SPALLANZANI, Lazzaro (Lazaro Nicola Francesco)
– Nacque a Scandiano il 12 gennaio 1729 da Giovanni Nicola Francesco, notaio, e da Lucia Ottavia Ziliani.
Primo di dieci figli, crebbe nel paese natale dove ricevette i rudimenti delle lettere dal padre e fu avviato allo studio della grammatica dal sacerdote Ippolito Morsiani. All’età di dodici anni gli venne conferita la prima tonsura dal vescovo di Reggio nell’Emilia; in questa città, tre anni dopo, seguì i corsi di umanità e retorica nel collegio dei gesuiti.
Nel 1749 si iscrisse alla facoltà giuridica di Bologna ed entrò in contatto con Laura Bassi, cugina di terzo grado, che insegnava fisica sperimentale nell’Archiginnasio. Bassi era membro dell’Accademia e dell’Istituto delle scienze e teneva corsi privati nella sua abitazione. In quel periodo Spallanzani studiò greco classico sotto la guida di Giovanni Battista Bianconi, una lingua che avrebbe continuato a coltivare nel corso della sua vita. Alla fine del 1753, influenzato dalla cugina, lasciò gli studi legali per dedicarsi a quelli fisico-matematici a Bologna, sotto la guida dell’astronomo Eustachio Zanotti e del matematico gesuita Vincenzo Riccati. Fra il 1754 e il 1755 prese anche lezioni di algebra a Reggio dal canonico forlivese Felice Luigi Balassi. Molte fonti riportano che Spallanzani avrebbe ottenuto il titolo di philosophiae doctor nel 1755, un passaggio accademico di cui, a tutt’oggi, manca la documentazione diretta.
Iniziò a essere conosciuto negli ambienti culturali di Reggio e venne ammesso all’Accademia degli Ipocondriaci e a quella degli Scemati di Mattajano. In quel periodo divenne amico del letterato e, in seguito, economista, Agostino Paradisi al quale insegnò privatamente il greco. Nel 1756 incontrò a Scandiano il vescovo Giovanni Maria Castelvetri, grazie al quale, nell’aprile dell’anno dopo, ottenne il posto di professore di fisica nell’Università di Reggio e l’incarico d’insegnamento del greco e del francese per i convittori del seminario-collegio della città. Colleghi docenti furono Bonaventura Corti e Felice Luigi Balassi, mentre fra gli allievi si distinsero presto Giambattista Venturi e Angelo Mazza. Insoddisfatto della paga, Spallanzani iniziò a cercare nuovi sbocchi professionali mentre componeva la sua prima opera destinata alla stampa, Riflessioni intorno alla traduzione dell’Iliade del Salvini (Parma 1760).
Fra la fine del 1760 e l’inizio dell’anno seguente sviluppò alcune ricerche sperimentali, pubblicate soltanto cinque anni dopo (De lapidibus ab aqua resilientibus. Dissertatio, Modena 1765), sul rimbalzo dei sassi lanciati sull’acqua. Dal febbraio del 1761 iniziò a spostare i suoi interessi su argomenti biologici immergendosi nella lettura del secondo volume dell’Histoire naturelle di Georges-Louis Leclerc conte di Buffon – che sosteneva una tesi favorevole alla generazione spontanea degli esseri viventi – e di Pierre-Louis Moreau de Maupertuis. Lo studio della vita lo catturò nella primavera e nell’estate del 1761, interrotto soltanto da un’escursione sul lago di Ventasso e sull’Appennino reggiano, durata quindici giorni, quando riuscì a confermare la teoria di Antonio Vallisneri senior sull’origine delle sorgenti dalle acque piovane e dalle nevi.
Spallanzani sviluppò un programma di convalida degli esperimenti di Buffon e del sacerdote cattolico inglese John Turberville Needham che sembrò confermare la generazione spontanea. Partito da posizioni epigeniste favorevoli ai due naturalisti, egli si spostò poi nella direzione del preformismo ovista di cui fa fede l’importante lavoro pubblicato nel 1765 a Modena in cui smentiva la generazione spontanea degli infusori, il Saggio di osservazioni microscopiche concernenti il sistema della generazione de’ signori di Needham, e Buffon. Subito dopo iniziò una serrata corrispondenza con il biologo svizzero Charles Bonnet, destinato a diventare suo mentore e interlocutore scientifico.
