giovanile, linguaggio
Per linguaggio giovanile si intende la varietà di lingua utilizzata nelle relazioni del gruppo dei pari da adolescenti e post-adolescenti, costituita principalmente da particolarità lessicali e fraseologiche (e, in misura minore, morfosintattiche e fonetiche). L’uso di una varietà particolare di lingua si accompagna da una parte a modalità specifiche di esecuzione nella realizzazione delle interazioni verbali (consistenti, ad es., in velocità d’eloquio, trascuratezza nell’articolazione, abbondanza di ellissi), dall’altra a caratteristiche semiotiche e interazionali altrettanto particolari e legate ai modelli condivisi dal gruppo di pari (modo di vestire e di utilizzare forme di adornamento del corpo, quali tatuaggi e piercing, luoghi e modalità di incontro, modi di utilizzo e di esibizione di strumenti di comunicazione, quali cellulari, walkman e poi lettori mp3, ecc.).
Il linguaggio giovanile è una varietà connotata a livello sia diastratico (➔ variazione diastratica) sia diafasico (➔ variazione diafasica; Coveri 1988: 134-141; Sobrero 1990: 98): è, cioè, una varietà caratterizzata dall’appartenenza del parlante a un gruppo sociale specifico (diastratia), il gruppo giovanile o, per essere più precisi, uno specifico gruppo giovanile; e, al tempo stesso, è una varietà legata alla situazione comunicativa (diafasia): si realizza primariamente in una situazione interazionale definita (le conversazioni all’interno del gruppo), su argomenti specifici (temi centrali della condizione giovanile, quali la scuola, l’amore, il sesso, le amicizie, il divertimento, lo ‘sballo’, la velocità sulla strada, ecc.), con parlanti che assumono ruoli specifici nel gruppo.
Tuttavia, gli studi più recenti (ad es., Cortelazzo 2006) hanno rilevato che almeno uno di questi fattori, l’argomento, risulta meno decisivo di quanto si credesse dopo le prime ricerche sul tema: le categorie semantiche rappresentate nel lessico giovanile sono numerosissime, coprono una gamma davvero molto vasta e diversificata di significati e presentano una grande dispersione.
Certamente, condizione essenziale per l’uso del linguaggio giovanile non è solo la posizione anagrafica, ma anche l’appartenenza a un gruppo giovanile, che si realizza nella condivisione, da parte degli appartenenti, dei luoghi di incontro (la scuola, il bar, l’oratorio, il muretto) e delle occasioni di aggregazione e socializzazione (la musica, lo sport, gli hobby). La posizione anagrafica va, al giorno d’oggi, intesa in senso esteso: diversi processi di natura personale (ad es., la cosiddetta sindrome di Peter Pan) e sociale (il sempre più tardo inserimento nel mondo del lavoro e, parallelamente, il sempre più tardo affrancamento dalla famiglia d’origine) rallentano il passaggio dall’età giovanile all’età adulta e il singolo rimane, almeno soggettivamente, nella dimensione giovanile anche quando anagraficamente non può più essere considerato tale.
L’uso di una forma particolare di italiano da parte dei giovani sembra rispondere a tre funzioni (Tempesta 2006: 34): una funzione identitaria, finalizzata a segnare l’appartenenza al gruppo e a delimitare il gruppo verso l’esterno; una funzione ludica, che si realizza attraverso la deformazione e l’ibridazione dei materiali linguistici che entrano a far parte della varietà; una funzione di autoaffermazione, sia nei confronti del gruppo sia al suo interno.
Il linguaggio giovanile è caratterizzato da un’alta variabilità, nello spazio e nel tempo, al punto che in molti casi è più corretto utilizzare la forma plurale linguaggi giovanili.
L’esistenza di una varietà giovanile dell’italiano è un fenomeno piuttosto recente, così come è piuttosto recente l’esistenza dei giovani come categoria isolabile, in quanto ampia e dotata di caratteristiche specifiche. Tracce di parole tipiche dei giovani, in particolare dei giovani studenti, si trovano già a partire dalla prima metà del Novecento (per es., nel Garofano rosso di Elio Vittorini, 1933-1934, i ragazzi degli istituti tecnici vengono denominati con l’epiteto, palesemente denigratorio, di lacedemoni: «Ma non è come prima quando […] andavamo all’assalto dell’Istituto tecnico perché quei lacedemoni dell’Istituto non erano buoni di resistere al richiamo delle campane»); e in Ambrogio & Casalegno (2004) si trovano 24 lemmi la cui prima attestazione è precedente al 1950. Ma è dagli anni ’50 del Novecento che troviamo testimonianze sistematiche di lessico giovanile, in modo tale da permetterci di ipotizzare una storia del linguaggio giovanile (la base è data da Coveri 1988: 234 e Sobrero 1992: 47).
