Le cerimonie olimpiche
Il 23 giugno 1894 il Congresso del Comitato olimpico internazionale votò la 'restituzione all'umanità' dei Giochi Olimpici, decidendo che sarebbe stata la Grecia, culla dei Giochi nell'antichità, la sede della prima Olimpiade dell'era moderna. Gli uomini del Comitato che firmarono per la ripresa furono tredici e fra loro c'era anche il nobile napoletano Ferdinando Lucchesi Palli, addetto all'ambasciata di Parigi, il primo membro italiano del CIO, restato in carica per soli tre mesi. Nel banchetto di chiusura del Congresso, tenuto al Palmarium del Giardino Botanico, de Coubertin, sotto la cui guida il Comitato aveva lavorato, dichiarò: "Questa sera l'elettricità ha trasmesso per tutto il mondo che l'olimpismo greco è tornato a vivere dopo un'eclisse di parecchi secoli, ridando gioiose speranze alla vigilia del XX secolo".
Si poneva così la prima pietra della liturgia olimpica. Nella stessa occasione si ufficializzò il motto dei Giochi, ispirato dall'ecclesiastico francese padre Henri Martin Didon, grande estimatore dello sport amatoriale: Citius, altius, fortius ("più velocemente, più in alto, con più forza").
Erano passati due anni da quando al Congresso degli sport atletici alla Sorbona de Coubertin aveva illustrato il progetto di riportare in vita i Giochi Olimpici in conformità alle necessità della vita moderna, con periodicità quadriennale, secondo le regole delle singole federazioni e con l'appoggio indispensabile dei governi. Il documento programmatico che presentò allora è illuminante per capire la liturgia olimpica: "È sicuro che il telegrafo, le ferrovie, il telefono, la ricerca scientifica, i congressi, le esposizioni universali hanno fatto di più per la pace di tutte le sottigliezze della diplomazia. Ebbene, io ho la speranza che lo sport possa fare ancora di più. Esportiamo vogatori, corridori, schermidori: ecco il libero scambio dell'avvenire. Una volta che saremo arrivati a questo, la pace avrà avuto un grande aiuto e per questo mi batterò per la realizzazione sulla base dei tempi moderni di questa opera grandiosa e benefica che sarà quella della restituzione all'umanità dei Giochi Olimpici".
Il cerimoniale adottato per i Giochi del 1896 sembra più adatto a celebrare una grande fiera che un ritrovo di sportivi. Si susseguirono feste notturne, fanfare, banchetti, fuochi d'artificio. Una grande folla presenziò le gare e quando il re intervenne durante le prove di ciclismo erano presenti 20.000 persone oltre all'intera famiglia reale. La cerimonia di inaugurazione, il 6 aprile 1896 (corrispondente al 25 marzo nel calendario greco, che seguiva ancora quello giuliano), settantacinquesimo anniversario della liberazione della Grecia dal dominio turco, fu presieduta dal re Giorgio I e seguita da 50.000 persone. Nello stadio Panathinaikos, l'inno olimpico, composto per l'occasione con musiche del greco Spyros Samaras e parole del suo connazionale Kostis Palamas, fu intonato da un folto coro, diretto dallo stesso compositore. Le parole di Palamas recitavano: "Alla tua luce, le pianure, le montagne e i mari s'illuminano e formano un immenso tempio di chiarore vermiglio al quale accorrono tutte le genti, immortale genio dell'antichità". La composizione, però, non sarebbe stata più l'accompagnamento ufficiale per molte edizioni: infatti si dovettero attendere i Giochi di Roma, nel 1960, perché venisse riconosciuta come inno ufficiale.
Il re Giorgio, con la divisa da ammiraglio, accompagnato dalla regina Olga che gli sedeva al fianco nel palco reale, pronunciò la formula che sarebbe stata poi ripetuta, cambiando soltanto il nome della località, da tutti i capi di Stato e regnanti incaricati di inaugurare le Olimpiadi: "Proclamo aperti i giochi internazionali di Atene". Subito dopo scesero in campo gli atleti per disputare le gare. La prima fu la batteria dei 100 m, vinta da Francis Lane, uno studente americano di Princeton.
Nello stesso giorno divenne primo campione olimpico dell'era moderna il ventisettenne James Connolly, saltatore di triplo statunitense di Boston. La premiazione, che seguì una liturgia diversa da quella odierna, ma che comunque indicò la strada per le Olimpiadi future, si svolse il 14 aprile, penultimo giorno dei Giochi. I premi furono consegnati dal re soltanto ai primi due classificati e consistevano in medaglie d'argento e di bronzo, opera dell'artista Jules Chaplain. Un lato della medaglia rappresentava uno scorcio dell'Acropoli, con i Propilei e il Partenone, mentre sull'altra faccia era incisa l'immagine di Zeus che tiene in mano un globo sormontato dalla vittoria alata. Al vincitore oltre alla medaglia andarono una corona di olivo e il diploma, al secondo una corona di lauro e il diploma. La cerimonia di chiusura si tenne il 16 aprile.
