Vedi Libano dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Il Libano incarna al massimo grado la frammentazione politica, religiosa ed etnica che contraddistingue l’area mediorientale. La vita politica libanese è da lungo tempo influenzata e resa instabile tanto dalle divisioni politiche interne quanto dalle tensioni regionali. Il paese, una volta definito ‘la Svizzera del Medio Oriente’ per l’importanza regionale del suo sistema finanziario, è precipitato, tra il 1975 e il 1990, in una guerra civile che ne ha modificato gli equilibri interni e i rapporti con la regione. Da allora, il ‘paese dei Cedri’ è stato al centro della competizione geopolitica dei più importanti attori della regione mediorientale – da Israele e Siria, fino ad Arabia Saudita e Iran – divenendo quasi un oggetto, più che un soggetto, delle dinamiche politiche del Medio Oriente. Elemento centrale delle relazioni internazionali libanesi è la tensione con Israele, con cui non mantiene ufficialmente relazioni diplomatiche, né economiche. Durante la guerra civile, Israele intervenne militarmente in Libano (1982), rifugio di vari gruppi armati palestinesi, tra i quali l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) di Yasser Arafat. Gli israeliani mantennero una presenza militare nel sud del paese fino al 2000, quando l’allora premier Ehud Barak ordinò il ritiro. Terminata la guerra civile, ad alimentare le tensioni tra i due paesi è stata principalmente la presenza del partito sciita Hezbollah nel panorama politico e istituzionale libanesi. Israele ha ingaggiato due conflitti armati con Hezbollah, in territorio libanese: nel 1996, con l’operazione ‘Grappoli d’ira’, e nel 2006, in quella che è nota come la Guerra del Libano. Ancora oggi, Israele giudica la presenza di Hezbollah in Libano una delle maggiori minacce alla sua sicurezza, oltre che potenziale motivo di scontro tra i due paesi. Libano e Israele sono divisi da dispute territoriali, frutto delle rivendicazioni di Beirut sull’area delle cosiddette Fattorie di Shebaa, al confine tra Libano, Siria e Israele, ancora sotto occupazione israeliana.
Relazioni conflittuali intercorrono anche tra il Libano e l’altro vicino e storico interlocutore, la Siria. Damasco ha tradizionalmente considerato il Libano come una propaggine naturale del proprio territorio e ha mantenuto truppe di occupazione nel paese fino a tutto il 2005, quando i due vicini hanno normalizzato le loro relazioni diplomatiche. Ancora oggi, però, sia il regime siriano sia l’Iran – altro attore di rilievo per le politiche libanesi in quanto potenza di riferimento di Hezbollah – mantengono un certo grado di influenza sugli equilibri politici interni, tramite i partiti sciiti Hezbollah e Amal. Anche l’Arabia Saudita esercita un peso rilevante sugli equilibri del Libano poiché sostiene economicamente e politicamente la fazione sunnita che fa capo a Saad Hariri (figlio di Rafiq, premier libanese assassinato nel 2005), soprattutto in funzione anti-iraniana. Negli ultimi anni, Turchia e Qatar si sono imposti come credibili mediatori per la stabilizzazione interna. A livello internazionale, il Libano mantiene buoni rapporti con il mondo occidentale, in particolar modo con alcuni paesi europei come Italia e Francia, i due stati più attivi all’interno della missione United Nations Interim Force in Lebanon (Unifil). L’assetto istituzionale libanese nasce dagli accordi di Ta’if, firmati nel 1989 da tutte le forze politiche nell’omonima città dell’Arabia Saudita, alla fine della guerra civile. Benché oggetto di critiche, il patto costituisce un paradigma di regolamentazione di un sistema politico caratterizzato da una forte frammentazione interna. Il Libano si presenta come una repubblica parlamentare, in cui gli equilibri istituzionali sono regolati dalla ripartizione del potere su base etnica e religiosa. Secondo tale schema, di norma, il presidente della repubblica è un cristiano maronita, il primo ministro un musulmano sunnita e il presidente del parlamento un musulmano sciita. Inoltre, all’interno del parlamento unicamerale, nel quale siedono 128 membri, i seggi sono assegnati in maniera tale da garantirne sempre 64 alla comunità cristiana e altrettanti a quella musulmana (sciiti e sunniti insieme).
