LINGUISTICA
(XXI, p. 207; App. II, II, p. 210; IV, II, p. 344)
Il tratto prevalente dell'ultimo decennio è dato dall'accentuazione della dialettica tra l'approccio di carattere formale (nomologico-deduttivo o theory-oriented) e quello di carattere empirico-descrittivo (induttivo o data-oriented). Al primo fanno capo gli sviluppi collocabili in senso più o meno lato all'interno del filone chomskyano, dove si sono verificate profonde rielaborazioni del modello in auge tra gli anni Sessanta e Settanta (v. grammatica generativa, App. IV, ii, p. 96, e in questa Appendice). Notevole vitalità è stata dimostrata anche da indirizzi divergenti come la grammatica funzionale (GF) e quella relazionale (GR), nella quale confluiscono le due differenti tradizioni di ricerca (tanto cioè quella descrittivista che quella teorica) ma vengono messi da parte i criteri distribuzionalistici propri dello strutturalismo e si ripropone invece la centralità (empirica) della sintassi alla luce di categorie tradizionali come predicato, oggetto e soggetto, intese come relazioni grammaticali primitive senza l'esigenza di postulare un livello di analisi metagrammaticale quale quello rappresentato dalla grammatica universale (GU). Ancora più divaricante l'indirizzo che fa largo ricorso al principio della ''naturalezza'', in senso latamente psicologico (o neurofisiologico) oppure funzionalistico (nel senso che la lingua serve primariamente come strumento di comunicazione e di cognizione) e fortemente determinato quindi da premesse di carattere semiotico, che ha dato origine a correnti vitali come la fonologia naturale e la morfologia naturale.
Nell'ambito quindi di un atteggiamento formale e specialmente in una prospettiva comparatistica generale (tipologica) restano vive le esigenze teoriche di una GU e delle connesse speculazioni sui cosiddetti universali linguistici (ossia ricerca delle invarianti del linguaggio umano in quanto tale e modalità di una susseguente loro constatazione empirica nelle lingue naturali), esigenze necessariamente fondate su un'ipotesi innatistica poiché al contrario della comunicazione, che è un processo riguardante le specie viventi, il linguaggio è attitudine propria ed esclusiva della specie umana e delle sue basi biologiche, donde la sua forma specifica e universale: tale ipotesi è contestata tuttavia già dalle versioni funzionaliste e ancor più dalla tipologia d'orientamento induttivo, che fa spazio invece alla ricerca degli universali (e dei quasi-universali o tendenze) sostanziali in un quadro preteorico certamente più incline al relativismo (la forma delle lingue è condizionata anche da fattori non necessariamente universali, vuoi funzionali − legati alla comunicazione, cioè pragmatici − vuoi culturali).
Su questo terreno la l. tipologica (v. in questa Appendice), a partire dagli anni Sessanta con J.H. Greenberg e nelle più recenti versioni di B. Comrie e altri, ha condotto un vasto lavoro di analisi e di sistematizzazione/classificazione di dati producendo una serie d'importanti acquisizioni specialmente a livello della grammatica generale, per es. in tema di ordine delle parole o degli elementi significativi, della sua distribuzione e del principio costruttivo da esso determinato nelle singole lingue; di definizione di categorie problematiche, specialmente in tradizioni linguistiche estranee a quelle europee, come quella di soggetto; di marcatura dei ruoli sintattico-semantici (sistemi di casi, nominativo-accusativo contro ergativo-assolutivo, ecc.); di generalità e d'incidenza di tratti semantici come l'animatezza (determinatezza) e della loro tendenza a governare vari fatti di morfosintassi e via dicendo. Secondo una concezione ormai largamente penetrata nelle scuole linguistiche la considerazione sincronica dei fatti non è separabile da quella diacronica, per cui sia gli studi teorici (per lo più monolingui) che quelli d'impostazione tipologico-descrittiva consentono acquisizioni non secondarie nella comprensione del meccanismo e delle motivazioni (tuttora assai discusse) del mutamento linguistico. Non si deve dimenticare tra l'altro che proprio da considerazioni tipologiche d'ascendenza sostanzialmente jakobsoniana relative alle strutture e all'economia dei sistemi osservabili (combinate col criterio implicazionale valorizzato invece da Greenberg, criterio che introduce un principio di predittività in queste speculazioni) muove una delle proposte più stimolanti e discusse degli ultimi quindici anni in materia di l. storica e precisamente di indoeuropeo, dove il new look avviato contemporaneamente da T.V. Gamkrelidze-V.V. Ivanov e da P.J. Hopper (1973) comporta una radicale riformulazione di parte della fonologia (che tuttavia lascia intatta la rete di relazioni strutturali e non modifica quindi sostanzialmente le basi ricostruite).
