CUBELLO, Leonardo
Nacque, verisimilmente a Oristano, nella seconda metà del sec. XIV, da Salvatore di Bas - nipote di Ugone II di Bas, giudice d'Arborea - e da Costanza Cubello di cospicua famiglia locale. Nonostante la diretta discendenza dalla casata dei Bas, egli figura sempre nei documenti con il cognome materno dei Cubello, trasmesso poi anche ai figli.
Niente si sa della sua vita giovanile, della sua educazione, delle sue attività politiche o militari prima del 1407. A questa data, comunque, era podestà di Oristano e personalità di rilievo dato che nei gravi frangenti in cui venne a trovarsi il giudicato dopo la morte senza eredi diretti del giudice Mariano V, egli divenne di fatto il reggente del giudicato ed a lui si rivolsero gli Aragonesi nell'intraprendere le trattative con le quali intendevano porre fine alla guerra in corso.
La rivolta del giudicato d'Arborea era esplosa nel 1353 e se dapprima si era configurata come un duro contrasto tra la politica accentratrice del re e la secolare autonomia di governo dei giudici, in breve si era tramutata in una vera lotta tra la nazione sarda e gli Aragonesi, estendendosi a buona parte dell'isola. Alla morte del giudice Mariano V (1407) la rivolta era ancora in corso e mentre il re d'Aragona Martino il Vecchio meditava di iniziare trattative per giungere alla pace, in Oristano erano venuti delineandosi contrasti tra coloro che, stanchi della lunga guerra, propendevano per una soluzione pacifica e i fautori della guerra ad oltranza, peraltro divisi tra i due pretendenti alla successione che erano Brancaleone Doria, vedovo di Eleonora d'Arborea e padre di Mariano V, ed il visconte provenzale Guglielmo III di Narbona, nipote di Aimerico di Narbona e di Beatrice d'Arborea, sorella minore della defunta Eleonora.
Nel 1408, mentre in Oristano proseguivano le dispute, il figlio di Martino il Vecchio, Martino il Giovane, re di Sicilia ed erede della corona d'Aragona, passò in Sardegna deciso a ristabilire la piena sovranità sull'isola, per vie pacifiche, se possibile, o altrimenti con la forza. Mandò quindi un'ambasciata al C. invitandolo a convocare i maggiorenti del giudicato ad una riunione, da tenersi in Oristano il 26 ottobre, alla quale sarebbe intervenuto di persona per trattare della pace e del futuro dell'isola. Il C. accettò la proposta ed iniziò i sondaggi che non dovettero essere lusinghieri, dato che il 26 passò senza che la riunione si tenesse. Poi, nel dicembre, il C. comunicò al re che il visconte di Narbona - nel frattempo proclamato giudice d'Arborea - era sbarcato in Sardegna e pertanto non gli sembrava corretto proseguire personalmente le trattative, mentre il potere stava per passare nelle mani dei nuovo giudice. Quest'ultimo riallacciò subito i contatti, ma agì in modo così equivoco da generare il sospetto che il suo vero scopo fosse quello di guadagnare tempo per raccogliere le sue forze. Martino non si lasciò ingannare e sollecitò dal padre in Aragona e dalla moglie in Sicilia l'invio dei maggior numero possibile di armati. Nel maggio del 1409 l'armata aragonese e quella siciliana erano concentrate davanti a Cagliari. Il visconte si attestò a Sanluri e quivi il 26 giugno avvenne lo scontro. I Sardi ebbero la peggio ed il visconte, salvatosi con la fuga, raggiunse Oristano e di qui partì per la Provenza. A reggere il giudicato rimase, quale suo vicario, il Cubello.
Ma la situazione era cambiata. Si sapeva che Martino faceva rapidi preparativi per marciare su di Oristano e costringerla alla resa. Molti sardi che evidentemente si erano illusi sulla Forza e sulle virtù militari del visconte, rimasero indignati del suo comportamento che li lasciava in balia dell'armata aragonese. Coloro che, già prima dell'arrivo del visconte, avevano propugnato un accordo col re, riproposero con nuovo vigore la loro tesi e, prevalendo sugli altri, misero da parte il visconte e nominarono il C. loro protettore e "signore d'Arborea", probabilmente allo scopo di raggiungere in breve la pace.