Tramite speciale dispensa papale, Spallanzani percorse in pochi giorni i gradi della gerarchia ecclesiastica e il 26 settembre 1762 fu ordinato sacerdote dal vescovo Castelvetri. Si realizzò così il suo desiderio di trovare una nuova sistemazione professionale che gli permettesse di lasciare Reggio. Nel 1763 fu infatti chiamato nell’Università di Modena come professore di filosofia, e nel collegio S. Carlo della città per l’insegnamento di greco e matematica, posto riservato a un sacerdote.
Durante gli anni modenesi maturò la vocazione di Spallanzani per l’indagine sui fenomeni della vita e andò consolidandosi la sua fama. Nel 1768 fu ascritto alla Royal Society di Londra, all’Accademia dei Dissonanti di Modena e all’Istituto delle scienze di Bologna; nel 1769 entrò come membro della Reale Accademia di scienze e belle lettere di Mantova e ben presto venne chiamato a far parte dei principali sodalizi scientifici europei. Immerso in un’intensa attività sperimentale, nel 1768 pubblicò a Modena tre importanti saggi. Il primo è il Prodromo di un’opera da imprimersi sopra le riproduzioni animali, dedicato alla rigenerazione di parti corporee amputate. Il secondo, dal titolo Invito a intraprendere sperienze, onde avere muletti nel popolo degl’insetti per tentar di sciogliere il gran problema della generazione, descriveva osservazioni sul fenomeno della riproduzione. Il terzo lavoro, Dell’azione del cuore ne’ vasi sanguigni, riguardava la fisiologia cardiocircolatoria studiata prevalentemente nella salamandra acquatica e riportava incidentalmente la scoperta dei leucociti. Del periodo modenese è anche la traduzione italiana annotata della Contemplation de la nature di Bonnet, pubblicata in due volumi nel 1769 e nel 1770, che avrebbe poi utilizzato come libro di testo dei suoi corsi universitari.
Dopo una serie di manovre che coinvolsero il conte Carlo Firmian, ministro plenipotenziario della Lombardia austriaca e il governatore Francesco III d’Este, duca di Modena, nel settembre del 1769 ricevette l’invito a occupare la cattedra di storia naturale nell’Università di Pavia, proprio allora istituita, che implicava un corso biennale nel piano di studio della facoltà filosofica, un miglior stipendio e la possibilità di occuparsi soltanto di argomenti scientifici. Spallanzani iniziò le lezioni alla fine di quel mese e tenne una Prolusio in un forbito latino ritornando a discutere di generazione spontanea, con critiche serrate alle note che Needham aveva posto alla traduzione francese, pubblicata nel 1769, del suo Saggio di osservazioni microscopiche.
Nel 1771 Spallanzani assunse la direzione dell’appena fondato Museo di storia naturale. Al pari di altri professori pavesi, ebbe alloggio fino al 1778 nell’ex convento di S. Epifanio, che dovette poi lasciare per esigenze dell’ateneo. Si trasferì allora in una nuova casa in contrada Castiglioni, dove organizzò un laboratorio privato con stabulario.
Al mattino, prima e dopo la messa, allestiva gli esperimenti, dopo pranzo teneva lezione all’Università, seguiva il lavoro di ordinamento delle produzioni naturali nel Museo dove, una volta alla settimana, organizzava delle ‘pubbliche ostensioni’, descrivendo i vari regni della natura. Nella sua casa-laboratorio teneva anche seminari privati per gli allievi più partecipi.
Nell’estate del 1772 effettuò un viaggio nel lago di Como e nel Canton Ticino. A Pavia riprese gli studi sulla circolazione con l’aiuto della ‘macchinetta di Lyonet’ – un microscopio semplice – riuscendo a dimostrare l’esistenza dei capillari e le anastomosi arterovenose negli animali a sangue caldo (embrione di pollo) descrivendoli nel saggio De’ fenomeni della circolazione osservata nel giro universale de’ vasi (Modena 1773). In quest’opera forniva descrizioni dei globuli rossi e confermava la scoperta dei leucociti. Profondamente ispirato dalla tradizione galileiana, il cui rigore cercava di trasferire alle scienze della vita, Spallanzani riunì in due volumi i cinque Opuscoli di fisica animale e vegetabile (Modena 1776) in cui raccolse una grande messe di dati sperimentali.