Per il secondo appuntamento olimpico, inglobato nell'Esposizione Mondiale, il cerimoniale e la liturgia olimpica non fecero passi avanti, non vi furono né apertura ufficiale né cerimonia di chiusura. Le medaglie furono sostituite da coppe, oggetti comunque di valore. La mancanza di ufficialità dipese dal fatto che le gare, più che prove olimpiche, furono considerate un'attrazione.
La cerimonia di apertura fu presieduta da David Rowland Francis, presidente della Louisiana Purchase Exposition. Anche in questo caso i Giochi furono assorbiti dall'Expo e durarono ben cinque mesi. La novità maggiore dell'edizione fu rappresentata dai premi, consistenti in una medaglia d'oro al primo classificato, d'argento per il secondo e di bronzo per il terzo, come poi sarebbe diventato abitudine. Le incisioni sulle medaglie alludevano all'Esposizione da un lato e alla festa olimpica dall'altro.
La cerimonia di apertura nell'immenso stadio costruito a White City fu presieduta dal re Edoardo VII e fu caratterizzata dalla sfilata delle nazioni, con ogni rappresentativa preceduta dalla bandiera nazionale, secondo un cerimoniale già adottato per l'inaugurazione dei Giochi intermedi di Atene 1906. Il portabandiera italiano fu Pietro Bragaglia di Ferrara, della squadra di ginnastica della quale faceva parte il primo oro italiano, quello del ginnasta modenese Alberto Braglia. Il pesista Ralph Rose, portabandiera degli Stati Uniti, spalleggiato dal discobolo Martin Sheridan, passando davanti al palco reale non abbassò il vessillo, come facevano tutti gli altri, in segno di protesta verso gli organizzatori che avevano dimenticato di issare la bandiera americana sui pennoni dello stadio accanto a quelle degli altri paesi. Gli atleti finlandesi, sudditi a quel tempo dello zar, si rifiutarono di sfilare dietro la bandiera russa non avendo avuto l'autorizzazione a gareggiare come paese autonomo, mentre Nuova Zelanda e Australia marciarono seguendo il drappo che rappresentava l'Australasia. Gli islandesi erano dietro la squadra danese. Per evitare problemi con gli arbitri e i commissari di gara il Comitato olimpico decise che da quel momento in poi le giurie sarebbero state internazionali. I vincitori ricevettero le medaglie dalla regina Alexandra, i secondi classificati dalla duchessa di Rutland e i terzi arrivati dalla duchessa di Westminster. Le medaglie mostravano da un lato un atleta vittorioso, dall'altro san Giorgio, patrono d'Inghilterra. La regina diede anche una coppa d'oro a Dorando Pietri, sfortunato protagonista della maratona.
Il manifesto per le Olimpiadi del 1912 ricordava l'universalità dei Giochi, con le bandiere che circondavano l'atleta, vero centro della festa sportiva. La cerimonia di apertura fu presieduta dal re Gustavo V di Svezia (il portabandiera italiano era Alberto Braglia). Il re premiò anche i vincitori. Si ricorda la dichiarazione fuori dal protocollo ufficiale fatta al momento di donare la corona di alloro a Jim Thorpe: "Signore, voi siete il più grande atleta del mondo". A Thorpe furono anche consegnati due trofei, un busto raffigurante lo stesso re e una scultura in argento di un drakkar vichingo fatta arrivare dallo zar Nicola VII.
Alla ripresa dei Giochi dopo la guerra, il cardinale Desiré Mercier officiò un rito di commemorazione dei caduti nel conflitto davanti alla cattedrale di Notre Dame. La cerimonia di apertura fu presieduta dal re Alberto I. Per la prima volta fu esposta nello stadio, sul pennone più alto, la bandiera a cinque cerchi rappresentanti i continenti della Terra, voluta da de Coubertin. Il vessillo poi fu issato in tutti gli impianti (durante la maratona sventolava dall'autovettura della giuria). Altra novità della cerimonia fu il giuramento di lealtà da parte degli atleti, rappresentati in quella occasione da Victor Boin, campione di pallanuoto belga, medaglia d'argento a Londra e di bronzo a Stoccolma, che ai Giochi di casa si presentò, però, come schermidore e vinse la medaglia d'argento. Con la divisa di gara bianca salì sul palco alzando la mano destra, tenendo con l'altra la bandiera del suo paese, per leggere la formula da quel momento rimasta uguale per tutte le Olimpiadi: "Noi giuriamo che ci presentiamo ai Giochi Olimpici come concorrenti leali, rispettosi dei regolamenti che li reggono e desiderosi di partecipare con uno spirito cavalleresco, per l'onore del nostro paese e la gloria dello sport". La sfilata delle nazioni, nella quale il portabandiera italiano fu Nedo Nadi (scherma), iniziò in città, davanti alla cattedrale, poi le delegazioni marciarono nello stadio, davanti al re, alla regina, ai generali, ai ministri, ai membri del CIO presieduto da de Coubertin. Dopo che le squadre si furono schierate a semicerchio davanti al palco reale il re proclamò l'apertura della VII Olimpiade, prima che risuonassero le fanfare e venissero sparati colpi di cannone a salve. Si inaugurò in quell'edizione la tradizione di liberare piccioni viaggiatori per portare al mondo il messaggio di pace. Anche ad Anversa i premi furono consegnati alla fine della manifestazione. Gli svedesi che avevano ospitato l'edizione precedente mandarono un coro che intonò la Brabançonne, l'inno nazionale belga.
