Lazzaro Spallanzani
Erede della tradizione galileiana, Lazzaro Spallanzani ha condotto con instancabile impegno ricerche originali in numerosi ambiti della storia naturale. Per Spallanzani tutta la natura è un immenso laboratorio – compreso il nostro stesso corpo – e ogni esperienza rappresenta un’occasione per strappare una briciola di verità nascosta nella profondità del reale: la conoscenza, dunque, vissuta come esperienza totale in grado di investire l’intera esistenza.
Lazzaro Spallanzani nacque a Scandiano, nel ducato estense, il 12 gennaio 1729, primo di una numerosa figliolanza del giureconsulto Giovanni Nicola (Giannicola). All’età di otto anni vestì l’abito clericale e a dodici sostenne l’esame per essere ammesso alla prima tonsura, rimanendo poi nello stato di chierico fino al trentatreesimo anno. Nell’infanzia fu avviato agli studi, dapprima dal padre e da don Ippolito Morsiani, ludimagister communitatis; poi seguendo il corso di grammatica a Scandiano, che terminò attorno ai quindici anni; infine nel Collegio dei Gesuiti di Reggio Emilia.
Spinto dal genitore che voleva avviarlo alla sua stessa professione, Spallanzani si iscrisse al corso di diritto dell’Università di Bologna, probabilmente nel 1749-50, iniziando però a coltivare interessi scientifici alimentati dalla frequentazione della casa di Laura Bassi, celebre naturalista che, con il marito Giuseppe Veratti (o Verati), animava un salotto scientifico frequentato dagli studiosi più in vista dell’Università di Bologna. A contatto con un ambiente così stimolante, Spallanzani decise di abbandonare lo studio del diritto per avvicinarsi alla storia naturale. Anche se manca la documentazione, è quasi certo che Spallanzani si laureò in filosofia, probabilmente attorno al 1755.
Rientrato a Scandiano, incontrò l’anno dopo il vescovo Giovanni Maria Castelvetri, che lo raccomandò al posto di insegnante di greco al Seminario-Collegio di Reggio, e subito dopo anche alla cattedra di fisica e matematica nell’Università, istituita da poco da Francesco III d’Este.
Spallanzani iniziò a dividere il suo tempo fra l’insegnamento e lo studio della natura, perfezionando le conoscenze di storia naturale, fisiologia e anatomia, anche con la collaborazione di un medico che lo aiutava nella dissezione degli animali. Nel 1760 pubblicò un lavoro di critica letteraria sulla traduzione dell’Iliade di Antonio Maria Salvini; due anni dopo fu consacrato sacerdote e nel 1763 entrò nel Collegio San Carlo di Modena come professore di greco e matematica e ricevette l’incarico di lettore di filosofia nell’Università. Nella capitale del ducato estense, Spallanzani maturò la passione per la fisiologia e le scienze della vita, iniziando a farsi rapidamente un nome fra i naturalisti italiani e stranieri, soprattutto per gli studi che confutavano la generazione spontanea degli infusori, i lavori che descrivevano la riproduzione delle parti amputate degli animali e le indagini sull’azione del cuore nei vasi sanguigni. Segno di questa fama crescente fu l’iscrizione alla Royal society di Londra nel 1768, di cui andava molto fiero. L’anno dopo si trasferì alla cattedra di storia naturale di Pavia, nel periodo in cui si attuavano le riforme dell’ateneo volute dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria.
La sua vita, nei trent’anni in cui insegnò a Pavia, fu divisa fra la docenza, la direzione del Museo di storia naturale e i viaggi scientifici, anche avventurosi e pericolosi, come quelli a Costantinopoli (1785-86) e nelle Due Sicilie (1788). Eletto nelle principali accademie scientifiche europee, nel 1777-78 fu rettore dell’Università. Morì a Pavia l’11 febbraio 1799 per blocco renale sopraggiunto a seguito di un tumore al collo vescicale.