Una prima fase comincia idealmente nel 1954, data di uscita del romanzo umoristico Vitellini di città di Renzo Barbieri, dal quale Lauta (2006) ha raccolto per le prime sistematiche testimonianze di lessico giovanile, e giunge fino al Sessantotto. È un periodo nel quale il linguaggio giovanile sembra un fatto tipicamente milanese, legato al mondo scolastico e ai ceti sociali più alti. Questa fase cessa col 1968. In quell’anno inizia un decennio caratterizzato da una momentanea eclissi del linguaggio giovanile, sovrastato, anche tra i giovani, dal ➔ sinistrese, in quegli anni modello di riferimento degli studenti più attivi. Gli anni successivi al 1977, dominati dal cosiddetto riflusso, dal ritorno al privato, dal «parlare di sé» (Simone 1980), vedono la ripresa della diffusione di forme espressive giovanili, caratterizzate prima di tutto dal rifiuto dei tabu linguistici, che trovano nelle radio private il luogo di espressione e di diffusione.
Gli anni Ottanta sono caratterizzati dal formarsi di gruppi (paninari, punk, dark, mod, heavy metal, ecc.) che tendono a caratterizzare la propria identità attraverso la scelta di precisi stili comunicativi, sia nel vestiario, sia nei luoghi e nelle modalità di incontro del gruppo, sia negli strumenti linguistici: sono questi gli anni nei quali i linguaggi giovanili si rafforzano, si differenziano, iniziano a espandersi dalle grandi città verso le città minori. Gli anni Novanta e, con una spinta propulsiva decisamente minore, il primo decennio del XXI secolo, presentano un processo di generalizzazione del linguaggio giovanile (non più fenomeno prevalentemente urbano e settentrionale, ma diffuso in tutte le realtà giovanili), un’estensione degli ambiti di utilizzo (non più la sola oralità, ma anche le nuove forme di scrittura digitata), un’estensione generazionale, parallela all’estensione della fascia d’età caratterizzabile come giovane, ma anche una polverizzazione dei modelli e delle tendenze.
La caratterizzazione dei periodi ipotizzati è confermata dalla distribuzione dei lemmi di Ambrogio & Casalegno (2004) per anno di prima attestazione: nel periodo iniziale (tra il 1950 e il 1967) contiamo 664 lemmi, che si riducono (anche se consideriamo la media per anno) a 258 tra il 1968 e il 1976. Gli ultimi anni Settanta presentano una veloce ripresa (406 lemmi tra il 1977 e il 1979), per poi mostrare una crescita rapida e progressiva nei decenni successivi: 1993 lemmi tra il 1980 e il 1989; 6293 tra il 1990 e il 1999; 2593 tra il 2000 e il 2004.
All’interno di questa macroperiodizzazione si realizza una capillare microperiodizzazione, in quanto il linguaggio giovanile è caratterizzato da una veloce dinamica, che porta a una continua variabilità e, di converso, al carattere fortemente effimero di molte sue espressioni: il primo gruppo da cui un nuovo gruppo giovanile intende distinguersi, anche grazie allo strumento verbale, è infatti quello immediatamente precedente al proprio per età; ciò comporta che i processi di innovazione sono necessariamente ricorrenti e incessanti.
Il linguaggio giovanile, soprattutto nel suo aspetto lessicale, è costituito da una serie eterogenea di apporti. I più rilevanti sono i seguenti:
(a) una base di italiano colloquiale informale, scherzoso;
(b) uno strato dialettale;
(c) uno strato costituito da inserti di lingue straniere (internazionalismi e pseudoforestierismi);
(d) uno strato costituito da parole tratte da lingue speciali o da gerghi;
(e) uno strato proveniente dalla lingua dei mass-media (televisione, Internet e lingua della pubblicità);
(f) uno strato gergale tradizionale (linguaggio giovanile di lunga durata);
(g) uno strato gergale ‘innovante’ ed effimero.
