Le molecole organiche nel gas interstellare
Oltre 110 molecole, in buona parte organiche, sono state identificate nel gas interstellare o negli aloni stellari, mediante l'osservazione di righe spettrali nella banda delle onde radio. Molte sono molecole ben conosciute e stabili come l'acqua e l'ammoniaca, altre sono molecole refrattarie come il monossido di silicio, ma circa la metà sono specie altamente re attive, alcune delle quali osservate nello spazio prima ancora che in laboratorio. Sono per lo più localizzate in nubi dense di dimensioni e massa variabili e, nella Via Lattea, soprattutto negli oggetti più grandi, le nubi molecolari giganti. Mentre l'idrogeno molecolare nello spazio si forma sulla superficie di grani di polvere interstellare, la maggior parte delle molecole più pesanti si originano probabilmente per reazione in fase gassosa e possono trovarsi in stati molto lontani dall'equilibrio termico e chimico. La scoperta che la chimica organica è presente anche su scala galattica rafforza l'ipotesi che forme di vita basate sul carbonio siano diffuse nell'Universo, ma la relazione che intercorre tra le molecole interstellari e l'origine della vita rimane estremamente incerta, a causa dei violenti e complessi eventi che accompagnano la formazione dei pianeti.
Introduzione
Fino a poco tempo fa il ruolo giocato dal legame chimico nell'ambito dell'astronomia era soltanto secondario. La maggior parte degli oggetti studiati dagli astronomi dalla antichità fino a dopo la fine della seconda guerra mondiale - a parte la Luna, i pianeti con i loro satelliti e le comete, ben evidenziati in quanto vicini - erano troppo caldi o troppo rarefatti perché il legame chimico potesse giocare un ruolo determinante. Le eccezioni più rilevanti erano alcune dozzine di piccole molecole osservate nel Sole e nelle stelle fredde, e la polvere interstellare, le piccole particelle che apparivano come macchie scure e adombravano il fondo stellato della Via Lattea. Ma le molecole stellari presentavano una struttura troppo semplice e la polvere una composizione troppo incerta per destare l'interesse generale o per persuadere i chimici che esse potessero costituire degli argomenti interessanti da studiare con le tecniche a disposizione. Era quindi comprensibile che gli astronomi continuassero a considerare la chimica un ramo secondario della fisica, la cui rilevanza si fermava a pochi chilometri al di sopra dei loro telescopi. Con la nascita della radio astronomia nel 1933, l'astronomia cominciò a esplorare le bande infrarossa e ultravioletta dello spettro elettromagnetico e le bande dei raggi X e gamma. Una serie di scoperte inaspettate relative a oggetti molto energetici come le radiogalassie, i quasar, i remnants di supernova (ciò che rimane dopo una esplosione di supernova) e le stelle di neutroni, rafforzarono queste convinzioni. Verso la fine degli anni Sessanta sembrava che l'Universo fosse ancor più violento di quanto l'astronomia classica non avesse previsto, e ancor meno adatto a ospitare legami chimici. A partire dal 1968, però, una lunga serie di molecole è stata scoperta nei gas interstellari e nelle regioni di materia circumstellare in espansione, e alcune di queste molecole sono state rinvenute in un'ampia gamma di diversi oggetti astronomici, cosicché lo studio delle molecole nello spazio è diventato oggi uno dei campi più attivi della ricerca astronomica. È ora riconosciuto che in una galassia a spirale come la nostra, circa metà del gas è di composizione molecolare e che la maggior parte delle molecole si trovano in una nuova classe di oggetti astronomici, le nubi molecolari, grandi concentrazioni di gas di fondamentale importanza in quanto, praticamente, sede dell'intero processo di formazione stellare di un sistema galattico.
La chimica cosmica è chimica organica
Mentre le prime molecole interstellari, i semplici radicali liberi biatomici CH, CH+ e CN, vennero identificate negli anni Quaranta attraverso la rivelazione delle loro transizioni elettroniche, per mezzo di quello che allora era il più grande telescopio ottico esistente al mondo, la maggior parte delle scoperte successive venne fatta osservando le strette righe di emissione delle molecole nella banda radio, durante il passaggio da uno stato rotazionale eccitato a uno stato a minore energia. L'era delle osservazioni nella banda radio cominciò nel 1963 con la scoperta del radicale idrossile OH (Weinreb et al., 1963); a questa scoperta seguirono, cinque anni più tardi, quella dell'ammoniaca e dell'acqua (Cheung et al., 1968; 1969), grazie alle quali i radio astronomi si convinsero che nel gas interstellare potevano esserci molecole poliatomiche stabili. Da allora sono state scoperte circa quattro molecole all'anno, per un totale di 116 molecole (tab. I), e non vi sono segni che tale ritmo sia destinato a decrescere nel prossimo futuro (fig. 1). In effetti, grazie agli sforzi in atto da parte di molti paesi nel costruire radiotelescopi più grandi e potenti, e nel promuovere ricerche nel campo della spettroscopia in molti laboratori, si possono prevedere in futuro progressi confrontabili con quelli passati. Il metodo di rivelazione e identificazione delle righe spettrali è diretto e consiste nell'applicazione alla radioastronomia delle usuali tecniche di analisi spettroscopica e di spettroscopia a microonde (fig. 2). La maggior parte delle scoperte è stata fatta a lunghezze d'onda millimetriche nella banda radio, una regione spettrale ancora abbastanza libera da interferenze dovute all'attività dell'uomo e nel contempo vicina al limite inferiore a breve lunghezza d'onda determinato dall' assorbimento dell' atmosfera. l progressi tecnologici più significativi che aprirono il campo agli studi di carattere astronomico in questa banda spettrale furono la costruzione di grandi antenne molto precise e lo sviluppo di ricevitori di estrema sensibilità. Questi ultimi in un primo tempo impiegavano come elemento critico di rilevamento giunzioni semiconduttrici; successivamente sono stati sviluppati i dispositivi superconduttori. l migliori ricevitori superconduttori, come i dispositivi a conteggio di fotoni largamente utilizzati nella moderna astronomia ottica, arrivano molto vicini alla massima sensibilità raggiungibile, determinata dal limite quantistico: lo shot noise, il rumore di quantizzazione, ovvero le fluttuazioni casuali nel numero di fotoni rivelati durante ogni osservazione. Dall'analisi della tabella l emerge chiaramente uno dei più importanti risultati della scoperta di molecole nello spazio: la chimica nel gas interstellare è soprattutto chimica organica che comprende gli elementi cosmici e biogeni più abbondanti, H, C, N, O e S (fig. 5). Mentre le molecole interstellari più piccole sono sia organiche che inorganiche, si vede che all'aumentare della complessità il numero di molecole inorganiche decresce rapidamente: tutte le molecole conosciute composte da più di cinque atomi sono organiche nel senso stretto del termine. Non esiste quindi alcuna' fantachimica': sia nello spazio interstellare che sulla Terra, la natura utilizza la singolare ricchezza architettonica del legame del carbonio per costruire grandi strutture. Nel parlare di chimica organica dobbiamo comunque adottare delle cautele, dovute al fatto che, accanto alle molecole stabili che ci sono familiari, si trovano molecole altamente reattive non comuni sulla Terra (fig. 6), una parte delle quali non era mai stata vista prima di essere identificata nello spazio; si tratta di quelle che talvolta vengono chiamate 'molecole non terrestri'. Le molecole interstellari stabili si possono generalmente trovare nel mondo che ci circonda oppure in qualche magazzino di sostanze chimiche. Esse comprendono sei idruri (metano, ammoniaca, acqua, idruro di silicio, solfuro di idrogeno e cloruro di idrogeno), due alcoli (metano lo ed etanolo), quattro acidi organici (formico, acetico, isocianico e isotiocianico), due aldeidi (formaldeide e acetaldeide), l'estere più semplice (il formiato di metile), l'etere più semplice (il dimetiletere), il chetene, l'ossido di etilene e l' acetone. A parte il metano, rivelato nell'infrarosso, non sono rivelati altri idrocarburi saturi, poiché sono tutti non polari o solo leggermente polari; la presenza dell' etano può essere però dedotta dalla rivelazione del cianuro di etile, la molecola altamente polare ottenuta sostituendo uno degli atomi di idrogeno dell'etano con un gruppo nitrile CN.