Quando Spallanzani si iscrisse alla facoltà giuridica dell’Università di Bologna non aveva ancora avvertito una vocazione scientifica che invece si accese frequentando il salotto e le lezioni di fisica di Laura Bassi e del marito Giuseppe Veratti, il quale gli insegnò la fisica particolare, l’anatomia e la tecnica microscopica. L’esordio di Spallanzani fu su temi di fisica, con le Lettere due sopra un viaggio nell’Appennino Reggiano e al lago di Ventasso (1762), dedicate ad Antonio Vallisneri Jr, professore di storia naturale all’Università di Padova, sul problema dell’origine delle sorgenti montane dalle acque piovane infiltrate nei depositi sotterranei e dalle «nevi squagliate». Si trattava del rapporto scientifico di un’escursione sull’Appennino reggiano, il primo di una lunga serie di lavori frutto di esplorazioni naturalistiche. Ancora di argomento fisico fu una delle due dissertazioni pubblicate da Spallanzani nel 1765 (riunite in un unico opuscolo), sul rimbalzo dei sassi lanciati in acqua.
L’incipit delle sue pubblicazioni di argomento biologico fu l’altra dissertazione pubblicata quell’anno, il celebre Saggio di osservazioni microscopiche concernenti il sistema della generazione de’ Signori di Needham, e Buffon che contiene una prima confutazione della dottrina della generazione spontanea. Con questo lavoro Spallanzani interveniva in uno dei più accesi dibattiti scientifici del tempo: quello tra «epigenisti» e «preformasti», dibattito dalle implicazioni filosofiche e teologiche. Da un lato vi erano coloro che ritenevano l’essere vivente il risultato di uno sviluppo graduale a partire da una sostanza indefinita e indifferenziata, e dall’altro chi lo riteneva già preformato nel ‘germe’ da cui avrebbe tratto origine nella sua forma matura per accrescimento quantitativo delle singole parti già abbozzate. I preformisti consideravano errata la teoria della generazione spontanea, mentre i sostenitori dell’epigenesi erano a suo favore. La teoria della generazione spontanea aveva ricevuto allora una nuova formulazione da parte di Georges-Louis Leclerc de Buffon, e alcune convalide sperimentali da John T. Needham.
Dopo una prima adesione alla dottrina della generazione spontanea, Spallanzani aveva cambiato opinione, incalzato dai risultati sperimentali ottenuti applicando corrette procedure di sterilizzazione, poi riprese da tutti i biologi dell’Ottocento. La sua discesa in campo contro la dottrina di Needham e Buffon lo avvicinò ai campioni del preformismo, Albrecht von Haller (1708-1777), e soprattutto Charles Bonnet (1720-1793), che diventò sua guida e mentore in Europa a partire dal 1765, quando i due iniziarono una fitta corrispondenza, presto trasformatasi in stretta e feconda collaborazione.
Appassionato sempre più allo studio degli organismi viventi, nel 1768 Spallanzani diede alle stampe tre lavori: sulla riproduzione di parti amputate degli animali, sulla generazione negli insetti e sulla fisiologia del cuore e della circolazione. Nello stesso tempo lavorò a una traduzione annotata della Contemplation de la Nature di Bonnet, uscita in due volumi nel 1769 e nel 1770.
Gli argomenti di studio dei primi anni a Pavia furono in stretta continuità con le ricerche precedenti. Spallanzani esordì con una prolusione che rappresentò quasi un manifesto programmatico della sua metodologia sperimentale. Il primo lavoro di questo tipo che compose a Pavia, De’ fenomeni della circolazione osservata nel giro universale de’ vasi (1773), riprese le indagini sulla circolazione del sangue iniziati a Modena. Spallanzani completò la dimostrazione della teoria di William Harvey (1578-1657), osservando i capillari negli animali a sangue caldo (embrione di pollo), fornendo inoltre una descrizione degli eritrociti e realizzando, incidentalmente, una delle prime osservazioni dei leucociti. Lo studio, come quelli che seguirono immediatamente, esprime assai bene la sua concezione della ricerca biologica sperimentale in cui applica i metodi (e il rigore) della fisica al funzionamento degli organismi. Si trattava di realizzare una fisica del vivente.
Questo programma è illustrato dagli Opuscoli di fisica animale e vegetabile (1776), che contengono indagini su diversi argomenti, ma sono unificati dal metodo, profondamente galileiano, che comprendeva la ripetizione delle esperienze, la modificazione delle condizioni sperimentali e la loro riproduzione su diversi animali. Spallanzani riprendeva, con nuove tecniche di sua concezione, gli studi precedenti sulle basi della vita e confutava, in maniera convincente, le obiezioni avanzate da Needham alle tesi del Saggio di osservazioni.
