MONUMENTO, Leone de
MONUMENTO, Leone de. – Se ne ignorano l’anno di nascita, che probabilmente deve essere collocato nel secondo quarto del secolo XII, e l’identità del padre, visto che il nome di battesimo Leo non è mai accompagnato da un patronimico, ma esclusivamente da quello che si configura come il nome della famiglia cui apparteneva, de Monumento.
In via del tutto ipotetica suo padre potrebbe essere riconosciuto nell’Ottaviano de Monumento che il 5 gennaio 1170 a Francoforte fu presente all’emanazione di un diploma dell’imperatore Federico I Barbarossa. In questo caso si paleserebbe che gli intensi e duraturi rapporti che Leone ebbe con l’imperatore svevo erano in qualche misura già stati allacciati da suo padre.
I titoli di cui Leone appare fregiarsi indicano senza ombra di dubbio la sua appartenenza all’élite cittadina romana del secolo XII, in particolare quello di Romanorum consul, che accompagna il suo nome in più occasioni. Sicuramente ebbe almeno due figli maschi, Ottaviano e Giovanni; si potrebbe anche ipotizzare che fosse sua figlia Maria de Monumento, moglie di un esponente della potente famiglia romana dei Frangipane, Enrico, ricordata come ormai vedova in un atto del 1221. Il radicamento di Leone a Roma, nonostante gli impegni che lo tennero spesso e per lunghi periodi lontano dalla città, è chiaramente testimoniato dal suo possesso di uno di quei complessi immobiliari che tanto bene denotavano le famiglie dell’aristocrazia nel panorama urbano cittadino, con la torre, simbolo della preminenza sociale della famiglia, un palatium e altri importanti edifici annessi (accasamenta), situati forse nella regio Vie Late.
Questo insieme di fabbricati è ricordato qualche anno dopo la morte di Leone in un passo del testamento del cardinale Gregorio de Crescentio del 10 giugno 1207 nel quale è compreso anche il lascito di «dimidia turris quam emi a filiis Leonis de Monumento cum medietate palatii et totius accasamenti» (Paravicini Bagliani, 1980, pp. 107-109).
Tutte le testimonianze su Leone sono relative agli ultimi 23 anni della sua vita. L’Historia ducum veneticorum, definendolo romanus princeps, lo cita come unico cittadino romano degno di nota che partecipò, con un seguito di 18 uomini, alla pace di Venezia del 1177, insieme ai moltissimi «principes et magnates Alemanie, Francie, Anglie et Hispanie et Hungherie et totius Italie, tam ecclesiasticis quam secularibus », convenuti nella città lagunare al seguito del Barbarossa o del pontefice Alessandro III. La presenza di Leone in tale consesso dipendeva dal suo schieramento filoimperiale, più che dai rapporti che poteva avere con la Curia papale, rapporti che pure dovettero essere intensi e positivi, grazie anche all’appoggio di suo cugino Ottaviano, il quale nel 1182 sarebbe stato creato cardinale diacono del titolo dei Ss. Sergio e Bacco e successivamente cardinale vescovo di Ostia, dal 1189 al 1206.
Leone giunse a Venezia al seguito dell’arcivescovo di Magonza Cristiano, allora legato imperiale in Italia, come appare evidente da un diploma dello stesso Cristiano rilasciato da un centro della costiera marchigiana, Sirolo, nel febbraio 1177, che tra i testimoni annovera anche Leone de Monumento. È possibile che dopo la permanenza a Venezia sia rimasto al seguito dell’arcivescovo di Magonza nel corso delle complesse e travagliate vicende di cui quest’ultimo fu protagonista negli anni immediatamente successivi: dopo aver scortato il papa a Roma e aver partecipato al concilio lateranense del marzo 1179, fu fatto prigioniero da Corrado figlio del marchese Guglielmo di Monferrato e tenuto segregato a Montefiascone per oltre un anno; Leone compare tra quanti furono presenti agli accordi preliminari alla liberazione dell’arcivescovo, sanciti con un atto datato con qualche incertezza o tra il settembre 1179 e il febbraio 1180 o nei mesi di settembre e ottobre del 1179. Cristiano morì nel 1183 a Tuscolo. Due anni dopo, a partire dall’inizio del 1185, Leone fu al seguito dell’imperatore Federico I, a gennaio a Lodi e a maggio a Crema. Nel giugno dell’anno successivo, insieme ad altri esponenti dell’aristocrazia romana e del territorio romano, raggiunse il figlio del Barbarossa, Enrico, che stava ponendo l’assedio a Orvieto. Ad agosto si trovava nell’accampamento regio presso Gubbio, poi a San Miniato, a settembre a Prato, a ottobre a Ravenna, a novembre a Jesi, a dicembre ad Ascoli, sempre al seguito di Enrico.
