Letteratura e musica
Alcuni generi musicali quali il melodramma, la romanza, il Lied e la canzone, per citare i più comuni, nascono dall'incontro tra musica e parola, da una correlazione tra testo musicale e testo letterario, frutto di scelte espressive effettuate dal compositore nel momento in cui scrive la sua opera. La presenza in un brano musicale del linguaggio verbale può essere spiegata con la maggiore facilità che questo ha di veicolare dei contenuti all'ascoltatore, rendendo così evidente la poetica che sottende l'agire del compositore. La scelta di testi determinati o la predilezione per particolari autori da parte di un musicista possono significare, quindi, ritrovare la propria visione del mondo concretizzata nell'atto creativo di un altro artista che ha saputo accedere a forme e significati simili a quelli a cui lui vuole giungere, ma attraverso altri linguaggi; comporre musica utilizzando un testo letterario non significa pertanto proporsi un effetto cumulativo o di reciproca esplicazione e sostegno tra parole e note, bensì mettere a confronto due linguaggi mirando a un vicendevole riconoscimento poetico e rafforzamento espressivo. Il testo, dunque, sia che mantenga la sua sfera dei significati, sia che la perda a favore della musicalità del fonema, così come più avanti vedremo, ha nella sua utilizzazione in musica una funzione catalizzatrice e amplificatrice dei presupposti poetici all'origine dell'agire del compositore, e questo sia che egli scriva la sua musica su testi di autori del passato, sia che lo faccia su quelli dei suoi contemporanei o su testi propri, cosa quest'ultima non inusuale nella musica colta e assolutamente caratteristica di alcuni generi della musica popolare (leggera o di massa che dir si voglia). Partendo da questi presupposti di carattere generale, è possibile osservare alcuni aspetti particolari dei rapporti intercorsi tra musica e letteratura nella seconda metà del 20° secolo.
Musica e realtà
Tra i primi ad affrontare il tema del rapporto tra musica e realtà è stato Th.W. Adorno, che in Dialettica dell'impegno (1969, in Musica e politica, 1977, p. 26), riferendosi a Qu'est-ce-que la littérature? (1947) di J.-P. Sartre, ha definito l'impegno un "preparare e diffondere un comportamento", traendo spunto dall'osservazione della realtà. Ciò che oggi è cronaca, fatta di tensioni politiche e sociali, di lotte ideologiche, domani sarà storia, e il musicista, per avere un 'comportamento' nella realtà, deve scendere nel mondo per viverla, interpretarla e raccontarla, individuando concetti e idee da trasmettere, da diffondere. Molti compositori degli ultimi decenni hanno scelto questa posizione, alcuni in maniera radicale, altri vivendola come un momento della loro personale storia di uomini e di artisti. C. Dahlhaus (1928-1989) definisce il duplice aspetto dell'impegno in musica: quello oggettivo di "mezzo di uno scopo politico, sociale o morale", con il fine della creazione di una "musica funzionale il cui criterio di giudizio è l'effetto", e quello soggettivo "dell'impegno politico o sociale che il compositore sente l'urgenza di esporre musicalmente e che è quindi indipendente dalla funzione che svolge la creazione musicale e dall'effetto che ne consegue" (Tesi sulla musica impegnata, in Musica e politica, 1977, p. 51). La strada dell'impegno e la necessità di rendere evidenti le proprie scelte ideologiche hanno condotto spesso i compositori a scegliere quei generi musicali che prevedessero l'uso di un testo per poter unire al potere evocativo della musica quello espositivo della parola.
