Le riforme introdotte dalla legge n. 69 del 2015
A meno di tre anni dalla riforma “di sistema” del 2012 (l. n. 190), la l. n. 69 del 2015 ha ulteriormente irrobustito l’apparato repressivo delle patologie lato sensu corruttive, avvertite nel nostro Paese come sempre più dilaganti e corrosive del tessuto economico e politico-democratico. L’intervento è contrassegnato da tre direttrici politico-criminali: inasprimento sanzionatorio in funzione di deterrenza, recupero coattivo del vantaggio illecitamente ottenuto dai pubblici agenti, incentivazione della collaborazione processuale di corrotti e corruttori. Pur presentando elementi di novità degni di apprezzamento, anche questo nuovo sforzo legislativo non è immune da difetti che complicano il lavoro dell’interprete e potrebbero ostacolarne l’esito positivo.
A meno di tre anni dalla riforma “di sistema” del 2012 (l. 6.11.2012, n. 190, cd. legge Severino), le politiche di contrasto alla corruzione hanno conosciuto un nuovo approdo legislativo, che in parte consolida e in parte innova il precedente quadro normativo.
Con la l. 27.5.2015, n. 69, contenente “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”, il Parlamento italiano è infatti tornato sulla disciplina penale della corruzione pubblica e fattispecie contigue, con l’intento di rafforzare ulteriormente il sistema repressivo delle patologie lato sensu corruttive, avvertite nel nostro Paese come sempre più dilaganti e corrosive del tessuto economico e politico-democratico. In effetti, il diffondersi della corruzione e i nessi criminologici con le associazioni mafiose rappresenta il filo conduttore del nuovo intervento legislativo, emanato sull’onda di note vicende giudiziarie e fatti di inquietante attualità (Mose, Expo, MafiaCapitale, ecc.).
Il fulcro della novella risiede, così, nell’inasprimento delle fattispecie di concussione, corruzione e induzione indebita, sino a lambire figure di reato di norma complementari, in ambito societario, a quelle di corruzione, come le false comunicazioni sociali1, nonché il delitto di associazione di tipo mafioso, che l’analisi criminologica addita come uno dei più fertili terreni di coltura dei fenomeni corruttivi. Sotto quest’ultimo profilo, anche la più recente casistica giudiziale ha svelato come le organizzazioni criminali non si limitano più a ricercare il supporto compiacente degli apparati amministrativi per inserirsi nei circuiti dell’economia legale2. Talvolta, infatti, svolgono un ruolo servente, “erogando” violenza e altre forme di intimidazione e condizionamento, a presidio di network e sistemi inquinati dal germe della corruzione sistemica, di cui fanno parte politici, funzionari pubblici, imprenditori e faccendieri.
L’impatto della l. n. 69 sulla formulazione tecnica dei reati contro la p.a. si riduce al reingresso dell’incaricato di un pubblico servizio tra i soggetti attivi del delitto di concussione.
Di ben maggiore spessore è, invece, la sezione della novella legislativa concernente lo statuto sanzionatorio delle norme penali anticorruzione. In quest’ambito, si intrecciano tre direttrici politico-criminali: l’aggravio cospicuo delle pene, tratto costante degli interventi “emergenziali” in campo penale; l’introduzione di una nuova misura premiale volta ad incentivare la collaborazione post factum di corrotti e corruttori; una serie di disposizioni, sostanziali e processuali, rivolte al recupero coattivo delle utilitates indebitamente percepite dai pubblici agenti. Soprattutto lungo quest’ultimo crinale, la novella del 2015 mostra lacune, imprecisioni e problemi di coordinamento sistematico che non mancheranno di sollevare delicate questioni applicative.
L’intervento riformatore del 2015 incide in vario modo sulla disciplina dei reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.
Anzitutto, le pene edittali comminate per i delitti di peculato ordinario, corruzione, corruzione in atti giudiziari e induzione indebita a dare o promettere utilità sono sensibilmente aumentate. La sfera d’incidenza soggettiva del delitto di concussione torna, opportunamente, a comprendere anche l’incaricato di un pubblico servizio. Di particolare interesse è, poi, la nuova attenuante speciale, consistente nel “ravvedimento operoso” del reo che collabori o eviti conseguenze ulteriori della propria condotta delittuosa (nuovo comma 2 dell’art. 323 bis c.p.). La rimozione di quanto il pubblico agente abbia indebitamente tratto dalla commissione dei principali delitti contro la p.a. diviene il fil rouge che congiunge l’inedita sanzione pecuniaria etichettata formalmente come “riparatoria” (art. 322 quater c.p.) alle modifiche concernenti i contenuti positivi della sospensione condizionale della pena (nuovo comma 4 dell’art. 165 c.p.) e il rito del “patteggiamento” (novello comma 1-ter dell’art. 444 c.p.p.).
Da segnalare è anche l’istituzione di specifici flussi informativi verso l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), tesi a favorire il raccordo con l’autorità giudiziaria3. Il pubblico ministero d’ora in poi dovrà informare il presidente dell’ANAC sull’esercizio della «azione penale per i delitti di cui agli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353 e 353-bis c.p» (nuovo terzo comma aggiunto all’art. 129 disp. att. c.p.p.). Del pari i giudici amministrativi, in forza del nuovo comma 32bis inserito nell’art. 1 della citata l. n. 190, dovranno, nelle controversie concernenti le materie di cui al comma 1, lett. e) dell’art. 133 del codice della giustizia amministrativa (d.lgs. 2.7.2010, n. 104), trasmettere all’ANAC ogni informazione o notizia rilevante emersa nel corso del giudizio che, anche in esito a una sommaria valutazione, ponga in evidenza condotte o atti contrastanti con le regole della trasparenza. Infine, sempre in materia di prevenzione amministrativa, le funzioni di vigilanza dell’ANAC sono estese ai contratti pubblici a cui non si applica il codice relativo a lavori, forniture e servizi pubblici (d.lgs. 12.4.2006, n. 163).
2.1 Concussione: i soggetti attivi
Passando all’analisi di dettaglio delle modifiche concernenti i delitti contro la pubblica amministrazione, può cominciarsi dall’ambito soggettivo della concussione, sul quale la l. n. 190/2012 e la l. n. 69/2015 sono intervenute con scelte opposte. La legge Severino, riportando indietro le lancette della storia, aveva estromesso la figura soggettiva tipizzata dall’art. 358 c.p., in modo da ripristinare il disposto originario del codice Rocco, innovato in chiave estensiva dalla l. 26.4.1990, n. 86. Nella visione del legislatore del 2012 solo il pubblico ufficiale sarebbe in grado, grazie ai poteri autoritativi propri della “pubblica funzione”, di prevaricare così incisivamente i suoi interlocutori da ingenerare il metus publicae potestatis tipico del delitto ex art. 317 c.p4.