Il livello di italiano su cui si innesta il linguaggio giovanile è certamente l’italiano colloquiale. Le interazioni linguistiche tra i giovani che favoriscono il ricorso al linguaggio giovanile si situano a livello di parlato informale o di forme di scrittura altrettanto informali come sms, chat, e-mail, ma anche scritte sugli zainetti o sui muri (➔ Internet, lingua di). Il carattere colloquiale del parlato giovanile favorisce la presenza di espressioni informali come essere fuori (di testa), essere nel pallone, di brutto, alè, alla grande! Più in particolare, rinvia all’italiano colloquiale il ricorso frequente a parole formate con il suffisso nominale -aro, che attenua l’originaria connotazione centro-meridionale, e con il suffisso aggettivale -oso. Nomi in -aro provenienti dall’italiano colloquiale e non appartenenti esclusivamente al linguaggio giovanile sono casinaro (che prevale ormai sul più tradizionale casinista), fricchettaro (al Nord più spregiativo di fricchettone), discotecaro, graffitaro, panchinaro, rappettaro, rocchettaro; aggettivi in -oso, anche questi ripresi dalla lingua colloquiale, sono casinoso, cazzoso, cessoso, incazzoso, merdoso, palloso, pizzoso «noioso», sballoso «da sballo, eccezionale, fantastico», sciccoso «elegante». Nel campo dei prefissi si segnalano mega- (megagalattico, megafesta, megadiscoteca) e super- (superinteressante).
Attraverso l’italiano colloquiale rientrano spesso nel linguaggio giovanile parole un tempo appartenenti a questa varietà, le quali, tuttavia, proprio per essere transitate nel linguaggio colloquiale, hanno perso la loro caratterizzazione giovanilistica: beccare «conquistare, trovare», bestiale, cagare, cagata, casino «confusione», ma anche come indicatore generico di «grande quantità», essere fuori (di testa), essere una frana, essere scoppiato, essere una pizza, fottuto, gasato, goduria, imboscarsi, imbranato, sciroppare.
Va riferita al linguaggio colloquiale anche l’alta disponibilità di lessico sessuale e coprolalico che caratterizza l’eloquio giovanile, sia maschile sia femminile.
Anche se la maggior parte dei giovani che ricorrono al linguaggio giovanile è italofona, nel linguaggio giovanile compaiono numerosi ➔ dialettismi, provenienti sia dal dialetto parlato nel territorio in cui è insediato il gruppo giovanile (fungendo da fattore di rinforzo dell’identità di gruppo), sia dal dialetto parlato in altre zone della penisola. Questa doppia appartenenza indica chiaramente che, anche per l’uso di dialettismi, la funzione prevalente è ludico-espressiva: una volta inserito all’interno di un contesto non dialettale, il dialettismo acquisisce comunque una connotazione giovanilistica, tra lo scherzoso, l’espressivo e il gergale (Sobrero 1992: 50).
Si possono individuare alcune costanti semantiche negli apporti dialettali alla lingua dei giovani: è fortemente rappresentata l’area degli insulti (esemplificando dalla ricerca di Marcato 2005, di area veneta, troviamo per «scemo»: mona, insemenìo, tandùo, baùco, tùmbano, sciopà, sempio, ecc.) o comunque delle designazioni denigrative (scoasera «pattumiera» per «molto brutto», marza «marcia», ganso «gancio», marantega «strega», lebio «truogolo» per «molto brutta»); poi, l’area dell’innamoramento (essere ciapà «preso», imbaucà «intontito», infognà «infognato», incocaìo «stordito, frastornato»). Anche le aree semantiche relative all’ubriacarsi, al fare un incidente d’auto, all’andare veloci, al picchiarsi mostrano un buon ricorso a espressioni dialettali.
Oltre alle forme del proprio dialetto, si incontrano forme di altri dialetti importate per vie diverse, ma soprattutto attraverso la televisione e il cinema. Prevalgono, in tutta Italia, parole di provenienza centro-meridionale, irradiate, come del resto succede anche nella lingua comune, da Roma (per fare qualche esempio: arrapare «eccitare sessualmente», bono / bona «ragazzo bello / ragazza bella», bambascione «sciocco», figo (o fico) «bello», frocio «omosessuale», racchia «ragazza brutta», pischello «ragazzino», scamorza «apatico», scorfano «bruttissimo», sgamato «tipo sveglio», sorca «vulva», tosto «tipo in gamba, che ci sa fare», zinne «seno»).
