Vedi Lettonia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La Lettonia, come le altre due repubbliche baltiche (Estonia e Lituania), è un piccolo paese divenuto indipendente dall’Unione Sovietica nel 1991. Durante le due guerre mondiali aveva già sperimentato un travagliato periodo di indipendenza (1918-40) e per tale motivo la Costituzione oggi in vigore è ancora quella della prima era repubblicana (1920-34), sia pure parzialmente emendata. Considerate le sue piccole dimensioni, soprattutto rispetto alla Russia, la sua posizione geografica e il fatto che più di un quarto degli abitanti del paese sono di etnia russa, i rapporti tra Riga e Mosca hanno costituito il fulcro della politica estera del paese, nonché un’importante fonte di contrasti. Le tensioni tra Riga e Mosca, riemerse con il referendum sullo status della lingua russa (febbraio 2012) e con le esercitazioni militari congiunte russo-bielorusse condotte lungo il confine lettone (settembre 2013), hanno toccato un nuovo apice in occasione della crisi ucraina. Le tensioni sono aumentate nel contesto di crisi Nato-Russia e con le conseguenti sanzioni occidentali contro Mosca: si sono moltiplicati gli incidenti alla frontiera e la Lettonia ha spinto per mantenere una linea dura e intransigente contro la Russia.
Sul piano delle relazioni internazionali, la Lettonia ha mantenuto nel corso dell’ultimo decennio una forte impronta filo-occidentale. Dalla metà degli anni Novanta ha avviato un dialogo sempre più stretto con l’Unione Europea (Eu) e con la Nato. Una scelta che ha provocato un forte malcontento da parte del Cremlino. Dal 2004, il paese è membro di entrambe le organizzazioni internazionali, così come le altre due repubbliche baltiche. Dal primo gennaio 2014 inoltre, la Lettonia ha adottato l’euro come moneta nazionale ed è entrata a far parte dei paesi dell’eurozona; durante il primo semestre 2015 ha ricoperto la presidenza temporanea del Consiglio dell’Eu.
Sul piano interno, dal 1991 la Lettonia è una repubblica parlamentare, il cui il presidente è eletto dal parlamento ogni quattro anni: non può restare in carica per più di due mandati e in tempo di pace ha compiti esclusivamente cerimoniali, a parte il potere di nomina del primo ministro. Anche i parlamentari hanno un mandato quadriennale e possono sfiduciare il governo in carica. Nel passaggio dal dominio sovietico all’indipendenza, la continuità è stata assicurata dalla permanenza al potere del Fronte popolare lettone (Latvijas Tautas Fronte, Ltf), protagonista delle lotte indipendentiste degli anni Ottanta. Nel 1993, tuttavia, la crisi economica ha provocato la sconfitta elettorale dello Ltf e la formazione di diverse e instabili coalizioni elettorali: nei 14 anni tra il 1993 e il 2006 si sono susseguiti otto diversi governi. Le coalizioni erano generalmente composte da non meno di quattro partiti e la forte instabilità delle formazioni più piccole – spesso poco più che strumenti di manovra nelle mani di alcune personalità politiche di spicco del paese – non faceva altro che accentuare la fragilità degli esecutivi.
Tutti i governi dal 1993 hanno comunque avuto un orientamento di centro-destra, liberista, conservatore e dichiaratamente anti-comunista e hanno garantito così una certa omogeneità delle scelte politiche sia dal punto di vista interno, sia internazionale. Nel febbraio 2009 Ivars Godmanis, dal 2007 alla guida di un governo di coalizione, si è dimesso, assumendosi la responsabilità dei pesanti effetti che la crisi economica e finanziaria globale aveva avuto sul paese. Un nuovo governo guidato da Valdis Dombrovskis, ministro delle finanze nel precedente esecutivo, ha traghettato la Lettonia alle elezioni dell’ottobre 2010, vincendole. Una seconda crisi ha riportato i lettoni alle urne nel settembre 2011: gli esiti delle consultazioni hanno portato alla formazione di un nuovo esecutivo. Tuttavia, il Saeima (parlamento) nell’ottobre dello stesso anno ha concesso soltanto il 50% di voti in sostegno al nuovo governo. L’esecutivo di Dombrovskis si è dovuto appoggiare al Partito della Riforma di Zatler (Zatlers’s Reform Party, Zrp). Il partito più votato nel 2011 si è però rivelato quello pro-russo, di sinistra, Partito nazionale dell’armonia, con il 29% delle preferenze. Nel 2013, a Dombrovskis è succeduta Laimdota Straujuma, prima indipendente e poi entrata nel partito conservatore pro-Eu Unità. A seguito di una protratta crisi di governo, i lettoni si sono nuovamente recati alle urne nell’ottobre 2014. In una riedizione di quanto successo nel 2011, il partito filo-russo Armonia è riuscito ancora a guadagnare la percentuale di voti più alta, rimanendo però fuori dal governo di coalizione - formato nel novembre successivo da Unità assieme alla Na e all’Unione dei verdi e dei contadini e nuovamente presieduto dalla Straujuma. Vista l’instabilità dei governi lettoni degli ultimi anni, è possibile che la coalizione non riesca a portare a termine il proprio mandato elettorale, tuttavia è difficile che si registrino importanti cambiamenti nell’orientamento delle politiche governative. Dal luglio 2015 il nuovo presidente è Raimond Vejonis, membro del partito dei Verdi e conosciuto per le dure posizioni nei confronti della Russia.