Gli scenari dell'impegno in musica sono molteplici, da quelli della musica colta a quelli della musica leggera, che con il genere della 'canzone d'autore' propria degli anni Sessanta e Settanta (v. canzone, in questa Appendice) crea una sorta di poesia di massa, e in ogni caso il connubio testo-musica è fondamentale, vuoi che i compositori cerchino le parole dei grandi autori della letteratura, vuoi che siano le loro stesse voci o quelle di anonimi testimoni del quotidiano a narrare le vicende della realtà contemporanea che con gli anni è divenuta la storia di fine millennio. La guerra con i suoi orrori, dall'ultimo conflitto mondiale alla tragedia del Vietnam come conflitto simbolo delle atrocità della seconda metà del 20° secolo, è uno dei motivi più ricorrenti: ne sono esempi Il canto sospeso, composto nel 1956 da L. Nono su testi delle lettere di condannati a morte della Resistenza europea, il Journal d'amour di M. Weinberg (n. 1919), scritto nello stesso anno in ricordo delle vittime di Auschwitz, e le Liriche della resistenza vietnamita di L. Chailly (n. 1920) del 1974, su testi di vari autori vietnamiti; così come Sul ponte di Hiroshima (1962) di L. Nono su testo di G. Anders, e Hiroshima Requiem (1989) di T. Hosokawa (n. 1955) esprimono le angosce dell'olocausto nucleare. Scendere nel quotidiano vuol dire anche raccontare il disagio esistenziale della gioventù metropolitana che H.W. Henze (n. 1926) mette in musica nel 1952 in Boulevard solitude, su testo di G. Weil, e L. Bernstein nel 1957 in West Side story sui testi di due scrittori di Broadway, A. Laurents e S. Sondheim. La protesta generazionale degli anni Sessanta si esprime nella cultura giovanile anglosassone con le canzoni dei cantautori folk statunitensi W. Guthrie (1912-1967) e B. Dylan (n. 1941), e dei gruppi inglesi Beatles e Rolling Stones, i cui testi divengono in breve tempo il manifesto di una protesta contro la cultura borghese e perbenista dell'Occidente capitalistico; così pure la cultura hippie e non violenta è all'origine di due musical ormai storici, l'americano Hair (1966) e l'inglese Jesus Christ Superstar (1971), e mantiene un fascino ancora attuale, come testimonia Hydrogen jukebox del musicista statunitense Ph. Glass (n. 1937) composto nel 1990 sull'omonimo testo del profeta della beat generation A. Ginsberg.
Il confronto della società capitalistica con l'ideologia comunista e i problemi dell'industrializzazione e della nuova realtà operaia negli anni della rinascita economica non sfuggono all'attenzione dei musicisti più impegnati, e sono oggetto, per es., di composizioni quali New York, Oficina y denuncia (1964) di F. Testi (n. 1923) su testi di F. García Lorca, o La fabbrica illuminata (1964) su testi di C. Pavese, e Non consumiamo Marx (1969), ancora su testi di Pavese e tratti dagli slogan del maggio parigino del 1968, tutte e due opere di L. Nono. Anche alcuni grandi personaggi, simbolo della tormentata storia del 20° secolo, e la tragica morte che ha segnato il loro destino, suscitano l'interesse dei compositori; la morte di J.F. Kennedy ritorna in Elegy for J.F.K. (1964) di I. Stravinskij su testo di W.H. Auden, quella di Che Guevara nell'opera di G. Manzoni (n. 1932) Ombre (alla memoria di Che Guevara) del 1968, in cui il compositore gioca sulla potenza simbolica del solo nome del rivoluzionario sudamericano ricorrendo a sperimentazioni fonetiche. Infine, la morte di M.L. King è ricordata in tre brani del 1968 su testi dello stesso King, Beatitudines "Testimonianza per Martin Luther King" di G. Petrassi (n. 1904), In memoriam Martin Luther King di W. Olly (n. 1937) e Sinfonia per otto voci e orchestra di L. Nono; queste opere s'inseriscono a loro volta in un filone d'impegno antirazzista cui avevano già contribuito, sui testi dello scrittore nero esponente della 'Harlem Renaissance' J.L. Hughes, i compositori K. Weill nel musical Street scene (1947) e J. Meyerowitz (n. 1913) in The Barrier del 1950, o l'inglese B. Britten sui testi dello scrittore sudafricano W. Plomer, o lo stesso Nono in Intolleranza 1960 (1961) su testi di A.M. Ripellino, J. Fučik, J.-P. Sartre, P. Éluard, V. Majakovskij e B. Brecht. Anche le drammatiche pagine scritte dalle dittature militari nella seconda metà del Novecento non sono state ignorate dalla musica impegnata, e sono rievocate in Un jour comme un autre (1979), di V. Globokar (n. 1934), su testi di una donna imprigionata e torturata diffusi da Amnesty International, e in Búsqueda (1988), di J. MacMillan (n. 1959), su scritti delle madri di desaparecidos argentini. Un atteggiamento, questo, di attenzione alla realtà più dolorosa del mondo contemporaneo che è comunque ancora oggi proprio di alcuni musicisti, come stanno a indicare, per es., le storie delle guerre civili in Irlanda del Nord e nella ex Iugoslavia presenti nelle canzoni degli anni Ottanta e Novanta del gruppo rock irlandese degli U2, o ancora il Requiem per le vittime della mafia (1994), un lavoro di P. Arcà (n. 1953), M. Tutino (n. 1954) e altri compositori italiani in memoria dell'assassinio del magistrato P. Borsellino.