Giudicato infatti tipologicamente impossibile il tradizionale sistema di ostruenti sorde /p, t, ḱ, k, kw/, sonore /(b), d, ǵ, g, gw/ e sonore aspirate /bh, dh, ǵh, gh, gwh/ a causa della mancanza di una serie di sorde aspirate, si propone in suo luogo un sistema arcaico ancora tripartito di glottalizzate /(p'), t', ḱ', k', k'w/ (successivamente passate a sonore), sonore (-aspirate) /b, d, ǵ, g, gw/ e sorde (-aspirate) /p, t, ḱ, k, kw/ (dove l'aspirazione è un tratto foneticamente rilevante ma fonematicamente ridondante), sistema effettivamente ritrovabile nelle lingue del mondo (tra l'altro e non secondariamente in gruppi prossimi all'indoeuropeo storico e spaziale, cosa che ha notevoli implicazioni anche culturali dato appunto il tipo di lingue coinvolte) e non lontano da quello delle componenti tradizionalmente indiziate di rotazione consonantica (Lautverschiebung) ossia germanico, armeno e ittito: donde il rovesciamento dell'impostazione corrente che considera queste aree ''innovative'' rispetto ad altre ''conservative'' (soprattutto l'antico indiano) e la riformulazione (in modo più semplice e diretto) delle note leggi fonetiche di scuola neogrammatica ma soprattutto del modello morfematico del protoindoeuropeo (PIE).
In tema di ricostruzione, anche il dibattito sulla sintassi indoeuropea muove da suggestioni tipologiche, rivendicando alla ''protolingua'' un ordine basico S(oggetto)-O(ggetto)-V(erbo) (costruzione a sinistra), che porrebbe anche in dubbio il reale status di strutture come la proposizione relativa. In quest'ambito godono di rinnovata notorietà anche le vecchie ipotesi che attribuivano all'indoeuropeo una fase preflessionale e una caratterizzazione morfosintattica di tipo ergativo, fondata cioè sulla distinzione delle funzioni del soggetto o come caso assolutivo o come agente vero e proprio (che comporta un paziente/oggetto pure espresso assolutivamente e nel verbo valori di transitività), distinzione poi oscurata nell'indoeuropeo ricostruito in cui si oppone invece nominativo, che marca in modo univoco il soggetto, ad accusativo. È più probabile tuttavia, in base al ventaglio tipologico delle lingue naturali, che si debba ricostruire un sistema misto accusativo-neutro che, ubbidendo a una gerarchia fondamentale di animatezza, marca in parte la funzione di paziente/oggetto e in parte non differenzia morfologicamente le funzioni di soggetto (S), agente (A) e paziente (P), ipotizzandone un'evoluzione successiva nel senso di una generalizzazione dell'oggetto/accusativo per graduale estensione lungo i gradini della gerarchia stessa.
Questo avrebbe rilevanti implicazioni anche per la categoria del genere, in origine marca condizionata grammaticalmente (cioè in base alla funzione) della stessa gerarchia di animatezza poi banalizzata a tratto lessicale non più gerarchico. La discussione sui sistemi tipologici muove dalle proposte di F. Antinucci (1977) e soprattutto dalla definizione di inaccusativo di D.M. Perlmutter (1978) ribattezzata poi senz'altro come ergativo da L. Burzio (1986), che in sostanza parte dalla necessità di distinguere due classi di verbi intransitivi in relazione a distinti comportamenti morfosintattici (in italiano, per es., la scelta dell'ausiliare: è partito- ergativo − contro ha telefonato- non ergativo −; le regole di accordo, ecc.). Per quanto riguarda invece più propriamente la considerazione dei vari livelli di analisi (fonologia, morfologia, sintassi) i notevoli apporti constatabili un po' dappertutto ne configurano una distinzione (autonomizzazione) piuttosto accentuata. Così nel settore della fonologia si è sviluppata una notevole varietà di indirizzi specialmente all'interno del filone generativo naturale (fonologia metrica, autosegmentale, ecc.).