Allo stesso modo, si può affermare che la rivelazione delle specie polari HNN+, OCS e HC2CN, strettamente imparentate con quelle non polari N2, CO2 e C2H2, indica che anche queste ultime debbano essere presenti. Lo zolfo, la cui abbondanza cosmica è abbastanza grande (circa 1/42 di quella dell' ossigeno), e che forma facilmente composti volatili, è l'elemento di maggior spicco al di là della seconda riga della tavola periodica. Quasi ogni volta che si rivela una molecola contenente ossigeno con rapporto segnale/rumore maggiore di 42/1, si presenta anche il suo analogo solforato; il metilmercaptano, l'analogo del metanolo, e la tioformaldeide, ne sono esempi. Sette o otto altri elementi pesanti (F, Na, Mg, Al, Si, P, Cl e probabilmente K) si trovano in almeno una molecola. Grazie alla sua abbondanza nel cosmo, Fe è l'unico metallo di transizione che ha una elevata probabilità di essere rivelato; ciò non è ancora avvenuto probabilmente perché mancano dati di laboratorio che indirizzino la ricerca. In un esperimento molto famoso, S. Miller e H. Urey nel 1953 dimostrarono che molecole biogene importanti, tra cui gli amminoacidi, possono essere sintetizzate dall' acqua, dal metano, dall'ammoniaca e dall'idrogeno tramite una scarica elettrica. È interessante notare che tra le molecole interstellari conosciute vi sono non solo le semplici molecole con le quali Miller e Urey cominciarono i loro esperimenti, ma anche molti dei loro prodotti finali, quali, per esempio, gli acidi formico e acetico e il cianoacetilene. Tuttavia, gli amminoacidi non sono stati rivelati. Un certo numero di tentativi fatti con l'obiettivo di rivelare la glicina, il più semplice amminoacido, sono falliti. Ciò nonostante, dal momento che sono state già individuate tre molecole organiche aventi peso molecolare uguale o maggiore, è molto verosimile che in futuro si riesca a rivelare la glicina utilizzando strumenti più sensibili.
Tipi di molecole interstellari
Esistono diversi tipi di molecole interstellari re attive e la loro abbondanza è spesso confrontabile con quella delle molecole stabili aventi simili dimensioni e masse: catene di carbonio, radicali, carbeni, ioni positivi e isomeri. Queste diverse categorie non si escludono a vicenda, ma anzi presentano ampie sovrapposizioni; molte catene di carbonio, per esempio, sono anche radicali e alcune sono sia carbeni che isomeri tra loro. Si tratta, in ogni caso, di una utile classificazione, almeno come prima approssimazione.
Catene di carbonio a guscio elettronico completo
Le molecole reattive più comuni sono le catene di carbonio acetileniche o poliini: molecole a guscio elettronico completo con una struttura portante lineare di carbonio caratterizzata dall'alternanza di legami al carbonio tripli e singoli. In condizioni di elevata densità queste tendono a polimerizzare rapidamente, e solo alcune delle più corte, come il cianoacetilene HC2CN, possono essere sintetizzate in laboratorio e manipolate come le normali sostanze organiche. l poliini simmetrici HC2nH sono non polari e quindi non osservabili con radiotelescopi, ma la simmetria può essere rotta se un atomo di idrogeno della catena è sostituito o da un gruppo nitrile CN, generando una catena altamente polare, o da un gruppo metilico CH₃, generando una molecola meno polare, ma ancora tale da poter essere rivelata. L'intera sequenza nitrilica dei poliini è stata ormai identificata, dal cianoacetilene HC2CN fino a HClOCN (fig. 7), la molecola interstellare più grande che si conosca, con una massa molecolare 147, due volte quella della glicina. Sono anche stati identificati i primi due composti della corrispondente sequenza metilica, CH₃CzH e CH₃C₄H, e inoltre una catena contenente sia un gruppo nitrile che un gruppo metile, il metilcianoacetilene CH₃C₂CN. In futuro, strumenti sempre più sensibili o, forse, la scoperta di migliori sorgenti astronomiche mostreranno quasi sicuramente che esistono poliini ancora più estesi.
Radicali e carbeni
Un altro modo per rompere la simmetria di un poliino e permettere la rivelazione nella banda radio consiste nella rimozione di uno degli atomi di idrogeno, con produzione del radicale della catena di atomi di carbonio. Molti di questi radicali sono noti: l'intera sequenza, in tutto sette radicali, dall' etinile CCH al CgH, ottenuta per aggiunte successive di un carbonio per volta, è stata rivelata in almeno una sorgente astronomica, come anche la molecola CCCN, isoelettronica con il C₄H. Quasi tutti questi radicali di catene di carbonio sono considerati 'non terrestri' perché, nonostante ormai siano stati riprodotti in laboratorio, originariamente hanno fatto la propria comparsa come righe non identificate negli spettri astronomici. Oltre alle prime scoperte ottiche di CH, CN e CH+, più recentemente sono stati identificati un certo numero di radicali più piccoli, tra cui NH₂, H₂CCN e MgCN. l carbeni, molecole con due elettroni di non legame sul carbonio, sono generalmente più reattivi e meno stabili in laboratorio di quanto non lo siano i radicali e, in confronto a questi ultimi, solo pochi carbeni sono stati studiati per via spettroscopica in fase gassosa. Ciò nonostante, circa il 15% delle molecole interstellari sono carbeni, se si includono anche molecole come HNC e HNCCC, con atomi di carbonio bivalenti alla fine della catena. Il capo stipite dei carbeni, il metilene CH₂, è il carbene interstellare più semplice; il più grande è la catena di carbonio altamente polare H₂CCCCCC (v. figura 7b), che presenta una struttura cumulenica con doppi legami carbonio-carbonio consecutivi, anziché legami singoli e tripli caratteristici dei poliini.