De Coubertin, all'ultimo mandato, volle che questi giochi fossero bellissimi, per dimenticare la sciagurata edizione francese del 1900. Per la prima volta fu allestito un villaggio per ospitare i partecipanti. Il motto Citius, altius, fortius diventò definitivamente il simbolo delle Olimpiadi. La cerimonia di apertura fu presieduta da Gaston Doumergue, presidente della Repubblica, il giuramento degli atleti fu pronunciato da Georges André (atletica) e il portabandiera italiano fu Ugo Frigerio (atletica). De Coubertin stabilì una liturgia anche per la cerimonia di chiusura: nella sfilata del 27 luglio le ultime tre bandiere a entrare nello stadio furono quella a cinque cerchi del CIO, quella del paese ospitante e quella della nazione che avrebbe accolto nel 1928 i Giochi successivi, l'Olanda. Sulle medaglie erano rappresentati un atleta che soccorre l'avversario caduto e un'arpa stilizzata.
Il manifesto dei Giochi rappresentava un atleta con un ramoscello d'alloro, fasciato dalla bandiera olandese, proteso verso il traguardo. La grande novità dell'inaugurazione, presieduta dal principe Hendrik, fu l'accensione della fiamma olimpica nel braciere sistemato all'interno dello stadio. Il rituale era solo abbozzato: si sarebbe precisato nel tempo, con l'introduzione delle staffette dei tedofori. Il giuramento fu letto da Henri Denis (calcio). La Grecia, culla dell'Olimpiade, sfilò per prima, seguita dalle altre squadre partecipanti, disposte seguendo l'ordine alfabetico in vigore nel paese ospitante che sul campo mandò per ultima la sua rappresentativa. Da quel giorno quello divenne un codice definitivo nel protocollo olimpico. Il portabandiera italiano fu Carlo Galimberti (sollevamento pesi). Durante la sfilata la squadra francese protestò per il mancato allontanamento di un addetto alla sicurezza venuto alle mani con un allenatore della squadra di atletica e non abbassò la bandiera davanti al palco reale; gli atleti francesi inoltre decisero di giurare per conto loro, nella sede della delegazione, e quindi durante il giuramento il portatore del vessillo non si avvicinò al palco. Sulle medaglie comparivano un corridore portato in trionfo e la dea della vittoria.
A partire da questa edizione si stabilì che i Giochi, che fra il 1900 e il 1928 non erano mai durati meno di 79 giorni, avrebbero dovuto svolgersi con un programma di 15 giorni, estensibili al massimo a 18: una rivoluzione non da poco, ma sicuramente necessaria. Il 30 luglio 1932 si tenne la cerimonia di apertura, presieduta da Charles Curtis, vicepresidente degli Stati Uniti. La sfilata nel Coliseum, aperta dalla Grecia e chiusa dagli Stati Uniti, durò un'ora in uno stadio gremito per tutti i 110.000 posti disponibili. La fanfara, diretta da Harold William Robert, accompagnò la marcia degli atleti mentre i boy scout portavano le bandiere e i cartelli indicanti le nazioni partecipanti. Il portabandiera italiano fu Ugo Frigerio (atletica). Il giuramento fu pronunciato da George Calnan (scherma). Dieci colpi di cannone annunciarono l'accensione della fiamma nel braciere. A Los Angeles, per la prima volta, nel cerimoniale fu introdotto il podio per i vincitori a tre diverse altezze e, sempre per la prima volta, il campione olimpico fu accompagnato dalla bandiera del paese che rappresentava. In California si ebbe anche la prima mascotte ufficiale dei Giochi, un cane chiamato Smoky.
Duemila bandiere vestivano lo stadio di Berlino nella cerimonia di apertura, presieduta da Adolf Hitler, cancelliere di Stato. All'alba di una nuova guerra mondiale i Giochi dovevano servire al nazismo e a Hitler per la sua propaganda. La festa per la prima volta fu centrata sulla fiaccola olimpica, portata a Berlino da una staffetta di corridori che, partendo da Olimpia e percorrendo 3200 km, attraversarono Grecia, Bulgaria, Serbia, Ungheria, Cecoslovacchia, Austria, per arrivare nella capitale tedesca il 1° agosto 1936. Il penultimo tedoforo entrò nello stadio olimpico dalla porta Est consegnando la fiamma al mezzofondista Fritz Schilgen a cui spettò l'onore di accendere il tripode. Sulla grande torre che dominava lo stadio era stata installata una campana, collegata via radio con il mondo, e al suono di questa campana ebbe inizio la marcia delle nazioni che fu vista non soltanto dai 100.000 presenti nello stadio, ma da tutta Berlino grazie a 25 schermi sistemati nelle piazze principali. Pronunciò il giuramento Rudolf Ismayr (sollevamento pesi). Il portabandiera italiano fu Giulio Gaudini (scherma).