Nel primo di questi lavori demolì il concetto di ‘forza vegetatrice’ che secondo Needham avrebbe guidato la neoformazione degli infusori. Nel secondo opuscolo descrisse gli spermatozoi («vermicelli spermatici») contestando l’idea di Buffon che fossero secondari «all’accozzamento» delle «molecole organiche» presenti in natura. Nel terzo indagò i fenomeni della morte degli animali negli ambienti chiusi e fuori dal contatto con l’aria. Nel quarto si interessò della capacità di rotiferi, tardigradi e altri piccoli animali di apparire esanimi quando essiccati e in grado di tornare alla vita se reidratati. Nel quinto, studiò il pulviscolo nero prodotto dalle muffe, dimostrando che non si formava per generazione spontanea, come invece sostenuto dal botanico Giuseppe Monti, ma costituiva il loro seme.
Rettore dell’Università di Pavia fra il 1777 e il 1778, in quest’ultimo anno pubblicò una lettera apologetica, firmata con lo pseudonimo abate Antonio Castiglioni di Parma, che conteneva una sferzante risposta alle critiche sul moto del sangue rivoltegli dal medico ceco Georg Prochaska. Nel 1779, fra luglio e settembre, compì un viaggio di studio in Svizzera e incontrò alcuni studiosi, tra i quali Bonnet e Jean Senebier. Andò intanto sviluppando importanti studi sulla digestione e la fecondazione che sarebbero apparsi nelle Dissertazioni di fisica animale e vegetabile. Considerata piena espressione della maturità scientifica di Spallanzani, l’opera apparve in due tomi a Modena nel 1780.
Nel primo, suddiviso in sei dissertazioni, il naturalista indagò il fenomeno digestivo in molte specie animali, incluso l’uomo, riuscendo a dimostrare il ruolo del succo gastrico in questo processo, realizzando anche delle parziali digestioni artificiali di alimenti posti direttamente nel fluido. Lo studio innescò una polemica con il medico scozzese John Hunter, autore del saggio Some observations on digestion (1786) nel quale accusò lo scienziato emiliano di non essersi basato su adeguate conoscenze anatomiche, di aver infarcito lo studio con troppi esperimenti superflui e defatiganti per il lettore; lo criticò infine in quanto prete, come se vi fosse stato un impedimento fra tonaca e indagine scientifica. Spallanzani rispose in maniera altrettanto dura con una Lettera apologetica in risposta alle osservazioni sulla digestione del sig. Giovanni Hunter (Milano 1788). Nel secondo tomo delle Dissertazioni lo scienziato emiliano trattò il tema della fecondazione e della generazione degli animali e delle piante. Questa parte conteneva, tra l’altro, la descrizione dei celebri esperimenti sugli anfibi provvisti di mutande incerate (già tentati dall’abate Jean-Antoine Nollet e da René-Antoine Ferchault de Réaumur) che dimostravano la falsità della teoria dell’aura spermatica e la necessità di un contatto fisico fra sperma e uovo per innescare la generazione. Riportò inoltre l’esperimento, in condizioni controllate, della fecondazione artificiale in un mammifero (cane). Tuttavia, nonostante il rigore sperimentale normalmente seguito e forse condizionato dal suo credo preformista ovista, Spallanzani non fu in grado di evidenziare la rilevanza degli spermatozoi nel processo.
L’idea del viaggio come metodo di indagine naturalistica iniziò a farsi sempre più strada nei suoi programmi scientifici: fu a Genova e nella Riviera ligure di Levante nelle vacanze pasquali del 1780, a Marsiglia e nella Riviera di Ponente nel 1781, a Rimini, Chioggia (dove studiò la scossa elettrica della torpedine) e Rovigno in Istria nel 1782, a Portovenere (dove organizzò un laboratorio con un piccolo acquario), nelle Alpi Apuane e in Garfagnana nell’estate del 1783. Sui risultati scientifici di quest’ultima escursione pubblicò due Lettere (Verona 1784) indirizzate a Bonnet.
In quegli anni rese noti i risultati degli esperimenti sulla rigenerazione della testa delle lumache terrestri decapitate che destarono un vivo interesse e vennero replicati, tra gli altri, da Voltaire e Antoine-Laurent Lavoisier; su questi argomenti pubblicò due Memorie (Verona 1782 e 1784). Interessato sempre più alla biologia del mare, Spallanzani tornò nel 1784 a Chioggia, in laguna, dove studiò le spugne di cui riconobbe la natura animale. In quell’anno intraprese anche un’escursione sulle colline di Sassuolo sviluppando ricerche sui pozzi di petrolio e sulla ‘salsa’ (fenomeno geotermale con fuoriuscita dal terreno di fango, acqua e idrocarburi) di Montegibbio.