Sono frequenti i cambiamenti nella composizione dei due blocchi maggiori (filo-sciita e filo-sunnita): ciò provoca un continuo cambiamento degli equilibri nazionali, aggravato dalle influenze esterne. Secondo l’accordo di Doha del maggio 2008, il Libano dovrebbe essere guidato da un governo di unità nazionale, in cui 15 ministri sono nominati dalla maggioranza, dieci dalla minoranza e cinque dal presidente della repubblica. Nelle elezioni del 2009 l’Alleanza del 14 marzo, guidata dal Futuro (Tayyar al-Mustaqbal) di Saad Hariri, ha ottenuto la maggioranza e formato il governo. Nel gennaio 2011 i membri nominati dall’Alleanza dell’8 marzo (tra cui quelli di Hezbollah) si sono dimessi, provocando una crisi dell’esecutivo, a seguito della quale è stato nominato primo ministro il miliardario Najib Mikati. L’aggravarsi delle rivolte in Siria, scoppiate nel 2011, e radicalizzate in un conflitto civile, hanno creato instabilità anche in Libano e coinvolto direttamente Hezbollah, che ha mandato centinaia di uomini a combattere al fianco dell’alleato Bashar al-Assad. Dalla fine del 2011 scontri e attentati si susseguono anche sul territorio libanese, soprattutto a Beirut e nella città settentrionale di Tripoli. Il governo Mikati, che per lungo tempo ha tentato di seguire una politica neutrale rispetto al conflitto siriano, si è dovuto dimettere nel marzo 2013, per il ritiro di Hezbollah dalla maggioranza. Il presidente Michel Suleiman ha quindi chiesto all’esponente sunnita Tammam Salam di formare un nuovo governo. Il nuovo esecutivo ha però preso vita solo nel febbraio 2014 a causa dei dissidi tra le varie fazioni politiche e si è presto trovato ad affrontare un ulteriore peggioramento delle tensioni dovute al conflitto siriano. Nel frattempo, nel giugno 2014, il mandato del parlamento eletto nel 2009 è scaduto senza che i partiti politici siano stati in grado di trovare un accordo nè sulla nuova legge elettorale nè sul nome del nuovo Presidente della Repubblica dopo che il mandato di Suleiman è anch’esso giunto al termine. La situazione di stallo politico si è trascinata a tutto il 2015 e sia il parlamento sia il governo hanno continuato a rimanere in carica nonostante la fine dei loro mandati, mentre è rimasta vacante la carica di presidente. La scena politica libanese, fortemente condizionata da influenze esterne, è entrata in una fase di stallo connessa al conflitto siriano e alle tensioni regionali da esso scaturite, in primis il conflitto tra monarchie del Golfo e Iran, principali sponsor rispettivamente della fazione sunnita Futuro e del partito sciita Hezbollah.
La popolazione del Libano è stimata intorno ai 4,4 milioni di abitanti. Non esistono dati ufficiali aggiornati dal momento che i forti interessi politici, legati a un sistema che spartisce cariche istituzionali e seggi parlamentari su base comunitaria e confessionale, hanno negli anni inibito l’opportunità di aggiornare l’ultimo censimento pubblico, datato 1932. È verosimile, visto il più alto tasso di fecondità della comunità musulmana, che questa sia cresciuta nei decenni molto più di quella cristiana (più interessata anche dal fenomeno dell’emigrazione) e che oggi possa rappresentare almeno il 60% totale della popolazione. Se venisse accertata ufficialmente, questa percentuale potrebbe incrinare il già precario equilibrio nella rappresentanza sancito dagli accordi di Ta’if del 1989. Questo piano impone la parità nella rappresentanza tra cristiani e musulmani.
Attualmente, la differenza più marcata tra il peso demografico e quello politico si registra per la comunità sciita, che ha diritto solo al 21% dei seggi totali in parlamento, nonostante si calcoli che rappresenti almeno un terzo della popolazione.