La campana restò muta per lunghi anni perché le Olimpiadi assegnate a Londra e Helsinki per il 1940 e il 1944 non poterono svolgersi a causa della guerra. Nel 1948 fu Londra a riaprire le sfilate olimpiche e a far marciare di nuovo squadre di atleti. Il clima era austero, i partecipanti erano alloggiati nelle caserme militari a Uxbridge e Richmond Park. La televisione diventò protagonista della festa, anche se ancora in via sperimentale. La fiamma olimpica attraversò le strade di Londra, accompagnata dalla scorta d'onore, poi iniziò la cerimonia di apertura presieduta dal re Giorgio VI, alla presenza di 85.000 spettatori. Lesse il giuramento Donald Finlay (atletica), il braciere fu acceso da John Mark (atletica). Il portabandiera italiano fu Giovanni Rocca (atletica). Il manifesto dei Giochi rappresentava un discobolo fra i cinque cerchi, con alle spalle il Big Ben.
L'atmosfera fu ben diversa quattro anni dopo, nell'incanto di Helsinki. Il manifesto raffigurava la statua di Paavo Nurmi collocata davanti allo stadio, la stessa immagine che sarebbe dovuta comparire sulla copertina del programma dei Giochi del 1944, poi cancellati dalla guerra. Il 19 luglio, nella cerimonia d'apertura, presieduta dal capo dello Stato Juho Paasikivi, un momento di grande commozione si ebbe quando entrò nello stadio la fiaccola olimpica portata da Paavo Nurmi, il grande atleta che fra il 1920 e il 1928 aveva dominato la corse di lunga lena ed era stato poi squalificato per leso dilettantismo. Ma la sorpresa non era ancora finita perché Nurmi passò la fiaccola a un altro mito dello sport e della corsa, Hannes Kolehmainen, vincitore della maratona di Anversa. Diecimila colombi furono liberati in cielo mentre sotto una pioggia fine e gelata gli atleti sfilavano dietro ai cartelli delle varie rappresentative portati dai ragazzi delle scuole, tutti in vacanza per l'Olimpiade. Le divise delle squadre erano lasciate alle scelte individuali dei paesi iscritti e si videro campioni sfilare con il costume nazionale piuttosto che nelle divise classiche o in tuta. La bandiera dell'Italia fu portata da Miranda Cicognani (ginnastica). Il giuramento fu pronunciato da Heikki Savolainen (ginnastica).
In un clima di tensione a causa di una serie di questioni politiche (invasione dell'Ungheria, crisi di Suez, contrasti fra le due Coree), i primi Giochi nell'emisfero australe furono aperti il 22 novembre, da Filippo, duca di Edimburgo, marito della regina Elisabetta d'Inghilterra, davanti a 110.000 spettatori. Il fuoco olimpico, arrivato in Australia a bordo di un quadrimotore, fu portato nell'ultimo tratto, dopo una staffetta che aveva coinvolto 2753 atleti, dal grande mezzofondista Ron Clarke, uno dei campioni più amati per la sua generosità. Un altro atleta, John Landy, che in seguito vinse la medaglia di bronzo nei 1500 m, pronunciò il giuramento. Nella sfilata destò impressione la squadra americana formata da 252 uomini e 74 donne, tutti vestiti con pantaloni scuri e giacca bianca come il cappellino. Gli atleti tedeschi dell'Est e dell'Ovest sfilarono per la prima volta dietro una sola bandiera. Il portabandiera italiano era Edoardo Mangiarotti (scherma). Si alzarono in volo 5000 piccioni mentre cantava un coro composto da ben 1200 elementi. Una novità di Melbourne fu la cerimonia di chiusura perché, senza ordini precisi, cambiando il protocollo, gli atleti si mischiarono nella marcia finale e questa sarebbe diventata un'abitudine, non scritta, ma accettata volentieri da tutti. Il manifesto di Melbourne, a sfondo blu, presentava soltanto i cinque cerchi. Da ricordare infine che a causa del problema della quarantena per gli animali le gare di equitazione si svolsero a Stoccolma, con giuramento e fuoco olimpico supplementari.
Le Olimpiadi di Roma furono benedette in piazza San Pietro, dove si presentarono quasi tutti gli atleti, da papa Giovanni XXIII. L'Eurovisione trasmise nel mondo l'inaugurazione, presieduta da Giovanni Gronchi, presidente della Repubblica. Adolfo Consolini, primatista del mondo nel lancio del disco, vincitore dell'oro a Londra e dell'argento a Helsinki, lesse il giuramento. L'ultimo tedoforo, in una staffetta di ben 1231 corridori, fu Giancarlo Peris, un diciannovenne mezzofondista di Civitavecchia, allenato da Oscar Barletta e vincitore dei campionati studenteschi. Il portabandiera italiano fu Eldorado Mangiarotti (scherma). Tornò l'inno olimpico dei greci Samaras e Palamas, che aveva accompagnato i Giochi di Atene 1896, e che da allora è rimasto per sempre l'inno ufficiale.
