni più abbondanti, nevose in inverno. Tipiche sono alcune isole climatiche, caratterizzate dalla presenza di agrumi (conca di Trevignano, sul Lago di Bracciano, Piana di Fondi).
Per la disposizione del rilievo, l’idrografia del L. è complessa e frazionata. Del Tevere è compreso il corso a valle della confluenza con il Nera (160 km su un totale di 405), che si svolge dapprima secondo la direzione appenninica e poi bruscamente verso SO; sono compresi altresì quasi per intero i subaffluenti Salto e Turano, che mediante il Velino sono tributari del Nera a monte della confluenza con il Tevere, e l’intero bacino dell’ultimo grande affluente, l’Aniene. Il L. centro-meridionale è percorso dal Sacco (Valle Latina), principale affluente di destra del Liri, e da un tratto di quest’ultimo che, dopo aver ricevuto a sinistra le acque del Melfa (Val di Comino) e del Gari, prende il nome di Garigliano. Numerosi corsi d’acqua, brevi e con portate estremamente variabili, giungono direttamente al Tirreno (Fiora, Marta, Mignone e Arrone); a S del Tevere, regolati con opere di bonifica, sono i fiumi della Pianura Pontina (Astura, Amaseno, Ufente e Sisto). È compreso nel L. anche il bacino superiore del Tronto (Alto Reatino). Oltre ai laghi vulcanici già ricordati, il L. comprende alcuni laghi costieri, nonché numerosi laghi artificiali di sbarramento.
La vegetazione mediterranea, quasi ovunque degradata, si conserva in poche aree costiere (Fregene, Castelporziano), e in particolare nel Parco Nazionale del Circeo, dove sussistono anche alcune modeste sugherete ed esemplari di palma nana (Chamaerops humilis). I boschi di querce e faggi e i castagneti hanno ancora qualche sviluppo sulle montagne interne; anche i rilievi vulcanici presentano belle faggete. Una interessante vegetazione di zona umida sussistente ancora nella valle del Tevere, presso Nazzano, è protetta a livello internazionale.
La popolazione del L. si è quasi quadruplicata nel primo secolo di appartenen;za della regione allo Stato italiano (da 1.211.000 ab. nel 1871 a 4.702.093 nel 1971). Successivamente è ancora aumentata, ma con ritmo molto più lento e discontinuo: l’aumento, dovuto quasi esclusivamente al comune di Roma (che ospita oltre la metà della popolazione regionale), è andato declinando dagli anni 1970, malgrado il crescente apporto migratorio, a compensazione di un brusco calo della crescita naturale. Ma ormai per Roma non ha più senso limitarsi a considerare la popolazione comunale. Nonostante la vastità eccezionale della superficie del comune (di gran lunga il più esteso d’Italia), la realtà urbana romana deborda ampiamente dai limiti municipali: a SE, dove i centri dei Castelli formano una conurbazione con la capitale; a E e a NE, dove l’agglomerazione romana raggiunge Guidonia, Tivoli, Mentana, Monterotondo; a S, dove i processi di diffusione industriale hanno quasi saldato la periferia di Roma con Pomezia; più recentemente, a O e NO, verso Ladispoli, Cerveteri e il Lago di Bracciano, e a N, lungo le vie Flaminia e Tiberina. A N e a S di quest’area metropolitana, si registrano forti squilibri di densità tra le varie province del L., con valori compresi tra quelli elevatissimi della provincia romana (716), quelli discretamente alti delle province meridionali (Latina, 233; Frosinone, 151) e quelli decisamente modesti di Viterbo (84) e di Rieti (56). Discrete concentrazioni si riscontrano in alcune parti vulcaniche del Viterbese, nel litorale anziate e tra Gaeta e il Garigliano, e soprattutto nella Pianura Pontina che, a partire dagli anni 1930, ha registrato un forte incremento demografico, dapprima per le operazioni di bonifica e