Un siffatto sistema politico, costruito secondo uno schema demo-confessionale, alimenta naturalmente clientelismi e rischia di pregiudicare la credibilità di coloro che ricoprono una carica pubblica: non a caso il Libano si è classificato, nel 2014, 136° su 177 paesi secondo l’indice di trasparenza e corruzione percepita.
La libertà d’espressione e quella religiosa sono garantite, così come il pluralismo nei mezzi di informazione: la società civile libanese è particolarmente attiva e registra un intenso fiorire di associazioni e organizzazioni non governative. Sono circa 400.000 i palestinesi che vivono nei 12 campi profughi del Libano gestiti dall’Unrwa, l’Agenzia per i rifugiati palestinesi del Vicino Oriente delle Nazioni Unite. Nonostante siano passati più di sessant’anni, e ormai tre generazioni dalla diaspora palestinese del 1948, i palestinesi sono scarsamente integrati nella società libanese: non hanno mai ottenuto la cittadinanza e scontano diverse limitazioni nell’accesso ai servizi pubblici (sanità e istruzione in primis), nei diritti sul lavoro, in quelli civili e di proprietà. Negli ultimi anni, dopo lo scoppio della guerra civile in Siria nel 2011, l’attenzione si è però concentrata sull’arrivo dei profughi siriani, oltre un milione e 200 mila alla fine del 2015, il cui flusso non accenna a diminuire.
La loro presenza ha messo duramente alla prova le istituzioni libanesi e le agenzie internazionali faticano a far fronte al flusso di rifugiati in un paese di soli 4 milioni di abitanti. Il rischio di un’emergenza demografica è concreto. Significativa è anche la presenza di circa 50.000 iracheni, cui vanno aggiunti altri gruppi di rifugiati provenienti dal Sudan e dalla Siria.
La popolazione libanese è molto giovane: secondo le stime dell’Undp ben il 47% dei libanesi ha meno di 24 anni e l’età mediana è bassa, attorno ai 29 anni. Un’imponente diaspora della popolazione, iniziata più di 130 anni fa, ha caratterizzato tutto il Novecento: è stata causata tanto da motivi economici, legati agli interessi che le fiorenti reti commerciali libanesi hanno costruito in tutto il mondo, quanto da quelli politici, legati non soltanto alle due guerre civili ma anche alle continue tensioni interne. Si stima che i libanesi della diaspora e i loro discendenti siano circa 13 milioni e si siano stabiliti prevalentemente in America, soprattutto in Brasile, Argentina, Stati Uniti, Canada e Messico, in alcuni paesi del Golfo, come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi o il Kuwait, e in alcune nazioni europee, come Francia e Regno Unito.
Il sistema educativo nazionale è uno dei migliori della regione, con tassi di scolarizzazione e alfabetizzazione elevati. Di primo livello anche il sistema d’istruzione secondario e quello universitario, fondamentale visto il gran numero di lavoratori qualificati che l’economia libanese, molto orientata sul settore terziario, impiega.
Il Libano ha un’economia tradizionalmente orientata verso un mercato aperto ed è dominata dal settore dei servizi. La crescita percentuale del pil è stata molto elevata nell’ultimo decennio, salvo tra il 2005 e il 2006, quando, a un rallentamento dell’economia, si sono sommati i contraccolpi della guerra contro Israele. Da allora, tuttavia, i principali indicatori registrano un’economia in crescita, anche se moderata (2% nel 2014). A frenare performance migliori è soprattutto la crisi in Siria, uno dei maggiori partner commerciali.