La cerimonia d'apertura, il 10 ottobre, presieduta dall'imperatore Hiroito, coniugò efficienza giapponese e tradizione: iniziò con il passaggio sullo stadio di cinque jet che disegnarono nel cielo gli anelli olimpici, poi furono fatti volare 12.000 palloncini e si udì il rullo di 10.000 tamburi. La fiaccola, partita da Olimpia, per raggiungere Tokyo aveva percorso 24.000 km intorno al mondo, passando per New York dove il sindaco l'aveva consegnata al grande Jesse Owens, protagonista delle Olimpiadi del 1936, poi per l'India e la Thailandia. Oltre 10.000 tedofori la portarono attraverso il Giappone e l'ultimo fu Yoshinori Sakai, un giovane nato il 6 agosto 1945, un'ora dopo che era stata sganciata la prima atomica su Hiroshima. Il pennone su cui sventolava la bandiera a cinque cerchi era alto 15,21 m, la misura con la quale Mikio Oda aveva vinto la medaglia d'oro nel salto triplo ad Amsterdam nel 1928, la prima nella storia dello sport giapponese. Il giuramento fu pronunciato da Takashi Ono (ginnastica). Nella sfilata delle nazioni (l'ultima a svolgersi su pista in terra, poiché dal 1968 sarebbe stato utilizzato il materiale sintetico) il portabandiera italiano fu Giuseppe Delfino (scherma). Nella sfilata di chiusura il 24 ottobre 1968 gli atleti si mischiarono fra loro, come a Melbourne 1956, ma andarono anche oltre: non obbedendo al protocollo previsto, diedero un tocco di spontaneità ai Giochi più tecnologici della storia olimpica, cominciando a ballare e invitando in campo per l'ultimo giro di pista anche gli spettatori.
L'apertura dei Giochi fu messa in forse dalla strage in piazza delle Tre Culture, sanguinosa repressione della contestazione studentesca. Si decise invece di continuare e la cerimonia iniziale si tenne, come previsto, il 12 ottobre. Sfilarono 115 delegazioni fra le quali per la prima volta la Repubblica democratica tedesca da sola. Quando il presidente della Repubblica Gustavo Diaz dichiarò aperti i Giochi, i palloncini colorati che volarono in cielo sembrarono il segnale di una pace ritrovata. La fiamma olimpica, dopo aver sostato davanti alla leggendaria piramide di Teotihuacán, entrò nello stadio dove il braciere fu acceso per la prima volta da una donna, Norma Enriqueta Basilio de Sotel (atletica). Pronunciò il giuramento Pablo Garrido (atletica). Il portabandiera italiano fu Raimondo D'Inzeo (equitazione). Le polemiche che fecero seguito alle manifestazioni di protesta degli atleti americani di colore caricarono di tensione l'atmosfera del giorno della chiusura, il 27 ottobre.
La cerimonia di apertura, molto sobria nel ricordo di Berlino 1936, fu presieduta da Gustav Heineman, presidente della Repubblica federale tedesca. Fra gli ospiti illustri la principessa di Monaco Grace Kelly, il cui padre nel 1936 aveva vinto tre medaglie nel canottaggio. Oltre al giuramento degli atleti, pronunciato da Heidi Schüller (atletica), per la prima volta il cerimoniale olimpico previde anche quello dei giudici. Il braciere fu acceso da Günter Zahn (atletica). Nella sfilata il portabandiera italiano fu Abdon Pamich (atletica). L'assalto dei terroristi palestinesi cambiò poi il corso di quella Olimpiade e di tutte le successive, imponendo l'adozione di severe misure di sicurezza nei villaggi olimpici.
Prima dell'inaugurazione 30 delegazioni africane, guidate dalla Tanzania, abbandonarono i Giochi, non essendo stata accolta la loro richiesta di estromettere la Nuova Zelanda, colpevole di aver fatto giocare i suoi rugbisti nel Sudafrica dell'apartheid. La politica si stava impadronendo delle Olimpiadi e nella sfilata delle nazioni gli atleti libanesi furono autorizzati a esporre uno striscione per chiedere la pace nella loro terra. La cerimonia d'apertura fu presieduta da Elisabetta II, regina d'Inghilterra e del Commonwealth. Accanto alla regina, al principe Filippo, al presidente del CIO lord Killanin, sedeva il sindaco di Montreal, Jean Drapeau, che fino all'ultimo giorno aveva dovuto affrontare il problema degli scioperi che avevano rallentato la costruzione degli impianti. La fiamma olimpica era giunta dalla Grecia in Canada con una soluzione di alta tecnologia, trasportata sotto forma di segnale elettronico da un satellite Intelsat e riattivata con un raggio laser. Poi aveva attraversato tutto il paese e ultimi tedofori furono due giovani atleti, Sandra Henderson e Stéphane Préfontaine, in rappresentanza delle componenti anglofona e francofona del Canada. Roger Rosseau, presidente del Comitato organizzatore, sottolineò che la fiamma avrebbe permesso "ai Giochi di riscaldarsi intorno allo stesso fuoco, anche se c'è tempesta". Clou della cerimonia d'inaugurazione fu la rappresentazione in forma coreografica della storia del Canada, un esempio che successivamente sarà ripreso in altre Olimpiadi. Il giuramento fu letto da Pierre Saint-Jean (sollevamento pesi). Il portabandiera italiano fu Klaus Dibiasi (tuffi).