Ioni e isomeri
Circa il 10% delle molecole conosciute sono ioni positivi e alcuni, specialmente HCO+ e HNN+, sono estremamente facili da osservare e largamente diffusi. La maggior parte degli ioni interstellari sono semplicemente il risultato dell'associazione di un protone a una molecola interstellare nota e sono facilmente spiegabili in termini di reazioni ione-molecola (v. oltre). Probabilmente si potranno trovare molti altri ioni positivi quando saranno determinate le loro frequenze di emissione in laboratorio. La maggior parte delle grandi molecole organiche stabili è rapidamente ionizzata dalla luce stellare, e lo stato in cui è più probabile trovarle è quello di ione positivo, a meno che la molecola neutra non sia ben schermata dalla polvere presente nella nube molecolare. D'altro canto, in nubi fredde ben schermate, potrebbe predominare lo ione negativo (Lepp e Dalgamo, 1988). Anche se finora non sono stati osservati ioni molecolari negativi, bisogna aggiungere che i dati di laboratorio necessari alle ricerche astronomiche sono del tutto assenti. Sono stati scoperti numerosi riarrangiamenti isomerici di molecole stabili e instabili. La maggior parte di questi sono come l'HNC, che è significativamente più energetico dell'HCN e altamente instabile sulla Terra, ma si è trovato anche il metilisocianuro CH₃NC, che è invece un gas molto comune nei laboratori. Le tre catene di carbonio cumuleniche osservate, H₂CCC, H₂CCCC e H₂CCCCCC, sono isomeri di altre specie esistenti; la prima è una ridisposizione dell'anello carbenico C₃H₂ largamente diffuso, che sarà discusso in seguito, la seconda e la terza sono isomeri di diacetilene e triacetilene, poliini simmetrici non osservati nello spazio ma senza dubbio presenti. L'esistenza di isomeri energetici in gas tipicamente freddi è una delle indicazioni più significative del fatto che il mezzo interstellare è caratterizzato da condizioni che si discostano molto da quelle dell'equilibrio termico e chimico.
Anelli
Si potrebbe supporre che gli anelli organici estremamente stabili e a volte polari come il pirrolo (C₄H₄N) e la piridina (CsHsN), anelli eterociclici che hanno spettri radio misurati in laboratorio, siano abbondanti nel gas interstellare e di facile identificazione. Nonostante ciò, dopo ripetute ricerche sono stati trovati solo quattro composti di questo genere (fig. 8). L'anello carbenico C₃H₂, con due elettroni di non legame - il primo composto incontrato con struttura ad anello (Thaddeus et al., 1985) - è il solo dei quattro a essere largamente diffuso e ora è stato rivelato in oltre 50 nubi molecolari in tutta la Via Lattea (Madden et al., 1989). Un frammento di questo anello, l'anello c-C₃H, che è un isomero del radicale a catena C₃H, è stato recentemente osservato in una sorgente, mentre l'anello ionico compatto SiCC è stato rivelato in una regione circumstellare. Molto recente è la rivelazione, in una sorgente astronomica, dell'ossido di etilene, un anello stabile a tre termini. Tutte le altre molecole interstellari e circumstellari presentano strutture portanti senza ramificazioni e sono costituite da atomi pesanti, caratteristica strutturale assai notevole, per la quale non esiste una spiegazione generale. Dato che un reticolo di grafite bidimensionale è più stabile di circa il 15% rispetto a una lunga catena di carbonio, è lecito ritenere che a un certo livello di complessità le strutture ad anello siano privilegiate rispetto a quelle unidimensionali; ammesso che tale livello esista, se si percorre la lista delle molecole identificate in ordine di crescente complessità, si può concludere che esso non è ancora stato raggiunto. Si può ritenere che la maggior parte delle identificazioni delle molecole interstellari sia stata fatta con un livello di attendibilità estremamente elevato, almeno pari a quello di altre misure astronomiche, e spesso l'attendibilità è confrontabile con quella delle identificazioni che si ottengono in laboratorio, in ambiente controllato. Le righe radio emesse dalle molecole sono allargate per effetto Doppler, e la loro larghezza dipende dal moto turbolento e di agitazione termica del gas lungo la direzione di osservazione. Molte nubi molecolari estremamente quiescenti producono righe molto strette che costituiscono una 'impronta' estremamente precisa e specifica delle molecole che le hanno emesse. Molte identificazioni si basano sul riconoscimento di una dozzina o più di righe spettrali a frequenze note da esperimenti di laboratorio, e tali identificazioni sono eseguite con una precisione maggiore di una parte su un milione; pertanto ne risulta che la probabilità di una falsa rivelazione è decisamente trascurabile. Anche l'analisi quantitativa in molti casi è notevolmente precisa. Grazie alla semplicità degli spettri rotazionali di un corpo rigido, l'intensità delle linee dipende solo dal momento di dipolo della molecola e dalla popolazione dei vari livelli rotazionali, cioè dalla funzione di partizione rotazionale; è quindi spesso possibile determinare la quantità di una data molecola lungo una specifica direzione di osservazione con una accuratezza del 30% o più.
Molte molecole interstellari semplici, come CO e HCN, producono righe molto intense che, con i moderni telescopi, possono essere rivelate in meno di un secondo di osservazione. Le molecole complesse emettono invece molto più debolmente e sono quindi difficili da osservare; ognuna delle righe spettrali di HClOCN, per esempio, che ha richiesto più di 30 ore di osservazione continua con uno dei telescopi più grandi e più sensibili del mondo, è stata rivelata solo con un modesto rapporto segnale/rumore. In ogni caso, gran parte della diminuzione dell'intensità al crescere delle dimensioni è determinata dal fatto che nelle grandi molecole vengono occupati più livelli rotazionali, ovvero è più grande la funzione di partizione. Quando si prende in considerazione questo effetto, ci si accorge che le abbondanze delle grandi molecole sono in realtà sorprendentemente alte e che molecole di dimensioni maggiori di quelle finora note non sono ancora state osservate solo per la complessità dei loro spettri e la debolezza dei segnali associati alle singole righe. In altre parole, non vi è alcuna evidenza che esista un limite alla dimensione delle molecole prodotte nello spazio; si sospetta, al contrario, che esistano molte molecole più grandi di quelle finora osservate, che attendono solo la messa a punto della tecnica più adatta a rivelarle.
La distribuzione delle molecole nello spazio: le nubi molecolari
La scoperta di nubi molecolari sia nella nostra che in altre galassie è, secondo molti astronomi, il risultato più interessante ottenuto dall'investigazione delle molecole interstellari. In galassie a spirale simili alla nostra, il mezzo interstellare è costituito in prevalenza da idrogeno ed elio: il 75% e il 24%, rispettivamente, della massa interstellare totale. Il restante 1% comprende tutti gli altri elementi chimici, ed è a sua volta costituito, per circa 1'80%, dagli elementi biogeni chiave C, N e O. Nella Via Lattea quasi tutta la materia visibile, cioè il 90 ÷ 95%, è concentrata in piccole stelle stabili come il nostro Sole, stelle altamente inerti che scambiano poca materia con il mezzo interstellare tramite venti stellari o per cattura diretta di materiale: l'energia emessa dal Sole nell'unità di tempo e per unità di massa, il metabolic rate (velocità metabolica), è circa 10 mila volte più piccola di quella emessa dal corpo umano. Le velocità di rotazione troppo elevate del gas e delle stelle nelle regioni più esterne delle galassie fanno inoltre supporre che queste ultime debbano in realtà contenere più materia di quella visibile. L'origine di questa materia 'oscura', stellare o interstellare, rimane sconosciuta, come anche la sua natura: potrebbe trattarsi di una miriade di nane brune molto deboli, di neutrini pesanti o di nuove particelle elementari esotiche; in ogni caso, è quasi certamente non molecolare.