Frattanto Martino il Giovane, in seguito ad un violento attacco di malaria, moriva, dopo una brevissima degenza, in Cagliari il 25 luglio 1409. Alla notizia il visconte si affrettò a rientrare in Sardegna e, respinto dagli Oristanesi, si stabilì in Sassari divenuta il principale focolaio della rivolta nel settentrione dell'isola. Superate certe tendenze disgregatrici provocate dalla morte del re, Pietro Torrelles, capitano e luogotenente generale di Martino il Vecchio in Sardegna, riprese in mano la situazione e nel gennaio del 1410 comparve davanti ad Oristano e la cinse d'assedio. Seguirono trattative che si conclusero con la cosidetta convenzione di S. Martino - dalla chiesa di Oristano fuori le mura - dove fu firmata il 29 marzo successivo. In base ad essa, il giudicato d'Arborea ed il titolo di giudice dovevano intendersi aboliti; il territorio di Oristano con il Campidano Maggiore, la contrada di Parte Milis ed il Goccano venivano assegnati in feudo al C. con i titoli di marchese di Oristano e di conte dei Goceano e con gli stessi diritti goduti su quei territori dai giudici d'Arborea, previo versamento immediato di 30.000 fiorini d'oro ed un tributo annuo di 800. Il C. ottenne, inoltre, l'amnistia per i suoi seguaci, lo scambio dei prigionieri, varie concessioni di natura commerciale e giurisdizionale ed infine l'infeudazione, a favore del suocero Giovanni Deiana dei territori del Mandrolisai e della Barbagia di Ollolai, territori che saranno, poi, ereditati dalla moglie del C., Quirica.
Due mesi dopo, Martino il Vecchio morì senza eredi diretti e per due anni gli Stati della Corona d'Aragona rimasero in preda delle fazioni accesesi tra i cinque pretendenti. La Sardegna fu abbandonata a se stessa, l'armata incominciò a sfaldarsi ed i ribelli ripresero il sopravvento. Il visconte di Narbona, che ovviamente aveva respinto la convenzione di S. Martino, alleatosi con i Doria e con Genova, consolidò le sue posizioni nella parte settentrionale dell'isola, poi scese verso Oristano e la cinse d'assedio. Il luogotenente generale Pietro Torelles gli mosse contro ed il visconte, temendo di essere preso tra le forze del C. e quelle del luogotenente, avanzò proposte di tregua che furono accettate a condizione che il visconte levasse l'assedio e si ritirasse a Sassari. Così avvenne e le trattative ebbero inizio. 2 forse in occasione dell'assedio che si verificò l'episodio, di cui è cenno in una lettera inviata nel 1414 dal C. al re. Vi si dice di un tentativo fatto dai seguaci del visconte di uccidere il C. ed i suoi e cedere la città al visconte.
Morto nel gennaio del 1411 il Torelles, la tregua fu conclusa poco dopo dal suo sostituto. Giovanni de Corbera. Di essa approfittò il C. per indurre Niccolò Doria, signore di Monteleone, e Cassiano Doria, signore di Castelgenovese, a dissociarsi dal visconte e riconciliarsi con gli Aragonesi. Il visconte reagì violentemente: attaccò e sconfisse i Doria, assediò Alghero ed invase alcune regioni confinanti col marchesato di Oristano dove fu costretto a fermarsi dall'intervento combinato del C. e di Berengario Carroz, capitano di guerra del Capo di Cagliari. Leale verso la Corona e attento ai propri interessi che lo contrapponevano al visconte, il C. fornì continuamente aiuti militari e cospicui prestiti che permisero al Carroz di contenere i ribelli fino all'arrivo di un forte contingente di truppe aragonesi.
