LIBIA (A. T., 113-114)
Il nome di Libia, derivato dalla geografia classica (v. appresso), venne dal geografo F. Minutilli rievocato con la sua Bibliografia della Libia (Torino 1903) e applicato alla regione allora costituente il pascialato turco della Tripolitania e Cirenaica. In seguito fu adottato anche ufficialmente dal governo italiano dopo che, con decreto del 5 novembre 1911 la regione stessa fu dichiarata sotto la sua sovranità piena e assoluta (v. italo-turca, guerra). Questa denominazione, entrata quindi anche nell'uso internazionale, vale a indicare le due colonie italiane della Tripolitania e della Cirenaica (poste con r. decr. del 24 giugno 1929 sotto l'autorità di un solo governatore generale), nonché i territorî costieri e interni che alle due colonie sono aggregati (Sirtica, Marmarica, Fezzan) e le varie oasi sahariane che rientrano nei loro confini; onde a esse si rimanda per più ampî ragguagli. Qui ci limiteremo a ricordarne alcuni caratteri fisici ed etnici e le disposizioni amministrative che sono comuni a tutta la regione.
La Libia si estende sulla costa mediterranea dell'Africa da Ras Agedir a O. (11°30′ long. E.), a Maaten er-Ramla nel Golfo di Sollum (es-Sallüm) a E. Lo sviluppo costiero tra i due punti estremi indicati si ragguaglia a. circa 1700 km. Il confine interno a ponente è regolarmente segnato da Ras Agedir sin presso Gadames (accordo franco-turco del 1910) e quindi dal tracciato stabilito dall'accordo franco-italiano del 12 settembre 1919, che dal punto anzidetto passando a O. di Gat, raggiunge i Monti Tummo, mentre il confine orientale, secondo il tracciato dell'accordo 6 dicembre 1925, da Maaten er-Ramla, passando a circa 30 km. a E. di Giarabub, raggiunge il 25° meridiano al parallelo di 29°29′ e segue il meridiano stesso sino all'incontro del 22° parallelo. Tra i Monti Tummo e il punto ora indicato la questione del confine meridionale della Libia, attraverso il Tibesti, resta da definire, non avendo l'Italia riconosciuto il trattato franco-britannico di delimitazione delle rispettive sfere d' influenza. L'area della Libia rimane quindi incerta; per darne una nozione approssimativa si potrà dire che, limitandola provvisoriamente verso S., al 22° parallelo, essa si estende per circa 1.638.000 kmq. Nel suo complesso la Libia si considera far parte della bassa Africa, comprendente la sezione occidentale della fossa libica recinta a NO. dall'altipiano tripolitano, a NE. da quello cirenaico e a S. dal massiccio del Tibesti. A parte gli altipiani anzidetti, noti con la comune designazione di Gebel, di origine sedimentaria ed elevati meno di 900 m., la zona interna è costituita da piani desertici, sui quali si ergono isolati gruppi montani di origine sedimentaria e di età diversa, da rocce cristalline antiche, e da rocce vulcaniche. Le condizioni climatiche della regione interna imprimono alla maggior parte di essa la natura desertica sahariana nelle sue diverse forme (edeien, serir, hammada) intramezzate da ampî solchi vallivi ove si raccolgono le scarse acque meteoriche e affiorano quelle del sottosuolo, costituendo le oasi, assai estese, specie nella regione del Fezzan. Una notevole uniformità si riscontra in tutta la regione libica nei riguardi del clima che nelle zone costiere e nel Gebel è quello dei paesi temperati caldi e semi aridi, e nelle zone interne assume, come si è detto, i caratteri proprî del clima desertico con elevatissima escursione diurna, onde si va dai 45-50° nelle ore meridiane ad alcuni gradi sotto lo zero nella notte. Scarsissima l'umidità e quasi nulla la pioggia che può mancare per varî anni e rovesciarsi poi talvolta in violentissimi acquazzoni. Notevole importanza hanno in tutta la regione la vegetazione spontanea e la vita animale, per le quali si rimanda alle voci regionali.