Furono, come è noto, Giochi dimezzati, a causa del boicottaggio voluto dagli Stati Uniti per protestare contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan. La cerimonia di apertura, tenuta il 19 luglio nello stadio Lenin e presieduta da Leonid Breznev, presidente dell'Unione Sovietica, fu la più bella fino ad allora allestita. Nel lavoro di preparazione furono coinvolte tutte le scuole più famose di Mosca, da quelle altamente specializzate in educazione fisica ai coreografi del Teatro Bolshoi e ne derivò uno spettacolo splendido. La tribuna centrale era occupata da figuranti, selezionati nei corpi militari, che per ogni nazione in sfilata cambiavano i loro cartelli colorati, in modo da formare prima la bandiera nazionale poi un simbolo di quel paese. Sul campo si mossero nel giro di tre ore almeno 2000 persone fra artisti, comparse, cantanti, musicisti. Anche l'accensione del braciere avvenne in maniera singolare: il primatista del mondo di salto triplo Victor Saneyev cedette la fiaccola a metà pista al giocatore di basket Sergei Belov, capitano dell'Armata Rossa, uno dei protagonisti nella clamorosa e contestata vittoria dell'URSS alle Olimpiadi di Monaco; il fatto che fosse un rappresentate delle squadre militari a chiudere la grande staffetta creò naturalmente tensione, anche se sul valore e il talento di Belov non discuteva nessuno. Per arrivare alla vasca dove fu acceso il fuoco dell'Olimpiade Belov salì le scale fino alla sommità dello stadio e percorse poi una passerella realizzata dal gruppo militare dei genieri, una sorta di suggestivo corridoio sospeso nell'aria. Gli atleti italiani, fra i quali non erano presenti i militari non inviati dal governo per solidarietà con la scelta americana del boicottaggio, non sfilarono dietro la bandiera tricolore ma dietro a quella olimpica, preceduti da un cartello in cirillico che li qualificava come squadra del CONI. Centomila persone parteciparono alla cerimonia di chiusura, dove sul grande schermo apparve la mascotte dei Giochi, l'orsetto Misha, con qualche lacrima disegnata sul musetto.
Con la cerimonia di apertura si cercò di risollevare l'entusiasmo intorno ai Giochi, messo a repentaglio dopo che in risposta al boicottaggio di Mosca 1980 i sovietici e 17 paesi del loro blocco avevano deciso di non partecipare, ufficialmente per motivi di sicurezza. Furono quindi anche questi Giochi dimezzati. L'inaugurazione, presieduta da Ronald Reagan, presidente degli Stati Uniti, non raggiunse il livello di spettacolarità dei giochi moscoviti, nonostante l'effetto scenico di grande impatto costituito dall'ingresso nello stadio di un astronauta mosso da razzi propulsori, e nonostante la musica di Gershwin, i gospel, il lancio di palloni bianchi e dorati, la grande scritta "benvenuti al Coliseum". Vero entusiasmo fu riservato solo agli atleti statunitensi, che chiusero la sfilata presentando tutta la squadra, vestita in colori vivaci. Il giuramento fu pronunciato da Edwin Moses, primatista mondiale dei 400 m ostacoli, salito sul podio circondato da bandiere bianche. Un tocco sentimentale fu ideato per l'ultima parte della staffetta che portava la fiaccola olimpica: il penultimo tedoforo fu Gina Hemphill, figlia di Jesse Owens, il campione di Berlino 1936, un gigante nella storia dei Giochi, la quale consegnò la fiaccola a Rafer Johnson, ex primatista mondiale delle prove multiple, vincitore a Roma 1960, un simbolo per lo sport americano e per quello mondiale. La bandiera italiana per la seconda volta fu portata da una donna: Sara Simeoni, campionessa olimpica, quattro anni prima, del salto in alto.
I Giochi, che avevano finalmente ritrovato la loro compattezza, furono aperti da una cerimonia di grande armonia, in perfetto stile orientale, presieduta da Roh Tae-Woh, presidente della Repubblica di Corea. La fiaccola, finemente istoriata con il simbolo della Corea e i cerchi olimpici, fu portata nello stadio dal sessantaseienne Sohn Kee-Chung, che a metà rettilineo cedette il fuoco al giovane Chun Ae Lim, un passaggio di consegne fra generazioni, un momento di commozione generale perché il vecchio corridore, che poi danzò festoso in mezzo alla pista, era stato campione olimpico della maratona nel 1936 dove aveva gareggiato con il nome di Kitei Son, impostogli dai giapponesi. Quel giorno a Berlino sul podio Sohn Kee-Chung aveva pianto, abbassando la testa, per la tristezza di dover vestire una maglia e rendere omaggio a una bandiera che non erano quelle del suo paese. Il giuramento di Seul fu letto da Sohn-Mi-Na (handball) e Hur-Jae (basket). Nella sfilata delle nazioni, dove spiccarono gli australiani e la delegazione dello Swaziland, a torso nudo, il portabandiera italiano fu Pietro Mennea (atletica). Le atlete inglesi infransero il protocollo uscendo dai ranghi per farsi fotografare di fianco al tigrotto Hodori, mascotte dell'edizione.