Un ulteriore fenomeno che testimonia il rapporto tra testo e musica riconducibile alle tematiche dell'impegno nella produzione della musica di massa degli ultimi vent'anni circa del 20° secolo è il rap, un genere di 'musica parlata' che nasce negli anni Ottanta nei ghetti neri delle metropoli statunitensi come voce della protesta degli emarginati dalla società del benessere. Diffusosi ben presto in tutto il mondo assumendo connotazioni stilistiche e contenutistiche differenti in base alle realtà sociali e alle tradizioni musicali locali, il rap mantiene per lo più inalterata la sua caratteristica di 'affabulazione musicale', come lungo monologo di protesta in cui la musica fa da sfondo ritmico a un testo articolato in un linguaggio popolare, spesso uno slang metropolitano ricco di onomatopee, basato su semplici strutture metriche in rima.
Musica e letteratura d'introspezione
Se la musica d'impegno ha portato il compositore ad avere un comportamento sociale o addirittura politicamente schierato nel suo essere cantore della storia all'interno della collettività, allo stesso tempo la necessità d'indagare e comprendere le inquietudini e le speranze dell'uomo di fine millennio ha condotto la musica contemporanea a un lavoro d'introspezione psicologica dell'individuo. Ancora una volta la forza significante della parola è stata indispensabile per quei compositori che hanno scelto questa strada, e quindi prediletto generi musicali in cui vi fossero un testo e la voce dell'uomo quale testimonianza del loro percorso di ricerca interiore. "In certi momenti cruciali dell'evoluzione musicale - dice L. Berio (1981, pp. 129-30) - il musicista si avventura con più fiducia su terreni per lui inesplorati quando si sente garantito, comunque, da una dimensione significante, quella, appunto, della parola". La garanzia del significato non è mai assoluta, verrebbe da aggiungere, ma, comunque, essendo il linguaggio "una meravigliosa macchina produttrice di senso", dice ancora Berio, è certo che offre conforto al compositore che s'insinua nelle pieghe più oscure e intraducibili dell'animo umano per ritornare poi alla luce e raccontarle. E ancora nello stesso anno P. Boulez (n. 1925) scriveva: "Per un musicista, il fascino della poesia è così forte che egli non può fare a meno, giunto a un certo punto del proprio sviluppo, di un testo attorno a cui la sua musica andrà a cristallizzarsi" (1981; trad. it. 1984, p. 148).
La parola, il testo, il linguaggio verbale come "casa della vita" (Berio 1981, p. 129) possono divenire dunque strumenti indispensabili al compositore del secondo Novecento in momenti cruciali del suo percorso di artista e di uomo, e questo è spesso avvenuto quando ha voluto indagare in se stesso per comprendere il disagio dell'uomo contemporaneo dinanzi ai grandi quesiti esistenziali che la vita e la società gli pongono quotidianamente.