Così dicasi per la popolazione costituita per la grande maggioranza da elementi berberi più o meno arabizzati, da poche migliaia di negroidi (tebbu) e da discendenti di schiavi negri nelle regioni più meridionali. In complesso, secondo i dati del censimento del 1931 (cifre provvisorie) la Libia aveva 705.187 ab., di cui 540.580 per la Tripolitania e 164.607 per la Cirenaica. Sono compresi nel totale 49.727 bianchi e assimilati (in grandissima maggioranza italiani metropolitani), di cui 30.866 per la Tripolitania e 18.871 per la Cirenaica. (V. tavv. VII-X).
Ordinamento politico-amministrativo. - La Libia è ripartita in due colonie, Tripolitania e Cirenaica, le quali sono rette da un unico governatore, coadiuvato da un vice-governatore nella colonia in cui egli abitualmente non risiede.
Il governatore è il capo delle forze terrestri, marittime e aeree stanziate nel territorio e nelle acque della sua giurisdizione. Egli dipende direttamente ed esclusivamente dal Ministero delle colonie e, secondo le istruzioni di questo, dirige la politica e l'amministrazione della colonia, provvede alla sicurezza, all'ordine pubblico e all'applicazione delle leggi e dei regolamenti. In caso di urgenza ha facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili per la sicurezza della colonia e dichiarare lo stato di pericolo pubblico.
Un segretario generale per ciascuna colonia, alla diretta dipendenza del governatore o del vice-governatore, sovraintende a tutti i servizî civili e politici della colonia, e fa le veci, in assenza, del governatore e del vice-governatore. Corpi consultivi presso i due governi sono: il Consiglio di governo e la Consulta generale.
Il territorio coloniale è diviso in regioni (o zone), in circondarî (o sottozone) e in distretti. A capo di ogni regione sta un commissario regionale, che rappresenta l'autorità politica coloniale, provvede all'esecuzione delle leggi e dei regolamenti e vigila sull'andamento di tutti i servizî della propria giurisdizione. Il delegato circondariale agisce alle dipendenze del commissario, e l'agente distrettuale opera in sottordine del delegato. I commissariati e i circondarî prendono la denominazione di zone o sottozone qualora, per speciali condizioni di sicurezza, la direzione di parte del territorio debba essere transitoriamente affidata alle autorità militari. I limiti territoriali delle regioni sono fissate dal Ministero, quelli dei circondarî e dei distretti dal governatore.
La giustizia civile e penale è amministrata nelle due colonie dalla magistratura ordinaria, all'infuori dei casi previsti dalla legge per la difesa dello stato e delle materie di competenza dei tribunali della Sciaria e rabbinici. I tribunali della Sciaria giudicano delle questioni relative allo stato personale, al diritto di famiglia, al diritto successorio e alle pratiche religiose dei cittadini libici musulmani; i tribunali rabbinici, per i cittadini libici israeliti, hanno le stesse competenze, eccettuato il diritto successorio. Gli organi dell'amministrazione della giustizia sono: a) gli arbitri conciliatori; b) i tribunali civili e penali e i tribunali di commissariato o di zona; c) le Corti d'assise; d) la Corte d'appello (residente a Tripoli); e, per i cittadini libici, i tribunali sciaraitici, il tribunale sciaraitico superiore (residente a Tripoli) e i tribunali rabbinici.
