Tolstoj, Lev Nikolaevič
L’anima della grande madre Russia
Nella sua lunga vita Lev N. Tolstoj ha scritto grandi romanzi e brevi racconti; ha denunciato le insidie dell’egoismo e ha esaltato il precetto ‘ama il prossimo tuo come te stesso’. La ricerca di una rigorosa morale di vita, da applicare innanzi tutto a sé stesso, l’ossessivo interrogarsi sul significato dell’esistenza e l’ansia di trovare una risposta nella religione hanno contrassegnato il faticoso percorso di uno scrittore che ha esercitato un’enorme influenza ben oltre il suo secolo
Rampollo di un’antica e illustre famiglia russa, il conte Lev Nikolaevič Tolstoj nasce nel 1828 nella tenuta di Jasnaja Poljana («chiara radura»), vicino alla cittadina di Tula. Cresce in un’atmosfera patriarcale, dominata dalle memorie della guerra del 1812 contro Napoleone (Russia). A tredici anni perde entrambi i genitori e si trasferisce insieme ai tre fratelli presso una zia paterna, nella città di Kazan´ che, situata sul fiume Volga, costituiva un punto di contatto fra Oriente e Occidente. Nel 1844 si iscrive all’università, dedicandosi prima alle lingue orientali e poi al diritto, ma nel 1847 abbandona gli studi e torna a Jasnaja Poljana, divenuta intanto di sua proprietà. Nel 1851 Tolstoj si arruola nell’esercito, prende parte a operazioni nel Caucaso contro i montanari ribelli e scrive il romanzo Infanzia, prima parte (seguiranno poi Adolescenza e Giovinezza) del ciclo autobiografico Le quattro epoche dello sviluppo.
Allo scoppio della guerra di Crimea prende parte al drammatico assedio di Sebastopoli, descritto nei Racconti di Sebastopoli (1855-56). Nell’autunno 1856 si congeda e si trasferisce a Pietroburgo, dove frequenta l’ambiente letterario e scrive La mattinata di un proprietario, sulla miseria della campagna russa; a un suo soggiorno in Europa occidentale (1857) risalgono i primi appunti contro la pena di morte e il racconto Lucerna, contro l’ingiustizia sociale.
In queste prime opere già cominciano ad apparire elementi tipici della poetica dello scrittore, quali il legame fra l’animo umano e la natura, soprattutto notturna, e il monologo interiore, ossia la descrizione minuziosa del velocissimo accavallarsi di pensieri così come essi nascono l’uno dall’altro nella mente umana in modo apparentemente disordinato.
Ma la caratteristica più originale di Tolstoj è quel modo di raccontare che il critico Viktor Sklovskij definirà poi «lo straniamento»: la realtà non è descritta come qualcosa di comprensibile, dotata di un suo senso generale, ma è spezzettata in mille frammenti e dettagli, estratti dal loro contesto normale e ricuciti insieme a casaccio da un narratore (o dal racconto di un personaggio) che non ne conosce né la successione né la funzione. Un esempio particolarmente significativo è il resoconto della battaglia di Borodino fra i Russi e Napoleone, vista attraverso gli occhi di Pierre Bezuchov – personaggio tra i più suggestivi di Guerra e pace – il quale, essendo un civile, non capisce la logica e il senso generale di ciò che vede.
Quando torna in Russia dall’Europa, Tolstoj si sente sempre più isolato: la terza parte dell’autobiografia, Giovinezza, pubblicata nel 1857, viene accolta con indifferenza dal pubblico; i dibattiti sull’imminente abolizione della servitù della gleba (1861) fanno temere allo scrittore che il progresso economico e tecnologico stia per abbattersi con violenza sul mondo rurale e uccidere le classi sociali tradizionali, i nobili e i contadini, ai quali egli si sente legato da un’affinità profonda. Nel racconto Tre morti, del 1858, la semplice vita del popolo è esaltata come l’unica veramente autentica e rispettosa della natura, perfino di fronte alla morte; al contrario, l’egoismo e l’ipocrisia delle classi colte viene rifiutato con disprezzo.
L’epopea della nobiltà. Nel 1859 Tolstoj decide di abbandonare la letteratura e di fondare a Jasnaja Poljana una scuola per i figli dei contadini, basata su un originale sistema pedagogico: non bisogna costringere i bambini ad accumulare nozioni su nozioni, ma si deve aiutarli a scoprire autonomamente e un po’ per volta le leggi generali della morale e della vita, partendo da elementi concreti. Per esempio, Tolstoj consiglia agli insegnanti di non dire al bambino «non uccidere», ma di mostrargli fatti il cui senso generale è che non bisogna uccidere.