Turismo, banche e costruzioni sono i tre pilastri dell’economia libanese. Il settore edilizio sta trainando la crescita in fase di ricostruzione post-bellica. Anche il turismo è un settore importante, essendo il paese una meta tradizionale per i turisti provenienti dalle monarchie del Golfo persico che attrae anche un discreto numero di visitatori dall’Europa e dagli Stati Uniti. Il settore ha però subìto un rallentamento a partire dal 2010 prima a causa della crisi europea e, subito dopo, per il conflitto in Siria. All’attività turistica è indirettamente legato almeno un quarto della popolazione attiva. Ed è sempre il turismo a trainare buona parte del boom edilizio. Il settore bancario, uno dei tradizionali punti di forza dell’economia libanese, si dimostra solido e beneficia di un progressivo aumento di capitali in entrata. La capacità del sistema bancario di superare indenne tanto la crisi finanziaria internazionale del 2008-09, quanto le croniche tensioni interne ed esterne, riposa in gran parte sulla sua stabilità, garantita da un lato dalle rigorose regole che la Banca centrale libanese impone sulle attività finanziarie e, dall’altro, dall’elevata liquidità di cui i depositi delle banche nazionali dispongono, grazie ai flussi di rimesse in entrata dai libanesi che vivono all’estero. Il Libano presenta tradizionalmente un notevole deficit di bilancia commerciale solitamente compensato dal robusto afflusso di investimenti stranieri. Il deficit di partita corrente ha registrato comunque in questi anni una contrazione attestandosi nel 2014 a -4 miliardi di dollari (8,5% del pil). Infine, molte speranze vengono riposte nelle recenti scoperte di giacimenti di greggio e gas al largo delle coste libanesi che potrebbero trasformare il Libano in un produttore di idrocarburi e azzerare le ingenti spese (3 miliardi di dollari annui) per la loro importazione portando a un notevole ridimensionamento del deficit commerciale.
Benché la lunga guerra civile ne abbia ridimensionato importanza e centralità, il Libano rappresenta ancora oggi uno degli hub finanziari e un polo di servizi di riferimento nella regione mediorientale. I più rilevanti partner per esportazioni sono l’Arabia Saudita, gli Uae, la Siria e la Svizzera, con i quali il Libano commercia principalmente prodotti di gioielleria e oreficeria, apparecchi meccanici, alimentari, tabacco, composti chimici, plastica e gomma. Dal punto di vista delle importazioni, invece, il primo partner libanese è la Cina, seguita dall’Italia, dalla Francia, dagli Usa e dalla Germania; petrolio raffinato, mezzi di trasporto, prodotti chimici e metallurgici rappresentano i beni più commerciati. Nonostante i significativi segnali di crescita, l’economia libanese continua a essere molto vulnerabile, soprattutto in considerazione dell’elevato debito pubblico, ereditato dai disordini del passato e arrivato, a fine del 2009, a rappresentare il 145,6% del pil. Il rapporto è poi sceso lentamente e in modo altalenante fino al 132,4% nel 2015. A questi livelli il debito libanese rimane ancora il più alto di tutta la regione e uno dei più alti al mondo, tanto che il governo deve usare circa un terzo delle proprie entrate fiscali per finanziarlo. Ecco perché, nonostante la drastica riduzione delle spese correnti e di investimento che Beirut sta attuando da anni, il deficit di bilancio si attesta ancora, nel 2015, intorno al 16%.
Il paese è considerato ad alto rischio dalle principali società di ranking internazionale, soprattutto in considerazione della situazione politica interna e delle tensioni con Israele, sempre a rischio di degenerare in guerra aperta. Dal 2007 tanto il Fondo monetario internazionale quanto la Banca mondiale hanno concordato con il Libano importanti progetti di aiuto finanziario, nell’ambito dei piani di assistenza post-conflitto. Il paese riceve inoltre numerosi aiuti nell’ambito delle agenzie internazionali che si occupano di assistenza ai rifugiati.
A caratterizzare il settore della difesa e della sicurezza interna libanese è, anzitutto, la presenza sul territorio della missione Unifil, contingente internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite. La missione conta circa 10.000 soldati, di cui un terzo da Francia, Italia, Indonesia e Spagna. La missione, inaugurata nel 1978 a seguito degli scontri tra l’esercito israeliano e le organizzazioni palestinesi, ha attualmente lo scopo di evitare scontri sulla frontiera libanese-israeliana, il confine storicamente più sensibile e instabile del Libano.