Collegate a questi argomenti erano le indagini, condotte con grande audacia, soprattutto per un sacerdote, sulla natura dello sperma dell’uomo e di diversi animali, analizzato dal punto di vista fisico e microscopico. Spallanzani dimostrava la natura animale dei «vermicelli spermatici» («veri, verissimi animali»), confutando Buffon, che li considerava aggregati casuali di molecole organiche, «particelle cioè disseminate in tutta la materia, primitive, incorruttibili, viventi, e sempre attive» (Edizione nazionale delle opere di Lazzaro Spallanzani, parte IV, Opere edite direttamente dall’Autore, a cura di P. Di Pietro, 3° vol., p. 172). Lungo la stessa linea si collocavano gli studi, descritti negli Opuscoli, sulla respirazione degli animali e vegetali in ambienti sigillati, le indagini sull’origine delle piantine delle muffe e le osservazioni su alcuni «prodigiosi animali» che si possono far «tornare da morte a vita» (Edizione nazionale, parte IV, cit., 3° vol., p. 227). Si tratta dei rotiferi e dei tardigradi, che rimangono in uno stato di vita latente, di anabiosi, se essiccati, e che tornano vitali quando sono reidratati, come Spallanzani dimostrò.
Già in questi lavori emergeva una delle caratteristiche della sua curiosità scientifica, l’attenzione per i fenomeni di confine, dove la natura è più ambigua, i fenomeni appaiono misteriosi e gli esseri indefiniti. Dopo aver studiato lungamente la questione degli infusori, il naturalista riprese gli studi sulla generazione da nuovi punti vista e rivolse la sua attenzione anche a un altro processo fisiologico di base: la digestione. Queste ricerche, sviluppate nella seconda metà degli anni Ottanta, confluirono nelle Dissertazioni di fisica animale e vegetabile (1780).
Quando Spallanzani iniziò lo studio sulla riproduzione il ruolo dello sperma nell’avvio del processo di sviluppo del germe costituiva un dilemma del tutto aperto. Come modello sperimentale il naturalista scelse gli anfibi, per la loro facile reperibilità e, soprattutto, perché il processo di fecondazione, avvenendo all’esterno del corpo materno, era facilmente osservabile e controllabile. Un cruciale problema metodologico che Spallanzani si pose fu quello di riuscire a dissociare le modalità della copula dall’attiva presenza del seme: per risolverlo concepì l’impiego di culottes di taffettà cerato o di vescica d’animali da far indossare al rospo maschio per impedire che lo sperma emesso durante l’accoppiamento venisse a contatto con le uova sgravate dalla femmina. Il seme ottenuto rimuovendo i pantaloncini fu sufficiente per condurre alcuni esperimenti preliminari di inseminazione degli anfibi, aspergendo le uova con il fluido. Questi studi furono poi ripresi con lo sperma estratto dalle vescichette seminali, oppure impiegando il succo del testicolo di questi animali. Spallanzani dimostrò che la fecondazione richiedeva il contatto fisico tra liquido seminale e uovo, smentendo le vecchie teorie che vedevano in una misteriosa aura spermatica – una sorta d’effluvio generativo emanante dallo sperma – il fattore determinante del processo.
Dimostrata la fecondazione artificiale negli anfibi, decise di provare l’esperimento su una cagnetta barboncino di «mediocre grandezza», tenuta accuratamente segregata fino al momento dell’estro. Con una siringa iniettò nell’utero dell’animale il seme ottenuto da un cane della stessa razza e sessantadue giorni dopo la femmina partorì tre cagnolini: esperienze che dimostravano il potere fecondante del liquido spermatico. Profondamente condizionato dalle sue idee preformiste di tipo ovista, Spallanzani non riuscì a dimostrare il ruolo degli spermatozoi nell’inseminazione. Trattò lo sperma con vari diluenti (urina, aceto, olio di noce, siero di latte, coloranti, acqua ecc.), lo filtrò e lo sottopose a varie temperature concludendo che il fluido manteneva la sua capacità fecondante anche quando era privo di «vermicelli spermatici», oppure quando questi esseri erano uccisi. Lo sviluppo dell’uovo doveva dunque attribuirsi a una sorta di stimolazione chimico-fisica del liquido seminale indipendentemente dalla presenza degli spermatozoi, dei quali Spallanzani escludeva un ruolo nella biologia della riproduzione.