colonizzazione agraria (con grande affluenza di lavoratori dalla Romagna e dal Veneto) e poi, dal dopoguerra, con un processo di marcata industrializzazione. Si sono invece progressivamente spopolate (soprattutto fino agli anni 1990) le aree al di sopra dei 700-800 m, sia nel L. interno verso i confini con l’Abruzzo, sia nelle catene litoranee dei Lepini, degli Ausoni e degli Aurunci. Degli altri comuni del L., Latina supera i 115.000 ab.; Guidonia-Montecelio sfiora gli 80.000; Aprilia, Fiumicino e Viterbo superano i 60.000; Pomezia, Tivoli, Civitavecchia e Velletri oltrepassano i 50.000 e poco meno numerose sono Anzio (ma la conurbazione Anzio-Nettuno ha oltre 90.000 ab.). Dal punto di vista delle funzioni svolte, Roma ha un’area d’influenza che travalica di molto il territorio del L.; funzioni urbane di una certa rilevanza sono svolte da Civitavecchia, Viterbo, Rieti e da Latina, Frosinone, Formia; fra gli altri centri urbani che sono venuti emergendo va considerato almeno Cassino, all’estremo SE della regione, che ha assunto un non trascurabile ruolo industriale e universitario.
Anche se nel complesso il L. appare come una regione a crescente specializzazione terziaria, non mancano tuttavia al suo interno dinamiche economiche differenziate. Nell’area romana oltre l’80% del valore aggiunto deriva da attività terziarie (rese per gran parte all’intero sistema nazionale, attraverso i servizi della pubblica amministrazione), nella sezione meridionale della regione continua a essere essenziale il contributo del settore secondario, non trascurabile anche nel Reatino, a differenza del Viterbese e dell’area pontina, che presentano una rilevante incidenza dell’agricoltura. Nel settore primario appare ormai consolidato il dualismo fra aree a coltivazione intensiva, con aziende di crescenti dimensioni e tecnologicamente avanzate (Agro Romano e Pontino, Viterbese) e aree marginali, con prevalenza del part time (cinture suburbane, zone interne). Nel complesso è cresciuta la produzione cerealicola regionale, come pure sono aumentate le produzioni orticole, che hanno beneficiato dell’aumento delle superfici in serra, e quelle dell’agricoltura biologica. I seminativi sono diffusi nelle zone di pianura e, molto frazionati, in quelle di collina, con prevalenza di cereali, in massima parte grano. Le colture legnose specializzate constano essenzialmente di vite, olivo e in minor misura di alberi da frutta. Il vigneto specializzato è tipico dei Colli Albani, da cui si estende verso la Pianura Pontina e le colline di Palestrina e Valmontone, e, in aree più limitate, a O di Roma (Maccarese, Cerveteri), nei pressi di Terracina e nelle Isole Ponziane. L’oliveto prevale in colture specializzate nelle colline del Viterbese e soprattutto della Sabina, e promiscue sulle colline della Ciociaria. Notevole l’incremento delle colture orticole, a pieno campo e in serra, nella fascia costiera a O di Roma (Maccarese), nella Pianura Pontina e nella Piana di Fondi. Grande impulso hanno avuto anche la floricoltura e la vivaistica (Santa Marinella). L’allevamento, per secoli base fondamentale della vita economica della regione, non ha più grande rilievo; modesta incidenza ha anche la pesca. Le risorse minerarie del L. sono praticamente esaurite e limitate a pietre da costruzione (tufo, peperino e travertino nei dintorni di Roma e nel Viterbese; marmi pregiati a Cottanello, nel Reatino), bentonite (Ponza). Numerose invece le acque minerali, con impianti bene attrezzati e di notevole richiamo turistico (Fiuggi). Rilevante la produzione di energia elettrica, oltre 22 miliardi di kWh nel 2006, di cui 20 prodotti in centrali termoelettriche.