Tom Rakewell, il libertino protagonista dell'opera di I. Stravinskij The rake's progress (1951), cerca di rispondere a queste domande con le parole dello scrittore W.H. Auden in un'unione di testo e musica in bilico tra tradizione e sperimentalismo. La perdita di se stessi e l'assurdo dell'esistenza prendono forma nelle trasposizioni in musica dell'anti-teatro di E. Ionesco, come nell'opera L'avenir est dans les oeufs (1980) di C. Miereanu (n. 1943), o in La cantatrice calva (1982) di L. Chailly, caratterizzate dal surrealismo verbale dello scrittore; così come lo spaesamento tra passato e presente ha trovato voce nell'opera di T. Mayuzumi (n. 1929) Kinkakuji (1976, Il padiglione d'oro), dal romanzo di Y. Mishima. La casualità combinatoria degli eventi che domina la vita dell'uomo moderno diviene materiale di lavoro per chi, come Berio e U. Eco in Epifanie (1961), mescola tra loro testi di diversi autori (M. Proust, J. Joyce, A. Machado, E. Sanguineti, B. Brecht) in un montaggio che non costituisce però una struttura definitiva. "I nessi significativi dei testi - scrive Berio a proposito di Epifanie - e la loro virtuale drammaturgia potranno quindi apparire in una luce diversa a seconda della loro posizione nello sviluppo strumentale. L'ordine scelto potrà mettere in evidenza la loro apparente eterogeneità o la loro unità dialettica" (Europa 50/80, 1985, p. 114). Tale poetica della casualità è ancora presente in Votre Faust (1960-67) - testi di M. Butor e musiche di H. Pousseur (n. 1929) - definita opera mobile dagli autori perché il pubblico può scegliere sul momento fra trenta possibili scioglimenti finali della vicenda.
Spezzare dunque le normali coordinate spaziotemporali e la logica comune della sintassi diviene una necessità per alcuni compositori del dopoguerra per riuscire a entrare negli spazi invisibili dell'inconscio e sondare la 'percezione musicale' di un testo, come afferma Berio a proposito del suo Thema (omaggio a Joyce), scritto nel 1958 su un frammento dell'Ulysses di Joyce. Polverizzazione dell'uomo nella realtà, polverizzazione del senso nel linguaggio, "qui la parola addirittura non conta più - scrive R. Malipiero (n. 1914) sempre a proposito di Thema - quello che conta è lo strumento, il modo di esprimersi. La parola viene frantumata, viene [...] trattata in maniere tanto diverse per dare la possibilità al musicista di esprimere questo mondo nostro, ansioso, esistenzialista" (Introduzione alla musica contemporanea, 1971, p. 14).
Se l'uso della parola, la scelta di un testo è dunque ricerca interiore e presenza del compositore nel mondo, un fenomeno particolarmente significativo della seconda metà del Novecento come la rivendicazione dell'identità femminile non poteva restare estraneo alla sensibilità dei musicisti. Si pensi ai Cori di Didone (1958) di L. Nono, su testi di G. Ungaretti, in cui il 'contemporaneo', letto attraverso l''antico', porta alla scoperta della condizione femminile assunta in una dimensione totalizzante ed extratemporale; a Der Prinz von Homburg (1960) di H.W. Henze su testo di I. Bachmann da H. von Kleist; a Nocturnal (1961), composto da E. Varèse prendendo spunto da The house of incest della scrittrice A. Nin; o ancora a Le nom d'Œdipe composto da A. Boucourechliev (n. 1925) nel 1978 su testi della scrittrice algerina H. Cixous. Gli stessi temi caratterizzano i lavori delle compositrici russe S. Gubajdulina (n. 1931) ed E. Firsova (n. 1950) su poesie di M. Cvetaeva, rispettivamente Čas duši (1974-88, L'ora dell'anima) e Autumn songs (1974).
Ulteriore e significativo apporto a questo filone di musica e letteratura introspettiva e di analisi della condizione esistenziale dell'uomo moderno è stato dato dalla cosiddetta canzone d'autore sviluppatasi tra gli anni Cinquanta e Sessanta, che, con la sua immediatezza comunicativa e l'ampiezza del pubblico a cui si è rivolta, è riuscita a portare quei temi al di fuori dei confini elitari della musica colta.