Come ogni gas nobile chimicamente inerte, l'elio è presente nello spazio interstellare sotto forma di atomi liberi; lo stesso avviene per l'idrogeno nelle nubi di bassa densità, dove è stato largamente studiato, fm dagli anni Cinquanta, attraverso la ben nota riga di struttura iperfine alla lunghezza d'onda radio di 21 cm. Quando però il gas interstellare viene compresso, per gravità o attraverso altri meccanismi quali le shock waves (onde di discontinuità) o i venti stellari, fino a densità di 50 ÷100 atomi di idrogeno per centimetro cubo, ha luogo una rapida conversione di atomi in molecole. L'idrogeno atomico viene efficientemente trasformato in idrogeno molecolare sulle superfici dei grani della polvere stellare (v. oltre) in misura tale che rimane poco H, e la maggior parte degli atomi chimicamente attivi come C, N e O reagiscono con H2 e tra di loro per formare, attraverso una complessa ragnatela di diverse reazioni, le numerose molecole che osserviamo. Si realizza così un cambiamento di fase chimica - da un gas per lo più atomico a un gas per lo più molecolare - e il confine tra queste due fasi è di solito piuttosto netto. In genere, le nubi molecolari possiedono una struttura interna complessa, ma dai contorni ben definiti. Nonostante H2 sia di gran lunga la molecola più frequente nelle nubi molecolari, è praticamente impossibile osservarIa direttamente perché non possiede righe spettrali nella banda radio, mentre nell'infrarosso e nell'ultravioletto o i segnali sono oscurati dalla polvere, o le sorgenti sono troppo fredde perché l'intensità sia sufficientemente alta da essere rivelata. Viceversa, si osservano facilmente in tutta la Via Lattea righe radio provenienti da numerose molecole polari fra cui CO, CS, HCN e H2CO, e proprio grazie a queste righe sono state scoperte e studiate le nubi molecolari. La distribuzione delle molecole più complesse è, in gran parte, ancora sconosciuta; molte di esse sono state osservate solo in una o in poche sorgenti poiché, anche quando le sorgenti sono localizzate in maniera ottimale, sono necessarie molte ore di osservazione. Non esistono comunque indicazioni tali da far pensare che le sorgenti finora studiate siano localizzate in qualche luogo particolare. Pertanto, si può ipotizzare che tutte le molecole interstellari conosciute siano ampiamente distribuite e che la maggior parte di esse potrebbero essere rivelate in tutta la Via Lattea con telescopi più sensibili.
Il monossido di carbonio, CO, è, tra le molecole più abbondanti, quella che si rivela più facilmente; inoltre, è così stabile e si forma con tale facilità che una parte significativa del carbonio è presente sotto forma di molecole di CO. Dal momento che il rapporto CO/H₂ e CO/He appare costante nelle più diverse condizioni, CO è stato spesso utilizzato come indice della quantità di massa complessivamente presente nelle regioni molecolari, tanto che una nube molecolare potrebbe essere definita operativamente come una concentrazione di gas interstellare con profili ben evidenti, rivelabile nelle righe spettrali radio di CO.
Grazie ai dati raccolti durante le campagne di osservazione di CO effettuate dalla metà degli anni Settanta in USA e in Cile (seguendo il detto di A.S. Eddington secondo il quale tentare di capire la Galassia solo mediante osservazioni nell'emisfero nord sarebbe come per un uccello cercare di volare con una sola ala), è ora chiaro quale sia la distribuzione delle nubi molecolari nella Via Lattea. È stato mostrato che le nubi molecolari possono essere utilizzate per determinare la complessiva struttura a spirale della Galassia, poiché ne delineano i bracci a spirale con grande chiarezza (fig. 9). Vicino al Sole ci sono molte nubi, alcune associate a stelle luminose ben note come Orione, altre visibili a occhio nudo come grosse nebulose scure nella Via Lattea. Tuttavia, la maggior parte delle nubi e della massa molecolare della Galassia si trova lontano dal Sole, nei bracci interni lontani, raccolta per lo più in quello che viene chiamato molecular ring (anello molecolare), un anello ampio e irregolare situato a metà strada tra il Sole e il centro della Galassia, a circa 28.000 anni luce di distanza dal Sole. Tutte le nubi del molecular ring, come d'altronde il Sole e le altre stelle fino ai confini della Galassia, sono in moto quasi circolare attorno al centro galattico.
La densità delle nubi decresce gradualmente dal molecular ring fino a una distanza dal centro galattico pari a quella del Sole (il cosiddetto cerchio solare) e oltre; dentro il molecular ring la densità decresce rapidamente e le nubi molecolari diventano piuttosto scarse, fino al disco nucleare, una concentrazione di nubi molto ricca che si estende per un diametro di 700 anni luce e che potrebbe contenere fino al 10% della massa molecolare complessiva dell'intera Galassia. Simili concentrazioni di gas molecolari sono state trovate in altre galassie a spirale, ma non in tutte: per esempio, non ne esiste traccia nella galassia a spirale che ci è più vicina, Andromeda. l 9000 anni luce che separano il disco nucleare dal molecular ring non sono interamente vuoti, ma contengono più di una nube molecolare che emette, secondo meccanismi non ancora chiari, su una banda larga, con velocità interne apparenti di oltre 100 krn/s e un singolare e lungo braccio a spirale in espansione, evidenziato da molto tempo mediante studi sulla riga a 21 cm dell'idrogeno atomico. A differenza di quanto accade nelle regioni più esterne della Galassia, l'intero complesso di gas atomico e molecolare localizzato in prossimità del centro galattico è caratterizzato da moti altamente non circolari, la causa dei quali è stata attribuita a violenti eventi esplosivi avvenuti nel centro galattico o alla presenza di un'alta concentrazione stellare a simmetria cilindrica nel centro galattico, simile a quella osservata nelle galassie barrate a spirale.
Tutti i processi di formazione stellare avvengono nelle nubi molecolari: questa è una conclusione di importanza fondamentale per l'astronomia, alla quale si è giunti soprattutto grazie alle osservazioni su CO, e che prima del 1970 sarebbe apparsa alla comunità scientifica completamente priva di fondamento. Le osservazioni di grandi quantità di gas molecolare sono quasi ovunque accompagnate da indicazioni che, nello stesso luogo, debbano essere in atto processi di formazione stellare. Ciò per esempio accade negli ammassi luminosi di stelle giovani, nelle nebulose gassose ionizzate (le regioni RH), nelle sorgenti infrarosse e nei maser molecolari (v. oltre), mentre tali indicatori di formazione stellare sono praticamente assenti nei gas atomici diffusi distanti dalle nubi molecolari. Dal momento che la formazione stellare è uno dei più fondamentali processi astro fisici - intimamente connesso ai processi di nascita dei pianeti oltre che elemento cruciale nella struttura ed evoluzione delle galassie - gran parte dell'importanza che attualmente viene attribuita alle molecole interstellari in astronomia origina proprio da questa scoperta. Dallo studio delle righe spettrali che vengono prodotte dalle molecole interstellari è possibile determinare per la prima volta le condizioni fisiche di densità, temperatura e velocità del gas dove nascono le stelle. Queste informazioni possono quindi essere utilizzate per costruire modelli dettagliati che descrivono la frammentazione delle nubi molecolari, il loro collasso e la conseguente formazione stellare. Non è esagerato affermare che lo studio dei processi di formazione stellare con i metodi delle scienze osservative moderne ha avuto inizio proprio con la scoperta delle molecole interstellari.