Si rinnovò l'entusiasmo nella capitale della Catalogna, dove l'atmosfera che si godette al villaggio, costruito cambiando interamente il volto della mitica Barceloneta, fu davvero straordinaria. In questo clima di festa la cerimonia di apertura nello stadio al Montjuic, presieduta da Juan Carlos re di Spagna, accolse il ritorno della rappresentativa sudafricana nella famiglia olimpica dopo l'abrogazione delle leggi sull'apartheid e vide schierate le squadre dei nuovi Stati nati dalla dissoluzione dell'URSS e della Iugoslavia. Pronunciò il giuramento Luis Doreste Blanco (vela), mentre il braciere fu acceso da Antonio Rebollo (tiro con l'arco), costretto su una sedia a rotelle, scoccando la freccia che innescò l'accensione del fuoco. Il portabandiera italiano fu Giuseppe Abbagnale (canottaggio).
La cerimonia di apertura, presieduta da Bill Clinton, presidente degli Stati Uniti, visse un momento di grande emozione quando la fiamma olimpica fu accesa da Muhammad Ali, che salì la scaletta combattendo contro il tremore provocato dal morbo di Parkinson. La lettura del giuramento fu affidata a Teresa Edwards, veterana della squadra di pallacanestro. Quegli attimi fecero dimenticare a tutti le polemiche generate dall'assegnazione dell'Olimpiade alla capitale della Georgia e dalla mercificazione che sembrava aver travolto ogni aspetto dei Giochi. La portabandiera della squadra italiana fu la ventiseienne fiorettista marchigiana Giovanna Trillini.
La cerimonia d'apertura, presieduta da Sir William Deane, governatore generale dell'Australia, fu di grande suggestione. Il braciere fu acceso dalla quattrocentista Cathy Freeman, che si presentò vestita di una tuta integrale color argento di grande effetto. Freeman era campionessa del mondo, ma soprattutto era stata scelta in quanto rappresentate degli aborigeni australiani, che furono protagonisti dello spettacolo-rappresentazione della storia dell'Australia e poterono sventolare la loro bandiera (nata nel 1971, ma riconosciuta soltanto nel 1995, presenta un cerchio giallo, il Sole, su uno sfondo diviso in una parte superiore nera, il cielo notturno, e una parte inferiore rossa, la terra). Prima di Freeman, 12.000 tedofori avevano portato il fuoco olimpico lungo i 27.000 km che separano Olimpia dalla città dell'Australia. Pronunciò il giuramento Rechelle Hawkes (hockey su prato). Nella sfilata delle nazioni, in cui la Corea del Nord e quella del Sud marciarono dietro lo stesso vessillo, il portabandiera italiano fu Carlton Myers, giocatore di pallacanestro nato a Londra ma cresciuto a Rimini prima di trasferirsi alla Fortitudo Bologna. La sua scelta da parte del presidente del CONI Gianni Petrucci aveva due significati: Myers era il capitano della squadra campione d'Europa ma soprattutto, essendo figlio di un giamaicano e un giocatore di colore, era ed è il simbolo di una battaglia contro il pregiudizio e la discriminazione razziale che lo sport combatte in prima fila.
La liturgia della fiaccola
Parlando di liturgia olimpica, una capitolo a parte deve essere dedicato alla fiaccola della pace accesa a Olimpia e portata dai tedofori lungo le strade del mondo, fino agli stadi dove si svolgono le manifestazioni.
Come si è detto, la tradizione della fiamma olimpica nei Giochi moderni fu ripresa per Berlino 1936, quando per la prima volta fu organizzata una vera e propria staffetta di corridori che partendo dal tempio di Era a Olimpia, nel Peloponneso, portarono la fiaccola fino all'Olympiastadion della capitale tedesca. Il 20 luglio la sacerdotessa del tempio di Olimpia chiese agli dei di mandare i raggi perché fosse acceso il sacro fuoco. A filmare l'avvenimento vi erano solo gli operatori di Leni Riefenstahl, la regista scelta da Hitler per documentare l'Olimpiade. Non vi era nessuna speculazione commerciale, ma la volontà di far colpo, dando un tocco completo alla grande cerimonia prevista per il 1° agosto a Berlino. Il primo tedoforo a ricevere il sacro fuoco fra il tempio di Zeus e l'officina di Fidia fu Kostantin Kondilis, che iniziò la lunga marcia. C'erano soltanto dodici giorni di tempo per coprire i 3200 km di un percorso che dalla Grecia alla Germania passò attraverso Bulgaria, Serbia, Ungheria, Cecoslovacchia e Austria. Si corse di giorno e di notte. I tedofori, che coprivano frazioni di un chilometro l'una, erano scortati da carri armati dove veniva custodita la fiamma di riserva nel caso in cui la fiaccola si fosse spenta. I portatori affrontavano la fatica della corsa e il peso della torcia, più massiccia di quelle utilizzate in seguito e nella quale il fuoco era protetto da un disco argenteo piazzato molto vicino alla fiamma. Con il passare del tempo le fiaccole si sono fatte sempre più leggere, quasi vicine come disegno a un fiore, fino ad arrivare a quella utilizzata per Sydney: una torcia arcuata di 72 cm e del peso di 1 kg, alimentata da una piccola bombola a gas per evitare lo spegnimento in condizioni climatiche spesso non ideali.