Il conflitto dell’estate 2006 ha avuto origine proprio da alcuni scontri tra Hezbollah e Israele, nel sud del paese. Nonostante l’obiettivo ultimo delle operazioni israeliane fosse quello di sradicare il ‘Partito di Dio’ dal Libano, il conflitto, durato un mese, ha causato circa 1500 vittime e ingenti danni infrastrutturali e ha finito per rafforzare e mettere in luce le capacità operative di Hezbollah. Dal punto di vista regionale il movimento alimenta il conflitto latente con Israele. Non va meglio sul fronte interno: Hezbollah e il suo braccio armato costituiscono una minaccia permanente per i possibili scontri intestini contro le fazioni sunnite. L’esercito nazionale ha evitato di prendere apertamente posizione durante gli scontri del maggio 2008, in cui la comunità sciita e quella sunnita si affrontarono a Beirut. Lo scontro provocò quasi 100 morti in una settimana. In quell’occasione gli affiliati di Hezbollah dimostrarono la loro superiorità organizzativa e strategica.
Dal 2011 la rivolta in Siria ha provocato scontri tra Hezbollah, sostenitore del regime di Bashar al-Assad, e i partiti sunniti legati ai ribelli siriani. Hezbollah ha inoltre apertamente ammesso di essere direttamente impegnata nel conflitto siriano con uomini e mezzi. Anche se fino alla fine del 2015 non si è assistito a uno spill-over della guerra civile siriana al Libano, il paese si trova in uno stato di continua tensione. Nell’agosto 2014, l’esercito nazionale ha dovuto fronteggiare l’incursione di alcuni gruppi di ribelli siriani legati a Jabhat al-Nusra e allo Stato islamico (Is) che hanno occupato per alcuni giorni il villaggio libanese di Arsal prendendo diversi soldati in ostaggio, mentre nei mesi seguenti sconfinamenti e schermaglie sono stati riportati lungo i confini siriano-libanesi nei pressi della regione siriana di Qalamoun. Nel novembre 2015, inoltre, si è verificato un doppio attentato suicida nella capitale Beirut, che ha provocato la morte di 43 persone.
Un altro fattore di instabilità è costituito dalla presenza dei campi profughi palestinesi, entità di fatto separate dal resto del paese e sovente utilizzate dagli attori esterni come strumento di ingerenza sul Libano. È ciò che è accaduto nel corso della ‘Guerra dei campi’, durante la seconda fase della guerra civile libanese: si trattò di un conflitto nel conflitto, combattuto dalle milizie sciite di Amal che, con il sostegno di Damasco, puntavano a sconfiggere le roccaforti libanesi dell’Olp. Più di recente, nel 2007, alcuni membri di Fatah al-Islam, un gruppo armato legato al fondamentalismo islamico di ispirazione qaidista, hanno trovato rifugio in uno dei maggiori campi palestinesi, Nahr el-Bared. Qui si sono scontrati con l’esercito libanese, provocando la morte di circa 450 persone. In più, nel maggio del 2011 la comunità palestinese in Libano si è trovata al centro di nuovi episodi di violenza, legati agli scontri con le truppe israeliane nelle zone di confine.
Uno degli elementi caratterizzanti del panorama politico libanese – composto da partiti spesso legati a una determinata comunità religiosa – è la presenza del movimento sciita di Hezbollah, in arabo ‘Partito di Dio’. La presenza dell’organizzazione in Libano è comunemente vista come l’espressione più evidente dell’influenza dell’Iran, e in parte della Siria, sulla vita politica nazionale. Hezbollah è nato negli anni Ottanta, durante la guerra civile libanese, grazie anche al sostegno del corpo militare iraniano dei Guardiani della rivoluzione islamica e, anche dal punto di vista ideologico, ha punti in comune con il pensiero di Khomeini. Iran e Siria si servirebbero di Hezbollah, in questa prospettiva, per modificare a proprio vantaggio e in funzione anti-israeliana gli equilibri libanesi e regionali.