Le nubi molecolari possono essere di dimensioni e massa complessiva molto diverse, ma nella Via Lattea la maggior parte della massa molecolare risiede nelle concentrazioni più estese, le GMC (Giant Molecular Clouds, nubi molecolari giganti). Le più grandi GMC arrivano fino a un milione di masse solari - che è più della massa contenuta in un ammasso globulare - e si estendono nello spazio per centinaia di anni luce. Sono sedi particolarmente ricche di processi di formazione stellare e, in una galassia come la nostra, la stragrande maggioranza delle stelle giovani sono associate a GMC (fig. 10). A causa delle grandi dimensioni e delle stelle che in esse si trovano, le GMC sono molto ricche di CO e altre radio-molecole, e presentano anche uno spettro continuo di emissione nell'infrarosso dovuto alla presenza di polvere in prossimità di stelle calde. Ciò ha permesso di studiare facilmente le GMC in tutta la Via Lattea, utilizzando le come punti di riferimento per delineare l'intera struttura del sistema. Nella Via Lattea esistono una miriade di piccole nubi molecolari, mentre le GMC sono in numero limitato, dell'ordine di qualche centinaio. Quasi tutte le nubi molecolari, e in particolare le GMC, possiedono una ricca struttura interna a causa delle alte velocità in gioco e delle turbolenze generate dalla forte autogravità del sistema, oltre che dalla energia liberata da stelle giovani e da supernovae. In mappe di CO ad alta risoluzione, questa struttura frattale è evidentissima e tale rimane anche nelle mappe ottenute con le più alte risoluzioni possibili. Tra le strutture secondarie di particolare interesse vi sono i nuclei di nubi dense, le nebulose bipolari e i getti di gas molecolare, tutti usualmente associati a stelle nelle ultime fasi di formazione. Molti studi osservativi sono attualmente rivolti a questi oggetti, non solo nella banda radio delle molecole ma anche nell'infrarosso e nel visibile, proprio al fine di migliorare la nostra comprensione di come esattamente le stelle e i pianeti siano nati dal gas interstellare.
Galassie esterne
Ormai sono state osservate molecole in numerose galassie esterne (il monossido di carbonio è stato osservato in centinaia di esse) e per alcune è stato possibile ricostruirne la struttura con elevata risoluzione, grazie a interferometri sensibili nella banda delle onde millimetriche. Inizialmente è stato possibile studiare solo sistemi abbastanza vicini, mentre dalla metà degli anni Ottanta è stato possibile rivelare CO e alcune altre molecole a grandi distanze, particolarmente nelle radiogalassie, nei quasar e nelle galassie ultraluminose nell' infrarosso, scoperte dal satellite astronomico per l'infrarosso lRAS, lanciato nel 1983 (Omont et al., 1996; Solomon et al., 1992). L'evoluzione cosmica delle galassie consente la rivelazione delle molecole a grandi distanze: infatti, poiché la luce viaggia a velocità finita, le galassie più distanti vengono osservate nei loro stadi giovanili, quando l'attività di formazione stellare era maggiore di quella attuale. In particolare, il periodo che sotto questo aspetto appare più attivo sembra collocarsi a circa un quarto della attuale età delle galassie. A quell'epoca una frazione molto maggiore della massa galattica era allo stato gassoso, rispetto a quanto non sia adesso, e la maggior parte di essa probabilmente era costituita da molecole.
Formazione delle molecole interstellari
Nel tentare di capire i processi di sintesi molecolare nel gas interstellare, diviene presto chiaro che sono in azione almeno due diversi meccanismi. Le reazioni che avvengono in fase gassosa, in particolare le reazioni ione-molecola attivate dalla ionizzazione a opera dei raggi cosmici, sono ubiquitarie e molto rapide e spiegano bene i dati sperimentali relativi alle abbondanze di molte molecole e delle loro specie isotopiche. Si spiega in questo contesto, per esempio, perché il deuterio è tanto frequente in molte molecole e perché alcuni isomeri come HNC sono sorprendentemente abbondanti. Tuttavia le reazioni in fase gassosa non nescono a spIegare la formazione della più abbondante di tutte le molecole, H2. Per questa ragione è stato necessario postulare l'esistenza di un meccanismo totalmente diverso: la reazione catalitica sulla superficie dei grani di polvere interstellare. Alcune molecole biatomiche possono formarsi per diretta associazione radiativa di due atomi. Per esempio, in un urto su 100.000 si può avere la reazione C + H → CH + hv, ma questo non può mai accadere tra due atomi di H perché lo stato molecolare transiente che si forma durante l'urto non può, per ragioni di simmetria, emettere il fotone di energia hv necessario per legare il sistema. L'urto è totalmente elastico e i due atomi di H si allontanano istantaneamente come due palle da biliardo. È necessario un terzo corpo per assorbire energia e quantità di moto. Nello scenario correntemente accettato per spiegare la formazione di H2 interstellare, questo ruolo viene giocato da un grano di polvere (fig. 12). Utilizzando valori plausibili per la sezione d'urto di un grano di polvere e per la probabilità che un atomo di H durante un urto rimanga incollato sulla sua superficie, si riescono a riprodurre i valori misurati della velocità di formazione di H2 interstellare (Hollenbach e Salpeter, 1971). Una volta che è stato formato H2, le reazioni in fase gassosa sono una necessaria conseguenza delle condizioni che esistono nel gas interstellare. Le reazioni ione-molecola sono di particolare importanza perché la loro sezione d'urto può essere centinaia o migliaia di volte più grande della sezione d'urto geometrica della molecola; inoltre queste reazioni non hanno, in genere, una soglia d'attivazione e quindi si mantengono molto veloci anche a temperature prossime allo zero assoluto, dove la maggior parte delle reazioni delle molecole neutre è congelata (Herbst e Klemperer, 1973). Una lunga catena di reazioni comincia quando un raggio cosmico (Re) ionizza una molecola di idrogeno: H2 + RC → H2+ + e. l raggi cosmici più importanti sono protoni primari a bassa energia, prodotti in esplosioni di supernovae, che si trovano distribuiti in modo pressoché uniforme nel piano galattico e che possono facilmente penetrare anche nelle nubi molecolari più dense. Lo ione Hi che si forma in questa reazione reagisce a sua volta rapidamente con altro H2 per formare lo ione altamente re attivo H3+: H2+ +H2 → H3+ + H.
H3+ è essenzialmente una molecola di idrogeno alla quale è debolmente attaccato un protone. Pertanto, al primo incontro con una qualsiasi molecola stabile X, essa cede tale protone per formare uno ione molecolare più stabile: H3+ + X → HX+ + H2, iniziando, in questo modo, una lunga catena di reazioni ione-molecola. Gli ioni HCO+ e HNN+, che sono largamente diffusi e di cui si è parlato in precedenza, vengono formati in questo modo a partire da CO e Nz, rispettivamente. Altri ioni osservati, magari meno abbondanti, potrebbero essere il risultato di simili processi: H₃0+ dall'acqua, H₃CO+ dalla formaldeide e HC₃NH+ dal cianoacetilene. Altre importanti reazioni ionemolecola iniziano con la ionizzazione dell' elio a opera dei raggi cosmici. Le reazioni di He + sia con H che con H2 sono rare, quindi questo ione sopravvive abbastanza per ionizzare e dissociare molecole con atomi pesanti, come CO, attraverso reazioni quali He+ + CO → C+ + O + He. Gli ioni molecolari normalmente sono neutralizzati mediante ricombinazione dissociativa con un elettrone, una reazione che spesso è abbastanza energetica da produrre isomeri sia stabili che reattivi. La ricombinazione dissociativa di HCNH+, per esempio, può produrre sia HCN+H che HNC+H, all'incirca con la stessa probabilità. Dal momento che HNC è più energetico di HCN di 0,6 eV, all'equilibrio termico e alla temperatura di una normale nube molecolare, pari a circa 15 K, l'abbondanza di HNC relativa a HCN è completamente trascurabile, essendo exp(E / kT) ≈ 10-200! La presenza di HNC in una nube molecolare fredda costituisce uno degli esempi migliori dell'importanza della chimica ione-molecola nello spazio, e anche uno degli esempi di come possano esistere in tali ambienti situazioni che si discostano molto dall'equilibrio chimico.