Una parte delle Dissertazioni accolse una serie di esperimenti unificati dal tentativo di catturare la fisiologia del processo digestivo. In questo programma utilizzò diversi animali e il suo stesso corpo, così trasformato in oggetto di sperimentazione. Per dissociare il fenomeno meccanico (triturazione degli alimenti per mezzo della muscolatura gastrica) da quello chimico nei fenomeni digestivi, fece ingoiare agli animali – e ingoiò lui stesso – alcuni tubicini traforati contenenti sacchetti di tela pieni di pane o carne. Recuperati dalle feci dopo alcune ore – e trovando che gli alimenti erano parzialmente o totalmente digeriti – poté ipotizzare la loro aggressione da parte di un «succo» presente nel tubo digerente, osservazioni che smentivano le ipotesi del chirurgo scozzese John Hunter, sostenitore dell’azione di misteriose «forze vitali» nel processo. Spallanzani confermò questi esperimenti realizzando anche in vitro una sorta di «digestione artificiale», dopo essersi provocato il vomito a digiuno e ottenendo così una certa quantità di succo gastrico.
Con gli anni il viaggio scientifico si trasformò in una parte fondamentale del metodo di indagine di Spallanzani. Egli programmò escursioni scientifiche e viaggi che lo impegnarono anche, e non poco, fisicamente: alcuni dedicati soprattutto alla geologia e alla descrizione fisico-naturalistica dei luoghi attraversati, altri votati allo studio della biologia marina e alla raccolta dei più svariati reperti naturalistici, che arricchirono il Museo di Storia naturale di Pavia e, in piccola misura, anche la sua raccolta personale di Scandiano.
I viaggi principali di Spallanzani, di cui rimangono relazioni pubblicate oppure rimaste fra i suoi manoscritti, furono: sull’Appennino reggiano e al lago Ventasso (1761), sulle montagne del Milanese e degli Svizzeri (1772), in Svizzera (1779), a Genova e nella Riviera di Levante (1780), a Marsiglia e nel golfo di Genova (1781), sull’Adriatico (1782), a Portovenere, sulle Alpi Apuane e in Garfagnana (1783), a Chioggia e al Montegibbio (1784), ancora a Genova e nel Genovesato (1785), a Costantinopoli (1785-86), nelle Due Sicilie (1788), sull’Appennino modenese (1789) e poco dopo sui Colli Euganei (1789), e poi ancora sull’Appennino modenese (1790), nel Veneto e nelle valli di Comacchio (1792).
Di ampio respiro furono le spedizioni in Oriente e nelle Due Sicilie. La prima, iniziata il 22 agosto 1785 al seguito del nuovo ambasciatore veneziano presso la Sublime Porta, fu ricca di esperienze scientifiche e di pericoli, soprattutto durante la traversata nell’Adriatico, quando la nave San Giorgio, in cui era imbarcato, rischiò di affondare. A Costantinopoli Spallanzani rimase alcuni mesi, dividendo il suo tempo fra le varie ambasciate europee e le escursioni sul Bosforo e sul territorio limitrofo, dove si occupò di meteorologia, ornitologia, geologia e biologia marina. Il ritorno via terra attraverso Bulgaria, Romania, Ungheria e Austria fu ricchissimo di osservazioni mineralogiche e geologiche, oltre che di incontri e annotazioni sugli usi e costumi delle popolazioni. Durante il viaggio, alcuni suoi colleghi universitari, capitanati dal chimico e botanico Giovanni Antonio Scopoli, lo denunciarono alle autorità austriache, accusandolo di aver rubato alcuni importanti pezzi dal Museo di Storia naturale di Pavia per arricchire la sua raccolta privata. La congiura, motivata da invidie accademiche, provocò nel 1787 una vertenza giudiziaria che si trascinò per alcuni mesi, ma alla fine Spallanzani fu scagionato.
Molto ricco di esperienze scientifiche fu anche il viaggio verso il Sud d’Italia, iniziato il 9 luglio e terminato a metà dicembre 1788. Spallanzani visitò il Santuario di Loreto, Roma, Napoli, Ischia, Messina, Catania, le isole Eolie. Centrali furono le osservazioni di biologia marina, di geologia e, soprattutto, di vulcanologia, arricchite dalle osservazioni sull’Etna, sul Vesuvio, sullo Stromboli, sull’isola di Vulcano e sulla solfatara di Pozzuoli. L’opera in sei volumi, Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell’Appennino (1792-1797), costituisce un resoconto dettagliato del viaggio, e anche uno dei primi studi comparativi di vulcanologia.