Tuttavia, le ragioni che nel 19905 sollecitarono l’estensione della cerchia dei soggetti attivi della concussione non appaiono sorpassate nell’attuale contesto storico-giuridico6, bensì acuite dalla progressiva dilatazione della figura in esame a livello sia normativo sia giurisprudenziale, specialmente a cagione dell’intenso processo di privatizzazione degli enti pubblici economici e di liberalizzazione dei servizi pubblici7, e da ultimo anche della progressiva attrazione delle società in controllo pubblico nel perimetro delle politiche di prevenzione amministrativa della corruzione8. Più in generale non appare plausibile un rapporto di presupposizione necessaria tra metus e poteri coercitivi della pubblica funzione.
Ad ogni modo, nel sistema disegnato dalla riforma del 2012, per quanto concerne gli abusi costrittivi dell’incaricato di un pubblico servizio, alla concussione erano subentrate – a seconda dei casi – le fattispecie comuni di estorsione (art. 629 c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.) o violenza sessuale (art. 609 bis c.p.); tutte aggravate dall’abuso dei poteri o dalla violazione dei doveri inerenti a un pubblico servizio (art. 61, n. 9, c.p.)9. Rispetto all’ipotesi ex art. 629 c.p., era affiorata, però, una sperequazione sanzionatoria in sospetto attrito con l’art. 3 Cost.10, in quanto l’incaricato di pubblico servizio responsabile di estorsione aggravata poteva essere punito con una pena – pari a 510 anni, aumentabili fino a un terzo – potenzialmente più elevata di quella comminata al pubblico ufficiale concussore, che per di più avrebbe potuto beneficiare anche dell’attenuante di cui all’art. 323 bis c.p.
Proprio per rimediare a tali criticità, il legislatore ha opportunamente reinserito l’incaricato nella sfera d’incidenza soggettiva dell’art. 317 c.p. Sarà compito del giudice verificare in concreto quale sia la disposizione più favorevole per gli abusi costrittivi commessi prima della l. n. 190/2012 e per quelli successivi a questa ma anteriori alla novella del 201511.
2.2 I nuovi quadri edittali di pena
Nel tentativo di rafforzare la reazione statale ad una fenomenologia corruttiva viepiù capillare e diffusiva, il primo articolo della legge n. 69 ricorre alla tradizionale ricetta degli aumenti di pena, riservati a numerose fattispecie penali, così da tingersi, anche dal punto di vista massmediatico, in chiave di “lotta dura” ai fenomeni corruttivi.
Da un lato, è facile scorgere dietro questa linea politico-criminale la tenace – e il più delle volte smentita dai fatti – convinzione che basti aumentare i livelli di pena edittale per accrescere l’effettività e la capacità intimidatrice delle fattispecie penali. Dall’altro, interventi di siffatto tenore si prestano a rassicurare l’opinione pubblica rispetto a fenomenologie criminose avvertite come particolarmente allarmanti: nel caso di specie, la corruzione politico-affaristica e le sue frequenti interrelazioni con le organizzazioni criminali anche straniere o transnazionali.
Come già si è accennato, gli aumenti di pena riguardano i principali delitti contro la pubblica amministrazione, oltre alle fattispecie di false comunicazioni sociali e al delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Dal primo punto di vista, per il peculato ordinario (art. 314 c.p.) la pena edittale è innalzata nel massimo a 10 anni e 6 mesi, lasciando invariato il minimo (4 anni). Pure la soglia superiore di pena della corruzione per l’esercizio delle funzioni (art. 318 c.p.) è ritoccata al rialzo raggiungendo i 6 anni (ante riforma 5 anni), così da rendere possibile anche in questo caso la custodia cautelare in carcere (art. 280, co. 2, c.p.p.) e viceversa impraticabile l’istituto della particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p., introdotto dal d.lgs. 16.3.2015, n. 28), giacché applicabile solo alle fattispecie il cui massimo edittale non superi i 5 anni di reclusione12.
Rispetto ad altre figure di reato è l’intera forbice edittale a lievitare. Così, per il delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319 c.p.), prima punito con la reclusione da 4 a 8 anni, le pene minima e massima salgono rispettivamente a 6 e a 10 anni. La reclusione nel caso della corruzione in atti giudiziari (art. 319 ter, co. 1, c.p.) passa da 4/10 anni a 6/12 anni, con ricadute a cascata sulle ipotesi aggravate. Infine, anche la forbice edittale dell’induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater, co. 1, c.p.), che prima poteva oscillare da 3 a 8 anni, è considerevolmente innalzata, spaziando ora da un minimo di 6 anni ad un massimo di 10 anni e 6 mesi. La pena comminata all’extraneus indotto resta invece fissata a 3 anni.
Anche talune pene accessorie vengono inasprite. L’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32 ter c.p.) aumenta nel massimo a 5 anni. La condanna minima sufficiente per il licenziamento del dipendente pubblico (“estinzione del rapporto di lavoro o di impiego”) scende a 2 anni di reclusione (art. 32 quinquies c.p.). Infine, la sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte passa a 3 mesi nel minimo e a 3 anni nel massimo (art. 35, co. 2, c.p.).
Con l’aumento dei minimi edittali, il legislatore si è proposto una maggiore effettività della pena detentiva e, di riflesso, della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici ex art. 317 bis c.p.13. Con l’innalzamento dei limiti massimi di pena ha, invece, avuto di mira anche un effetto indiretto sui termini di prescrizione14 che, a seguito della l. 5.12.2005, n. 251, sono ragguagliati proprio al massimo della pena detentiva edittale e rappresentano una delle principali cause di ineffettività dei reati di corruzione. Ad esempio, in materia di corruzione propria (art. 319 c.p.), il termine di prescrizione, incluse le interruzioni, passa da 10 anni (8 anni + 2 anni) a 12 anni e 6 mesi (10 anni + 2 anni e 6 mesi). L’aumento delle pene edittali e il connesso allungamento del tempo necessario alla estinzione del reato non potranno operare in via retroattiva, in quanto peggiorativi per l’imputato rispetto al regime precedente (principio di irretroattività in malam partem).
2.3 Il delitto di induzione ex art. 319 quater c.p.
Com’è noto, con la novella contenuta nella l. n. 190/2012 l’abuso induttivo del pubblico agente è assurto al rango di reato autonomo, in seno al nuovo art. 319 quater c.p., così come accadeva nel codice Zanardelli del 1889 che distingueva la concussione per costrizione da quella per induzione. Tuttavia nel codice previgente, e negli altri preunitari che seguivano il medesimo schema (ad es. il codice penale toscano del 1853), l’impunità del privato, in quanto vittima del reato, accomunava le due forme di concussione.