È il caso, per es., degli chansonniers francesi - tra cui J. Kosma (1905-1972), autore di canzoni su testi di J. Prévert quali Les feuilles mortes, Barbara, Inventaire, Les enfants qui s'aiment, Les ponts de Paris - e dei musicisti e poeti Ch. Trenet (n. 1913), L. Ferré (1916-1993), G. Brassens (1921-1981), Ch. Aznavour (n. 1924), J. Brel (1929-1978), che sono stati gli interpreti delle attese, delle delusioni, dei sogni e delle speranze dell'uomo comune in anni di grandi trasformazioni politiche, sociali ed economiche, così come scriveva nel 1956 M. Mila: "La canzonetta francese stabilisce un contatto con la vita della nazione. Non si limita a occuparsi dei problemi del cuor e dell'amor, né a vagheggiare paradisi di astratta felicità; argomenti come la guerra d'Indocina ieri e d'Algeria oggi, i rialzi e i ribassi in borsa, le speculazioni dell'alta finanza, la disoccupazione e gli scioperi, non le sono estranei" (Mila 1959, p. 504). Nell'Italia degli anni Sessanta ancora Mila ha colto la forza espressiva delle canzoni di D. Modugno (1928-1994), nella cui "invenzione melodica - scriveva il critico - confluiscono tumultuosamente ogni sorta di detriti popolari del bacino mediterraneo", in un'alternanza tra realismo e sognante lirismo che ritroviamo, per es., nella canzone Cosa sono le nuvole, scritta per il cortometraggio di P.P. Pasolini La terra vista dalla Luna (1966). Il fenomeno della canzone come 'poesia breve', come 'espressione poetica di massa' di fine secolo ha infine condotto ad assegnare nel 1991 il premio Librex-Guggenheim (sezione speciale del premio Montale) a uno degli autori più poeticamente apprezzati di questo genere, l'italiano P. Conte (n. 1937), confermando quanto scrive M. Sgalambro, che tra l'altro collabora con il cantautore siciliano F. Battiato (n. 1945): "Nei testi di canzone sembra si sia concentrata tutta la poesia possibile nel nostro tempo, come se essa vi esalasse l'ultimo o il penultimo respiro" (Sgalambro 1997, p. 29).
La parola-suono
Un aspetto caratteristico delle esperienze musicali contemporanee è sicuramente lo sperimentalismo sonoro, la ricerca cioè delle qualità espressive e suggestive del puro suono, della vibrazione prodotta da strumenti acustici, oggetti comuni o apparecchi elettronici; le normali strutture melodiche e armoniche vengono stravolte dai musicisti che scompongono il discorso musicale parcellizzando la continuità in frammenti e dando loro una durata 'spazializzata', a volte rigidamente preordinata (come proposto dalla scuola di Darmstadt tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Settanta), a volte invece soggetta all'indeterminatezza del caso (seguendo le teorie della 'musica aleatoria' di J. Cage degli anni Sessanta). La presenza di un testo letterario all'interno di composizioni di questo tipo non è molto frequente; i musicisti, infatti, privilegiano il lavoro puramente strumentale e, nel caso vi sia un testo, trattano le voci come strumenti per studiare le possibilità espressive dell'emissione sonora, alla ricerca di suggestioni fonetiche in una continua ed esasperata scomposizione della partitura verbale in unità primigenie quali sillabe, vocali e consonanti isolate che annullano il valore semantico della parola. Il compositore francese P. Boulez ha voluto indagare le motivazioni di questo agire della musica nei confronti della parola, confermando l'uso del testo poetico "senza significato semantico" nella musica contemporanea e riconducendolo a tre generi: il "pittoresco", l'"esoterico" e il "puramente sonoro" (Boulez 1981; trad. it. 1984, p. 148). Essendo in effetti difficile catalogare brani di musica contemporanea secondo schemi rigidi, in quanto lo sperimentalismo - diffuso e 'personalizzato' specchio del "declino di discorsi universalistici" (I. Stojanova, Gli anni '80, in Europa 50/80, 1985, p. 93) - ha creato più situazioni reali di quante la teoria ne abbia ipotizzate, è importante osservare il punto di riferimento letterario che il compositore sceglie per le sue opere, in modo da capire il suo lavoro nei riguardi del testo e della parola.
