LISSA (A. T., 24-25-26)
È l'isola più esterna dell'arcipelago meridionale dalmata, detta in slavo Vis. Di forma compatta, ha una lunghezza di 17 km., una larghezza di 7 km. e una superficie di kmq. 89,9. S'innalza fino a m. 585 (Monte Om), sul versante occidentale, dove s'innestano le sue brevi dorsali di calcare cretacico. È separata col canale di Lissa dalle Isole Spalmadori e da Lesina, mentre da essa dipendono a occidente le isolette di Busi e di S. Andrea. La costa settentrionale racchiude un ristretto ma profondo golfo, in fondo al quale giace la città di Lissa; a ovest s'inarca l'ampio vallone di Comisa, e una serie di scogli accompagna l'uniforme alta costa orientale.
Il clima nettamente mediterraneo e la scarsità delle piogge (meno di 800 mm. annui) favoriscono la flora mediterranea con la tipica macchia (Pinus halepensis, carrubo, palme da dattero, ecc.). L'area boschiva supera il 50% della superficie, sul lato occidentale, e il 40% in quello orientale. Scarse sono invece le zone a colture erbacee (meno del 5%) ma estese quelle a vigneto (40% dell'area totale) che producono rossi vini da taglio; numerosi sono gli olivi, i mandorli, i carrubi, i fichi e i crisantemi lungo la costa meridionale, detta "la Campagna". Senza bovini, senza pecore, o quasi, l'isola di Lissa ha solo poche capre, e le sue risorse sono date soprattutto dalla pesca delle sardine, che vengono preparate in scatola.
La maggioranza della popolazione è costituita da Croati. Nel censimento del 1890 gl'Italiani risultavano 3292. Sotto l'impero austro-ungarico Lissa dipendeva dal capitanato di Lesina; oggi con questa fa parte del Banato del Primorje (Litorale) del regno di Iugoslavia, ed è divisa amministrativamente in due comuni con una popolazione di 10.107 ab. (1931). Il paese di Lissa conta 4079 ab.; è circondato dalle rovine di varî forti inglesi e austriaci e contiene resti di terme romane e palazzi dell'epoca veneziana. Nel cimitero v'è il noto Leone di Lissa, monumento ai caduti nella battaglia navale del 1866. Il paese di Comisa, nel vallone a ovest dell'isola con 3436 ab., è il centro a cui fanno approdo i piroscafi postali, unito da una carrozzabile a Lissa, attraverso le fertili campagne della costa meridionale.
Storia. - Lissa ("Ισσα; Issa) apparteneva nell'antichità alla Liburnia. I Siracusani, al tempo di Dionisio il Vecchio, vi fondarono verso il 385 a. C. una colonia. Nello stesso tempo all'incirca gl'Issei inviarono una colonia nella vicina Curzola che sembra avesse già ricevuto poco tempo prima una colonia degli Cnidî. Dopo la caduta dell'impero siracusano, Issa, guadagnata l'indipendenza, rimase una fiorente repubblica e fu alla testa di un piccolo dominio costituito sulla terraferma da Epezio, presso Spalato, e da Tragunum (Traù), anch'esse d'origine siracusana. Ignoriamo invece quanto durasse il suo dominio su Curzola, che al tempo del re illirico Agrone (morto nel 231) si era già resa autonoma. In quest'epoca si avvicinò a Roma, di cui invocò l'alleanza e la protezione, occasionando così il primo intervento romano in Illiria e in Grecia. Fedele alleata dei Romani, fu una loro scolta avanzata e una base notevole contro la costa orientale dell'Adriatico. Roma la rimunerò con la libertà, e, debellato il re illirico Genzio (v.), con l'immunità. Fu anche tra le prime comunità dell'impero a ottenere la cittadinanza romana, possedendola già al tempo di Vespasiano.