Gli obiettivi politico-criminali perseguiti dal legislatore del 2012, col sancire la punibilità del privato indotto, sono stati il contenimento dell’inarrestabile espansione del delitto di concussione nella prassi giudiziale, nonché il recepimento di strumenti normativi e impulsi sovranazionali orientati al contrasto della corruzione interna e – soprattutto – internazionale15. L’esito è una maggiore responsabilizzazione dei privati che si adeguino, per un proprio tornaconto, a pretese abusive o prassi illecite di soggetti pubblici16. Dunque, l’inedita minaccia punitiva diretta contro l’indotto, oltre a comportare un radicale capovolgimento giuridico e culturale, ha determinato uno scivolamento sistematico verso le ipotesi corruttive del nuovo delitto, sebbene ancora designato dall’abuso e dalla conseguente assenza di «una parità tra due soggetti e una volontà comune orientata al do ut des»17.
Sotto questo profilo, il legislatore del 2015 ha voluto “consolidare” più che innovare. Così, non ha accolto le istanze di semplificazione di un impianto normativo rivelatosi presto fonte di seri disorientamenti giurisprudenziali, in particolare affiancando alle diverse figure di corruzione soltanto la concussione mediante costrizione e sopprimendo la nuova fattispecie induttiva18. Tanto meno il legislatore ha virato verso la soluzione radicale della previsione di un’unica macrofattispecie di corruzione, secondo il noto “Progetto Cernobbio” del 1994 (al riguardo, v. anche § 2.5).
I conditores hanno deciso, quindi, di stabilizzare l’assetto conferito tre anni fa ai delitti imperniati sulla ricezione/accettazione indebita di utilità da parte dei funzionari pubblici, i quali continuano così a snodarsi lungo la triade concussione-induzione indebita-corruzione.
In questo minisistema di incriminazioni, l’induzione indebita, già nella visione del legislatore storico che l’ha congegnata, rappresenta l’ipotesi intermedia tra la concussione, in cui l’extraneus resta vittima dell’altrui prevaricazione, e la corruzione, connotata da una relazione pienamente paritaria tra le parti (par condicio contractualis). Tale ibrida consistenza, però, prima della recente novella strideva con cornici edittali incoerenti, posto che la corruzione propria era punita più severamente (nel minimo: 4 anni) dell’abuso induttivo del pubblico agente (3 anni)19. Le stesse Sezioni Unite della Cassazione avevano stigmatizzato, rispetto a tale dosimetria sanzionatoria, «una qualche approssimazione ed una conseguente scarsa coerenza della riforma», tanto più vistosa nel momento in cui il massimo organo della nomofilachia aveva limpidamente identificato il tratto distintivo della fattispecie induttiva nel fine di vantaggio indebito perseguito dal privato indotto (situazione che si colloca proprio sulla linea di confine con la corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio)20. Di qui l’auspicio di un intervento del legislatore, «prevenendo l’eventuale intervento sussidiario del Giudice delle leggi».
La novella del 2015 ha finalmente collocato il nuovo reato di induzione in “posizione mediana” anche dal punto di vista della pena edittale, rimediando così agli elementi di irragionevolezza del precedente quadro sanzionatorio. Infatti, l’abuso induttivo del pubblico agente è ora punito nel massimo più severamente della corruzione propria e più tenuamente della concussione.
2.4 Il “recupero” del vantaggio illecito nella l. n. 69/2015
Nella novella del 2015 può intravedersi, in tema di revisione del sistema sanzionatorio penale e degli istituti in vario modo incidenti sulla commisurazione della pena, anche un’altra, più interessante, direttrice politico-criminale: il tentativo di intraprendere un percorso non monoliticamente repressivo, ma più costruttivo sul piano della tutela degli interessi delle amministrazioni pubbliche. Da questo punto di vista, il recupero coattivo del lucro illecito ottenuto dai funzionari pubblici diviene una meta essenziale, tale da condizionare anche l’operatività di diversi istituti di favore per il reo. Sotto questa luce possono leggersi varie innovazioni normative.
Anzitutto, il neonato art. 323 quater c.p. (introdotto dall’art. 4 della l. n. 69), che prevede una nuova misura cogente, denominata “riparazione pecuniaria” e consistente nel «pagamento di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio» attraverso reati tassativamente indicati: peculato ordinario e d’uso, concussione, corruzione in tutte le sue forme (per l’esercizio delle funzioni, per atto contrario, in atti giudiziari, di pubblici agenti extranazionali), e induzione indebita a dare o promettere utilità. Il pagamento, che lascia impregiudicato il risarcimento del danno, è testualmente imposto «a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio appartiene, ovvero, nel caso di cui all’articolo 319-ter, in favore dell’amministrazione della giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno». La misura è destinata ai soli pubblici agenti, non essendo menzionate le condotte corruttive degli estranei alla p.a. (art. 321 c.p.). Ed elementari esigenze di uguaglianza-proporzione impongono di ritenere limitato ai soggetti pubblici anche il riferimento alle fattispecie di induzione e corruzione internazionale, nonostante il richiamo integrale degli art. 319 quater e 322 bis c.p. Analogamente ispirato è l’innesto, nell’art. 165 c.p. (Obblighi del condannato), di un nuovo quarto comma che condiziona la sospensione condizionale della pena, «nei casi di condanna per i reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320 e 322-bis, … al pagamento di una somma equivalente al profitto del reato ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio, a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, ovvero, nel caso di cui all’articolo 319-ter, in favore dell’amministrazione della giustizia, fermo restando il diritto all’ulteriore eventuale risarcimento del danno».
Completa il catalogo delle disposizioni votate alla “ripetizione” del vantaggio indebitamente lucrato, il nuovo comma 1ter incorporato nell’art. 444 c.p.p., il quale consente di evitare che il reo, semplicemente aderendo al rito semplificato dell’applicazione della pena su richiesta, possa eludere il disposto dell’art. 322 quater c.p., che si applica solo in caso di “sentenza di condanna”. La norma ne subordina così l’ammissibilità «nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 322-bis del codice penale … alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato».
2.5 La nuova circostanza della collaborazione post delictum
Tra i principali problemi che deve fronteggiare qualsiasi strategia di contrasto della corruzione v’è, notoriamente, l’elevatissima “cifra nera” del mercimonio delle funzioni pubbliche, a causa del mutuo interesse delle parti ad occultare il patto corruttivo e a difendersi reciprocamente.
