Lingua letteraria utilizzata in Italia nel 16° secolo. Nelle polemiche sull’origine e sul corretto uso della lingua dibattute in Italia a quel tempo, alcuni scrittori (G.G. Trissino, B. Castiglione, il Calmeta ecc.) sostennero, contro gli assertori della fiorentinità o toscanità, che una lingua «illustre» esistesse di fatto e fosse raccomandabile. Sembra sia stato il Calmeta, nome con cui era noto il letterato Vincenzo Colli (Chio 1460 circa - Roma 1508), ad adottare nella sua Volgar poesia, opera perduta, la definizione di lingua cortigiana. Ciò trovava sufficiente appoggio nel fatto che la conversazione e produzione letteraria del tempo avveniva in gran parte nell’ambito dei maggiori e minori principati italiani, era cioè compresa in quella vita di corte che il Cortegiano di B. Castiglione (1528) illustra, raccontando la tipica figura della corte rinascimentale, collaboratore prezioso del principe e ospite della sua casa. Per analoghe ragioni, si chiama comunemente poesia c., quella poesia, prevalentemente lirica, che ebbe effimero successo nelle corti della penisola.