Nessuna di queste testimonianze indica esplicitamente quale ruolo Leone svolgesse allora presso la corte, in ogni caso dovette molto prodigarsi a favore della causa imperiale a Roma e in Italia, tant’è che Enrico nell’autunno del 1186 premiò gli honesta servitia che Leone, con «indefessa strenuitas, indeficiens devotio, fidelitas e constantia», aveva prestato a favore dell’imperatore concedendogli «nomine recti feodi in perpetuum» la «civitas Sutri cum toto episcopatu et comitatu suo […] cum omni iurisdictione intus et foris, cum fodro regali tam episcopatus quam comitatus, cum fidelitatibus hominum, cum pedagiis et conductibus atque aliis quibuscumque iustitiis». Si trattava di una concessione ereditaria e alla morte di Leone ne avrebbero beneficiato i suoi figli Ottaviano e Giovanni, espressamente ricordati nel diploma.
Enrico in quegli anni rappresentava il capo della causa imperiale in Italia ed era impegnato in una decisa azione di forza contro il papato; aveva invaso il Patrimonio di san Pietro, ponendo sotto assedio e in alcuni casi conquistando varie città; successivamente aveva occupato quasi per intero la provincia di Campagna, devastandone il territorio e impadronendosi degli abitati. Il controllo imperiale sui centri urbani e su quelli rurali di maggior rilievo fu affidato a funzionari regi e a fideles, analogamente a quanto era avvenuto in Toscana e nel territorio umbro-marchigiano. La concessione di Sutri a Leone del novembre 1186 rappresenta un caso significativo in questo contesto. Il potente Romanorum consul, che negli anni aveva dimostrato un’incondizionata fedeltà verso l’Impero, ma nel contempo era legato alla Chiesa di Roma e all’élite cittadina romana, rappresentava nei piani strategici di riaffermazione della propria egemonia territoriale da parte dell’Impero uno degli individui ideali per mantenere il controllo su un nodo strategico così rilevante, a guardia della principale direttrice viaria dal Nord verso Roma, così vicina a quest’ultima e ben difendibile. Le mire imperiali su Sutri – anche in funzione del controllo dei traffici di uomini e merci lungo la via Cassia-Francigena e della riscossione dei relativi pedaggi – possono essere evocate per spiegare la concessione fatta in favore di Leone, richiamando alla mente casi analoghi. In ogni caso le fonti disponibili non permettono di determinare se e eventualmente in quale misura Leone poté esercitare i propri diritti comitali sulla cittadina della Tuscia romana.
Oltre che presso la corte di Federico I e di Enrico VI, Leone era ben introdotto nell’ambiente della Curia papale, grazie anche – come detto – alla parentela con il cardinale Ottaviano, e questo certamente aumentava l’interesse dell’imperatore nei suoi confronti. Gli Annales Romani lo ricordano come inviato del Barbarossa a fianco del conte tedesco Anselmo nell’autunno del 1187. La loro missione era quella di condurre trattative con il pontefice Gregorio VIII e, inoltre, di accompagnare e salvaguardare nei loro spostamenti il pontefice e la Curia, costretti a risiedere fuori da Roma già da cinque anni. Insieme ai due inviati dell’imperatore il pontefice raggiunse allora Pisa, dove era chiamato a riconciliare la città toscana con Genova e incitare entrambe a partecipare con le loro navi alla crociata («H. Cesar ilico precepit Leoni de Monumento, egregio Romanorum consuli, et Anselmo comiti teutonico, ut dictum papam Gregorium cum tota curia ubicumque evoluisse ducerent salve et secure per totum Romanum inperium. Mox dictus pontifex cum tota curia, precedentibus Leone Monumenti et Anselmo, ad Pisanam civitatem pervenit, pro discordia que erat inter predictam civitatem Pisanam et Ianuam», Annales Romani, p. 349). Di lì a poco Gregorio VIII morì nella medesima città toscana (17 dicembre 1187). Leone giocò un ruolo decisivo nella rapida elezione del suo successore, Clemente III (il romano Paolo Scolari), facendosi certamente interprete della volontà dell’imperatore, le cui intenzioni dovevano essere allora quelle di trovare un accordo stabile con il papa in vista dell’organizzazione di una nuova crociata, all’indomani della presa di Gerusalemme da parte di Saladino, circostanza avvertita da parte di tutta la cristianità come una fortissima urgenza.