La scomposizione del senso propria della poesia di E.E. Cummings fa dello statunitense, per es., uno degli autori preferiti dagli sperimentatori musicali degli ultimi decenni. Scrive Berio parlando di Circles, un suo lavoro del 1960 su tre poesie di Cummings: "Circles cerca di rintracciare la continuità di suoni-rumori d'origine vocale e strumentale, e nel contempo, di scoprire la natura dei limiti tradizionalmente accettati tra testo e musica". Le poesie di Cummings forniscono al compositore "il materiale fonetico per un'esposizione musicale-teatrale. Non si tratta dunque di un accostamento di frammenti vocali con accompagnamento strumentale, ma di una elaborazione di tre poesie in modo tale che azione vocale e azione strumentale si presuppongono reciprocamente con precisione e coerenza" (Europa 50/80, 1985, p. 155). I suoni vocali si estendono dalle "vocali vere e proprie alle diverse famiglie di consonanti", e la "mescolanza rapida, a carattere statistico, dei 'modelli vocali' produce una sorta di supervocalizzazione della voce" (Berio 1981, p. 139). E ancora riguardo all'uso in musica delle poesie di Cummings, D. Jameaux ritiene che il "sentimento di apertura" proprio di Cummings ist der Dichter (1970) di Boulez, sia stato incoraggiato "dalla 'apertura' del testo di Cummings che è una proposizione di ordine quasi infra-semantico, ma nella quale certi vocaboli [...] acquistano un significato di oggetti-in-sé", di modo che "alla disarticolazione della grafia del testo [...] risponde una disarticolazione del testo musicale, una connivenza piuttosto che una illustrazione". Boulez ha estratto dal testo "tutto il suo potenziale musicale, in un'esplorazione parallela a quella che il poeta stesso ha intrapreso all'interno delle sue proprie parole, e che facilita al musicista quella presa di distanza rispetto alla letterarietà di un testo, che definisce in un certo qual modo la formulazione poetica dell'epoca moderna" (Europa 50/80, 1985, p. 139).
Non meno interessante è quanto dice Berio (1981, p. 102) sullo sperimentalismo linguistico e fonetico della sua Sequenza III (1966): "L'esperienza di Sequenza III per me è stata molto importante perché con essa ho cercato, appunto, di assimilare musicalmente molti aspetti della vocalità quotidiana [...], mi è sembrato necessario frantumare il testo, devastarlo, in apparenza, per poterne recuperare i frammenti su diversi piani espressivi e per poterli ricomporre in unità non discorsive ma musicali. Era cioè necessario rendere il testo omogeneo e disponibile [...] il 'testo modulare', costituito cioè di piccole frasi permutabili". La sperimentazione sulla parola vuole spostare il centro della vocalità dal senso al suono smitizzando il gesto artistico, rifiutando le convenzioni borghesi, rivalutando l'aspetto ludico della musica e inscenando provocazioni anticonformiste con l'intento di smembrarla nelle forme e nelle strutture là dove il significato era già stato annullato, come in Anagrama (1958), di M. Kagel (n. 1931), dove il musicista ha lavorato sul palindromo medievale In girum imus nocte et consumimur igni in forma anagrammatica e in quattro lingue - tedesco, francese, italiano e spagnolo - con un gusto surrealista e rifiutando di creare gli abituali nessi testuali con la musica, o anche in Glossolalie (1960), di D. Schnebel (n. 1930), dove si assiste a un assemblaggio babelico di lingue in cui "l'indifferenza al testo è garantita" (Bortolotto 1969, p. 74).
Le esperienze multimediali degli ultimi vent'anni circa del 20° sec. sono, infine, un ulteriore territorio in cui la parola si confronta contemporaneamente con il 'senso' e il 'suono', e spesso anche con la sua 'spazializzazione', nella realizzazione di performances in cui musica, teatro, balletto, arti visive e letteratura interagiscono in tempo reale grazie agli strumenti della tecnologia informatica. L'opera multimediale, proprio per le sue peculiari caratteristiche di sperimentazione, unisce artisti che provengono da esperienze di musica colta e di massa, rendendo difficile la classificazione di un genere ancora giovane; tra le creazioni più interessanti sono da citare quelle del compositore statunitense Ph. Glass (n. 1937): Einstein on the beach (1976) e The civil wars (1984), nate dalla collaborazione con l'attore-autore R. Wilson; Orphée (1993) dal film di J. Cocteau; e Die Ehe zwischen den Zonen Drei, Vier und Fünf (1997) su libretto di D. Lessing.