Negli ultimi anni, il Partito di Dio si è trasformato da mero movimento di resistenza armato a vero partito politico. D’altra parte, la ‘vittoriosa’ resistenza nei confronti di Israele durante la guerra del 2006, l’impegno nella ricostruzione post-bellica e le numerose attività svolte in campo sociale hanno contribuito ad accrescere la popolarità di Hezbollah tra la popolazione. Il movimento costituisce oggi una delle maggiori forze politiche del paese. La circostanza che Hezbollah mantenga un proprio arsenale militare rimane una delle questioni più dibattute all’interno del Libano.
Sebbene la dotazione militare dell’organizzazione sia ufficialmente legata alla difesa contro eventuali attacchi israeliani, nei fatti costituisce anche un deterrente contro le forze politiche sunnite libanesi ed è attualmente utilizzata massicciamente in Siria in supporto al presidente Assad. Il controllo del territorio, in particolare nel sud del Libano, e le funzioni di sicurezza e welfare che ricopre, hanno fatto spesso parlare della presenza di Hezbollah in Libano come di uno ‘stato nello stato’.
Numerosi fattori – geografici, etnici, politici e culturali – rendono il Libano particolarmente sensibile alle variazioni della stabilità politica della vicina Siria. La presenza di una sostanziale continuità etnico-tribale in alcune zone di confine – soprattutto nella zona che circonda Tripoli dove numerosi clan vivono senza soluzione di continuità tra il territorio libanese e quello siriano – ha reso il confine ufficiale tra i due paesi particolarmente poroso fin dall’inizio delle proteste in Siria, poi sfociate in un vero e proprio conflitto civile. Negli ultimi decenni, soprattutto a partire dal coinvolgimento siriano nella Guerra civile libanese (1975-90), l’influenza della politica di Damasco sugli avvenimenti e sui movimenti politici libanesi è cresciuta esponenzialmente, contribuendo a ingrandire le divisioni fra le due principali coalizioni che si contendono il controllo del paese: la Coalizione 14 marzo – guidata dal principale Partito sunnita facente capo alla famiglia Hariri ‘Mustaqbal’ (Futuro), fortemente antagonista al regime di Assad – e la Coalizione 8 marzo – guidata dal partito (e milizia) sciita filo-iraniano Hezbollah, uno dei principali alleati del regime di Damasco. L’acuirsi della crisi siriana ha portato le due coalizioni a spendersi in modo crescente sia per l’opposizione siriana – prima pacifica e poi armata – sia per il regime. È provato, infatti, che il Partito Futuro e gli altri gruppi sunniti da esso controllati abbiano attivamente sostenuto con mezzi e uomini i gruppi di opposizione siriani, mentre Hezbollah, soprattutto a partire dal 2013, è attivamente entrato all’interno del conflitto siriano con l’invio di migliaia di uomini armati al fianco dell’esercito del regime creando la paradossale situazione della presenza di cittadini libanesi in lotta fra loro su entrambi i fronti della Guerra civile in Siria. Ciò ha inevitabilmente creato situazioni di grave tensione politico-settaria all’interno dello stesso Libano, soprattutto nella zona settentrionale di Tripoli, città dove convivono grosse minoranze sia sciite-alawite sia sunnite. Ulteriori episodi di grave tensione si sono riscontrati nella zona di Sidone, dove nel giugno 2013 milizie sunnite leali allo Shaikh sunnita Ahmad Asir si sono scontrate per giorni contro reparti dell’esercito libanese sostenuti dalle milizie di Hezbollah. Tra il 2012 e il 2013 alcune autobombe hanno inoltre colpito la capitale Beirut – quella del 19 ottobre 2012 in cui ha perso la vita il generale dei servizi di intelligence libanesi Wissam al-Hassan insieme a 8 civili e l’attacco all’ambasciata iraniana del novembre 2013, costato la vita a 23 persone – facendo temere per una degenerazione della tensione all’interno del paese. Finora gli sforzi di mediazione portati avanti per evitare una degenerazione del conflitto anche all’interno del Libano hanno però permesso di mantenere tali esplosioni di violenza localizzate nello spazio e