LIBIA.
– Demografia e geografia economica. Storia. Letteratura. Bibliografia
Demografia e geografia economica di Matteo Marconi. – Stato dell’Africa settentrionale. La popolazione libica nel 2014 si è attestata, secondo una stima UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affair), a 6.253.452 ab., in aumento rispetto ai 5.673.031 ab. del censimento ufficiale del 2006. Il processo di crescita ha subito negli ultimi anni un rallentamento, dovuto all’abbassamento del tasso di fecondità da 3,3 a 2,4 figli per donna. Ne consegue che la maggior parte della popolazione ha tra 20 e 34 anni. Una componente importante della dinamica demografica è costituita dall’apporto degli immigrati che, secondo i dati delle Nazioni Unite (2014), rappresenta il 12% della popolazione libica, attratti dalle possibilità di lavoro offerte dalle industrie estrattive libiche. Oltretutto, la L. costituisce un ponte migratorio verso l’Italia e l’Europa per tutte le popolazioni subsahariane. La maggior parte della popolazione vive nelle città (Tripoli, Bengasi e Misurata sono tra le più abitate). A causa del conflitto civile iniziato nel 2011, tuttora in corso, il tasso di emigrazione dei libici è arrivato a livelli elevatissimi.
Il 2011 ha segnato una data spartiacque per la L., non solo per il governo del Paese ma anche per la comprensione del quadro socioeconomico. Sconfitto quasi del tutto l’analfabetismo, sotto Muammar Gheddafi era stata in parte costruita una grande rete idrica denominata il grande fiume artificiale, che doveva risolvere i problemi di siccità a Bengasi e nella Sirte. L’accesso all’acqua era notevolmente migliorato, con quasi l’80% della popolazione servita nel 2009. Lo scoppio del conflitto ha portato gravi danni alle infrastrutture e dimezzato l’approvvigionamento idrico. Danni rilevanti ha subito anche l’industria estrattiva, con ricadute pesantissime sull’andamento delle esportazioni e della formazione del PIL. Il petrolio, infatti, incide sull’export per il 90%, sul PIL per l’80% e sulle entrate statali per oltre il 95%. Se prima della guerra civile la L. era il diciassettesimo produttore al mondo di petrolio (84.878.000 di t), successivamente la capacità estrattiva e di commercializzazione ha subito una devastante altalena, che ha condizionato pesantemente l’operato governativo. Nonostante questo, le stime sul PIL del 2013 danno un significativo aumento rispetto al 2007. La spesa per la sanità resta considerevole (4,3% nel 2013) e la speranza di vita è di 75,3 anni (2013). Le entrate petrolifere, per quanto incerte al momento, consentono di mantenere fortemente in attivo la bilancia commerciale, in cui il principale partner rimane l’Italia, anche se l’entrata sulla scena africana della Cina incide con quote crescenti. Data l’importanza dell’industria estrattiva e la concomitante mancanza di iniziativa privata, l’economia è quasi completamente controllata dallo Stato. La L., al di là della contingenza politica, rimane fortemente dipendente dall’estero per quanto riguarda i beni alimentari e presenta un quadro industriale molto poco diversificato, se si fa eccezione per l’impianto siderurgico di Misurata. La risoluzione dei conflitti tribali che devastano il Paese è la premessa per qualunque possibilità di ripresa, comunque possibile, dato che le riserve di idrocarburi sono state sfruttate sinora molto parzialmente.
Storia di Arturo Varvelli. – Il 2006 fu un anno di svolta per la L. di Muammar Gheddafi (Mu῾ammar al-Qadhdhāfī), che fu rimossa dalla lista USA dei Paesi sostenitori del terrorismo e poté così reinserirsi nei circoli ufficiali della diplomazia internazionale, abbandonando quello status di paria che ne aveva contraddistinto la politica estera fin dagli anni Settanta. Le aperture della comunità internazionale erano – almeno ufficialmente – condizionate da una serie di progressive riforme economiche e sociali, atte a trasformare il Paese da rentier state – uno Stato che basava i propri introiti quasi esclusivamente sulla vendita di risorse naturali all’estero – ad attore dell’economia di mercato, oltre che ad attenuare la natura autoritaria del regime della Ǧamāhīriyya («regime delle masse»), la dottrina politica gheddafiana.