Dopo Roma la tenne Bisanzio, quindi l'Ungheria e Venezia. I Veneziani ne fecero un punto di rifornimento e di difesa contro i Narentani; durante le guerre napoleoniche passò successivamente in mano dei Russi, Francesi e Inglesi, che vi riportarono sui Francesi una piccola vittoria (13 marzo 1811) e vi si stabilirono fino al 1815, quando vi s'insediò l'Austria, cui subentrò la Iugoslavia.
Bibl.: Ed. Brunšmid, Die Inschriften und Münzen der griechischen Städte Dalmatiens, in Abhandlungen des archäol.-epigr. Seminars der Universität Wien, XIII, 1898, p. iii e 20 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, 1, Torino 1916, pp. 295-296; G. Dittenberger, Sylloge inscr. graec., 3ª ed., p. 141; Stanich, Studi storico-critici sopra l'isola e l'antica città di Lissa (Issa), in Archivio storico per la Dalmazia, I (1926), fasc. 1, p. 25; 2, p. 37 segg.; J. Beloch, Griech. Gesch., 2ª ed., III, 1, Berlino 1922, p. 118; ii, ivi 1923. p. 192; P. Pervanoglù, in Archeografo Triestino, IX (1883), p. 357; XI (1885), p. 344; XIV (1888), p. 426; V. Brunelli, Le più antiche tradizioni e colonie greche sulla costa orientale dell'Adriatico, in Palestra, I, nn. 1 e 2, Zara 1878.
Battaglie navali.- Per la sua posizione nell'Adriatico, Lissa fu frequentemente teatro di scontri e di battaglie navali, dall'età medievale ai tempi moderni. Ma, tra i più notevoli combattimenti, due specialmente meritano di essere ricordati: l'uno tra navi della marina italica e della marina inglese durante l'età napoleonica; l'altro tra la marina italiana e quella austriaca durante la terza guerra dell'indipendenza.
La marina italica tentava di contrastare il dominio dell'Adriatico agli Inglesi, i quali avevano occupato Lissa e ne avevano fatto una piccola base navale. Napoleone nel 1810 aveva inviato nell'Adriatico una piccola squadra francese, composta di tre fregate, perché, unita a due fregate e a una corvetta del regno d'Italia, ricuperasse l'isola, e a questo scopo aveva fatto imbarcare ad Ancona un reggimento di fanteria agli ordini del piemontese A. Giflenga. Comandava la spedizione il francese B. du Bourdieu, buon marinaio, che mosse da Ancona nel marzo 1811 diretto a Lissa. Gl'Inglesi uscirono con tutte le loro forze, consistenti in tre fregate e una corvetta, agli ordini del contrammiraglio sir W. Hoste, dal porto principale dell'isola, S. Giorgio, per impedire lo sbarco: si venne così a una sanguinosa e accanita battaglia nella quale lasciò la vita il DuBourdieu, la cui fregata, avanzatasi imprudentemente, fu circondata e cannoneggiata a tiro corto. Gl'Italiani si batterono disperatamente, e il capitano Pasqualigo, comandante della fregata Corona, si segnalò per la onoratissima resistenza opposta a due fregate nemiche, finché, perduti due terzi dell'equipaggio e rese inservibili quasi tutte le artiglierie, fu costretto ad arrendersi. La vittoria costò molto cara agl'Inglesi e la marina italica fu, quantunque vinta, onorata e celebrata.
L'altra battaglia di Lissa, il cui risultato pesò poi fino alla guerra mondiale sulla marina del regno d'Italia, fu combattuta il 19 luglio 1866.
La forte e potente squadra italiana, che fino dagl'inizî della guerra italo-austriaca era rimasta inoperosa ad Ancona, salvo una breve, sterile crociera in Adriatico, si mosse da quel porto, per espresso ordine del governo al titubante ammiraglio C. Persano, quando, dopo la grande vittoria dei Prussiani a Sadowa, parve necessario che la marina "facesse qualche cosa" e non rimanesse inattiva. Ma il Persano, precocemente invecchiato e assai poco stimato dai marinai italiani, si mosse a malincuore, e scelse come obiettivo l'isola di Lissa, molto fortificata, senza preoccuparsi di un possibile intervento dell'armata nemica, che l'ammiraglio W. von Tegetthoff teneva in pieno assetto nel porto di Pola.