Una delle più significative novità della legge del 2015 punta ad affrontare tale nodo di fondo: l’introduzione di una circostanza attenuante ad effetto speciale, “estrinseca” e cioè estranea al fatto di reato in quanto imperniata sulla condotta collaborativa post delictum, fruibile tanto dall’intraneus che dall’extraneus alla p.a. La natura, oggettiva ovvero soggettiva, della circostanza è incerta21. Evidente è invece la logica efficientistica, sul piano probatorio, che l’ha ispirata: incentivare le denunce e l’offerta di elementi decisivi a fini investigativi e di accertamento giudiziale dei fatti.
È dai tempi di “Tangentopoli” che teorici e operatori del giure penale si confrontano sull’opportunità di misure premiali tese a favorire l’emersione degli accordi corruttivi. Tale strategia, largamente praticata, ad es., nei contesti normativi angloamericani, dove le autorità di enforcement fanno grande affidamento sul self-reporting e la collaborazione proattiva delle società e degli individui per una più effettiva attuazione delle leggi di contrasto della corruzione sia interna che internazionale22, risultava, invece, già ampiamente sfruttata, nel nostro ordinamento, in altri settori: lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, ai sequestri di persona a scopo estorsivo e al traffico di stupefacenti23.
La legge Severino del 2012 aveva tralasciato, però, qualsiasi incentivo normativo alla rottura del patto omertoso tra corrotto e corruttore. Non fu semplice miopia. Il dibattito politico e la speculazione dottrinale, in passato, non hanno lesinato perplessità e critiche rispetto a questa prospettiva24: non solo per riserve morali, ma anche per il diffuso scetticismo sulla sua reale efficacia preventiva.
Negli ultimi tempi, però, il fronte favorevole a tale svolta politico-criminale si era allargato25. E tali istanze hanno tratto nuova linfa proprio dalla riduzione dell’area dei fatti punibili a titolo di concussione. Infatti, il delitto tipizzato dall’art. 317 c.p., nella lettura estensiva invalsa nella giurisprudenza ante novella del 2012, non di rado finiva per fungere nella prassi, sia pure surrettiziamente, da causa di non punibilità dell’extraneus che avesse fornito alla pubblica accusa dichiarazioni utili a dimostrare la responsabilità del pubblico agente26. Svanita questa forma occulta di premialità, l’esigenza di più trasparenti surrogati normativi è divenuta ancora più pressante.
Sotto questo profilo, il legislatore aveva due opzioni dinanzi a sé: introdurre una vera e propria causa di non punibilità fondata sulla collaborazione, ovvero, più riduttivamente, prevedere in simili evenienze un’attenuazione della risposta sanzionatoria, ferma l’obbligatorietà dell’azione penale e della condanna in presenza dei requisiti di un patto corruttivo.
La soluzione radicale venne propugnata dalla nota “Proposta di Cernobbio” del 199427: per temperare l’auspicata introduzione di una rigorosissima fattispecie onnicomprensiva di corruzione, si pensò ad una causa di esenzione da pena del soggetto che avesse denunciato spontaneamente e per primo un episodio di corruzione entro tre mesi dalla sua realizzazione e anteriormente all’iscrizione della notitia criminis a suo nome, fornendo indicazioni utili per l’individuazione degli altri responsabili28. Sennonché, un vasto filone dottrinale manifestò forti riserve per la scarsa plausibilità di una “denuncia spontanea” antecedente alla scoperta del reato29; per la «esaltazione contestuale di rigore repressivo delle sanzioni ed indulgenzialismo esasperato di istituti premiali»30; infine, per il rischio di offrire «al corrotto o al corruttore una temibile “arma di persuasione” nei confronti del correo perché questi perseveri nel compimento di attività rientranti nel patto corruttivo”»31.
Da ultimo, nella dimensione giuridica internazionale sono affiorate nuove ragioni di contrarietà alle strategie premiali, nel campo della repressione della corruzione. Basti ricordare in questa sede il punto di vista del Working Group on Bribery in International Business Transactions (WGB), istituito dall’OCSE per garantire il rispetto della Convenzione del 18.12.1997 sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali32. Il perché dell’attrito tra tale strumento convenzionale e le cause di esenzione da pena volte a ricompensare la collaborazione processuale è evidente: le politiche di contrasto dell’international bribery, elaborate in sede OCSE, sono polarizzate esclusivamente sull’offer side della corruzione, cioè sulle condotte del privato corruttore (cfr. art. 1 Convenzione OCSE, e su questa scia il nostro art. 322 bis, co. 2, n. 2, c.p.). Svaniscono, così, i vantaggi probatorioprocessuali legati alla ccooperazione dell’extraneus con le autorità inquirenti, giacché non v’è alcuna garanzia che il pubblico agente straniero – contro il quale neppure lo Stato di provenienza del privato può procedere penalmente33 – sia perseguito dalle autorità locali, specie laddove la fenomenologia corruttiva presenti caratteri di endemicità e siano implicate alte sfere amministrative o persino Capi di Stato e di Governo esteri. Per queste ragioni, il WGB ha reiteratamente esternato le sue riserve nei confronti degli ordinamenti che escludono la punibilità del corruttore in caso di “effettiva resipiscenza” o “pentimento reale” (effective regret), manifestato con la denuncia alle autorità del fatto illecito (ovviamente, senza entrare nel merito delle soluzioni adottate dagli Stati contraenti nel campo della corruzione domestica). E proprio i report del WGB hanno indotto molti Paesi sottoscrittori della Convenzione ad abrogare simili previsioni premiali, in toto o limitatamente alla corruzione extradomestica34.
Questo intreccio di obiezioni, endogene ed esogene, getta luce sulla decisione del legislatore del 2015 di non spingersi sul terreno della premialità sino a prevedere una causa speciale di non punibilità. Si è ritenuto più ragionevole, per favorire la rottura del vincolo omertoso che lega le due parti dell’accordo corruttivo, senza però scardinare l’ordinaria sequenza reatopena, la previsione di una mera circostanza attenuante, sia pure di consistente impatto. Recita, così, il comma aggiunto all’art. 323 bis c.p.: «Per i delitti previsti dagli articoli 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis, per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite, la pena è diminuita da un terzo a due terzi». Vengono, quindi, premiate condotte positive sul piano materiale o probatorio-processuale, senza peraltro fissare alcun termine, antecedente alla sentenza definitiva, per la loro realizzazione (diversamente, ad es., dall’art. 62 n. 6 c.p.).
L’attenuante si applica a tutte le ipotesi corruttive, incluse quelle istigatorie (art. 322 c.p.) e di rilievo internazionale (infra-Ue ed extra-Ue) ex art. 322 bis c.p., o paracorruttive, come l’induzione indebita a dare o promettere utilità. Dalla sfera applicativa della nuova circostanza, invece, è rimasta esclusa la concussione, cosicché non potrà beneficiarne il concussore che collabori, ad es., indicando i nomi di eventuali concorrenti nel reato ‘proprio’ da lui commesso. Del pari l’attenuante non si applica al peculato. Per ragioni di coerenza sistematica, è da escludere, nonostante il richiamo integrale dell’art. 322 bis c.p., un’estensione a queste ultime tipologie delittuose quando poste in essere da pubblici agenti dell’UE o di Stati membri dell’UE35.
