ODESCALCHI, Livio
ODESCALCHI, Livio. – Nacque a Como il 10 marzo 1658, unico figlio maschio di Carlo e della marchesa Beatrice Cusani.
Nel 1670, alla morte del padre, fu assegnato alla tutela legale dello zio, il cardinale Benedetto Odescalchi. Nel dicembre 1674 abbandonò la Lombardia per Roma, dove completò la sua educazione sotto il rigido controllo del cardinale. Questi, elevato al soglio pontificio nel 1676 con il nome di Innocenzo XI, cedette al nipote il suo patrimonio privato e lo coadiuvò nell’acquisto del feudo di Ceri (1678), assunto per l’occasione a ducato, ma in compenso interruppe con decisione il tradizionale nepotismo dei papi e non gli conferì la carica di ‘cardinal nepote’.
L’inedita situazione determinò le successive scelte personali, culturali e politiche del patrizio, che cercò di armonizzare la ‘ri-fondazione’ romana del casato, le sue radici lombarde e l’impegno politico internazionale, favorito anche dal matrimonio della sorella Giovanna con Carlo Borromeo Arese (1677) che lo inserì all’interno della più alta aristocrazia lombarda. Poi la vittoria (12 settembre 1683) della Lega Santa contro i Turchi di Kara Mustafà che avevano cinto d’assedio Vienna diffuse in Europa l’idea di Innocenzo XI, e di riflesso degli Odescalchi, come nuovi campioni del cattolicesimo.
Durante il pontificato dello zio, Odescalchi non ebbe alcun potere istituzionale; tuttavia la corrispondenza che tenne con buona parte dell’aristocrazia italiana e straniera e con molti rappresentanti delle lettere e delle scienze – da Marcello Malpighi, a Luigi Ferdimando Marsili, a Sebastiano Resta – mostra un raggio di influenza vasto, discreto quanto efficace. Il suo cursus honorum ebbe inizio alla morte di Innocenzo XI (1689). Il collegio dei cardinali lo nominò generale di S. Chiesa (23 agosto 1689) e Leopoldo I, in premio della sua fedeltà alla politica asburgica, lo fece principe del Sacro Romano Impero (29 agosto 1689) e, nel 1697, gli attribuì il ducato di Sirmio e di Sava, estentendo il privilegio a fregiarsi del titolo di Altezza Serenissima, principe dell’Impero, anche agli eredi. Il 5 aprile 1698, in seguito alla morte di Flavio Orsini, fu nominato duca di Bracciano. Infine Carlo III lo insignì dell’ordine del Toson d’Oro (1713) che gli fu conferito dal cognato, Carlo Borromeo Arese, già viceré di Napoli. In ambito politico l’impresa più ambiziosa tentata da Odescalchi fu la candidatura al trono elettivo di Polonia (1697) come successore di Giovanni III Sobieski, ma, anche a causa dell’ostilità di Luigi XIV, gli fu preferito il principe elettore di Sassonia Augusto II il Forte. I legami con la Polonia comunque perdurarono e dal 1699 al 1702 egli accolse nel suo palazzo romano la regina Maria Casimira Sobieski, vedova di Giovanni III.
Parallelamente alle onorificenze, si succedettero anche gli investimenti patrimoniali: prima il feudo e il castello di Palo (1693), poi il castello di Bracciano (1696) e l’acquisto delle paludi pontine (1701), del cui prosciugamento Odescalchi incaricò l’ingegnere olandese Cornelio Meyer. Se la gestione delle aspirazioni politiche non fu sempre condotta in modo positivo, in ambito economico riuscì a importare nel sistema spesso arretrato del latifondo romano metodi più aggiornati di gestione dei capitali, secondo una concezione già moderna che perseguiva lo scopo di trasferire attività e procedimenti redditizi da un’area all’altra: dal nord al sud dell’Italia, ma anche verso l’Europa centro-orientale. L’incarico affidato nel 1698 a Carlo Buratti per la realizzazione dell’acquedotto di Bracciano va inserito in tale contesto: la promozione di questa opera pubblica fu infatti funzionale alla costruzione di una cartiera, di forge e di mulini. Inoltre, appena divenuto duca delle terre ungheresi del Sirmio, dove per altro non si recò mai, Odescalchi fece verificare, tramite l’abate Giovanni Bonini, la possibilità di introdurre nel nuovo feudo la coltivazione del baco da seta.