Dall’indipendenza, la popolazione della Lettonia è diminuita del 22,5% (circa 600.000 abitanti) a causa dell’imponente emigrazione (soprattutto da parte di cittadini di origine russa o provenienti da altre repubbliche ex sovietiche) sia per il calo delle nascite. Sotto il dominio sovietico, la composizione etnica aveva visto ridursi la percentuale di lettoni a causa delle deportazioni di massa e dell’immigrazione dall’Urss e dagli altri stati vicini. Il fenomeno era stato così massiccio da mettere a repentaglio la stessa maggioranza autoctona all’interno della Repubblica socialista sovietica di Lettonia. Dall’indipendenza, la popolazione lettone è diminuita in termini assoluti ma è aumentata in termini relativi rispetto alla popolazione complessiva del paese. Una nuova ondata di emigrazione si è però registrata a seguito della crisi economica, con l’abbandono della Lettonia soprattutto da parte di persone giovani e istruite, fenomeno che ha causato una grave drenaggio di capitale umano per il paese.
L’etnia maggioritaria nella capitale è ancora quella russa e lo stesso vale per la regione orientale; il resto della minoranza russa (oggi circa un terzo della popolazione) si concentra nelle maggiori città del paese. Sono presenti inoltre minoranze bielorusse (3,5%), ucraine (2,3%), polacche (2,2%) e lituane (1,3%). La forte minoranza russa è al centro delle tensioni crescenti con Mosca, le cui politiche aggressive nei confronti dell’Ucraina (e l’annessione della Crimea) hanno sollevato timori riguardo a un possibile intervento di Putin in Lettonia a difesa proprio della comunità russofona.
La Lettonia garantisce e rispetta le libertà di associazione, espressione, religione e informazione. La parità di genere è inoltre tutelata anche se attualmente solo il 18% dei seggi parlamentari è occupato da donne. Il paese si situa al 43° posto su 145 stati nella graduatoria di Transparency International sulla corruzione percepita; secondo Freedom House, la corruzione è poco radicata negli strati più bassi e medi delle istituzioni e della politica, ma è particolarmente diffusa nelle fasce più alte. In Lettonia è inoltre attiva un’agenzia per la prevenzione e il contrasto della corruzione. Un fenomeno, quello del malaffare, strettamente monitorato anche dal Center for Public Policy Providus, finanziato dalla Fondazione Soros.
La Lettonia ha vissuto una fase di forte espansione economica nel periodo precedente la crisi internazionale del 2008, trainata dalla crescita della domanda interna, a propria volta resa possibile da un’espansione del credito. Tra il 2004 e il 2007 il pil lettone è più che raddoppiato, tanto che il paese si è meritato il soprannome di ‘tigre baltica’. La crisi ha tuttavia colpito Riga più duramente rispetto a molti altri stati europei e ha portato a un crollo vertiginoso dei consumi, degli investimenti e del commercio con l’estero, contestualmente a un rapido aumento del debito. Il conseguente tracollo dell’economia ha indotto Riga a negoziare un prestito con il Fondo monetario internazionale pari a circa 10,5 miliardi di dollari e ad adottare misure di austerità che hanno suscitato vive proteste da parte della popolazione.