Sul piano della successione di leggi nel tempo, la circostanza di nuovo conio potrà applicarsi retroattivamente ai procedimenti già iniziati prima della sua entrata in vigore.
In relazione ai reati commessi dopo la data di entrata in vigore della legge (14.6.2015), la collaborazione può temperare i consistenti aumenti edittali stabiliti dalla l. n. 69/2015. Al riguardo, l’incentivo alla denuncia e alla collaborazione dei privati corruttori sarebbe risultato sicuramente più corposo ove il legislatore avesse limitato agli intranei alla p.a. l’incremento delle soglie edittali di pena dei delitti di corruzione. Ma non era affatto agevole infrangere l’impostazione tradizionale che, nel nostro sistema penale, accomuna nel trattamento punitivo entrambi i lati del pactum sceleris.
È il momento di soffermarci sui principali problemi e dubbi sollevati dalla novella del 2015.
3.1 La “riparazione pecuniaria”
Non è agevole “ricondurre a sistema” l’arsenale sanzionatorio in materia di contrasto alla corruzione.
A complicare il quadro è soprattutto il fenomeno inflattivo che sta investendo, con particolare intensità in questo settore normativo, le misure in vario modo ablative dei proventi da reato, per giunta a fronte di una patente deviazione dal principio di legalità penale, sub specie di tassatività/determinatezza. Ciò complica l’interpretazione-applicazione, sostanzialmente lasciata alla discrezionalità creativa del giudice, la ricostruzione sistematica e la ricerca di giustificazioni plausibili alle specificità regolamentari delle singole figure.
In particolare, il microsistema di strumenti coercitivi azionabili per colpire i vantaggi derivanti dai delitti contro la p.a. comprende, con talune differenze a seconda del tipo di reato o di oggetto confiscabile, oltre alla confiscamisura di sicurezza ex art. 240 c.p., le seguenti figure “speciali”: la confisca obbligatoria anche per equivalente, sia in caso di condanna che di applicazione della pena, prevista dall’art. 322 ter c.p.; la confisca obbligatoria ma non per equivalente e – testualmente – solo in caso di condanna, ex art. 335 bis c.p.; la confisca “allargata” ex art. 12-sexies d.l. 8.6.1992, n. 306 (condanna e patteggiamento); la confisca di cui all’art. 19 d.lgs. 8.6.2001, n. 231 applicabile agli enti collettivi solo con “sentenza di condanna”36. Come se non bastasse, da ultimo si sta aprendo un’ulteriore frontiera, vale a dire l’applicazione anche ai corruttori e corrotti abituali, in presenza dei presupposti di legge, della confisca di prevenzione disciplinata dal d.lgs. 6.9.2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione37), che secondo una recente sentenza delle S.U., a differenza della confisca ex art. 322 ter c.p., non è assistita dalla garanzia della irretroattività in peius38.
In questo mosaico, già così fitto e complesso, si inserisce ora la “riparazione pecuniaria” introdotta dalla l. n. 69/2015 all’art. 322 quater c.p. Un istituto di difficile lettura e inquadramento giuridico.
Qualche notazione preliminare si rende pertanto necessaria.
Innanzitutto, l’art. 323 quater c.p. delinea una forma di riparazione coattiva, di tipo non risarcitorio (restando impregiudicato il risarcimento dei danni), non affidata all’iniziativa volontaria del reo e neppure subordinata ad un’espressa richiesta della persona offesa (come, invece, accade, ad es. nella riparazione civilistica prevista dall’art. 12 della l. 8.2.1948, n. 47 per i casi di diffamazione commessi col mezzo della stampa). Inoltre, la quantificazione dell’ammontare dovuto a titolo compensativo non è rimessa all’apprezzamento del giudice né commisurata ai pregiudizi complessivamente subiti dall’amministrazione di appartenenza, ma forfettariamente calibrata sui proventi materiali indebitamente ricevuti.
Tali peculiarità rendono la misura del tutto inedita nel nostro sistema penale.
Di certo, essa ha assai poco a che spartire con l’idea della riparazione del danno quale possibile “terza via” del diritto penale, cioè quale misura volta a sostituire o attenuare la pena laddove risulti più idonea a soddisfare gli scopi di quest’ultima e i bisogni della vittima39. Nel caso di specie, la restituzione coattiva dell’indebito costituisce una sanzione patrimoniale che si aggiunge inderogabilmente alla reclusione, operando contestualmente e indipendentemente da questa, anche in sede esecutiva. Non v’è dubbio, comunque, che l’aver assoggettato la sospensione condizionale della pena all’obbligo restitutorio del turpe lucrum può costituire per il reo un forte stimolo a procedere in questa direzione.
Va, inoltre, osservato che nonostante il nomen iuris (“riparazione pecuniaria”), l’istituto tradisce una vocazione funzionale ancipite: non solo compensatoria40, ma anche (e soprattutto) punitivo-deterrente41.
L’incerta identità giuridica si salda con l’oscura collocazione sistematica. Come si è detto, la sanzione insiste su un campo già affollato di misure ablative del profitto illecitamente tratto dal reato, così da rendere proibitivo qualsiasi tentativo di differenziazione ragionevole.
In particolare, essa solleva seri problemi di coordinamento e sovrapposizione con l’istituto della confisca del prezzo o profitto del reato ex art. 322 ter c.p. Ad animare entrambe le misure è il principio di giustizia secondo cui “il crimine non deve pagare”42; l’unica concreta differenza appare di tipo processuale: la possibilità di anticipare la confisca in via cautelare attraverso il sequestro. Per queste ragioni, un’irrogazione cumulativa comporterebbe una patente violazione del ne bis in idem sanzionatorio e del principio di proporzione (art. 3 Cost.), scongiurabile solo attraverso un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente (CEDU) orientata. Di fatto, e prescindendo dalle differenze nominalistiche, la somma delle due misure darebbe luogo ad una pena patrimoniale, formalmente inespressa, quantificata nel doppio del vantaggio illecito.