La maggior parte dei modelli di chimica interstellare si basano, per semplicità, sull'assunzione molto teorica che tutto l'idrogeno si formi sulla superficie dei grani di polvere, mentre tutte le altre molecole siano sintetizzate nel gas. I modelli correnti includono centinaia di reazioni e riescono, con opportuna scelta dei parametri in gioco, a riprodurre abbastanza bene le abbondanze di molte molecole ora note, specialmente quelle più piccole. Ma poiché la velocità di molte reazioni e le probabilità relative di reazione sono poco note o addirittura sconosciute, è necessario stimarle o supporle. Di conseguenza, questi modelli hanno in realtà un gran numero di parametri quasi liberi e la loro capacità di fare previsioni è generalmente peggiore delle loro capacità di riprodurre i dati esistenti, come si poteva prevedere. Nella rivelazione di nuove molecole, anche i modelli più sofisticati sono stati solo di scarso aiuto.
Una volta che il 'genio' delle reazioni catalitiche sui grani è uscito dalla lampada è però molto difficile convincerlo a rientrarvi. Poiché i dettagli delle reazioni chimiche sulla superficie di un grano di struttura e composizione ignote non possono essere calcolati (perfino in laboratorio la chimica catalitica è una scienza per lo più empirica), non si riesce a stabilire quanto sia da attribuire alla chimica del grano e quanto a quella della fase gassosa; ciò costituisce uno dei maggiori dilemmi dell' argomento. Alcune molecole ricche di ossigeno, come il metanolo e l'etere dimetilico, frequenti nei nuclei delle nubi calde, potrebbero essere collegate a processi di chimica dei grani. Difficili infatti da produrre mediante reazioni in fase gassosa, esse sono probabilmente formate tramite idrogenazione di CO o attraverso qualche altra reazione sui grani freddi, per essere poi rilasciate o immediatamente, per mezzo dello stesso calore prodotto nella reazione o, più tardi, per evaporazione nel gas molecolare circostante, nel momento in cui i grani vengono scaldati da stelle vicine.
Il problema della formazione dei grani interstellari ha, in ambito astrofisico, origini più antiche di quello della formazione molecolare. Un modello accettato per lungo tempo prevede che i grani 'standard', di circa 0,1 μm di diametro, siano i principali responsabili della diffusione e polarizzazione della luce stellare, e che essi si siano originati per nucleazione da piccole particelle refrattarie (silicati, grafite, ecc.) spinte fuori dell'atmosfera stellare dai venti stellari, e successivamente accresciutesi nel gas interstellare. Ci si potrebbe aspettare che l'accrescimento sia particolarmente veloce nelle nubi molecolari fredde; infatti esistono dati osservativi, provenienti da studi di polarizzazione nell'infrarosso, i quali provano che le dimensioni dei grani che si trovano lì sono significativamente maggiori di quelle dei grani presenti nel gas diffuso. Generalmente si è anche assunto che grani prodotti in gran parte attraverso processi di accrescimento di questo tipo fossero semplicemente aggregati casuali di piccole molecole, privi di alcuna struttura specifica. l modelli di grani che sono stati sviluppati sono quasi interamente di questo tipo, con strati di ghiaccio e molecole organiche attorno a piccoli nuclei di silicati, grafite o altri solidi refrattari. Ma, come vedremo, l'osservazione di una popolazione di grani molto piccoli indica che in realtà potrebbe non esistere alcuna discontinuità significativa nel passaggio dalle dimensioni delle molecole interstellari - tutte con strutture ben definite e specifiche - a quelle dei grani, con la chiara conseguenza che la struttura dei grani potrebbe essere più specifica e complicata (e quindi più interessante) di quanto non si sia creduto finora.
Dal punto di vista termodinamico, le estreme deviazioni dall'equilibrio termico e chimico che si manifestano nelle molecole interstellari non sono una sorpresa. Nello spazio come sulla Terra, le molecole sono normalmente soggette all'azione di riserve termiche sia calde che fredde; se le interazioni delle molecole con due o più di queste riserve sono forti e di entità confrontabile, come spesso accade, allora è possibile estrarre da esse energia libera e non vi sono limiti alla complessità delle strutture che è possibile formare in un lasso di tempo sufficientemente lungo. Nello spazio le riserve ad alta temperatura sono costituite dai raggi cosmici, che hanno una temperatura efficace molto alta (più di 10¹⁰ K), dal bagno quasi termico dei fotoni stellari (circa 10.000 K), dalla radiazione infrarossa proveniente dai grani di polvere riscaldati dalla luce stellare (10 ÷ 1000 K) e dall'agitazione cinetica delle molecole, un buon bagno termico con distribuzione maxwelliana delle velocità e con una temperatura cinetica ben definita, tipicamente tra 10 e 100 K. La riserva termica fredda, e precisamente a 2,73 K, è costituita dai fotoni del fondo cosmico a microonde, il debole residuo della radiazione emessa dall'Universo giovane in espansione (Mather et al., 1994).
La velocità delle reazioni chimiche nello spazio è di certo enormemente più bassa rispetto a quella terrestre; la densità delle particelle nelle nubi molecolari più dense è 17 ordini di grandezza più piccola di quanto non sia in acqua allo stato liquido e le reazioni chimiche interstellari più veloci sono più lente dello stesso fattore. Le reazioni nello spazio sono inoltre inibite dalla mancanza di reazioni a tre corpi in fase gassosa, che invece sono onnipresenti nella chimica terrestre. Esistono, però, dei fattori compensativi: il tempo a disposizione nello spazio per l'evoluzione chimica è ovviamente molto lungo e una larga frazione degli elementi biogeni reagisce in continuazione, mentre sulla Terra elementi biogeni chiave, come il carbonio e l'azoto, sono scarsi (in confronto alle loro abbondanze cosmiche) e solo una piccola frazione di quelli che la Terra possiede si trova contemporaneamente negli oceani. L'aggregazione di grandi molecole nello spazio è quindi limitata soltanto dalla velocità delle reazioni, e strutture specifiche molto più grandi di quelle che finora sono state osservate possono quasi certamente formarsi nel tempo a disposizione.