Nell'ambito di una concezione modulare, seppure dinamica, della grammatica è stato riproposto anche (soprattutto da W.U. Dressler, 1985) un componente autonomo o relativamente tale di carattere morfofonologico (livello che descrive la struttura fonologica dei morfemi e le modificazioni da essa subite per condizionamento grammaticale), e molti contributi su questa linea esplicativa dominata da fattori semiotici (iconicità, ecc.) riguardano anche la morfologia, dove però s'è registrata una notevole ripresa all'interno del generativismo classico che ne ha riproposto la centralità e comunque l'autonomia rispetto alla sintassi nel modello lessicalista derivato da M. Halle e soprattutto da M. Aronoff (1976), che nell'ambito della teoria standard estesa propone infatti una forma specifica del componente lessicale (sottocomponente della base) articolata in un livello di rappresentazione (lessico vero e proprio o dizionario) e in un insieme di regole (di formazione di parola, flessive e di riaggiustamento) le cui uscite sono inserite nelle strutture profonde generate dalle regole di struttura sintagmatica. Tali regole hanno uno status formale esplicito (cioè distinto da quello della sintassi o della fonologia) in base ai parametri delle unità su cui agiscono (le ''parole''), del luogo in cui operano (il componente lessicale) e delle restrizioni specifiche cui esse sono soggette.
Se questo modello ha mostrato buone capacità di funzionamento sul piano lessicale vero e proprio, tradizionalmente detto della formazione delle parole (o ampliamento del lessico tramite i processi interni − grammaticali − di derivazione e di composizione: diverso quindi dall'apporto esterno − in principio extragrammaticale, almeno fino al processo d'integrazione − del prestito dovuto a contatto), più problematico appare il tentativo di fissare un quadro generale e organico di spiegazione che comprenda tanto il lessico che la grammatica (morfologia flessiva) così come resta aperta la questione delle relazioni formali di significato tra base e derivati, che è uno dei vari problemi irrisolti della semantica. Per di più le ultime speculazioni hanno prodotto un'inversione di tendenza a questo riguardo, recuperando le teorie lessicaliste all'interno della sintassi e negando perciò l'esistenza nella grammatica di un comportamento morfologico autonomo.
Occorre infine ripetere che i progressi e le acquisizioni d'ambito teorico sono stati fecondamente contrappuntati da altrettanti risultati nei settori più propriamente descrittivistici e soprattutto in quelli che si occupano più da vicino dei fattori di contatto storico e culturale (convergenza) e di diffusione/stratificazione/variazione geografica e sociale (dialettologia e sociolinguistica), anche qui non senza implicazioni diacroniche. Concetti come creolo e pidgin, pur da lungo tempo familiari ai linguisti, sono stati quindi ricollocati in una prospettiva generale e non semplicemente esotica, che ne ha illuminato le affinità e le diversità con fenomeni storici di ottica tradizionalmente europea (gli Sprachbünde o leghe linguistiche), rivitalizzato la discussione su questioni pure tradizionali, come quella del sostrato, introdotto importanti ipotesi teoriche come quella d'interlanguage (v. interlinguistica, in questa Appendice), approfondito infine gli eventi fondamentali della ''nascita'' e della ''morte'' delle lingue con le rispettive implicazioni di carattere generale.
Bibl.: P.J. Hopper, Glottalized and murmured occlusions in Indoeuropean, in Glossa, 7/2 (1973), pp. 141-66; M. Aronoff, Word formation in generative grammar, Cambridge (Mass.) 1976; F. Antinucci, Fondamenti di una teoria tipologica del linguaggio, Bologna 1977; D.M. Perlmutter, Impersonal passives and the unaccusative hypothesis, Berkeley 1978; B. Comrie, Language universals and linguistic typology. Syntax and morphology, Oxford 1981 (trad. it., Bologna 1983); C. Hagège, La structure des langues, Parigi 1982; F. Villar, Ergatividad, acusatividad y género en la familia lingüística indoeuropea, Salamanca 1983; W.U. Dressler, Morphonology: the dynamics of derivation, Ann Arbor 1985; L. Burzio, Italian syntax, Dordrecht 1986; H. Hock, Principles of historical linguistics, Berlino-New York-Amsterdam 1986; R. Jakobson, L.R. Waugh, The sound shape of language, ivi 1987; Tipologie della convergenza linguistica, a cura di V. Orioles, Pisa 1988; P. Benedini, L'individuazione del soggetto: un contributo alla teoria della sintassi, Padova 1988; T.V. Gamkrelidze, V.V. Ivanov, Indo-European and the Indo-Europeans, Berlino-New York-Amsterdam 1989; S. Scalise, Morfologia e lessico, Bologna 1990.