Al polo opposto dei dialettismi si pongono gli apporti dalle lingue straniere. Se il dialettismo vale spesso da segnale di radicamento nel territorio, il forestierismo marca il senso di appartenenza del gruppo a un più vasto universo giovanile, di dimensioni sovranazionali. Si passa da prestiti integrali, soprattutto nell’ambito di culture giovanili specifiche (branding «tatuaggio impresso a fuoco sulla pelle», brown «tipo di eroina», chimicalbrotha «droga chimica», voce dello slang angloamericano, down «depressione susseguente alla fase euforica da assunzione di droga», dreadlocks o dread «tipica acconciatura rasta, ottenuta lasciando crescere i capelli in lunghe ciocche aggrovigliate»), a calchi o adattamenti (sniffo «sniffata», tiro «sniffata di coca» e «coinvolgimento sentimentale», pista «striscia di coca»). Ma è la dimensione ludica a farla da padrona, come quando si sostituiscono parole italiane comuni con facili corrispettivi stranieri (boy per «ragazzo», city per «città», parents per «genitori», chico per «ragazzo» e puta per «ragazza»), oppure quando vengono creati pseudoforestierismi, in genere aggiungendo suffissi o desinenze straniere a parole italiane e presentandoli spesso, nelle fonti scritte, secondo un’approssimativa grafia italiana (arrapescion, colescion, inchiappettescion, inculescion, modulescion, tentacolescion; oppure, imitando lo spagnolo, drugatero «drogato», mutandero «poveraccio», los cinghios «meridionali immigrati nelle metropoli dell’Italia settentrionale», los trucidos, cucador, trombador).
Ben più ridotto il bagaglio lessicale proveniente dalle lingue speciali; incontriamo qualche parola che proviene dal settore medico (farsi una flebo «tirarsi su il morale», ma soprattutto il noto sclerare «impazzire, dare fuori di testa, smaniare», che riprende la radice di sclerosi «alterazione patologica degli organi»), informatico (un bit «un attimo»), scientifico (galattico «fantastico»), sportivo (marcare «corteggiare»). Al contrario, piuttosto ampio è l’apporto dei gerghi tradizionali (spesso mediato, però, dall’italiano colloquiale o dai dialetti): alzare «guadagnare», dritta «informazione giusta», imboscarsi «nascondersi, appartarsi», intappare «vestire», lof(f)io «noioso» (in origine «senza valore»), pul(l)a «polizia, vigili urbani», sacca «tasca», slumare «osservare attentamente una ragazza» (in origine «osservare»), tappato «ben vestito», tògo «buono, valido, in gamba».
Il contributo proveniente dai mass media (televisione, canzoni, pubblicità) si riduce alla diffusione di battute ripetute (i cosiddetti tormentoni) o di slogan, che vengono richiamati, quasi sotto forma di citazioni proverbiali (➔ proverbi), nei più diversi contesti. Pur trattandosi di forme effimere, possiamo citare alcune battute di diversi periodi, da trasmissioni televisive («non capisco ma mi adeguo», «capito mi hai?», «Vaaa beeene, ooocchèi», «Buonaseera», «a me mi pare ’na strunzata») o da pubblicità («du gust is meglio che one!», «E cosa vuoi di più dalla vita? – Un Lucano!», «È nuova? – Lavata con Perlana»).
Accanto a queste componenti non esclusive del linguaggio giovanile, si presenta il nucleo più tipico, dato da parole univocamente caratterizzate come parole dei giovani. Possiamo distinguere due filoni: quello delle parole di lunga durata e quello del lessico innovativo anche se effimero.
Per quanto il linguaggio giovanile sia caratterizzato da un continuo ricambio lessicale, esistono numerose parole di lunga durata, che garantiscono una certa continuità cronologica di una parte almeno del bagaglio terminologico e fraseologico giovanile. Delle parole riscontrate da Lauta (2006) in Renzo Barbieri, sono usate ancora, tra le altre, incavolarsi, salvarsi in corner, carrozzeria, montato, tipo «persona», dare buca, filarino, infognato, partire in quarta. Alcune di queste sono da tempo ben insediate nell’italiano colloquiale, al punto da aver perso ogni connotazione identitaria e da risultare inadeguate al linguaggio giovanile odierno (ad es., incavolarsi); ma altre possono occorrere ancora in scambi dialogici di giovani (ad es., cesso «brutto, detto di persona», cuccare, figo, figata, gaggio o ganzo «tipo in gamba», gasato, imbranato, leccare «arruffianarsi qualcuno», lumare «osservare con desiderio o interesse», pacco «fregatura», pisquano «ragazzetto sciocco», sgamare «riconoscere, scoprire», stangare «bocciare»). Fra le voci ormai stabilizzatesi nel linguaggio giovanile si può citare, in particolare, una lunga serie di iperboli come da dio, favoloso, mitico, stupendo e, anche con antifrasi, atroce, bestiale, mostruoso per «bello, fantastico»; una bomba «cosa eccezionale»; allucinante, micidiale, osceno, pauroso «notevole, eccezionale (sia in senso negativo che in senso positivo)»; pazzesco, da urlo, da paura «eccezionale, da non credersi».