In realtà, l’istituto della riparazione potrebbe ritagliarsi un qualche spazio di autonomia, ma verosimilmente solo a prezzo di un’eterogenesi dei fini, nel senso che a veicolare le istanze più marcatamente punitive sarebbe la misura nominalmente “riparatoria”, assumendo invece la confisca (anche) per equivalente prevista dall’art. 322 ter c.p. – che una diffusa vulgata giurisprudenziale etichetta come “punitiva” o “accentuatamente sanzionatoria” – una funzione preminentemente riequilibratrice. Immaginiamo, per es., che un funzionario pubblico, imputato per peculato, restituisca spontaneamente all’amministrazione di appartenenza, prima della definizione del processo a suo carico, i beni oggetto di illecita appropriazione. In tal caso, lo scopo ripristinatorio dello status quo ante perseguito dalla confisca del profitto ex art. 322 ter c.p.43 potrà dirsi già raggiunto, con conseguente preclusione della misura44. Dovrà, nondimeno, applicarsi la sanzione asseritamente riparatoria di cui all’art. 322-quater? In caso affermativo, essa paleserebbe chiaramente il suo volto repressivo, di pena patrimoniale obbligatoria, non sospendibile e non “patteggiabile” (artt. 165, co. 4, c.p.; 444, co. 1-ter, c.p.p.), basata su un criterio di computo fisso, e svincolata dalle stesse vicende post crimen patratum del profitto indebito.
3.2 Incongruenze normative non emendate
La l. n. 69/2015 poteva essere l’occasione per correggere alcune incongruenze nel sistema dei reati contro la p.a. originate dall’intervento novellatore del 2012.
Tuttavia, mentre si è opportunamente rimediato alla sperequazione sanzionatoria tra induzione indebita e corruzione propria (supra § 2.3)45, altre incoerenze sono rimaste intatte.
Così, l’art. 317 bis c.p. continua, incomprensibilmente, a non menzionare l’art. 319 quater c.p. tra gli illeciti a cui si applica il regime speciale dell’interdizione dai pubblici uffici; disciplina, di contro, estesa nel 2012 a delitti non contrassegnati dall’abuso di qualità o di poteri, come la corruzione propria e la corruzione in atti giudiziari.
È rimasta invariata anche l’estensione – operata dalla l. n. 190/2012 – dell’art. 12-sexies d.l. n. 306/1992 all’intero art. 319 quater, e non solo al suo primo comma, con la paradossale conseguenza che l’indotto potrebbe astrattamente vedersi irrogata tale ipotesi particolarmente severa di confisca, diversamente dai condannati per fatti di corruzione attiva ex art. 321 c.p., non richiamato dal predetto art. 12-sexies.
Infine, in seno al d.lgs. n. 231/2001 (art. 25), la dazione/promessa indotta ex art. 319 quater, co. 2, c.p., può ancora determinare per l’ente collettivo conseguenze sanzionatorie più gravi di una corruzione, sia propria che per l’esercizio delle funzioni, nonostante sia punita assai meno severamente di queste ultime ipotesi.
3.3 Disarmonie linguistiche
Il lessico penalistico interno si è da tempo cristallizzato, in materia di ablazione patrimoniale, attorno a nozioni come “prezzo” e “profitto” del reato, così come il diritto europeo e internazionale pattizio attorno a quella di “proventi” (proceeds). Deviazioni dai tracciati linguistici consolidati andrebbero evitate, senza una plausibile ed esplicita ragione, per non ingenerare disorientamento nell’interprete.
Diversamente, le disposizioni di taglio “rimediale” introdotte dalla l. n. 69 da un lato utilizzano espressioni eccentriche e dall’altro evidenziano marcate dissonanze lessicali.
La sanzione riparatoria di cui all’art. 322 quater c.p. ha ad oggetto una «somma pari all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto» dal pubblico agente mediante i delitti ivi indicati. La formula prescelta implica la necessaria materialità e l’effettivo conseguimento del vantaggio alla cui stregua va computato il quantum della riparazione pecuniaria, ma non si adatta a figure di reato appropriative ed avulse da una dinamica intersoggettiva, come il peculato, o a situazioni in cui l’utilitas indebita della concussione o della corruzione sia destinata ad un terzo.
Nell’analoga previsione dettata dal nuovo comma 4 dell’art. 165 c.p., il catalogo dei reati-presupposto è il medesimo, ma accanto all’indebitamente “percepito” – in luogo del “ricevuto” di cui all’art. 322 quater – dal pubblico agente fa capolino il “profitto del reato”, concetto che meglio si presta a dare copertura a condotte come quella di cui all’art. 314 c.p.
Le locuzioni classiche ricompaiono, invece, nel nuovo comma 1ter dell’art. 444 c.p.p., che condiziona il patteggiamento alla «restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato», peraltro rispetto ad un catalogo di delitti che questa volta non comprende, inspiegabilmente, l’art. 320 c.p. (quindi le condotte corruttive dell’incaricato di pubblico servizio), così da accrescere il tasso di disarmonia complessiva dei nuovi precetti normativi.
Ci si potrebbe domandare se la locuzione “prezzo o profitto del reato”, da restituire integralmente in caso di patteggiamento, debba reputarsi più ampia di quella impiegata nell’art. 322 quater c.p., nel senso di imporre, in ipotesi di concorso di persone nel reato, solo nel primo caso la restitutio dell’intero provento del reato a prescindere dalla quota effettivamente percepita dai singoli concorrenti. Se questa fosse la voluntas legis, la soluzione si porrebbe ai limiti dell’irragionevolezza, per la disparità di trattamento e il disincentivo alla collaborazione processuale che verrebbe a realizzarsi nei confronti del pubblico ufficiale patteggiante.
3.4 La leva della prevenzione amministrativa
Un cenno merita, infine, la leva preventiva dell’azione di contrasto alle patologie corruttive, trascurata dal nuovo intervento legislativo, se si eccettuano le disposizioni volte a potenziare i poteri conoscitivi dell’ANAC, perno istituzionale di tutto il sistema dell’anticorruzione nelle amministrazioni pubbliche.
Peraltro, il terreno della prevenzione è stato già ampiamente arato dalla l. n. 190/2012 e da una miriade di altri provvedimenti conseguenti, per cui abbisogna allo stato di una diligente coltura più che di ulteriore concime, e probabilmente anche di un riassetto normativo per mettere ordine in un groviglio di disposizioni cresciuto in modo impetuoso e a tratti caotico. Di certo, più che la moltiplicazione degli adempimenti formali e burocratici, è l’efficienza dei sistemi di enforcement, e prima ancora il radicarsi di una solida e condivisa cultura della legalità nella società e nelle istituzioni, che può vincere corruttele, ritardi, omissioni e sprechi nella pubblica amministrazione.
1 Non possiamo soffermarci in questa sede anche sulle cospicue modifiche che hanno interessato i reati societari (capo II della legge), a partire dalla revisione delle fattispecie incriminatrici in materia di false comunicazioni sociali; si rinvia, al riguardo, al lucido commento di Seminara, S., La riforma dei reati di false comunicazioni sociali, in Dir. pen. e processo, 2015, 813 ss.