I segnali di ripresa hanno iniziato a manifestarsi dalla seconda metà del 2010. Nel 2013 il paese ha segnato una crescita del pil pari al 4,2%, la più alta tra i paesi Eu, scesa poi al 2,4% l’anno successivo per la diminuzione della domanda esterna, in particolare da parte della Russia (colpita dal crollo dei prezzi del petrolio e dalle sanzioni occidentali a seguito della crisi ucraina). Per il 2015 l’aumento del pil si è fermato al 2,2%, confermando un rallentamento nella crescita economica.
L’interscambio commerciale lettone ha una dimensione spiccatamente regionale ed è principalmente indirizzato verso le vicine repubbliche baltiche, la Russia e la Germania. Paese ricco di foreste, la Lettonia esporta principalmente legname e prodotti derivati. I servizi di trasporto, legati a una rete infrastrutturale molto sviluppata e notevolmente migliorata nel corso dell’ultimo ventennio grazie anche all’afflusso di finanziamenti legati ai progetti dell’Eu, costituiscono più della metà delle esportazioni nazionali. La peculiare posizione geografica della Lettonia, d’altra parte, la rende naturale territorio di transito per le merci russe dirette verso i mercati dell’Europa centrale e occidentale. Proprio queste caratteristiche hanno reso piuttosto rilevante per l’economia nazionale l’impatto delle sanzioni occidentali verso la Russia: la Lettonia è stata tuttavia tra i principali sostenitori del loro rinnovo fino al 2016.
La quota maggiore del pil nazionale è generata dai servizi, settore che, come in molte repubbliche ex sovietiche, è passato dal rappresentare un terzo del pil, al momento del conseguimento dell’indipendenza, all’attuale 80%. Un’accorta politica di privatizzazioni, sostenuta dai programmi delle istituzioni finanziarie internazionali, ha inoltre permesso al settore privato, inesistente nel 1991, di generare oggi il 70% dell’intera ricchezza. La transizione dall’economia di stampo sovietico al libero mercato ha invece drasticamente ridotto il peso dell’agricoltura che garantisce oggi una quota del pil poco superiore al 3%.
In campo energetico, infine, la Lettonia mira a sfruttare le proprie energie rinnovabili per diminuire le importazioni, che attualmente superano il 60% dei consumi nazionali. Particolarmente significativa, in questo senso, la dipendenza dagli approvvigionamenti di gas della Federazione Russa, unico fornitore estero di metano per la Lettonia. La chiusura nel 2009 della centrale nucleare di Ignalina, in Lituania, ha reso il problema più urgente e ha spinto Riga a sostenere con fermezza la politica europea di sviluppo delle interconnessioni energetiche tra i paesi membri dell’Eu.
Il processo di avvicinamento e di adesione (2004) alla Nato ha di fatto confermato la direzione intrapresa dalla Lettonia dalla fine della Guerra fredda, sancendo così, tanto il suo ingresso nell’orbita d’influenza occidentale, quanto il suo definitivo distacco da Mosca. La difesa collettiva in ambito Nato e l’impegno attivo nelle sue operazioni militari, assieme alla partecipazione alla politica di difesa e sicurezza dell’Eu, sono quindi diventati i nuovi capisaldi della difesa. L’attuale dottrina strategica, enunciata già nel 2003, ne delinea le implicazioni strategiche e operative e individua quattro pilastri basilari per la sicurezza nazionale: difesa collettiva, professionalizzazione delle forze armate, cooperazione tra queste ultime e la società civile e cooperazione militare internazionale. Le forze armate del paese hanno raggiunto la piena professionalizzazione nel 2006 e la spesa militare in rapporto al pil è cresciuta nel 2009. Tuttavia, la situazione economica instabile dettata dalla crisi dell’eurozona ha reso difficile per Riga rispettare l’obiettivo prefissato di destinare annualmente il 2% del pil alla difesa, come richiesto dalla Nato (attualmente la spesa militare sul pil equivale allo 0,9%). Il significativo impegno lettone, superiore in percentuale a quello della media delle altre nazioni europee, nelle operazioni di peacekeeping a guida Nato (in Kosovo prima e Afghanistan poi) ha testimoniato l’importanza che Riga attribuisce alla propria partecipazione all’Alleanza atlantica. Non a caso Riga è divenuta, nel 2006, la prima capitale di un’ex repubblica sovietica a ospitare un vertice della Nato.