I maser molecolari
l maser astronomici, regioni che emettono righe radio-molecolari incredibilmente intense, sono lampanti esempi di come nel gas interstellare possano esistere condizioni ben lontane dall'equilibrio termico. Il principio di emissione è lo stesso che per i laser di laboratorio: si ha un maser quando, a causa della differenza di temperatura tra le sorgenti termiche calda e fredda, attraverso urti e interazioni elettromagnetiche, la popolazione dei due livelli di una transizione radio si inverte in modo che lo stato più energetico sia più popolato di quello meno energetico. Ne risulta che tutte le onde radio incidenti sul sistema entro la banda di transizione (per esempio, quelle provenienti dal fondo cosmico a microonde) non vengono attenuate, come accade sempre in condizioni di equilibrio termico, ma amplificate. Sono circa una dozzina le molecole che in alcune transizioni radio producono maser, ma quelli generati da OH, H₂0, CH₃0H (metanolo) e SiO sono i più energetici, diffusi e meglio studiati. Poiché il guadagno in potenza di questi amplificatori naturali nello spazio può essere molto alto, l'emissione coerente di una sorgente maser in onde radio può essere davvero sorprendente: si è trovato per esempio un maser di H₂0 associato a una regione della Via Lattea, sede di una intensa attività di formazione stellare, che emette con una potenza quasi pari a quella associata all' emissione complessiva da parte del Sole. Come in ogni macchina termica, l'emissione del maser può essere ricondotta a una delle sorgenti di energia, o 'pompe', che guidano il processo, tipicamente l'energia cinetica del gas circostante o la radiazione infrarossa proveniente da polvere calda o da stelle giovani che si trovano nelle vicinanze (fig. 13).
Le sorgenti maser possono arrivare alle dimensioni del millisecondo di angolo di diametro, quindi sono molto piccole, ma contemporaneamente possiedono temperature di brillanza (la temperatura di un corpo nero che irraggia la stessa potenza sulla stessa banda spettrale) che arrivano a 10¹⁵ K, una temperatura che supera di molto quella di qualsiasi regime fisico concepibile in cui una molecola possa esistere. Alle loro già particolari caratteristiche si può aggiungere il fatto che i maser molecolari spesso emettono radiazione polarizzata circolarmente o linearmente e sono caratterizzati da brevi scale temporali, dell'ordine di settimane. È stato proprio il desiderio di comprendere questi straordinari oggetti astro fisici ad aver spinto a sviluppare sistemi interferometrici operanti su grande scala, mediante una tecnica in cui i segnali provenienti da antenne distanti sono registrati su nastro veloce con indicatori temporali precisi e poi sono ricombinati da un calcolatore centrale per ottenere immagini con la stessa risoluzione di un telescopio che si estenda per poco meno del raggio terrestre. Il Very Long Baseline Array, costituito da dieci radiotelescopi da 25 metri formanti una rete che si estende dalle Hawaii fino a Puerto Rico, capace di ricostruire immagini con una risoluzione angolare di 3 ∙ 10-⁴ secondi di arco, è il più potente strumento di questo tipo. Questo interferometro ha fornito le prove attualmente più attendibili dell' esistenza di un buco nero massivo, mediante le osservazioni di maser di H₂0 in orbita chiusa attorno a un nucleo galattico (Miyoshi et al., 1995). Poiché i maser sono confinati in regioni spaziali piccole e ben definite - la loro posizione può essere misurata con accuratezza mai raggiunta prima in altre misure astronomiche - lo studio di questi oggetti ha fatto luce su molte problematiche importanti, tra cui la formazione stellare, la determinazione delle distanze galattiche e perfrno extragalattiche e la struttura e la chimica delle atmosfere stellari.
Le bande interstellari diffuse
Le bande interstellari diffuse (DIB, Diffuse lnterstellar Bands) sono più di 125 righe di assorbimento nel campo ottico osservate vicino a stelle luminose (Herbig, 1995). Trovare una spiegazione per queste bande è il problema più rilevante della spettroscopia astro fisica. Alcune di queste righe sono larghe e diffuse, mentre altre sono piuttosto ben definite e specifiche, nonostante nessuna sia stretta quanto le linee di assorbimento nel campo ottico di CH, CH+ e CN. Nonostante la prima DIB sia stata osservata 75 anni fa, nessuna è stata mai identificata con certezza in laboratorio. Poiché le nubi molecolari sono generalmente piuttosto opache alla luce stellare, le DlB sono state generalmente osservate in regioni di più bassa densità e opacità, dove la maggior parte dell'idrogeno è atomico e dove sono osservate solo poche radio-molecole, o addirittura nessuna. Ciò nonostante, ci sono forti indicazioni, per esempio in quelle DlB con righe ben definite e strette, che i generatori delle bande siano molecole di qualche tipo, e questa è l'opinione prevalente al momento. Se così fosse, poiché le molecole grandi, come d'altronde i grani di polvere, tendono a resistere ai processi di fotodissociazione e ricombinazione dissociativa che rapidamente distruggono le piccole molecole trasformandole in gas atomico, si dovrebbe anche sospettare che questi generatori possano essere molecole grandi almeno quanto quelle osservate nelle nubi molecolari.
Un certo numero di grandi molecole sono state candidate come generatori delle bande diffuse, tra cui le catene di atomi di carbonio (Douglas, 1977), gli idrocarburi poliaromatici e, inevitabilmente, anche la molecola fullerenica C₆₀, appena scoperta, che ha la forma del pallone da calcio. Calcoli sull'equilibrio di ionizzazione nel gas diffuso indicano che il fullerene C₆₀ sarebbe in gran parte trasformato per ionizzazione in C+₆₀ dal campo di radiazione interstellare. B.H. Foing e P. Ehrenfreund (1977) hanno dimostrato che due bande diffuse, da loro scoperte nel vicino infrarosso, sono piuttosto simili (entro lo 0,1 % circa) alle transizioni del C+₆₀ misurate da IP. Maier e collaboratori (Fulara et al., 1993) in campioni molto diluiti di C+₆₀ in neon congelato, la cosiddetta matrice al neon. Poiché le righe spettrali di una molecola intrappolata in questo modo subiscono dei leggeri spostamenti nella frequenza rispetto alle righe della molecola libera (spostamenti che in questo caso sono di circa lo 0,1%), per avere conferma definitiva delle interessanti identificazioni di Foing e Ehrenfreund sarà necessario effettuare simili rilevazioni in esperimenti di laboratorio utilizzando il C+₆₀ in fase gassosa, anche se attualmente tali esperimenti sono piuttosto difficili. In caso positivo le implicazioni sarebbero significative: si sarebbe infatti dimostrato che è possibile identificare otticamente grandi molecole nello spazio, e ciò suggerisce che la soluzione al problema delle bande interstellari diffuse potrebbe portare alla scoperta di molecole considerevolmente più grandi di quelle alla portata della radio astronomia.