Come per tutti i casati aristocratici in epoca di Ancien Régime il circuito delle relazioni garantiva il trasporto efficiente di materiali e tecnologie, ma in questo ambito Odescalchi fu favorito da alcuni fattori specifici come la bipolarità geografica che stava assumendo il suo casato e soprattutto il fatto di poter usufruire di due diversi e complementari sistemi di réseau: quello gentilizio e quello della Chiesa. Così, se gli Erba, i della Porta o i Rezzonico si occuparono spesso per suo conto delle trattative più delicate, molti ecclesiatici – nunzi apostolici, semplici prelati o membri della compagnia di Gesù – furono suoi prudenti e fidati informatori per ogni sorta di questioni.
In politica, come nella conduzione degli affari economici e perfino nella sua attività di collezionista i metodi adottati da Odescalchi furono spesso spregiudicati. Per esempio, nel 1689, il cardinal César d’Estrées raccontò a Luigi XIV che Odescalchi aveva compiuto un tentativo, fallito solo per caso, di prelevare nottetempo la celebre scultura antica del Galata morente dalla vigna Ludovisi per far pressione in vista di un possibile acquisto del principato di Piombino (Montaiglon, 1893, p. 425). Nel 1699, desiderando essere nominato ambasciatore cesareo, ordinò al suo agente di Vienna di «regalare a tale effetto fino a ventimila fiorini» (Ago, 1990, p. 132). Ancora fece importare a Bracciano una macchina per fabbricare la carta, ma di nascosto e smontata per non pagare le imposte di dazio (Pizzo, 2001, p. 214).
Grazie agli utili delle attività finanziarie di famiglia e alle occasioni di investimento favorite dal regno di Innocenzo XI, gestì con successo la duratura scalata economica del lignaggio, tuttavia il suo apporto alla fama del casato si misura oggi soprattutto negli interessi personali che lo portarono a un’infaticabile attività culturale: nell’arte, ma anche nella musica.
Il mos nobilium aveva reso il collezionismo una forma di affermazione sociale, ma fin dalla giovinezza Odescalchi ne fece anche un mezzo per affermare la propria autonomia culturale, e quindi personale e politica, rispetto al moralismo della curia romana. Costituì il caso esemplare di un aristocratico non solo amante dell’arte, ma dilettante e con buone conoscenze tecniche sia nel disegno sia nella pittura. Non ancora maggiorenne, venne accompagnato nella sua ricognizione delle botteghe d’arte di Roma da Giovanni Andrea Borboni, l’autore del Delle Statue che, insieme con Francesco Maria Della Porta, lo consigliò nei suoi primi passi di collezionista. Jacob Ferdinand Voet (il celebre ritrattista, che proprio Innocenzo XI avrebbe fatto esiliare da Roma per la sua pittura troppo galante) fu uno dei primi pittori protetti da Odescalchi; tra gli artisti ‘famigli’ alcuni furono romani solo d’adozione, come il fiammingo François Monnaville o il francese Pierre Étienne Monnot. Alla collaborazione tra Monnot e Carlo Maratta si deve il monumento funebre fatto realizzare da Odescalchi per Innocenzo XI in S. Pietro. La politica di prestigio in patria costituì uno degli impegni inderogabili del principe, elemento di costruzione e consolidamento della sua auctoritas. Completò i cantieri che si erano sviluppati per iniziativa del padre e dello zio, utilizzando maestranze lombarde, collaudate e fidate, ma cercando nello stesso tempo di introdurre forme e tecniche più aggiornate del barocco romano. La realizzazione della cappella di famiglia nella chiesa domenicana di S. Giovanni Pedemonte a Como costituì l’iniziativa di maggiore prestigio pubblico. A Milano, tra gli artisti in contatto diretto con Odescalchi, si contavano Cesare Fiori, Evangelista Martinotti, Giacomo Frisia, ma anche Andrea Pozzo. L’acquisto delle famosissime raccolte di Cristina di Svezia coronò l’attività di collezionista di Odescalchi che, superando buona parte dei sovrani europei e lo stesso Luigi XIV, offrì al suo lignaggio il lustro di una collezione di livello reale (1692). Tuttavia il suo gusto privato, costante nel tempo, sembrò indirizzarsi soprattutto verso le arti grafiche e il paesaggio da Gaspard Dughet a Crescenzio Onofri, alle opere di Salvator Rosa.