Il nucleo più caratteristico del linguaggio giovanile è però quello innovante: una serie di parole che caratterizzano un gruppo giovanile in un periodo determinato. Proprio per il carattere effimero di questa parte del lessico giovanile, è difficile portare esempi che non soggiacciano a una rapida obsolescenza. È utile, tuttavia, indicare alcune costanti che paiono guidare la continua creazione di parole giovanili innovanti.
Sul piano semantico, entrano in gioco, a volte con accentuazioni particolari, meccanismi consolidati del mutamento lessicale, quali la metafora, la metonimia, l’antonomasia, l’iperbole. In primo piano sta la metafora con una componente, almeno in origine, umoristica; la metafora è utilizzata soprattutto nel campo degli apprezzamenti (autostrada «ragazza piatta», bidet «ragazza molto brutta», bolide «ciccione», cubo «ragazza piccola e grossa», gnomo «persona bassa», lima «persona avara») e si realizza spesso attraverso l’animalizzazione ingiuriosa (ameba e mollusco «pigro», bestia «ragazza alta e grossa», cozza e rospo «ragazza brutta», manzo «tranquillo, con connotazione negativa di passività», tonno «individuo fesso, imbranato»). Metonimie diffuse nel linguaggio giovanile sono i classici ferro «moto, auto», gettonare «telefonare», manico o, dialettalmente, manego «fidanzato», lingua «bacio», penna «ragazza» (voce motivata da passera «organo sessuale femminile»), fino alla creativa osram «uno che si abbronza con la lampada» o al più recente centrino «ragazzo vestito sempre e solo con abiti firmati, con una condizione sociale elevata, proveniente dalla città e che vuole differenziarsi dai ragazzi di paese»; tra le antonomasie si possono citare aladino «persona che ha idee geniali», mandrake «tipo intelligente», maradona «smargiasso», pina «donna molto brutta e dai modi dimessi», dal nome della moglie del personaggio cinematografico Fantozzi; alla lunga serie di iperboli citate tra le voci di lunga durata si possono aggiungere giga «grande» e mega «eccezionale, stupendo».
Sul piano formale, il meccanismo più utilizzato è quello degli scorciamenti, la forma più tipica di deformazione del significante tra le molte utilizzate nel linguaggio giovanile: alter o alterna «alternativo», ami «amico», ampli «amplificatore», arterio «genitore», baga (da bagascia) «ragazza», cell, cellu o cellula «cellulare», chisse «chi se ne frega», liba «libidine», pome «pomeriggio», raga «ragazzo/a», rego «regola», siga «sigaretta», simpa «simpatico», e ancora, con funzioni eufemistico-occultative, realizzate anche con lo spostamento d’accento, stica «’sti cazzi». Più rari gli scorciamenti con cancellazione della parte iniziale delle parole: mella «caramella», sore «professore». La tecnica dello scorciamento è così diffusa che si estende ai nomi propri: nomi (Vale, Seba), cognomi (Cagi per Cagidemetrio), nomi di luogo (Cone per Conegliano, Pity per Pitigliano).
Con continuità si ricorre alle sigle: RDS «rincoglionito dalle seghe», PPC «pronto per crisantemi» per «persona anziana» (analogo al francese PPH «passe pas l’hiver»), CBCR «cresci bene che ripasso», per «ragazza nel fiore dell’adolescenza che fisicamente promette bene», CAU «credeghe ai ufo» («credici agli ufo», in dialetto veneto), OPS «o per (favore) scopami».
Infine, meccanismi di formazione delle parole frequenti nell’italiano colloquiale che costituisce la base del linguaggio giovanile portano alla creazione di forme nuove: aggettivi in -oso come arcobalenoso, balloso, barroso, blobboso, cagoso, calloso, casinoso, cazzimmoso, cazzoso, cessoso, chettaminoso, cocacoloso, comodoso, dangoso, drogoloso, esoso, estroso, fancioso, fangoso, farinoso, ficonioso, figoso, frecconioso, galloso, gayoso, ghignoso, giansugoso, giungommoso, gnagneroso, granoso, invictoso, leccoso, lupposo, mangoso, megasballoso, menoso, metalloso, mostruoso, paccoso, pacioccoso, palloso, patatoso, pentoso, puffoso, quercioso, rabboso, razzoso, robboso, sballoso, scenoso, scialloso, slurposo, stiloso; nomi in -aro, tra cui bombolaro, bullettaro, caccaro, camuffaro, cannonaro, cartolaro, cazzaro, ciàpparo, cilòmaro, collinaro, cozzaro, fughinaro, gelataro, paccaro, paglionaro, palestraro, pezzaro, punkettaro, salinaro, skattinaro; composti con mega come megafugone, megalibidine, megasballoso, megaspinellata.
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