Leo Valiani
Leo Weiczen (Fiume 1909-Milano 1999) – Valiani dal 1927, per l’italianizzazione imposta dalle leggi fasciste – è una delle personalità di maggiore spicco intellettuale e civile del Novecento italiano, nonché una delle coscienze morali più alte del Paese. Poliglotta – conosce ben otto lingue – è da subito oppositore del fascismo. Più volte arrestato, scontata la condanna al confino emigra in Francia nel 1936. Corrispondente di guerra in Spagna, dopo la caduta della Repubblica sconta ancora il carcere in Francia. In questo periodo, pur facendo parte del Partito comunista (che abbandonerà in occasione del patto tedesco-sovietico del 1939), grazie all’amicizia che lo lega ad Aldo Garosci e a Franco Venturi è influenzato dal movimento Giustizia e libertà. Dopo un lungo esilio nelle Americhe (1940-43), torna in Italia, dove partecipa alla Resistenza nelle file del Partito d’azione, di cui, insieme a Ferruccio Parri, è il massimo rappresentante nel Nord occupato dai tedeschi. Membro della Consulta nazionale nel 1945 e dell’Assemblea costituente nel 1946-48, nel 1980 viene nominato senatore a vita dal presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Giornalista e storico senza cattedra – per tutta la vita fu, infatti, funzionario di banca –, Valiani, il cui lavoro più importante è il libro dedicato a La dissoluzione dell’Austria-Ungheria (1966), dedica, tra il 1945 e il 1999, molti studi alla storia del Novecento e, naturalmente, a quella dell’antifascismo e della Liberazione, con una grande e costante attenzione a quella del socialismo. Attento lettore di Kant, di Hegel, di Marx e dei pensatori dell’austromarxismo, sul piano storiografico è soprattutto a Benedetto Croce che riconosce un’influenza forte e marcata. Ha scritto a tale proposito:
I progressi delle scienze naturali ed umane dimostravano l’unilateralità della valutazione crociana della scienza. Man mano che rileggevo Croce e riflettevo sui suoi ultimi saggi, trovavo, tuttavia più attuale che mai, in un periodo di totalitarismi e di crociate ideologiche di segno opposto, la sua concezione della storia come storia intimamente spirituale, che si leva contro le requisitorie e le mode culturali, per ricongiungersi col faticoso cammino della libertà umana, dagli albori della civiltà antica ad oggi. […] Croce aveva rappresentato […] un allargamento di orizzonti. […] condivido, ma solo come un ideale cui tendere, l’identificazione crociana di filosofia e storiografia (Fra Croce e Omodeo. Storia e storiografia nella lotta per la libertà, 1984, pp. 2-3).
In Croce, quindi, Valiani trova la conferma del pensiero di Hegel per il quale, nel movimento dello Spirito, ogni filosofia è destinata a essere superata da un’altra filosofia che ne inveri le vive esigenze. In ciò, per Valiani, sta il senso della storia e del fare storia sul piano ideale e filosofico. Il pensiero di Croce gli fornisce inoltre il senso della storia come sviluppo dialettico attraverso il quale nella vita dei popoli, in cui irrompono passioni e sentimenti, rivive l’eredità del passato.
Valiani è probabilmente l’esponente di maggior rilievo tra gli storici che avevano vissuto la militanza azionista, in quanto indagatore del passato in cerca dei percorsi ideali dell’uomo inteso a perfezionare i principi e le regole della società e dello Stato. Nella sua riflessione si avverte il peso della convinzione, di origine settecentesca, di un continuo progresso, seppur segnato da cadute e regressioni. Ed è in tale convinzione che occupa un posto particolare il concetto della libertà intesa non in maniera passiva bensì come responsabilità, nel senso della crociana religione della libertà. Inoltre, sono forti in lui le spinte politiche del presente in grado di indirizzare la ricerca storica e, quindi, utili alla battaglia politica, come dimostra la sua costante rivendicazione – peraltro tipica di tutta la ‘storiografia azionista’ – del legame tra politica e cultura.