Nel 1862 Tolstoj si sposa e sceglie di tornare a scrivere. Inizia a comporre Guerra e pace (1865-69), opera di ampio respiro ambientata all’epoca delle guerre napoleoniche, quando – almeno così riteneva lo scrittore – i nobili russi e il popolo semplice si erano trovati uniti contro l’invasore e avevano imparato a conoscersi e rispettarsi. Ideata come un’epopea della nobiltà russa nel suo periodo di massimo splendore, Guerra e pace si svolge su due piani paralleli ma distinti: da una parte la storia privata dei personaggi e la loro evoluzione psicologica e ideologica; dall’altra la grande storia, concepita da Tolstoj come un continuo fluire delle masse umane, istintivo e inarrestabile come lo sciame delle api. Ciò che dà un senso all’esistenza umana non sono i grandi processi storici, ma le esperienze individuali, le tappe biologiche della nascita, della procreazione e della morte che scandiscono la vita della persona; a sua volta, per vivere un’esistenza vera, l’individuo non deve cercare una felicità egoistica, ma sentirsi parte di una comunità: il clan, il villaggio contadino e soprattutto la famiglia.
La crisi della famiglia. Il romanzo ha un grande successo e scatena accese polemiche, Tolstoj tuttavia si sente sempre più isolato nel contesto di una società moderna ben diversa da quella – patriarcale e tradizionalista – da lui desiderata. Solo nel 1873, dopo una nuova esperienza didattica (il cui frutto più importante è rappresentato dai Quattro libri di lettura per l’infanzia), inizia a lavorare al nuovo romanzo Anna Karenina. Sull’onda dei dibattiti sulla figura femminile – ossia sulla necessità di riconoscere più diritti alle donne – il romanzo analizza la crisi della famiglia nella società moderna: influenzato dal filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, Tolstoj critica ora tutte le norme morali e sociali comunemente accettate e le considera manifestazioni di ipocrisia, di oppressione e degli istinti egoistici da cui l’uomo moderno inevitabilmente è dominato. L’unica salvezza, come sempre, è in una vita regolata dai cicli naturali e dal lavoro fisico, rappresentata nel romanzo da Konstantin Levin (personaggio con cui, come nel Pierre di Guerra e pace, Tolstoj si identifica), mentre le scelte di Anna e Vronskij, dettate dalla ricerca di una felicità egoistica, condannano i due amanti all’autodistruzione.
Negli anni successivi Tolstoj attraversa una crisi religiosa poi descritta nello scritto autobiografico Confessione (1879-80). Non è un avvenimento improvviso, ma si inserisce nella costante ricerca del vero senso della vita: «Vi è nella mia vita un qualche senso che non venga annullato dalla morte che incombe su di me inevitabilmente?» si chiede Tolstoj. Da un lato, ciò comporta il rifiuto della vita passata: «Sono cresciuto, invecchiato e ho guardato alla mia vita. Gioie fugaci, scarse, molti dolori e, dinanzi a me, sofferenze e morte». Dall’altro lato, lo scrittore si aggrappa alla fede in Dio; la sua religiosità contrasta i dogmi di ogni Chiesa e venera Gesù come maestro morale, rifiutando eventi sovrannaturali e miracoli. Queste convinzioni vengono espresse nel saggio La mia fede – che riconosce il nucleo del cristianesimo nel solo precetto «ama Dio e il prossimo tuo come te stesso» – e nella Breve esposizione del Vangelo che, conosciuta come Il Vangelo di Tolstoj, fu definita dallo scrittore Vladimir G. Korolenko «uno splendido romanzo sulla vita di Cristo».
Le ricerche religiose di Tolstoj non si limitano solo alla teoria: lo scrittore prende contatti con le personalità e le sette che gli parevano ispirate dai medesimi principi.
Gli scritti degli ultimi decenni – fra i quali emergono per qualità artistica il romanzo Resurrezione e i racconti La morte di Ivan Il´ič e Sonata a Kreuzer – sono dedicati a pochi temi fondamentali: il rifiuto dello sfruttamento, della violenza, dell’esercito e della pena di morte; la critica del matrimonio come istituzione ipocrita; la denuncia della proprietà privata come fonte di egoismo; la necessità che tutti si guadagnino la vita col lavoro; la non violenza e la tolleranza.
Nel 1901 la Chiesa scomunica Tolstoj, accusandolo di dottrine anticristiane, ma proprio in quegli anni si formano le prime comunità tolstojane e Jasnaja Poljana diviene meta di numerosi visitatori da tutto il mondo. Nell’ottobre 1910 Tolstoj, all’età di 82 anni, decide di abbandonare la propria casa: fugge di notte, ma alla stazione ferroviaria di Astapovo è costretto a fermarsi per un improvviso attacco di febbre. Muore dieci giorni dopo nel misero letto del capostazione e viene sepolto in modo semplice, senza alcun rito, senza croce, in un bosco di Jasnaja Poljana, dove in gioventù suo fratello Nikolaj aveva sotterrato il ‘bastoncino verde’, un talismano miracoloso, simbolo della rinascita dell’umanità.