LINGUISTICA (XXI, p. 207)
Nell'ultimo ventennio non sono mancati tentativi di sovvertire l'ordine apparente creato nella grammatica comparata delle lingue indoeuropee dalla precedente generazione di studiosi, talché A. Sommerfelt non ha esitato ad affermare (Norsk Tidsskrift f. Sprowidenskap, XI, 1939, p. 260) che "nous nous trouvons maintenant, dans l'histoire de nos études, devant un changement de doctrine semblable à celui qu'ont vu nos grand-pères entre 1870 et 1880". Per quanto si tratti di tentativi che, accettati in parte, o per lo meno favorevolmente apprezzati, non possono ancor dirsi universalmente riconosciuti, la sola loro impostazione e discussione apre certo un nuovo periodo nella storia della linguistica.
Si tratta specialmente dei lavori del glottologo polacco J. Kuryłowicz (v. in questa App.) e del francese É. Benveniste (v. in questa App.), che investono l'intera fonetica e la formazione delle radici indoeuropee.
Se i linguisti precedenti avevano ammesso una vocale indistinta (ə) ed alcuni anzi due, Kuryłowicz postula tre ə consonantici (ə1, ə2, ə3). Per lui ogni vocale lunga originaria rappresenta una vocale breve + ə (quindi: e + ə1, = ē; e + ə2, = ā; e + ə3, = ō). ə sparisce fra vocali e le vocali subiscono ulteriori contrazioni, mentre fra consonanti sparisce senza lasciare traccia (salvo in greco e forse in armeno). Ogni parola indoeuropea che comincia per vocale ha perduto un ə iniziale il cui carattere può essere determinato dal timbro della vocale medesima. Nelle parole hittite di origine indoeuropea ḫ può rappresentare ə2. Il Kuryłowicz sviluppa queste tesi, ed altre affini, nel suo volume Études indoeuropéennes, Cracovia, 1935. Nello stesso anno il Benveniste pubblica a Parigi il suo libro Origine de la formation des noms en indo-européen che, partendo dalle teorie del Kuryłowicz, giunge a ulteriori sviluppi nella teoria delle radici. È ovvio che applicando i principî del Kuryłowicz e del Benveniste, le radici indoeuropee, quali eravamo soliti ammetterle nella ricostruzione dei neogrammatici (pił per comoditމ di comparazione che come realtމ), mutano completamente di aspetto; un semplice *ed- "mangiare" (ant. ind. ád-mi, gr. ἐδ-μεναι, lat. ed-o, ecc.) diventerà *ə1 ed-, un *oqu̯ "vedere, occhio" (ant. ind. ákši, arm. akn, gr. ὄσσε, alb. sy, lat. oc-ulus, got. augō, lit. akís) diventa *ə3ekw, ecc. Queste sarebbero, per Benveniste, le radici primitive dell'indoeuropeo; gli elementi strutturali che seguono sarebbero tutti degli "allargamenti"; vi sarebbero due specie di temi, i primi con suffisso ridotto e i secondi con suffisso pieno, p. es. gr. Fέργον 〈 *wer-g- e ρέξω 〈 *wr-ég. Una radice può avere solo un suffisso, un tema verbale un suffisso e un allargamento; di due o tre elementi morfologici consecutivi, solo uno può avere il grado pieno e ad una radice non si possono aggiungere due gradi ridotti; d'altro canto il suffisso pieno è possibile solo se la radice non ha il grado ridotto. Le radici di Benveniste divengono tutte, nonostante l'apparente complicazione grafica, più semplici.
Innovazioni di metodo e di principî contro la rigidità e l'assolutezza dei canoni neogrammatici sorsero anche, come si è visto in XXI, p. 212 e specialmente in App. I p. 648 segg., per merito della geografia linguistica.
La neolinguistica di M. Bartoli, che negli ultimi anni egli chiamò, con maggiore esattezza "linguistica spaziale", ha indubbiamente contribuito a valorizzare il fattore spaziale nella distribuzione dei fatti linguistici (e non solo di quelli lessicali, ma anche di quelli fonetici, morfologici, ecc.). Se anche J. Gilliéron e i suoi seguaci alle volte hanno esagerato nel voler tutto spiegare colla disposizione geografica e colle norme areali, è indubbio che il metodo geografico si è ormai universalmente imposto e che l'esempio partito dal territorio neolatino si è diffuso in tutto il mondo. Anche le discussioni teoriche fra "neogrammatici" e "neolinguisti", assai vive in Italia fino a pochi anni fa, si sono ormai sopite, perché i due metodi si completano l'un l'altro, ed è veramente strano che, ormai superate nei paesi di origine, rinascano molto accese negli Stati Uniti (cfr. in Language, 1947-48).
Un nuovo indirizzo della linguistica di questi ultimi anni è quello della "fonologia", promosso dal Circolo linguistico di Praga e specialmente da N. S. Trubetzkoy.