Dal 1936 la liturgia della fiaccola viene ripetuta nei mesi che precedono l'Olimpiade. Il rituale nel tempio di Olimpia è sempre lo stesso: la sacerdotessa, vestita di bianco e munita di uno specchio, e le sue 24 ancelle si appartano nel tempio di Era chiedendo al Sole di rifrangersi per accendere il braciere da cui verrà presa la fiamma. La preghiera dice: "O Apollo, dio del sole e dell'idea della luce, manda i tuoi raggi sulla torcia sacra". Quindi la sacerdotessa raccoglie un ramo d'ulivo e pronuncia a voce alta la supplica del poeta Pindaro, cantore delle vittorie di Olimpia con i suoi famosi epinici: "A Zeus perché porti la pace in tutto il mondo e vigili sui vincitori delle corse". Questa è la formula che è stata pronunciata il 25 marzo 2004 nella cerimonia dell'accensione del fuoco per le Olimpiadi di Atene, alla presenza di 20.000 persone assiepate intorno alla sacra ara. Nelle vesti di grande sacerdotessa, l'attrice Thalia Prokopiou, di Cefalonia, in carica da quattro anni, ha portato il fuoco su quella piana con tribune naturali che nel 776 a.C. divenne il primo stadio olimpico. Era stata la stessa grande sacerdotessa a officiare il rito in preparazione di Sydney 2000, ma in quell'occasione non c'era il sole e si dovette utilizzare il fuoco di riserva conservato perennemente nel tempio di Era (lo stesso inconveniente era capitato prima delle Olimpiadi invernali di Innsbruck 1976 e di Nagano 1998).
Il cerimoniale del passaggio dei tedofori si è arricchito nel corso degli anni, concedendo anche ampio spazio all'utilizzo commerciale. Si è presa infatti l'abitudine di far sponsorizzare una parte del percorso alle aziende, che con l'ideale olimpico propagandano anche i loro prodotti. In questo modo molte organizzazioni ripagano parte delle spese per i Giochi.
Per la staffetta che ha trasportato la fiaccola ad Atene 2004, la volontà di sfruttare al massimo l'evento ha portato a un itinerario lunghissimo, toccando tutte le città che in passato hanno organizzato i Giochi. La fiaccola è dunque passata in ogni continente, godendo fin dalla partenza di una popolarità senza precedenti. La presidente del Comitato organizzatore Gianna Angelopoulos Daskalaki ha voluto che i primi tedofori fossero campioni che hanno onorato la storia dello sport mondiale: il primo staffettista che, vestito in bianco e azzurro, i colori della Grecia, ha impugnato la torcia stilizzata di 700 g, è stato il giavellottista greco Kostas Getsioudis; dopo 400 m ha consegnato il fuoco e un ramoscello d'ulivo al nuotatore russo Alex Popov, vincitore di 9 medaglie olimpiche; poi è toccato al giocatore di pallanuoto spagnolo Manuel Estiarte, al primo dei grandi atleti africani, il mezzofondista Kipchoge Keino, dominatore a Città del Messico, al velocista ucraino Valery Borzov, olimpionico nel 1972. Dagli uomini della pista si è passati al principe Alberto di Monaco, che ha partecipato ai Giochi come bobbista. Il viaggio iniziato a Olimpia ha coinvolto 11.300 tedofori, oltre ai 6400 in terra greca, per coprire più di 78.000 km. La fiaccola di Atene 2004, prima di tornare al grande stadio della capitale greca, ha toccato le città di Sydney, Melbourne, Tokyo, Seul, Pechino (dove si svolgeranno le Olimpiadi del 2008), Nuova Delhi, Il Cairo (che, come Città del Capo, aspira a essere la prima città a ospitare le Olimpiadi in Africa), Rio de Janeiro (altra città candidata), Città del Messico, Los Angeles, St. Louis, Atlanta, New York, Montreal, Anversa, Bruxelles, Amsterdam, Ginevra, Losanna, Parigi, Londra, Barcellona, Roma, Monaco di Baviera, Berlino, Stoccarda, Helsinki, Mosca, Kiev, Istanbul, Sofia, Nicosia, ultima tappa prima di tornare al Pireo il 13 agosto: un viaggio attraverso tutto il mondo nel segno della pace e della fratellanza.