Proprio l’influenza che Leone ebbe nell’elezione di Clemente III e l’orientamento decisamente amichevole nei confronti dell’imperatore che il nuovo papa mostrò nella prima parte del suo pontificato hanno fatto supporre che durante gli anni del suo cardinalato Scolari «fosse legato a quel ceto aristocratico, donde l’imperatore traeva i suoi sostenitori a Roma » (Zerbi, 1980, p. 17), al quale certamente apparteneva anche Leone.
Il neoeletto pontefice si trasferì rapidamente a Roma (primi di febbraio 1188) accompagnato da Leone, unico personaggio a essere ricordato accanto al papa in tale circostanza («Mox episcopi et cardinales una cum Leone Monumenti eligerunt pontificem episcopum Penestrinensem, Paulum Iohannis Scolarii, qui fuit archipresbyter sancte Marie ad Presepe, natus romanus, de regione Pinee, cui posuerunt nomen Clementem tertium papam. Hic post paucos dies cum tota sua curia et Leone Monumenti Romam petiit», Annales Romani, p. 349). Dopo essere tornato a Roma al seguito di Clemente III, Leone ripartì nuovamente nei primi mesi del 1189 per un lungo viaggio alla volta della Germania. Egli infatti era latore, insieme ai cardinali Pietro del titolo di S. Pietro in Vincoli e Giordano del titolo di S. Pudenziana, di lettere e istruzioni del pontefice indirizzate a Federico I e a suo figlio, che si trovavano rispettivamente a Hanau e Vaihingen. Da ciascuno dei due sovrani, che lo definiscono ancora una volta loro fidelis, gli vennero affidate altre missive da riportare al papa. Dopo questa missione, della quale non si conosce la durata complessiva, si perdono le tracce di Leone per alcuni anni.
La precoce scomparsa del Barbarossa (1190) mutò in maniera radicale il quadro generale; si arrestarono bruscamente, infatti, i tentativi di riorganizzazione del controllo imperiale in Italia e si determinò un vuoto di potere di cui poterono approfittare tutte le forze in gioco; ovunque si assistette al forzato allontanamento dei rappresentanti imperiali da parte delle comunità che erano loro sottoposte a seguito di più o meno violente rivolte.
Il testo di un precetto di Enrico VI dato da Catanzaro il 25 febbraio 1195 segnala Leone ancora al seguito del sovrano, indicandolo con il titolo di comes, senza ulteriori precisazioni. Non è affatto sicuro se tale titolo gli sia stato attribuito in quanto ancora titolare dell’artificiosa ed effimera contea di Sutri o se, piuttosto, perché Enrico, dopo aver conquistato nel 1194 la corona di Sicilia, gli aveva concesso un’altra contea in Campania. In un ulteriore diploma dello stesso sovrano, dato da Messina l’11 maggio 1197, figura un Leo comes Caleni, ossia conte di Carinola, in Campania; così come è data, la menzione non offre la certezza che si tratti di Leone de Monumento, tuttavia se ne può essere ragionevolmente sicuri considerando che suo figlio Ottaviano nel 1230 verrà ricordato proprio come conte di Carinola (oltre che di Conza, parimenti in Campania).
Dopo aver lasciato l’Italia meridionale, quasi certamente dopo la prematura scomparsa di Enrico VI (28 settembre 1197), Leone rientrò definitivamente a Roma. Per questo periodo siamo a conoscenza del suo progetto di far sposare suo figlio Giovanni con la giovanissima figlia del defunto Matteo de Fortebrachio, un progetto fortemente avversato (per motivi che ignoriamo) da Corrado e Pietro Malabranca, che per questo si appellarono allo stesso pontefice, sostenendo che la ragazza era troppo giovane per contrarre matrimonio, non avendo ancora raggiunto l’età di sette anni, e che, inoltre, tale unione era impedita dai vincoli di consanguineità che intercorrevano tra i due giovani. Leone oppose le sue ragioni e il pontefice prese tempo prima di pronunciarsi; del definitivo pronunciamento (se mai ci si arrivò) non è giunta memoria.
Un passo dei Gesta di Innocenzo III, relativo ad accadimenti occorsi nel 1199, rappresenta l’ultima testimonianza su Leone ancora vivente, rammentando i preziosi consigli da lui offerti al cugino, il cardinale Ottaviano, circa la spinosissima questione relativa al contrasto tra la Chiesa e Marcovaldo di Anweiler.
Leone morì il 29 maggio 1200, come ricorda una nota obituaria del necrologio del monastero romano dei Ss. Ciriaco e Nicola in Via Lata: «IV kalendas iunii. Obiit Leo de Monumento anno Domini. M.CC., indictione .III.» (Egidi, 1908, p. 37).
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