Se dal 2006 venivano così ufficialmente riallacciati i rapporti bilaterali con gli Stati Uniti e le maggiori potenze europee, tra cui spiccavano Gran Bretagna e Francia – fino allora tra i Paesi più ostili a Gheddafi – oltre che nuovi partner extraeuropei come Russia e Cina, sembrava anche prendere nuove forme il rapporto privilegiato che il Paese aveva mantenuto con l’Italia nel quarantennio precedente. L’Italia aveva tratto giovamento dall’apertura della L. ai mercati internazionali. Tripoli restava il primo fornitore di petrolio dell’Italia e il terzo di gas (nel 2004 fu inaugurato Greenstream, il gasdotto di collegamento con la Sicilia). Il terzo governo Berlusconi, in particolare, aveva concluso il Trattato di amicizia italo-libico nel 2008, con cui si impegnava a risarcire Tripoli per il periodo coloniale con 250 milioni di dollari in vent’anni. A questo si univano i 25 miliardi di dollari di nuovi investimenti pianificati dall’ENI per gli anni seguenti, e i contratti di peso chiusi da Finmeccanica nel 2009 con i fondi sovrani libici.
Sebbene dunque il regime di Gheddafi si aprisse a crescenti relazioni politiche e commerciali con Stati Uniti, UE, Cina e Russia, l’establishment di Tripoli procedeva però a rilento nel campo delle riforme economi che e politiche. Nonostante la spinta riformatrice del figlio secondogenito di Gheddafi, Sayf al-Islām, la natura autoritaria e l’apparato repressivo del regime rimasero so stanzialmente inalterati, così come la corruzione endemica, l’inefficienza dell’amministrazione pubblica e alcune problematiche sociali del Paese, che affondavano le proprie radici nella natura tribale della L., oltre che il pericolo dell’estremismo di natura islamica, che vedeva nella Cirenaica la zona più a rischio. Soprattutto, poco cambiò nella struttura fondamentale dello Stato libico, quella di un rentier state fondato su un patto sociale che ‘corrompeva’ il cittadino versando denaro pubblico e garantendo beni e servizi primari in cambio dell’acquiescenza politica.
Tutto ciò contribuì a esporre la L. al rischio di instabilità interna nel momento in cui il Nordafrica fu investito dall’ondata insurrezionalista delle cosiddette primavere arabe. In seguito alle rivolte in Tunisia ed Egitto, nel febbraio del 2011 scoppiarono i primi scontri tra regime e oppositori, che riuscirono rapidamente a impadronirsi di Bengasi (la seconda città del Paese) e della Cirenaica, trasformando la rivolta in guerra civile. Nel mese di marzo, in seguito alla durissima risposta militare del regime di Tripoli, su pressione franco-britannica, il Consiglio di sicurezza ONU approvò la risoluzione 1973, che consentiva di prendere ‘tutte le misure necessarie’ a proteggere la popolazione civile e si tradusse nell’istituzione di una no fly zone. L’escalation che seguì portò all’intervento militare di un’alleanza guidata da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti e posta sotto comando NATO (cui successivamente prese parte anche l’Italia). Dopo diversi mesi di violenti combattimenti e capovolgimenti di fronte, i ribelli – con il sostegno aereo e logistico della coalizione internazionale – ebbero la meglio e, nell’agosto del 2011, lanciarono l’offensiva finale che li condusse a Tripoli nel settembre seguente. Gheddafi, in fuga, fu catturato e giustiziato sommariamente il mese successivo.
Il processo di costruzione del nuovo Stato libico che fece seguito al conflitto civile del 2011, iniziato sotto gli auspici dell’euforia generale del Paese e della comunità internazionale, si ritrovò presto a fare i conti con le problematiche irrisolte. A seguito del voto per il Congresso generale nazionale (GNC) del 7 luglio 2012, il primo democratico della nuova L., il nuovo governo non riuscì a imporre la propria autorità all’intero Paese. L’instabilità provocata dalla guerra civile condusse progressivamente la L. nel caos, accrescendo le divisioni tra il governo centrale e le numerose milizie rafforzatesi proprio in seguito all’indebolimento dell’autorità centrale (oltre che al flusso di armamenti durante e dopo la guerra). Nel 2013 e nel 2014 si moltiplicarono i rapimenti, gli attentati mirati e gli scontri tra partiti e milizie armate. A ciò si aggiunse il riemergere con forza del terrorismo jihadista (già nel settembre 2012 perse la vita l’ambasciatore statunitense nell’attacco al consolato di Bengasi), particolarmente attivo a Derna, in Cirenaica, prima città fuori dal territorio siriano-iracheno a essere dichiarata sotto il controllo dell’IS nell’ottobre 2014. A seguito delle elezioni del giugno 2014, una polarizzazione politica e militare comportò la creazione di due governi e di due parlamenti (a Tobruk quelli riconosciuti dalla comunità internazionale e gli altri a Tripoli); a tale contrapposizione cercarono di porre rimedio le Nazioni Unite con un lungo tentativo di mediazione condotto dall’inviato speciale Bernardino León.