Gli studi di diffusione e polarizzazione della luce su grani di polvere indicavano che le loro dimensioni tipiche dovessero essere di circa 0,1 μm, ovvero che il grano 'standard'così come lo si è creduto per un certo numero di anni - fosse costituito da circa 10⁸ atomi. Particelle di tali dimensioni però non avrebbero mai potuto produrre l'alta diffusione della luce stellare che invece venne rilevata con le prime osservazioni astronomiche nell'ultravioletto effettuate mediante satellite. Fu quindi necessario postulare l'esistenza di una seconda popolazione di grani, un ordine di grandezza più piccoli degli altri, ognuno costituito da 10⁵ ÷ 10⁶ atomi. Infine, per spiegare le osservazioni nell'infrarosso delle nebuio se a riflessione (Sellgren, 1984) e l'inaspettata emissione interstellare diffusa a Il e 20 μm, rilevata dal satellite lRAS un po' su tutta la Via Lattea (Puget e Léger, 1989), si dovette postulare che esistesse una terza popolazione di grani, così piccoli che anche un singolo fotone stellare sarebbe stato capace di portarne la temperatura vicino ai 1000 K. Questi dati nell'infrarosso non forniscono alcuna informazione sulla composizione o sulla struttura dei piccoli grani, ma pongono dei limiti piuttosto precisi alla loro massima dimensione a valori compresi tra i 50 e i 100 atomi, dal momento che una particella più grossa dovrebbe possedere una capacità termica troppo grande per essere adeguatamente riscaldata da un singolo fotone ottico o ultravioletto. Questa scoperta getta un ponte tra le dimensioni del più piccolo grano e quelle della più grande molecola interstellare e suggerisce, come già accennato, che esista una progressione continua dalle molecole ai grani. Perciò l'opinione attualmente più diffusa - che i grani siano aggregati amorfi di silicati, grafite, ghiacci, ecc. - potrebbe rivelarsi na'if quanto la visione, un tempo dominante, che le grandi macromolecole della biologia fossero aggregati colloidali di molecole semplici, prive di una struttura propria.
Prospettive per il futuro
Quante molecole interstellari potrebbero essere rivelate in futuro mediante il miglioramento delle attuali tecniche sperimentali, e quali sono le molecole più grandi che potrebbero essere scoperte? Come gli ingegneri elettronici sanno molto bene, il contenuto informativo della banda radio non è illimitato; man mano che le molecole diventano significativamente più grandi di quelle note adesso, le loro righe radio si fanno estremamente numerose e deboli e tendono a fondersi in un quasi continuo dal quale si può estrarre poca informazione. In analogia con quanto accade per le fibre ottiche, che possiedono canali di capacità più elevata rispetto alle linee di trasmissione elettrica, si potrebbe pensare che nella banda infrarossa o ottica questo vincolo possa essere meno stringente. In realtà non è così, perché le righe molecolari interstellari sono allargate per effetto Doppler proporzionalmente alla loro frequenza e quindi non si ottiene nessun miglioramento decisivo. Non si può effettuare una stima precisa del punto in cui le tecniche attualmente in uso non potranno più essere utilizzate, ma sarebbe sorprendente se si riuscissero a identificare nelle nubi molecolari più del doppio delle molecole note adesso, o se si rivelassero molecole con più di venti atomi. È possibile che le bande ottiche interstellari diffuse siano prodotte da molecole che sono più grandi di tutte quelle conosciute; tuttavia il numero di quelle che potranno essere identificate è probabilmente molto minore delle radio-molecole note.
Analisi di laboratorio dirette, attraverso tecniche sensibili come la spettrometria di massa e la spettroscopia laser, potrebbero quindi costituire la sola via per ottenere informazioni specifiche sulla struttura delle grandi molecole interstellari e dei piccoli grani, anche se acquisire un campione adeguato è una sfida formidabile. Particelle di materia entrano continuamente nell'atmosfera terrestre, e sono catturate da velivoli d'alta quota o raccolte dopo che si sono depositate - ancora poco contaminate dalle polveri terrestri - sulle nevi dell'Antartide. Ma è stato dimostrato che questo materiale extraterrestre ha quasi interamente origine nel sistema solare. Si tratta presumibilmente di residui di comete, asteroidi, meteoriti o di reperti provenienti dalla superficie lunare o marziana. Inoltre questa polvere del sistema solare è stata molto modificata e probabilmente porta con sé poche tracce della propria origine risalente a cinque miliardi di anni fa nel mezzo interstellare.
Ci sono però recenti indicazioni, fornite dalla navicella spaziale Ulysses, vicino all'orbita di Giove, di particelle di polvere interstellare che penetrano nel sistema solare (Grun et al., 1994). La direzione e la velocità delle particelle sono grosso modo riferibili a quelle che ci si aspetterebbe a causa del moto del sistema solare attraverso il gas interstellare locale. Le particelle, con una massa media di circa 3 ∙ 10-¹³ g, sono in realtà un po' più grandi dei grani interstellari classici che diffondono la luce stellare, ma solo per un fattore di circa tre in dimensione o 30 in massa; quindi, esse provengono presumibilmente dalla stessa popolazione e hanno probabilmente una struttura simile. La velocità delle particelle è però molto elevata rispetto a quella della navicella e quindi nell'impatto con Ulysses esse vengono distrutte. È tuttavia possibile che in futuro si riesca a escogitare un modo per catturare queste particelle interstellari senza distruggerle e portarle sulla Terra per sottoporle alle necessarie analisi chimiche. Attualmente questa parrebbe la tecnica più promettente per analizzare i grani interstellari più grandi. I grani piccoli o le grandi molecole con 50 ÷ 100 atomi pongono un problema molto più difficile, dal momento che probabilmente sono respinti dal vento solare ben oltre l'orbita di Giove.
Connessione con l'origine della vita
In un saggio di questa estensione è più facile criticare piuttosto che descrivere i numerosi tentativi fatti per collegare l'origine della vita ad altri mondi o allo spazio interstellare. La scoperta che la chimica organica è un fenomeno cosmico, che abbraccia una piccola, seppure significativa, frazione degli elementi biogeni e che fiorisce sulla scala delle proporzioni galattiche in condizioni estreme di temperatura e densità, ben diverse da quelle presenti sulla Terra, è ovviamente congeniale all'idea che la vita sia diffusa ovunque e che, altrove come qui, essa sia basata sulla chimica del carbonio. Ma oltre questa affermazione generale è difficile spingersi. La complessa catena di eventi che porta dal gas interstellare alla formazione di una nebulosa solare e infine ai pianeti e ai corpi più piccoli in rotazione attorno a una stella centrale è lunga. Alcune fasi di questo processo possono essere così violente che non è irragionevole pensare che poca o nessuna traccia della complessa architettura chimica che esiste nello spazio riesca a sopravvivere. D'altro canto, è possibile che un po' del materiale interstellare elementare riesca a superare incolume le esplosioni che accompagnano la formazione stellare e planetaria, le continue sollecitazioni e il riscaldamento che hanno luogo prima che la superficie del pianeta si assesti (v. a tal proposito il saggio di C.F. Chyba e G.D. McDonald, Gli ambienti planetari e l'origine della vita), e che un po' di tale materiale vada a finire sulla superficie e negli oceani di nuovi pianeti simili alla Terra. Secondo il primo punto di vista, la sintesi delle grandi molecole capaci di autoreplicarsi dovrebbe cominciare dall'inizio (tabula rasa). La precedente lunga storia chimica del carbonio e degli altri elementi biogeni non conterebbe niente, cancellata dalle rapide reazioni che avvengono a elevate densità, in particolare nello stato liquido. Diverso è il secondo punto di vista per il quale, invece, il lungo periodo di evoluzione chimica al quale sono stati soggetti nello spazio i costituenti della vita, potrebbe essere trasmesso e amplificato su un nuovo pianeta in modi ancora sconosciuti, lasciando così una traccia di sé sulle vie dell'evoluzione chimica e sulle prime strutture in grado di autoriprodursi. Questo interessante dilemma è lasciato al lettore come argomento di meditazione; difficilmente esso troverà risposta nel prossimo futuro.
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