Con rigore sperimentale Spallanzani continuò fino alla fine della sua vita ad affrontare lo studio di molti problemi ai confini della storia naturale: l’ibridazione dei viventi, la luminescenza del mare, l’appartenenza tassonomica degli zoofiti o ‘piantanimali’, quegli essere ambigui sospesi fra regno vegetale e animale (come le spugne, delle quali definì la vera natura), la confutazione della rabdomanzia, l’esistenza dell’elettricità animale, il fenomeno delle meteore. Affrontò la riforma chimica di Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794), cui aderì precocemente. I due argomenti che dominarono gli ultimi anni furono comunque il problema del volo cieco dei pipistrelli e, soprattutto, il meccanismo della respirazione.
Lo studio dei volatili fu uno dei temi di grande interesse per Spallanzani e le annotazioni dei suoi viaggi sono inframmezzate da frequenti osservazioni sul loro comportamento. Da questa passione nacque anche il desiderio di studiare i rapporti fra i sensi e l’orientamento nei pipistrelli. Dopo molti esperimenti Spallanzani fu in grado di dimostrare che i pipistrelli accecati mantenevano l’orientamento, ipotizzando che possedessero un «nuovo senso», oltre ai cinque tradizionali. Lo svizzero Louis Jurine (1751-1819) l’identificò poi con la funzione uditiva, per mezzo di esperimenti subito confermati da Spallanzani. Questi risultati, ottenuti fra la fine del 1792 e il 1794, furono all’origine di un filone di ricerca denominato ecolocazione, che ha avuto straordinari sviluppi nell’ultimo secolo.
Le ricerche che assorbirono maggiormente Spallanzani nei suoi ultimi anni gli permisero di dimostrare che la respirazione non è esclusivamente una funzione polmonare, come pensava Lavoisier, ma una proprietà generale di tutti i tessuti dell’organismo. Il naturalista non riuscì a vedere pubblicati i risultati di questi studi perché la morte lo colse proprio mentre era al lavoro su questi argomenti. Nel 1803 il suo collega Bassiano Carminati pubblicò tre memorie sulla respirazione da lui lasciate inedite, e nel 1803 e 1807 l’amico Jean Senebier tradusse l’opera in francese con l’aggiunta di note e materiale tratto dai giornali di laboratorio.
Per le opere di Spallanzani l’edizione di riferimento è la seguente:
Edizione nazionale delle opere di Lazzaro Spallanzani, a cura di P. Di Pietro, 6 parti (I parte, Carteggi; II parte, Lezioni; III parte, Scritti letterari; IV parte, Opere edite direttamente dall’autore; V parte, Opere edite non direttamente dall’autore; VI parte, Manoscritti), Modena 1984-2012.
J. Rostand, Les origines de la biologie expérimentale et l’abbé Spallanzani, Paris 1951 (trad. it. Lazzaro Spallanzani e le origini della biologia sperimentale, Torino 1963).
P. Di Pietro, Lazzaro Spallanzani, Modena 1979.
W. Bernardi, Le metafisiche dell’embrione. Scienze della vita e filosofia da Malpighi a Spallanzani (1672-1793), Firenze 1986.
A. Ferraresi, Lazzaro Spallanzani uomo e scienziato, in Il Museo di Lazzaro Spallanzani, 1771-1799, a cura di C. Rovati e P. Galeotti, catalogo della mostra, Pavia, Castello Visconteo, Cava Manara 1999, pp. 25-40.
Il cerchio della vita, Materiali di ricerca del Centro studi Lazzaro Spallanzani di Scandiano sulla storia della scienza del Settecento, a cura di W. Bernardi, P. Manzini, Firenze 1999 (in partic. A. Ferraresi, Spallanzani docente di storia naturale all’Università di Pavia. Gli esordi, pp. 263-99).
La sfida della modernità, Atti del Convegno internazionale di studi nel bicentenario della morte di Lazzaro Spallanzani, a cura di W. Bernardi, M. Stefani, Firenze 2000.
C. Castellani, Un itinerario culturale: Lazzaro Spallanzani, Firenze 2001.
P. Mazzarello, Costantinopoli 1786, la congiura e la beffa. L’intrigo Spallanzani, Torino 2004.
M.T. Monti, Spallanzani e le rigenerazioni animali. L’inchiesta, la comunicazione, la rete, Firenze 2005.