Poco dopo (giugno 1412), Ferdinando I fu proclamato re d'Aragona. Molti elogi egli rivolse al Carroz ed al C. per le prove di valore e di fedeltà offerte durante i due anni di interregno; comunque egli cercò subito di raggiungere una soluzione pacifica della guerra sarda. Il suo primo atto fu la conclusione di una tregua con Genova, alleata del visconte e subito dopo una tregua anche con questo. Ad essa seguirono trattative che destarono apprensioni nel C., temendo egli che potessero ritorcersi a suo danno. Ma Ferdinando lo rassicurò rinnovandogli tutte le concessioni fattegli con la convenzione di S. Martino e promettendogli ulteriori favori. Agli inizi del 1414 l'accordo col visconte era concluso. Questo s'impegnava, per un corrispettivo di 153.000 fiorini d'oro d'Aragona, a rinunciare ad ogni diritto sul giudicato d'Arborea ed a restituire tutti i territori, compresa Sassari, occupati nel corso della ribellione. Ma, nonostante i suoi sforzi, il re non riuscì a raccogliere l'intera somma, così che l'accordo rimase inattuato ed il visconte tornò in Sardegna con un buon seguito d'armati. Berengario Carroz ed il C. furono invitati dal re a prepararsi allo scontro, ma una nuova proroga concessa dal visconte allontanò il pericolo.
Tuttavia alcuni mutamenti crearono al C. nuove preoccupazioni. Molti dei rivoltosi delle zone centrali avevano abbandonato il visconte, accusandolo di aver venduto i Sardi al re d'Aragona, e giuravano di voler continuare la guerra. Il C., sempre fedele al sovrano, ma altrettanto attento ai suoi interessi, dovette ingegnarsi per non inimicarsi apertamente gli abitanti delle regioni centrali che, pur non rientrando nei confini del marchesato, erano pervenute in vario modo in possesso suo o della moglie o di loro parenti, come il Montacuto, le contrade di Parte Guilcier, di Parte Barrigadu, il Mandrolisai e la Barbagia di Ollolai. Proprio in quei giorni un tal Valore Deligia - che, per il suo tradimento nei riguardi dei giudice Mariano IV, era stato compensato con la donazione del Goceano, del Costaval, del Marghine e di Parte Guilcier - cercava, con l'appoggio del re, di riavere quelle terre, le ultime due delle quali erano in possesso del C. quale pegno per prestiti fatti al Torelles ed al Carroz.
Le intese del C. con i Sardi del centro non passarono inosservate; molti ufficiali aragonesi scrissero al re accusandolo apertamente di essere nemico degli Aragonesi e pronto a mettersi a capo dei ribelli. La rivolta scoppiò nel maggio del 1415 e rapidamente si estese nel Nord fino ad Orosei e nel Sud fino a Sanluri che fu assediata. Ma il C. non si mosse e la rivolta rapidamente si spense. Nel 1416 la posizione del marchese era notevolmente accresciuta. Il re non solo non aveva dato alcun credito alle accuse, ma anzi mostrò di volerlo favorire, vendendogli le fertili regioni della Marmilla e di Parte Valenza. Il territorio direttamente o indirettamente in suo possesso aveva ormai raggiunto l'estensione del giudicato d'Arborea. Né minori furono la stima e la fiducia godute presso il successore di Ferdinando I, Alfonso V il Magnanimo.
Tuttavia si continuò ad accusarlo sia di aver fatto uccidere Valore Deligia ed il figlio presentatisi a prendere possesso di Parte Guilcier, sia di aver intese con Niccolò Doria e con altri ribelli, sia, infine, di tenere in armi un numero d'uomini superiore a quello del re. Le accuse trovavano facile appiglio nella situazione di guerriglia, che sarà risolta solo nel 1420 quando Alfonso V potrà versare al visconte di Narbona la somma di 100.000 fiorini, in parte prestata dal C., e nell'animosità degli ufficiali regi contro il più ricco e potente feudatario - e per giunta sardo - della Sardegna. Nel 1421 un partigiano del visconte, Barzolo Magno, occupò il castello del Goceano e di lì cominciò a molestare i dintorni: il C. lo assediò ed ottenne la resa del castello dopo che il Magno era stato ucciso dai suoi stessi armati. Nel 1424 il C. ebbe un duro contrasto con il viceré Bernardo de Centelles per il possesso di Macomer, contrasto che stava per tramutarsi in conflitto armato, impedito all'ultimo dall'intervento di autorevoli personafità cagliaritane.
Il C. morì a Oristano il 9 nov. 1427 lasciando la vedova Quirica Deiana, due figli, Antonio e Salvatore, che gli successero nel marchesato, l'uno dopo l'altro, ed una figlia, Benedetta, che sposò il nobile aragonese Artale Alagon.
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