La sua prolifica attività scientifica gli valse un riconoscimento ufficiale da parte dell’imperatore Giuseppe II (1784) con un aumento dello stipendio. Nelle vacanze pasquali del 1785 si recò ancora a Genova ma il successivo 22 agosto iniziò, con il fido inserviente Giovanni Piaggi, esperto preparatore zoologo, un lungo viaggio nel Mediterraneo alla volta di Costantinopoli.
Salpato da Venezia sulla nave S. Giorgio al seguito di Girolamo Zulian, il nuovo ambasciatore veneto presso la Sublime Porta, dopo una navigazione a momenti perigliosa, Spallanzani giunse nella capitale ottomana il 31 ottobre di quell’anno. Lungo la via effettuò osservazioni meteorologiche e naturalistiche annotate puntigliosamente nei diari che redasse. Dell’ampio materiale raccolto durante il viaggio pubblicò soltanto le Osservazioni fisiche istituite nell’Isola di Citera oggidì detta Cerigo (Verona 1786) e le Osservazioni sopra alcune trombe di mare (Verona 1788).
Durante il soggiorno a Costantinopoli, Spallanzani divise il suo tempo fra escursioni naturalistiche sul Bosforo e lungo il territorio limitrofo, occupandosi di geologia, vulcanologia, biologia marina, meteorologia, ornitologia; visse nei salotti delle ambasciate occidentali – spiando a beneficio del governo austriaco la complessa situazione politica – e partecipò all’udienza concessa all’ambasciatore dal sultano Abdul Hamid I. A metà agosto 1786 iniziò il viaggio di ritorno via terra, attraverso la Bulgaria, la Romania, l’Ungheria e l’Austria.
Mentre era in viaggio, a Pavia venne ordita una congiura contro di lui organizzata dal suo collaboratore nel Museo, il canonico Serafino Volta, dal professore di chimica e botanica Giovanni Antonio Scopoli, dal matematico scolopio Gregorio Fontana e dal professore di anatomia Antonio Scarpa. I quattro lo accusarono di aver rubato alcuni pezzi importanti del Museo di storia naturale allo scopo di arricchire la collezione naturalistica privata che conservava nella sua casa di Scandiano. Tornato a Pavia, Spallanzani venne sottoposto a procedimento giudiziario, ma riuscì a dimostrare la sua innocenza e con decreto imperiale del 14 luglio 1787 fu scagionato dall’imputazione. Tutti gli accusatori furono puniti e subirono una dura reprimenda dalle autorità imperiali. Spallanzani, poco dopo, si vendicò pubblicando due libelli (il primo dal titolo Lettera due del dottore Francesco Lombardini bolognese al sig. dottore Antonio Scopoli e il secondo dal titolo Lettera tre di un professore di storia naturale al chiarissimo signore Gio. Antonio Scopoli, Zoopoli, in realtà Venezia, 1788), uno anonimo e l’altro con uno pseudonimo, ferocemente caustici contro Scopoli dove era ridicolizzata la sua attività scientifica e veniva reso noto un marchiano errore che il botanico aveva pubblicato nelle sue Deliciae florae et faunae Insubricae. La vicenda fu anche tema di una commedia attribuita a Carlo Goldoni o ad ambienti a questi molto vicini.
Il 23 giugno 1788 Spallanzani iniziò un secondo importante viaggio di studio, questa volta nel Sud della penisola italiana, che aveva come scopo primario quello di arricchire le collezioni del Museo pavese, particolarmente nel campo mineralogico-litologico, e lo studio dei vulcani.