2 In una vasta letteratura, v. Center for the Study of Democracy, Examining the links between organised crime and corruption, 2010; Davigo, P.C. Mannozzi, G., La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Roma-Bari, 2007, spec. 80 ss.
3 Cfr. Cingari, F., Una prima lettura delle nuove norme penali a contrasto dei fenomeni corruttivi, in Dir. pen. e processo, 2015, 807.
4 Cfr. Severino, P., La nuova legge anticorruzione, in Dir. pen. e processo, 2013, 9; Di Martino, A., Concussione per costrizione sola: il nuovo art. 317 c.p., in Leg. pen., 2013, 602.
5 Cfr., ad es., Grosso, C.F., Riforma dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione: pregi e difetti nel testo “2 maggio 1989”, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, 1155.
6 Tra le numerose posizioni contrarie alla modifica intervenuta nel 2012, v. Balbi, G., Alcune osservazioni in tema di riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione, in Dir. pen. cont., 2012, fasc. n. 34, 8; Palazzo, F., Corruzione, concussione e dintorni: una strana vicenda, ivi, 2012, fasc. n. 1, 229 s.; Seminara, S., La riforma dei reati di corruzione e concussione come problema giuridico e culturale, in Dir. pen. e processo, 2012, 1241 s.; Scoletta, M., I mobili confini tra concussione e induzione indebita nelle prime sentenze della Corte di Cassazione, in Nel diritto, 2013, 887.
7 Fondamentale, in tema, Manes, V., Servizi pubblici e diritto penale. L’impatto delle liberalizzazioni sullo statuto penale della pubblica amministrazione, Torino, 2010. Cfr. anche Massi, S., Pubblico e privato nello statuto penale degli enti privatizzati, Napoli, 2011.
8 ANAC, Determinazione n. 8 del 17.6.2015, Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici; MEF, Indirizzi per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza nelle società controllate o partecipate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, 25.8.2015.
9 Sul piano del diritto intertemporale, era venuto a determinarsi un rapporto di continuità normativa con le fattispecie incriminatrici “comuni”, che pertanto avevano conosciuto un processo di riespansione in relazione alla figura soggettiva in discorso: cfr. Cass., S.U., 14.3.2014, n. 12228.
10 Cfr. Seminara, S., I delitti di concussione, corruzione per l’esercizio della funzione e induzione indebita, in Dir. pen. e processo, Speciale Corruzione, a cura di P. Pisa, 2013, 16; Dolcini, E. Viganò, F., Sulla riforma in cantiere dei delitti di corruzione, in Dir. pen. cont., 2012, fasc. 1, 243. Severino, P., La nuova legge anticorruzione, cit., 9, aveva replicato adducendo che la circostanza aggravante comune fosse comunque suscettibile di bilanciamento ex art. 69 c.p.
11 Sulla complessità e le diverse variabili influenti su tale valutazione, cfr. le puntuali riflessioni di Spena, A., Dalla punizione alla riparazione? Aspirazioni e limiti dell’ennesima riforma anticorruzione (l. 69/2015), in Studium Iuris, 2015, n. 10, § 2.
12 Diversamente, esso potrà applicarsi al delitto di abuso d’ufficio, la cui pena rimane da 1 a 4 anni.
13 Così anche Cingari, F., Una prima lettura, cit., 809.
14 Esplicita la relazione dell’On. David Ermini alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati nella seduta del 16.4.2015.
15 Convenzione OCSE del 1997, Convenzione del Consiglio d’Europa del 1999, Convenzione dell’Onu del 2003.
16 Sottolineano l’identità ambigua o ibrida del cittadino “indotto”, “in parte vittima e in parte complice”, Fiandaca, G. Musco, E., Diritto penale. Parte speciale, I, Addenda,V ed., Bologna, 2012, 11.
17 Per tutti, Pulitanò, D., La novella in materia di corruzione, in Cass. pen., 11, 2012 (suppl.), 9; Benussi, C., I delitti contro la pubblica amministrazione, I, I delitti dei pubblici ufficiali, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, a cura di G. Marinucci e E. Dolcini, Padova, 2013, 860; Pelissero, M., Concussione e induzione indebita a dare o promettere utilità, in Grosso, C.F. Pelissero, M., Reati contro la pubblica amministrazione, Milano, 2015, 228 ss.
18 Per una proposta di riformulazione in questa direzione dei delitti di concussione e corruzione, sia consentito il rinvio a Mongillo, V., La corruzione tra sfera interna e dimensione internazionale. Effetti, potenzialità e limiti di un diritto penale «multilivello» dallo Statonazione alla globalizzazione, Napoli, 2012, 126131, in cui si era suggerito di far assurgere il criterio del danno-vantaggio al rango di componente costitutiva dei delitti di concussione e corruzione, in forma di finalità perseguita dal privato (fine esclusivo di evitare un danno ingiusto nella concussione, con conseguente punibilità a titolo di corruzione in caso di perseguimento – anche in via non esclusiva – di un vantaggio indebito), ma con evidenti ricadute anche sul versante oggettivo della fattispecie; prevedendo, altresì, per ragioni di equità punitiva, un’attenuante speciale in relazione alle ipotesi in cui il corruttore sia stato indotto dal pubblico agente al pagamento illecito. V., sul punto, anche le limpide considerazioni di Viganò, F., I delitti di corruzione nell’ordinamento italiano: qualche considerazione sulle riforme già fatte, e su quel che resta da fare, in Dir. pen. cont., 2014, fasc. 34, 4 ss.
19 Cfr., per tutti, Dolcini, E., Appunti su corruzione e legge anticorruzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 553.
20 Cass., S.U., 14.3.2014, n. 12228, cit. In dottrina, in tal senso, già Mongillo, V., L’incerta frontiera: il discrimine tra concussione e induzione indebita nel nuovo statuto penale della pubblica amministrazione, in Dir. pen. cont., 2013, fasc. 3, 166 ss., 198. Sulla sentenza delle S.U., v., anche per i diversi giudizi, Donini, M., Il corr(eo)indotto tra passato e futuro, in Cass. pen., 2014, 1482 ss.; Seminara, S., Concussione e induzione indebita al vaglio delle Sezioni unite, in Dir. pen. e processo, 2014, 546 ss.; Gatta, G.L., La concussione riformata, tra diritto penale e processo., in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 1566; Sessa, A., Concussione e induzione indebita: il formante giurisprudenziale tra legalità in the books e critica dottrinale, in www.penalecontemporaneo.it., 28.11.2014.
21 Nella prima direzione v. Spena, A., Dalla punizione, cit., § 4; nella seconda, Benussi, C., Alcune note sulla nuova attenuante del secondo comma dell’art. 323bis c.p., in www.penalecontemporaneo.it, 26.6.2015.