Il settore secondario, dopo una fase di ristagno legata a fattori strutturali e congiunturali che ha colpito soprattutto le industrie del L. meridionale, mostra segnali di ripresa. In provincia di Roma più decisa è stata la crescita dei comparti tradizionali (telecomunicazioni, gomma, meccanica, lavorazioni del legno e del mobilio, tessile); nel Viterbese del comparto della ceramica, nel Reatino dei settori dell’elettronica e delle telecomunicazioni, nel Frusinate del settore del legno e del mobilio, nonché del comparto tessile, mentre in provincia di Latina le tendenze positive hanno riguardato sia il comparto chimico-farmaceutico sia il sistema delle piccole e medie imprese che operano nei comparti tradizionali (legno e mobilio, alimentare). Tradizionali la produzione della carta, concentrata specialmente nel L. meridionale, e l’industria della stampa, che ha in Roma un antico centro.
Il L. rappresenta una delle principali regioni d’immigrazione. A partire dall’ultimo decennio del 20° sec., nel mercato del lavoro il livello di integrazione degli immigrati regolarizzati è migliorato, ma il grado di sovrapposizione tra manodopera locale ed extracomunitaria rimane ancora limitato. L’attività commerciale si impernia su Roma, principale mercato di importazione, ma anche di ridistribuzione nei confronti della regione. Il traffico marittimo si svolge a Civitavecchia (merci, passeggeri per la Sardegna). Roma è il centro di irradiazione di 6 linee ferroviarie principali e di 4 autostrade. Le antiche vie consolari, opportunamente trasformate e collegate dal Grande raccordo anulare, ma non sempre adeguate al traffico automobilistico, rappresentano ancora le principali vie di collegamento con le altre regioni; abbastanza fitta la viabilità minore. Il traffico aereo si svolge nell’aeroporto internazionale di Fiumicino, cui si affianca l’aeroporto di Ciampino. Il turismo è una componente essenziale dell’economia del L.: sono più di 30 milioni le presenze turistiche regionali annue e Roma, in particolare, è la prima città d’arte italiana per numero di presenze.
Preistoria. - Il Paleolitico inferiore è attestato in siti su terrazzi fluviali e in bacini lacustri (Colle Marino, Arce, Fontana Liri). A Roma, in località Casal de’ Pazzi, è stato trovato un frammento di parietale umano definito pre-neandertaliano. Nell’area del Monte Circeo i resti faunistici della grotta Breuil hanno rivelato un insediamento neandertaliano. Molto arcaiche sono le schegge di tecnica clactoniana della Valchetta Cartoni (Roma), mentre la presenza di gruppi umani in epoca rissiana è attestata a Torrimpietra e nella valle dell’Aniene (Monte delle Gioie e Sedia del Diavolo). Sempre nella valle dell’Aniene, ma in un livello più recente (ultimo periodo interglaciale), si trovava il famoso giacimento di Saccopastore. All’incirca allo stesso periodo viene datato il complesso dei reperti di Pontecorvo. La regione costiera fu intensamente abitata durante il Würm, come appare dalle stratigrafie del Canale delle Acque Alte (Agro Pontino) e soprattutto delle grotte litoranee (dal Monte Circeo a S di Sperlonga), dove si rinviene la facies musteriana pontiniana. In relazione con essa è il celebre cranio neandertaliano rinvenuto nella grotta Guattari. L’orizzonte più arcaico del Paleolitico superiore è costituito dall’aurignaziano (circeiano) del Monte Circeo, cui fanno seguito gli sviluppi delle culture con industrie su lamella (epigravettiane). Possono essere ricondotti al romanelliano complessi come quelli delle grotte Polesini (Tivoli) e Iolanda (Sezze Romano). A circa 6500 anni a.C. risale il mesolitico del riparo Blanc al Monte Circeo.