Il 24 luglio giunse a Napoli e visitò Pompei, Ercolano e i Campi Flegrei (in particolare la solfatara di Pozzuoli, il lago vulcanico d’Averno, il lago di Agnano e la vicina grotta del Cane studiandovi con l’eudiometro i gas che vi si sprigionavano, il monte Nuovo, le isole di Procida e Ischia). Esattamente un mese dopo si imbarcò per la Sicilia e raggiunse Messina. Spostatosi a Catania, salì sull’Etna raggiungendone la cima il 3 settembre e penetrò oltre l’orlo del cratere per osservarne le pareti e la lava fusa. Tornò poi a Messina e si imbarcò per le isole Eolie che raggiunse il 12 settembre. Esplorò dettagliatamente il piccolo arcipelago effettuando esami chimico-fisici sulle rocce (che vennero successivamente confrontati con gli esperimenti di vetrificazione realizzati a Pavia nelle fornaci dei vetrai). Indagò per tre giorni la geologia dello Stromboli concludendo che non aveva un’attività eruttiva intermittente, anche se tale appariva a chi osservava il rilievo da lontano. Discese nel cratere di Vulcano studiandone le lave basaltiche e basaltiformi di forma prismatica e i processi di vetrificazione. Si fermò diciotto giorni a Lipari e visitò Salina, Alicudi, Filicudi oltre alle isole minori (Basiluzzo, Lisca Bianca, Dattilo, Bottaro, Panarea), analizzando in dettaglio le ossidiane e le pomici di quei luoghi. Raccolse molti campioni mineralogici oltre a diverse ‘produzioni’ di biologia marina per il Museo pavese. Le analisi delle rocce nelle diverse isole lo convinsero che Lipari, Salina e Vulcano avevano alla base lo stesso fuoco profondo che si era poi aperto in tre bocche eruttive. Al contrario Stromboli, Alicudi e Filicudi gli apparvero indipendenti perché separati da fondali rocciosi non perforati dal fluido magmatico. Tornò a Messina il 16 ottobre e si immerse nello studio della zoologia marina lungo lo Stretto. Alla fine di ottobre giunse a Napoli e il 4 novembre era sulla cima del Vesuvio dove poté studiare nel dettaglio lo scorrimento e i caratteri della lava. Il 16 novembre riprese il mare per Genova ma interruppe la navigazione a Porto Ercole per visitare il bacino di Orbetello (dove condusse ricerche sulle anguille) e le miniere ferrose dell’isola d’Elba.
Tornato alla sua attività di professore a Pavia, iniziò a stendere il resoconto del viaggio. L’opera, integrata con indagini sui fenomeni pseudovulcanici dell’Appennino modenese e reggiano che Spallanzani sviluppò nell’estate del 1789 (quando visitò una prima volta anche i colli Euganei) e del 1790, apparve in sei volumi (Pavia 1792-1797) con il titolo Viaggi alle due Sicilie e in alcune parti dell’Appennino. Nell’autunno del 1792 tornò sui colli Euganei, poi stette qualche settimana a Venezia con viaggi a Padova, Vicenza e sulla laguna veneta. A ottobre dimorò a Comacchio dove studiò le anguille, completando le ricerche avviate a Orbetello.
Nel 1793 iniziò a indagare il volo dei pipistrelli con esperimenti fatti a Pavia e a Scandiano che riassunse nelle Lettere sopra il sospetto di un nuovo senso nei pipistrelli (Torino 1794). Visitò ancora l’Appennino modenese nell’estate del 1795; si diresse poi a Venezia passando per Mantova, Verona, Vicenza e Padova. L’anno dopo pubblicò il Chimico esame degli esperimenti del sig. Gottling (Modena 1796), che portava conferme sperimentali della teoria di Lavoisier. Sviluppò in quegli anni importanti indagini sulla respirazione (pubblicate postume), dimostrando che il fenomeno non era ristretto ai polmoni, come pensava Lavoisier, ma interessava tutti i tessuti.
Morì a Pavia l’11 febbraio 1799 per un blocco renale che lo sorprese mentre era ancora profondamente attivo nell’attività di ricerca. L’autopsia eseguita da Antonio Scarpa e Luigi Valeriano Brera accertò la presenza di un tumore del collo vescicale.
Opere. L’intera opera a stampa di Spallanzani, il suo epistolario e la maggior parte dei suoi scritti e delle sue annotazioni sono pubblicati nell’Edizione nazionale delle Opere di Lazzaro Spallanzani (EN), I-VI, Modena 1984-2018. Le varie sezioni dell’EN sono arricchite da introduzioni, curatele, note e commenti. Tra le varie edizioni precedenti si ricordano: Le opere di Lazzaro Spallanzani pubblicate sotto gli auspici della Reale Accademia d’Italia, I-V, 1-6, Milano 1932-1936; Epistolario, I-IV, a cura di B. Biagi, Reggio Emilia 1958-1964; Opere scelte, a cura di C. Castellani, Torino 1978; Pagine scelte dalle opere, a cura di C. Castellani - M.F. Spallanzani, Reggio Emilia 1990; I giornali delle sperienze e osservazioni, a cura di C. Castellani, Firenze 1994.
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