22 Per maggiori dettagli, cfr. Mongillo, V., La corruzione, cit., 457 ss., con riferimento al contesto britannico, e Id., L’organismo di vigilanza nel sistema della responsabilità da reato dell’ente: paradigmi di controllo, tendenze evolutive e implicazioni penalistiche, in La resp. amm. soc. enti, 2015, n. 3, 92, con riferimento a quello statunitense.
23 In generale, sul tema, v. Ruga Riva, C., Il premio per la collaborazione processuale, Milano, 2002.
24 Cfr., ad es., Fiandaca, G., Legge penale e corruzione, in Foro it., 1998, I, 3 s., e, poco prima del varo della novella del 2012, Seminara, S., La riforma dei reati, cit., 1239 s. Sull’abuso di cause di non punibilità di tipo endoprocessuale, v., più in generale, Di Martino, A., La sequenza infranta. Profili della dissociazione tra reato e pena, Milano, 1998, 243 ss.
25 Per tutti, Davigo, P.C.Mannozzi, G., La corruzione, cit., 286 ss.; Pelissero, M., La nuova disciplina della corruzione tra repressione e prevenzione, in Mattarella, B. G. Pelissero, M., a cura di, La legge anticorruzione, Torino, 2013, 351 s.
26 Si pensi, in particolare, alla “concussione ambientale”, ideata dalla giurisprudenza per «munirsi di un comodo espediente atto ad agevolare la collaborazione del privato»: Forti, G., L’insostenibile pesantezza della “tangente ambientale”: inattualità di disciplina e disagi applicativi nel rapporto corruzione-concussione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1996, 497.
27 Pubblicata in Riv. trim. dir. pen. econ., 1994, 911 ss. Sia consentito il rinvio a Mongillo, V., La corruzione, cit., 112 ss., anche per una rassegna dei successivi progetti di legge inclusivi di una causa di non punibilità o di attenuazione della pena basata sulla collaborazione processuale.
28 La non punibilità era altresì condizionata alla restituzione della tangente da parte del corrotto o di una somma equivalente a quella versata da parte del corruttore.
29 Cfr., ad es., Grosso, C.F., L’iniziativa Di Pietro su Tangentopoli. Il Progetto anticorruzione di Mani pulite fra utopia punitiva e suggestione premiale, in Cass. pen., 1994, 2346; Marra, G., Il delitto di corruzione tra modernità (empirica) e tradizione (dogmatica): problemi interpretativi e prospettive di riforma, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1998, 1016 ss.; Sessa, A., Infedeltà e oggetto della tutela nei reati contro la pubblica amministrazione. Prospettive di riforma, Napoli, 2006, 317 ss.
30 Moccia, S., Il ritorno alla legalità come condizione per uscire a testa alta da Tangentopoli, in Riv. it. dir. proc. pen., 1996, 465.
31 Così, Fiandaca, G., Legge penale, cit., c. 3.
32 Convenzione ratificata dall’Italia con la l. 29.9.2000, n. 300.
33 Così, anche nel nostro ordinamento, è punito solo il corruttore in ipotesi di corruzione di funzionari di Stati non appartenenti all’UE. Per le diversità di disciplina tra corruzione di pubblici ufficiali stranieri infra-UE ed extra-UE, si rimanda alla nostra indagine monografica: Mongillo, V., La corruzione, cit., spec. 232 ss.
34 Amplius, sul punto, Mongillo, V., La corruzione, cit., 549552.
35 Cfr. Spena, A., Dalla punizione, cit., § 4.
36 Tuttavia, la Cassazione ha ritenuto che essa possa essere irrogata anche in sede di definizione del procedimento con il rito del patteggiamento: es. Cass., sez. I, 11.11.2011, n. 3311.
37 Cfr. Menditto, F., Le confische nella prevenzione e nel contrasto alla criminalità ‘da profitto’ (mafie, corruzione, evasione fiscale), in www.penalecontemporaneo.it, 2.2.2015, spec. 33 ss.; Balsamo, A., Gli interventi sulla disciplina sanzionatoria e sulla ipotesi di confisca, in Mattarella, B.G. Pelissero, M., La legge anticorruzione, cit., 466. Il recente d.d.l. 2134/S di modifica del Codice antimafia, approvato dalla Camera l’11.11.2015, punta a rendere applicabili le misure in discorso all’indiziato dei principali delitti contro la p.a. senza neppure la necessità di appurare l’abitualità.
38 Cass., S.U., 26.6.2014, n. 4880, Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, 922, con nota di A.M. Maugeri.
39 Propugnata soprattutto, nella letteratura tedesca, da Roxin, C., Strafrecht, AT, I, IV ed., München, 2006, 100 ss.
40 In chiave civilistica, comunque la misura appare più affine al disgorgement anglosassone, di cui la dottrina rileva la natura quasi-punitive, che al risarcimento del danno: cfr. Pardolesi, P., Profitto illecito e risarcimento del danno, Trento, 2005, passim.
41 Intravede una prevalente istanza punitiva che fa propendere per la “natura penale (o parapenale)” della riparazione in discorso, anche Benussi, C., sub art. 322-quater, in Dolcini, E.Gatta, G.L., Codice penale commentato, IV ed., Milano, 2015, 462; del pari, Spena, A., Dalla punizione alla riparazione?, cit., § 5 (pena patrimoniale); Cingari, F., Una prima lettura, cit., 810 (“natura sostanzialmente punitiva”).
42 Nota tale affinità anche Spena, A., Dalla punizione, cit., § 5.
43 Si rinvia sul punto a Mongillo, V., Sub art. 322-ter c.p., in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretto da G. Lattanzi e E. Lupo, agg., Milano, 2015.
44 Principio più volte affermato, ad es., in materia di confisca tributaria (art. 1, co. 143, l. 24.12.2007, n. 244, ora sostituito dall’art. 12-bis del d.lgs. 10.3.2000, n. 74, introdotto dal d.lgs. 24.9.2015, n. 158): ex multis, Cass., sez. III, 19.6.2012, n. 33587, in Guida dir., 2012, n. 41, 81; Cass., 10.10.2013, n. 45189, in Giur. it., 2014, 695 ss., con nota di V. Maiello. Analogamente, in tema di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 quater c.p.), Cass., sez. III, 15.10.2013, n. 44446, C.E.D. Cass., n. 257628.
45 Peraltro, tuttora il tentativo di induzione consente ex art. 56 c.p. una diminuzione di pena da un terzo a due terzi, mentre per l’istigazione alla corruzione propria l’art. 322, co. 4, c.p. prevede una riduzione secca di pena pari ad un terzo.