L'ordinamento militare comprende i regi corpi di truppe coloniali della Tripolitania e della Cirenaica, i quali si compongono di truppe nazionali e di truppe indigene. Sono costituite le prime dalle unità delle varie armi e dei varî servizî formati con personale nazionale. È previsto anche l'impiego di unità della M. V. S. N. Le truppe indigene constano delle unità e dei servizi formati da ufficiali, sottufficiali e militari di truppa nazionali, e dei graduati e ascari libici, eritrei, somali, ovvero nativi di regioni oltre il confine delle colonie italiane, reclutati per arruolamento volontario per conto dei governi della Tripolitania e della Cirenaica. Costituiscono poi la forza in congedo: tutti gli ufficiali, sottufficiali e militari di truppa italiani in congedo, che risiedono in ciascuna colonia e i militari indigeni della Libia congedati che abbiano volontariamente accettato l'iscrizione nei ruoli della forza in congedo.
L'ordinamento scolastico comprende: scuole di tipo italiano per la generalità dei cittadini (giardini d'infanzia, scuole elementari, istituti d'istruzione media), scuole di tipo arabo per i cittadini libici di religione musulmana. Vi sono poi a Tripoli una scuola di arti e mestieri per gl'indigeni musulmani e una scuola pratica di agricoltura per cittadini metropolitani e libici.
Finanze. - Sia la Tripolitania, sia la Cirenaica hanno un bilancio proprio, imperniato sui dazî doganali e diritti marittimi, sul reddito dei monopolî e sulle tasse sugli affari. Solo in piccola parte contribuiscono, invece, alle entrate della Colonia i tributi diretti (imposta prediale sui terreni appoderati, decima sui raccolti dei terreni non appoderati, imposta sui redditi derivanti da interessi di capitali e dall'esercizio di industrie, commerci, professioni, ecc., impota sul bestiame, ecc.), applicati in Tripolitania dal 1913 e in Cirenaica dal 1928.
La valuta ufficiale è l'italiana. Le trattazioni commerciali si fanno però anche in lire sterline e franchi francesi; nell'attivo traffico tra la Cirenaica e l'isola di Creta, è spesso usata anche la dracma greca. Oltre che dal Banco di Roma (esistente sia a Tripoli, sia a Bengasi, già prima dell'occupazione italiana), il servizio di banca è esercitato nella colonia dalla Banca d'Italia (cui è affidato anche il servizio di tesoreria), che ha filiali a Tripoli e a Bengasi, e dai Banchi di Napoli e di Sicilia, che hanno filiali solamente a Tripoli. Per la valorizzazione agricola della colonia sono state istituite inoltre, nel 1923, la Cassa di Risparmio per la Tripolitania e, nel 1925, quella per la Cirenaica, che, pur provvedendo alle mansioni normalmente affidate a istituti del genere, dedicano principalmente la loro attività al credito agrario e fondiario.
Culti. - Secondo dati del 1930, la popolazione indigena della Cirenaica conterebbe 139.193 musulmani (sunniti, di rito malikita); secondo dati del 1932 la popolazione indigena legale della Tripolitania, detratti 7750 militari (di cui 6635 musulmani; i rimanenti 1113 in gran prevalenza eritrei cristiani appartenenti alla chiesa etiopica) conterebbe 493.721 musulmani, 21.342 ebrei (in maggioranza raggruppati a Tripoli), 101 di altre religioni. La Chiesa cattolica, che fin dal 1913 aveva istituito il vicariato apostolico di Libia, ha istituito (2 febbraio 1927) i due vicariati apostolici della Cirenaica e della Tripolitania, con residenza rispettivamente a Bengasi e a Tripoli.
Etnografia antica.
La voce Libia deriva dal nome di una delle antiche popolazioni della Cirenaica, che non ci è noto direttamente da fonti indigene, ma soltanto attraverso testimonianze di altre genti (Egiziani, Ebrei, Greci, Cartaginesi) che di quella ebbero conoscenza o vennero con essa a contatto.