La più importante e meglio documentata cultura neolitica laziale è quella denominata di Sasso-Fiorano, datata alla metà del 4° millennio, nel sito di Luni (Viterbo). Altre testimonianze sono attestate in diverse aree del L. (Grotta delle Sette Cannelle, Pirgi, Palidoro, Colli Albani). A Petescia (Rieti) lo strato del Neolitico medio è datato più o meno allo stesso periodo. Tipica del territorio viterbese, ma presente anche nelle province di Roma (Mandela) e di Frosinone (Alatri, Casamari, Sgurgola), è la cultura eneolitica di Rinaldone; in località Fosso Conicchio (Viterbo), una tomba a forno ha restituito anche 6 bicchieri campaniformi. Molto numerosi e distribuiti soprattutto nel L. centro-settentrionale sono i ritrovamenti pertinenti alla civiltà appenninica dell’età del Bronzo (Cavernette Falische, Luni, Narce, Turania, Civitavecchia, Pian Sultano, Palidoro ecc.). A Ponte San Pietro (Viterbo) e nella zona Allumiere-Tolfa è ampiamente rappresentata la facies protovillanoviana, con varie necropoli.
Per quanto riguarda l’età del Ferro, nel territorio dove in seguito avrà sviluppo la civiltà etrusca sono venute alla luce grandi necropoli villanoviane (Tarquinia, Vulci, Narce, Cerveteri, Monte Sant’Angelo, Veio ecc.). A Pirgi, porto di Cerveteri, è stato rinvenuto all’interno del santuario un ulteriore impianto templare (fine 6° sec. a.C.); la stipe votiva, ricchissima di ceramica attica, ha restituito inoltre una coppa del Pittore di Brygos (470 a.C.), raffigurante Ulisse che uccide i Proci. Nella regione a S del Tevere, principalmente nell’area della città di Roma e intorno ai Colli Albani, fiorisce la civiltà laziale (➔ Latini). Nel territorio degli Equi sono state rinvenute mura in opera poligonale, attribuibili a centri fortificati utilizzati nel periodo degli ultimi conflitti con Roma. A Casal Civitella di Riofreddo, nella valle del Salto, è stata riportata alla luce una necropoli con ricchi corredi (armi, oggetti in bronzo e ambra). Nel Cicolano è stato rinvenuto un grande tumulo utilizzato dalla prima età del Ferro fino a epoca tardo-repubblicana. Le tombe orientalizzanti di Palestrina rivelano l’influenza di Cerveteri; le necropoli si trovano a S della città sillana (contrade San Rocco e Colombella); a SO di essa sono le sostruzioni di un edificio all’interno del santuario di Ercole con stipe votiva di età arcaica.
Storia. - Nella divisione augustea dell’Italia il L. formò con la Campania la prima regione, ma in questa rimase tagliata fuori la parte dell’antico territorio latino a nord dell’Aniene (assegnata all’Etruria). Alla fine del 6° sec. la Chiesa possedeva alcuni patrimoni, ma i diritti della sovranità erano esercitati, nel Ducato romano, dall’Impero d’Oriente. Il potere di Bisanzio nel Ducato declinò nell’8° secolo. Nel 727 l’exercitus si ribellò all’imperatore e, nel 728, il papa Gregorio II ottenne il castello di Sutri; successivamente Zaccaria (742) ebbe Ameria, Orte, Polimarzo e Blera. Queste cosiddette «restituzioni» importarono sulle terre restituite l’accentuarsi del potere pontificio. Nell’8° e 9° sec. crebbero in potenza alcune famiglie laiche, che occuparono gli uffici cittadini di Roma. Insieme sorse la nuova aristocrazia dei grandi proprietari terrieri.