Letteratura di Monica Ruocco. – Gli scrittori libici, durante il regime di Muammar Gheddafi, sono stati costretti a elaborare strategie di scrittura per evitare qualsiasi conflitto diretto con le autorità, riuscendo comunque a produrre una letteratura apprezzata nel resto del mondo arabo e a livello internazionale. Molti autori hanno scelto l’esilio come alternativa a una situazione interna complicata. La poesia libica ha espresso vari autori, tra cui ῾Āšūr al-Ṭuwaybī (n. 1952), la cui poesia è al contempo legata alla tradizione ma anche innovativa come testimoniano le raccolte Ṣundūq al-ḍaḥakātal-qadīmah (2005, Il baule delle vecchie risate), Fī ma῾rifat al-kā᾽ināt wa al-ašyā᾽ (2010, Sulla conoscenza degli esseri viventi e delle cose); Sālim al-῾Awkalī (n. 1960), noto per le sue poesie d’amore; Layla al-Nayhūm (n. 1961), apprezzata per la sua vena ironica; Ġāzī al-Qiblāwī (Ghazi Gheblawi, n. 1975), autore di poesie e racconti brevi, il qua le vive a Londra dove ha creato il blog culturale Imtidad.
A questi si aggiun ge Khaled Mattawa (n. 1964), emigrato negli Stati Uniti e considerato tra i maggiori autori arabo-americani, il quale ha scritto in inglese le raccolte Zodiac of echoes (2003), Amorisco (2008), Tocqueville (2010). Protagonisti della narrativa libica sono Aḥmad Ibrāhīm al-Faqīh (n. 1942), che ha completato nel 2007 il romanzo storico in dodici volumi Ḫarā᾽iṭ al-rūḥ (Le mappe dell’anima), e Ibrāhīm al-Kūnī (n. 1948), autore di oltre ottanta opere, interprete dell’identità tuareg e cantore del misticismo e della spiritualità del deserto.
Altre voci importanti della narrativa libica sono quelle degli intellettuali imprigionati negli anni Settanta come Ǧum῾ah Buklīb (n. 1952), Manṣūr Būšnāf (n. 1954), il quale ha pubblicato al Cairo il romanzo Sarāb al-layl... al῾alakah (2008, Miraggio notturno... chewing gum) una critica ironica sulla dittatura di Gheddafi che è stata immediatamente vietata dal regime, ῾Umar al-Kiklī (n. 1953), autore di Siǧniyyāt (2012, Le mie prigioni) che raccoglie le memorie degli anni trascorsi in prigione. La generazione successiva vede tra i suoi maggiori esponenti Muḥammad al-Aṣfar (n. 1960), la cui scrittura allegorica è esemplare degli sforzi degli scrittori libici sotto la dittatura, e giovani autori come Razān Na῾īm al-Maġribī (n. 1973), autrice di Nisā᾽ al-rīḥ (2010; trad. it. Le donne del vento arabo, 2011); Muḥammad al-Miṣrātī (n. 1990), il quale si è imposto come interprete principale della L. dopo il 2011 con la raccolta Maršābīdī (2014, Marciapiedi). Hisham Matar (n. 1970), anglofono, esule a Londra, è invece la voce più nota della narrativa libica in inglese con i romanzi In the country of men (2006; trad. it. Nessuno al mondo, 2008), Anatomy of a disappearance (2011; trad. it. Anatomia di una scomparsa, 2011).
Bibliografia: E. Diana, La letteratura della Libia. Dall’epoca coloniale ai nostri giorni, Roma 2008; Libyan stories, ed. A. Fagih, London-New York 2011; E. Diana, ‘Literary springs’ in Libyan literature. Contributions of writers to the country’s emancipation, «Middle East Critique», 2014, 23, 4, pp. 439-51.