In documenti egiziani della fine del 3° millennio a. C., e specialmente del 2° millennio, appare il nome Rbw, Lbw, pronunciato verosimilmente Lebu o Libu, e riferito a un ramo etnico o gruppo di tribù dimorante nelle finitime zone a ovest della vallata del Nilo. Se si tengono presenti i tipi di nomi berberi di popolazioni e di luoghi che si trovano in gran numero in documenti medievali e moderni e diffusi in regioni anche lontanissime fra loro, come tra la Cirenaica e il Marocco, e che quindi debbono risalire a una remota origine, è molto probabile che il termine Lebu nella forma indigena fosse un plurale (Ilibuen) o meglio una composizione con At, Ait o Kel (At Lebu, o Kel Lebu).
Attraverso gli Egiziani o i Fenici conobbero gli Ebrei il nome, che appare nella Genesi (X, 13) nella forma Lehabim, e in scritti della Bibbia più recenti (Croniche, II, 12, 3; 1698; Daniele, II, 43, ecc.) nelle forme Lūbīm e Lubīm. Sono plurali ebraici; a essi fa riscontro il nome Lwbym = Libi, che appare in un'iscrizione neopunica rinvenuta in Tripolitania, e il sing. maschile Lby e il femm. Lbt (pronunciati Libī, Libet, o Lubī, Lubet) che si trovano in iscrizioni puniche della Tunisia. È probabile che tali nomi usati dai Cartaginesi risalissero alle conoscenze geografiche degli antichi Fenici.
Ma coloro che introdussero e largamente diffusero nel mondo culturale mediterraneo l'antico nome della gente cirenaica furono i Greci, che adottarono il termine Λυβύη per indicare la regione e Λίβυες per la popolazione. Conobbero per la prima volta questa o per il tramite degli Egiziani o direttamente e forse prima dell'inizio della colonizzazione dorica del sec. VII a. C. (v. cirenaica), giacché rapporti tra la Cirenaica e il mondo egeo dovevano esistere in epoca assai più remota. Ellenizzando il nome, i Greci dimenticarono la sua origine e formarono miti e leggende per spiegarlo, come quella della donna indigena chiamata Libia, che avrebbe dato il suo nome alla regione. La prima menzione della Libia si trova nell'Odissea (IV, 85), dove essa è descritta come ricca di greggi ed è ricordata accanto ad altri nomi di regioni e popoli d'una certa importanza, come la Fenicia, gli Egiziani, ecc.; dal che sembra potersi dedurre che il termine si riferisse non alla semplice terra dei Lebu, ma con un primo ampliamento del significato del nome, a una zona dell'Africa settentrionale comprendente la Cirenaica e parte della Tripolitania o tutta questa. Ben presto, e cioè nel sec. VI a. C., presso i geografi ionici ai quali accenna Erodoto (II, 16) il nome Libia acquista un significato molto più esteso: si riferisce cioè a tutto il continente africano conosciuto o supposto; e tale senso conserva generalmente presso i Greci, pure discutendosi da alcuni se il confine con l'Asia fosse il Nilo o il Mar Rosso, e pur venendo in qualche periodo e da qualche scrittore applicato a parti singole dell'Africa, come ad es., alla zona settentrionale che poi si chiamò Barberia, o alla provincia romana d'Africa.
Il nome delle genti, Λίβυες, Libii, ebbe dei significati in parte indipendenti da quello della regione. Esso designava già con Erodoto le popolazioni bianche dell'Africa del nord (dette poi berbere), in contrapposto agli Etiopi, cioè ai popoli negri o negroidi del Sahara e del Sudan. Ma presso qualche scrittore greco ha un senso anche più ristretto, riferendosi agl'indigeni che dimoravano nel territorio di dominio diretto di Cartagine, corrispondente presso a poco alla metà settentrionale della Tunisia. In epoca romana entrarono in uso altri nomi (Afri, Africa, ecc.); tuttavia il nome Libya, Libye fu adoperato anche da qualche scrittore latino. Ricordi di esso si trovano in geografi e storici arabi, accanto alle nuove speciali designazioni che largamente si diffusero con la conquista musulmana dell'Africa settentrionale (v. berberi). Anche in Europa, durante il Medioevo e l'epoca moderna, il nome Libia riappare con varietà di applicazioni, come ad es. presso Leone Africano e altri che lo riferiscono al Gran Deserto; finché ai nostri giorni, adottato ufficialmente dall'Italia per indicare Cirenaica e Tripolitania insieme, coincide presso a poco con quella che risulta da Omero.