Le corazzate italiane il mattino del 18 luglio iniziarono il bombardamento dei forti e delle batterie San Giorgio, Carobert, Porto Manego, Magnaremi, con scarso risultato, data l'altezza delle batterie; solo il forte San Giorgio, per effetto dei tiri della Formidabile (comandante S. di Saint-Bon) subì notevoli danni. L'operazione fu interrotta verso sera e ripresa il mattino successivo; ma il nemico, informato telegraficamente (perché il cavo telegrafico era stato tagliato troppo tardi), mosse con tutte le sue forze contro l'armata italiana, la quale, interrotte le operazioni di sbarco già iniziate, le venne frettolosamente incontro in linea di fila, mentre il nemico si avanzava con formazione ad angolo, avendo in testa la nave ammiraglia. Una grave interruzione nella formazione italiana fu determinata dalla deliberazione del Persano di abbandonare la nave ammiraglia Re d'Italia per imbarcarsi sulla corazzata a torri l'Affondatore, più protetta; e, cosa ancor più grave, senza segnalare all'armata questo suo trasbordo, sicché praticamente le navi d'Italia rimasero senza il loro capo supremo.
Il combattimento che seguì fu quindi molto disordinato e slegato da parte italiana. L'ammiraglio nemico, penetrando nel varco aperto fra la Re d'Italia e la corazzata poppiera (Palestro), attaccò queste due navi col cannone, e poi con lo sprone. La Palestro fu dopo pochi colpi in gravi condizioni per un incendio sviluppatosi a bordo, e la Re d'Italia con avarie al timone non poté sfuggire al colpo di sperone che l'ammiraglia austriaca (Ferdinand Max) gl'inferse, quando la scorse immobilizzata. La Re d'Italia rapidamente affondò col fianco squarciato. Il suo comandante E. Faà di Bruno restò fino all'ultimo sul ponte di comando e perì tra i flutti (è da escludersi che si uccidesse con un colpo di pistola). La Palestro uscì di formazione per tentare di spegnere l'incendio, ma poco dopo saltò in aria. È pura leggenda che il suo comandante, Alfredo Cappellini di Livorno, valoroso ufficiale, rifiutasse di salvare sé e il suo equipaggio e offrisse la vita sua e dei suoi in inutile sacrificio.
Gli Austriaci non uscirono immuni da questo scontro; la seconda divisione austriaca (Petz) subì gravi danni a opera della Re di Portogallo (com. A. Riboty) e la sua nave ammiraglia Kaiser con incendio a bordo e danni notevoli dovette allontanarsi dal campo di battaglia, tentando di cercare salvezza nel porto San Giorgio. Mentre le navi italiane si riordinavano, il Persano faceva conoscere la sua presenza sull'Affondatore, e la squadra dei legni a vela manovrava per venire a tiro; il Tegetthoff, riunite le sue forze, si ritirava verso Pola, senza essere inseguito, se non tardissimo e inutilmente, dalle forze italiane male riunite.
L'effetto morale di questo combattimento nel quale, se il valore individuale degli ufficiali e dei marinari è fuori di discussione, mancò la previdenza, lo spirito d'iniziativa, l'energia del comando, fu immenso. E il processo intentato al Persano dinnanzi all'Alta Corte (poiché egli era senatore del regno) accrebbe lo scandalo, perché nelle accuse, nelle difese, nelle testimonianze, talune delle quali acerbissime, si perdette il senso della misura e si mostrò che la fusione morale delle varie marine italiane (sarda e napoletana, specialmente) non era ancora compiuta.
Bibl.: Österr. Kämpfe im Jahre 1866, V. Der Kampf auf dem Adriatischen Meere, Vienna 1869; C. Persano, Diario privato, 4ª ed., Torino 1880; Il processo dell'amm. Persano, a cura di A. Lumbroso, Roma 1905; D. Guerrini, Come ci avviammo a Lissa, Torino 1907; id., Come arrivammo a Lissa, ivi 1908.