Nel 12° sec. i papi riorganizzarono il loro dominio, giovandosi dell’appoggio dei Comuni e di forze estranee, come per esempio i Normanni. La rivolta del 1143 e la renovatio senatus (➔ Roma) portarono a una più stretta unione degli elementi del governo cittadino, dando loro una più definita posizione di concorrenza rispetto all’autorità pontificia. Clemente III (1187-91) concluse con il comune di Roma l’accordo che gli assicurò la fedeltà del Senato e l’uso delle milizie cittadine. Intorno al 1198 Innocenzo III fece sue le pretese del Senato sui beni del territorio; i feudatari della Campagna, della Marittima e della Tuscia riconobbero la sovranità pontificia, Viterbo si legò al Senato con l’obbligo del tributo. Con Gregorio X (1271-77) le province divennero l’insieme delle terre soggette al rettore. Il riordinamento interno fu completato dalla delimitazione dei confini esterni dello Stato della Chiesa, fissati a Neuss (1201) e a Spira (1209). Inoltre, gli interessi delle città libere coincidevano con quelli del papa contro le mire del comune romano; nel 1234 lo sforzo supremo di Roma contro la dominazione pontificia fallì. L’azione di Luca Savelli in Tuscia e nella Campagna cedette all’offensiva degli avversari, e il conflitto tra Federico II e Gregorio IX non indebolì la posizione del pontefice. Con il tramonto della potenza del papato e dell’impero, il potere temporale pontificio si ridusse a figura politica regionale. Tale apparve lo Stato della Chiesa all’incoronazione di Gregorio X (1272). A Niccolò III, Rodolfo d’Asburgo rinnovò (1278) i trattati di Losanna che confermarono lo Stato, così che il pontefice potè dirsi veramente un monarca.
Con Clemente V (1305-14), iniziò il periodo avignonese del papato, durante il quale l’autorità del pontefice sul L. andò in un primo tempo decadendo, finché al popolo si fece chiaro che solo il papa avrebbe potuto restituire ordine alla città e alla regione. Con Clemente VI (1342-51) i nobili patirono la soppressione del Senato e il governo dei Tredici. Con l’editto di restituzione dei diritti sovrani a Roma, le terre della Campagna e della Marittima, della Sabina e della Tuscia romana si riconobbero vassalle della città e l’opera di G.Á. Albornoz in Sabina e in Tuscia ne fu la conseguenza. Così, quando Roma si trovò al centro di una rete che, amministrativamente, le dava in mano l’intera regione, popolo e nobiltà, in lotta, si fiaccarono rendendosi inetti al dominio sullo Stato. Il pontefice allora tornò (1377). I papi dimostrarono di essere i più forti con i provvedimenti del 1398 che esautorarono le corporazioni, con la sottomissione dei Colonnesi e di Viterbo. Da Martino V (1417-31) la lotta per il predominio fu questione di prevalenza militare; i beni dei Colonna di Palestrina, Zagarolo, Gallicano furono incamerati. Con la vittoria di Paolo II (1464-71) sugli Anguillara la Chiesa acquisì l’intero loro patrimonio. Gradualmente, in conseguenza del consolidamento del potere papale, la vicenda del L. andò sempre più identificandosi in quella dello Stato Pontificio.
I dialetti del L. rientrano nel gruppo dialettale centro-meridionale e partecipano delle caratteristiche che questo gruppo presenta: per la fonetica la metafonia esercitata da -i e -u finali (vinti «venti», munnu «mondo»), l’assimilazione di nd a nn (quanno «quando»), di mb a mm (gamma «gamba»), di ld a ll (callo «caldo»), il passaggio di l preconsonantica a r (morto «molto»); per la morfologia le forme pronominali atone me, te, se, ce invece di mi, ti, si, ci (me senti, ce semo), il condizionale in -ia (avria «avrei»), e l’infinito apocopato (annà, magnà «andare, mangiare»).
Nel gruppo dei dialetti laziali occupa una posizione particolare il romanesco: il quale, non dissimile nel Medioevo dai dialetti laziali meridionali, se ne è venuto differenziando sempre più dal 16° sec. in poi per accostarsi ai dialetti toscani, che premono su questo attraverso la lingua letteraria. Nei sonetti di G.G. Belli e di C. Pascarella, come in altri testi del romanesco moderno, non si riconosce più quella lingua di stampo meridionale che ha invece il suo maggior monumento nella trecentesca Vita di Cola.