Per quanto riguarda il nome etnico Libî, Libico, ecc., l'odierno uso scientifico europeo lo riferisce alla popolazione indigena abitante nel periodo antico l'Africa settentrionale; mentre l'altro termine Berberi, diffuso dopo la conquista araba e l'islamizzamento, si adopera propriamente per indicare l'elemento indigeno discendente dagli antichi Libî, cioè non arabo, nel suo periodo medievale e moderno. Taluno però usa quest'ultimo anche per designare i Libî; altri estendono il primo agli odierni Berberi, dando a esso una speciale accezione di originarietà, di conservazione, pure attraverso sovrapposizioni di altre genti e civiltà, di caratteri somatici e di qualità morali. E difatti la storia dell'Africa Settentrionale ci si presenta dai suoi albori fino ai nostri giorni come vicenda di rapporti che si stabiliscono fra la popolazione libica abitante la fascia costiera africana dai confini occidentali dell'Egitto fino all'Atlantico, e una serie di popoli e di civiltà provenienti dall'Europa o dall'Asia, che s'impiantano in quelle vastissime zone e vi svolgono la loro opera: il mescolarsi dell'elemento indigeno con queste genti, le influenze che esso subisce, le sue reazioni, i suoi tentativi talvolta fortunati di fondare, fra una dominazione e l'altra proprî stati indipendenti, il suo conservarsi in parte intatto attraverso tre millennî; tutto ciò costituisce una complessa serie di avvenimenti che, svolgendosi in pieno Mediterraneo, sono del più alto interesse anche politico. Per quanto riguarda la linea generale di tale storia si veda la voce berberi; per notizie più particolareggiate circa singole regioni, periodi, dinastie, si vedano algeria: Antichità libiche; almohàdi; almoràvidi; ḥammaditi; marocco, ecc.
Si espongono qui solo le conclusioni a cui gli studî più recenti hanno portato nel rilevare i caratteri di tali vicende e nel giudicare la parte che la massa indigena nordafricana, occupante quasi tutto l'orlo meridionale del Mediterraneo, ha avuto nella storia di questo bacino che fu culla e centro della civiltà del mondo. A tale riguardo parecchi studiosi hanno pronunziato giudizî del tutto sfavorevoli, come, ad es., Augusto Mu̇ller, che dichiara essere i Berberi una razza per propria indole avversa alla civiltà e incapace di tenere dietro a qualsiasi progresso intellettuale; e Leone Caetani, che li definiva come nomadi, turbolentissimi, ribelli a ogni influenza esterna, avversi a ogni miglioramento della propria condizione morale. Altri storici e geografi hanno esaltato i Berberi, da Ibn Khaldūn che li metteva insieme coi grandi popoli della storia, al geografo tedesco Teobaldo Fischer, che nel suo studio sulle genti mediterranee e sul loro posto nella politica mondiale, pubblicato la prima volta nel 1907, trattava a lungo dei Berberi, descrivendone con simpatia attitudini e fatti e dicendo fra altro che essi hanno avuto una grande importanza politica e culturale nel Medioevo arabo, e del pari ne avranno nell'avvenire. Ma le numerose indagini linguistiche, storiche, etnografiche, compiute nell'ultimo ventennio hanno dato una conoscenza assai più profonda dell'Africa settentrionale, che attraverso una serie di successive stratificazioni di civiltà si presentava come una zona di studio estremamente confusa. È stato possibile anzitutto individuare abbastanza chiaramente, in mezzo alle complesse influenze straniere, una civiltà libico-berbera, con suoi ordinamenti sociali, credenze religiose e magiche, una sua scrittura, modi di costruzione, agricoltura, suppellettile domestica, ecc. Valutando nel loro complesso tali manifestazioni, si vede