Sacralità e misticismo
La religione e in generale il trascendente sono, infine, un necessario luogo di ricerca e di confronto del musicista contemporaneo con se stesso nell'intento di dare una risposta salvifica alla drammatica finitezza dell'uomo; e ancora una volta la parola, tanto nella sua capacità di trasmettere significati, quanto nella sua essenza simbolica capace di evocare il divino, diviene strumento fondamentale del comporre. K. Penderecki (n. 1933) segue la strada del significato, rielaborando, per es. in chiave melodrammatica, testi con soggetti mistici di autori moderni come A. Huxley per Die Teufel von Loudun (1969) o G. Hauptmann per Die schwarze Mask (1986), oppure affrontando direttamente il testo sacro come per l'oratorio Passio et mors Domini nostri Jesu Christi secundum Lucam (1966), o ancora mescolando testi della più varia provenienza ma tutti legati da una comune tensione al trascendente come in Kosmogonia, scritta nel 1970 per i 25 anni dell'ONU su testi di Copernico, Leonardo da Vinci, Sofocle, Ovidio e dalla Genesi.
"Il testo - spiega Penderecki parlando della Passio - m'interessava soprattutto per il suo contenuto, ed era il testo stesso a suggerire gli sviluppi" (Pinzauti 1978, p. 46); egli documenta così un rapporto personale con il testo sacro, capace di rendere evidente la propria fede e di trasmetterla agli ascoltatori. Non ritenere che la trasmissione del senso sia il solo fine del comporre su testi sacri è invece proprio di alcune composizioni religiose di I. Stravinskij, il quale, sottomettendo la musica all'immutabilità della liturgia, e quindi la propria individualità alla norma, ha cercato una sacralità ancestrale del fonema, portando il senso della parola ad assorbire la forza simbolica del gesto dell'officiante. Può essere il caso di una composizione come Threni: id est lamentationes Jeremiae prophetae del 1958, o della Messa del 1947, dove il ricorso al modo, alla salmodia, al melisma e all'antifonia, spiega A. Souris, si riallaccia alla funzione simbolica che lega organicamente tali forme sacralizzate alla tradizione e alla perennità della Chiesa. Queste forme, una volta adottate almeno in quanto 'modelli', diventano per Stravinskij gli agenti della sua ispirazione (Souris 1976).
In anni più recenti si è dedicato a una moderna lettura del testo sacro anche il compositore estone A. Pärt (n. 1935) con opere come il Te Deum (1984-86). L'anelito verso il soprannaturale nella musica contemporanea ha preso la strada del trascendentalismo panteistico proprio delle poesie di R. Tagore musicate da F. Alfano (1876-1954) e dall'indiano S. Neregh (n. 1939), oppure ha assunto le forme più pragmaticamente occidentali della 'ricostruzione' dell'universo e dell'uomo in chiave mistico-astrologica, che il musicista tedesco K. Stockhausen (n. 1928) viene elaborando dal 1981 in LICHT: Die sieben Tage der Woche, specchio esaltante del personalissimo misticismo del compositore in bilico tra religioni rivelate ed esoterismo cosmogonico. La religiosità civile e sociale di P.P. Pasolini ha un'eco nell'azione lirica di A. Guarnieri (n. 1947) Trionfo della notte (1986): nelle poesie della raccolta La religione del mio tempo, il compositore ha trovato quella cristiana pietà del quotidiano che fa vivere la parola tanto nel suo significato quanto nell'essenza materico-spaziale del suono. Lontano dalle suggestioni del realismo, F. Battiato nell'opera Gilgamesh (1992) ha inteso interpretare l'anelito religioso del nostro tempo ritornando attraverso il mito alle origini dell'idea del sacro, e dando vita all'epopea dell'eroe sumerico in una forma musicale che riunisce le tecniche di trattamento del testo tipiche della canzone con quelle proprie del melodramma.
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