nel tempo. Ai fattori politico-settari, va inoltre aggiunta la delicata questione dei profughi siriani – in maggioranza sunniti – giunti in seguito allo scoppio della guerra civile. Secondo le rilevazioni ufficiali si tratterebbe di oltre un milione di persone (in un paese di poco più di quattro milioni di abitanti) distribuiti ormai su quasi tutto il territorio del paese. L’accoglienza e l’assistenza di questo crescente numero di rifugiati ha messo a dura prova le capacità economiche e organizzative delle istituzioni libanesi e delle agenzie delle Nazioni Unite dedicate all’assistenza dei profughi. Tale situazione è vista con preoccupazione soprattutto a causa della grave destabilizzazione degli equilibri settari libanesi che la loro presenza prolungata negli anni potrebbe comportare, alterando i delicati meccanismi di redistribuzione del potere tra le varie confessioni su cui si regge il sistema politico del Libano. Durante il 2014 è giunta a complicare ulteriormente la situazione la progressiva estremizzazione in senso religioso di alcuni settori dell’opposizione siriana e la caduta nelle mani dello Stato islamico (Is) di grandi porzioni di territorio siriano. Secondo diversi rapporti di intelligence, infatti, alcuni gruppi estremisti come Is e Jabhat al-Nusra (afferente ad al-Qaida) avrebbero tentato di estendere la propria influenza ai campi profughi siriani e palestinesi in Libano, sfruttando le condizioni di grande povertà e marginalizzazione in cui versano i loro abitanti. Alcuni gruppi collegati a queste due organizzazioni sarebbero infatti stati fondati all’interno dei campi e minaccerebbero di promuovere la dottrina del fondamentalismo islamico e della lotta armata jihadista all’interno del paese. Nell’estate del 2014, al-Nusra e Is hanno condotto vere e proprie operazioni militari oltre il confine colpendo alcune zone controllate da Hezbollah. La situazione si è aggravata dopo i 43 morti del doppio attentato del 12 novembre 2015 a Beirut, rivendicato da Is.
Nell’agosto 2015 alcune decine di migliaia di libanesi hanno iniziato a scendere in piazza per protestare contro l’inefficienza del sistema di raccolta dei rifiuti. Anni di malagestione avevano infatti portato allo stallo del sistema e all’accumularsi dei rifiuti sui lati delle strade per mesi interi, con gravi rischi per la salute pubblica soprattutto nei quartieri più periferici. L’atteggiamento dei politici, che inizialmente hanno preferito ignorare le richieste della cittadinanza, ha fatto esplodere le proteste. Le manifestazioni hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone sotto lo slogan ‘You Stink’ (‘Voi puzzate’). Il fenomeno ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica sia all’interno del paese che all’estero. Nonostante proteste ‘a-settarie’ fossero già avvenute in scala minore lungo tutto il decennio precedente, per la prima volta si è assistito a un movimento di massa motivato semplicemente dalla inefficiente e corrotta gestione della cosa pubblica. Fino all’inizio di ottobre il centro di Beirut è stato infatti invaso da dimostranti provenienti da tutti gli strati sociali e le confessioni religiose che compongono la complessa società libanese. Nonostante i manifestanti non siano riusciti a ottenere nessuno degli obiettivi dichiarati (dimissioni del ministro dell’ambiente, del governo e nuove elezioni) la protesta ha permesso di riaprire pubblicamente il dibattito sul sistema settario che governa il Libano dalla sua creazione e riconfermato dopo la Guerra civile dalla pace di Ta’if. Molti gruppi favorevoli alla riforma di questo sistema, considerato il principale responsabile della corruzione e dell’inefficienza dell’amministrazione pubblica, hanno avuto modo di dar voce alle proprie idee e di avere l’attenzione di gruppi sociali fino a quel momento impermeabili a questo tipo di messaggi. Secondo molti osservatori le proteste dei rifiuti del 2015 avrebbero mostrato le prime avvisaglie di una crisi del sistema settario libanese e la possibilità di una sua futura riforma.