che se esse non coincidono con quelle dei popoli allo stato di natura, non debbono nemmeno ascriversi completamente alla categoria dei civili: piuttosto fanno parte delle culture che si usa chiamare semicivili. D'altro canto appare chiaro dalla storia nordafricana che nei periodi in cui si formano stati indigeni di una certa entità e si determinano correnti artistiche e letterarie di un certo splendore, si riscontra sempre un innesto di qualche altra civiltà importata nell'Africa settentrionale e che costituisce come il lievito di una superiore forma di vita. Così nel regno di Massinissa, in cui sono evidenti le tracce di civiltà punica e poi romana; in quello di Giuba II, con la capitale Caesarea, ricca di influenze elleniche e romane. La diffusione della grande civiltà latina attrasse nella sua orbita gruppi indigeni e personaggi che, interamente romanizzati, ebbero anche funzioni di stato e alte cariche. Il cristianesimo rifulse di vivo splendore nell'Africa settentrionale ed ebbe grandi teologi, masse di fervidi credenti e martiri insigni, tra i quali moltissimi erano in tutto o in parte di stirpe indigena. Con l'islamizzamento la cultura araba si diffuse nel mondo berbero ed ebbe parte nella formazione di parecchi stati, qualcuno dei quali aveva capi di origine araba e masse di sudditi berberi, altri erano interamente berberi. Una mirabile architettura, scienze sacre e profane furono coltivate da indigeni che nella lingua e nella religione del Corano trovavano impulsi a nuovi sviluppi spirituali. Da una lunga serie di fatti consimili che s'iniziano con la famiglia libica che, trapiantata in suolo egiziano, al principio del primo millennio a. C., ottenne il supremo potere e costituì la XXII dinastia, e arrivano fino ai nostri giorni, si rileva la caratteristica fondamentale delle genti libico-berbere dal punto di vista sociale, cioè la loro incapacità, ove siano abbandonate a sé stesse, di progredire oltre i primi gradini del vivere civile, mentre inquadrate in una civiltà già in pieno sviluppo possono assorbirla completamente, se non definitivamente, e dare splendidi contributi al suo mantenimento e al suo ulteriore progresso, non inferiori a quelli delle stirpi che l'hanno creata. Assai più di parecchie altre razze i Berberi mostrano tendenza a modellarsi su civiltà importate; i risultati della storia trovano conferma, sotto tale riguardo, nell'esame diretto, che possiamo fare ai nostri giorni, di alcuni gruppi e specialmente nell'evoluzione che subiscono degl'individui trapiantati in Europa e avviati ai nostri studî. Anche nel male risentono profondamente le influenze altrui, come si vede paragonando lo splendido periodo romano con quello vandalico e quello delle reggenze barbaresche, durante i quali ultimi le popolazioni nordafricane costiere mostravano sviluppate attitudini piratesche. Per tali caratteristiche è facile rilevare l'importanza del problema che si pone all'Europa: di una massa indigena, cioè, che fece parte un tempo della vita spirituale mediterranea e che attratta poi nell'orbita dell'Oriente potrà tornare alla nostra civiltà, ove le nazioni colonizzatrici sappiano influire sulle sue naturali tendenze ispirandosi ad alti ideali. È singolare che le conclusioni degli studiosi moderni sugli atteggiamenti dei Berberi nei confronti della civiltà si trovino già adombrate in un'operetta dell'abate Antonio De Torres, stampata a Venezia nel 1789 e intitolata Letteratura dei Numidi.
Per la storia politica e culturale della regione, v. cirenaica; italo-turca, guerra; tripolitania.
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