Partendo da alcune considerazioni del De Saussure e di Baudouin de Courtenay sulla differenza fra " suono" e "fonema" (per Baudouin de Courtenay il "fonema" aveva un contenuto psichico), Trubetzkoy e i linguisti del circolo di Praga cominciarono a sistematizzare le loro teorie verso il 1928 e le presentarono al primo Congresso internazionale dei linguisti raccolto all'Aia nella settimana di Pasqua del 1928. Essi partono dalla constatazione che, a parte una quantità infinita di varietà nel sistema fonetico di una lingua, vi sono alcuni elementi più significativi e coscienti nei parlanti, la cui alterazione provoca o può provocare, un mutamento di significato; ogni lingua ha un suo sistema determinato ed ha una serie di opposizioni fonologicamente rilevanti. Per es. l'italiano ha un'opposizione fonetica ben netta fra consonanti brevi e consonanti lunghe (pala : palla), che manca invece nello spagnolo; il latino ha un'opposizione netta fra vocali brevi e vocali lunghe (vĕnit - vēnit), il russo fra consonanti molli e consonanti dure, ecc. L'opposizione fonologica può essere generale o particolare di una data regione; per es. l'opposizione fra é stretta ed e larga è rilevante in Toscana (e di conseguenza nell'italiano letterario), non è rilevante in molte regioni d'Italia (pésca - pèsca). Il fonema quindi viene considerato dai fonologisti non nella sua essenza puramente fonetica, ma nel suo valore semantico; vi sono quindi anche dei fonemi che assumono valore morfologico (morfonemi) per es. in ted. u - ü in Bruder pl. Brüder. Ma le opposizioni fonologiche possono essere non solo unidimensionali, ma anche pluridimensionali. Nel greco, per es., abbiamo opposizioni tridimensionali (π, β, ϕ; τ, δ, ϑ; κ, γ, χ), in alcune lingue caucasiche abbiamo anche opposizioni di quattro, cinque e sei dimensioni. La fonologia, per quanto non abbia ancora una dottrina generale universalmente accettata, si va man mano imponendo come il metodo migliore per la descrizione di un sistema linguistico nella sua parte fonetica; dunque solo come linguistica sincronica, giacché i tentativi di costruire una fonologia diacronica non sembrano, almeno per ora, riusciti.
La fonologia è una "fonetica sincronica" e nello stesso tempo una "fonetica strutturale", in quanto mette in evidenza il sistema, la struttura, di un complesso fonetico. Già De Saussure e E. Sapir avevano parlato rispettivamente di systhèmes e di pattern nelle strutture linguistiche. L'applicazione alla fonetica dell'analisi sincronica e della stabilizzazione di "sistemi", si estese anche alle altre parti della lingua (morfologia, sintassi) facendo sorgere la "linguistica strutturale" che, nata sotto il segno della sincronia desaussuriana, "stabilisce fra gli elementi identificati e unificati tutte le correlazioni costanti, necessarie e quindi costitutive" (Brondal).
La linguistica strutturale, che è sorta dalla scuola danese di V. Brøndal e di L. Hjelmslev, concepisce la lingua nella sua totalità, nella sua unità. È una linguistica sincronica che, prescindendo dallo sviluppo storico della lingua, cerca di stabilire i varî sistemi e i valori funzionali dei singoli elementi di ogni sistema. Mentre Trubetzkoy fa delle concessioni al fattore psicologico, Brondal è persuaso dell'identità del linguaggio e della logica; ma non la logica normativa e tradizionale, sibbene una logica generale e relativa. Sulla base di questi nuovi principî (Langage et logique, in Encyclopédie Française, 1937), ricostruisce ex novo la teoria delle parti del discorso (Ordklasserne, Copenaghen 1928, trad. francese Les parties du discours, ibid. 1948) sostenendo che tutte le parti del discorso possibili, in tutte le lingue del mondo, possono essere definite seguendo quattro concetti fondamentali e generici: l'oggetto e la relazione, la quantità e la qualità che formano due coppie armoniche. Anche nella morfologia, come già nella fonologia del circolo di Praga, sono introdotte le classi unidimensionali (preposizione, nome proprio, avverbio, numerale) e le classi pluridimensionali (nome [formato da oggetto + qualità], verbo [qualità + relazione], pronome [oggetto + quantità nel senso di quadro vuoto] e congiunzione [quadro vuoto + relazione]). Questi principî sono applicabili anche alla sintassi (Morphologie og Syntax, Copenaghen 1932). Si tenta di spiegare i membri possibili della frase con le quattro nozioni applicate nella morfologia, ma siccome il discorso è un'intenzione che tende a un fine, i concetti sintattici sono sottomessi a regole di ordine. Una rivista dedicata alla linguistica strutturale è Acta linguistica, Copenaghen 1939, segg.
Mentre la linguistica strutturale agisce in schemi logici e sublogici di una rigidità quasi matematica e trascura completamente la storia della lingua (che era l'intima essenza della linguistica comparata come scienza), non mancano le interpretaziom sociologiche della lingua sia nella scuola americana (E. Sapir) sia in quella norvegese (A. Sommerfelt) mentre la scuola russa, sorta intorno a N. J. Marr applica le teorie marxiste ai problemi della lingua, senza trovare però fortuna e imitatori fuori dell'Unione Sovietica.