In ambito musicale mantenne al suo servizio compositori e strumentisti: dal celebre liutista Lelio Colista, di cui fu anche allievo, al violinista Francesco Bartolini a Caterina Lelli, detta la ‘cantarina’. Se patrocinò cantate e sonate, cercò soprattutto di sostenere, tramite lo sviluppo di un oratorio con forti connotazioni ideologiche, prima la Lega Santa e poi la politica imperiale, e questo anche in opposizione alle idee filoborboniche di Clemente XI. Benché la sua attività non sia paragonabile a quella promossa dai cardinali Pamphili e Ottoboni, viene collocato tra i musicofili d’alto rango del tempo.
In campo letterario, succedendo a Cristina di Svezia, offrì la sua protezione all’Accademia degli Arcadi, di cui fece parte con il nome di Aquilio Naviano (10 aprile 1692), e, al momento della scissione dell’istituzione (1711), protesse l’Arcadia Nuova, di cui fu eletto custode generale.
Resta più difficile stabilire con precisione la sua posizione nell’ambito del dibattito scientifico, all’epoca particolarmente teso. I documenti del casato consentono tuttavia di affermare che, tra le sue occupazioni, vi fosse la ricerca teorica, ma anche una attività sperimentale che non si limitava a un superficiale interesse alchemico-astrologico. L’ars collectandi toccò anche il collezionismo scientifico e commissionò molti strumenti ottici al celebre Eustachio Divini.
Per diffondere la propria immagine culturale, che fu di fatto il veicolo delle sue aspirazioni politiche, si servì spesso di stampe allegoriche con la sua effigie: quella giovanile, incisa da Pietro Aquila e Albert Clouwet e derivata dal ritratto di Voet oggi a Baltimora, e quella più tarda, realizzata da Carl Gustav von Amling nel 1702, sono le più celebri. Emulando personaggi di ben altro tenore, dalla stessa Cristina di Svezia a Luigi XIV, fece anche elaborare da alcuni dei più valenti medaglisti dell’epoca, come Giovanni Hamerani o Ferdinand de Saint-Urbain, una ‘storia metallica’ destinata a sostenere e diffondere le proprie rivendicazioni e i propri successi.
Le fonti del tempo considerarono espressione di pietas il suo mecenatismo nell’ambito della architettura religiosa, di cui sono esempi l’edificazione della chiesa di S. Galla (oggi distrutta) a Roma o il legato lasciato nel testamento per la costruzione di una basilica in onore di s. Giuseppe a Bracciano e per completare la cappella di S. Antonio nella basilica dei Ss. Apostoli.
Mori a Roma, nel palazzo di piazza Ss. Apostoli, l’8 settembre 1713.
Una sorta di costante, e ricercata analogia, sembra collegare Odescalchi alle vicende di un altro personaggio che non si preoccupò di avere una vita dissonante rispetto ai rigidi spartiti del tempo: Cristina di Svezia. Come la regina, che aveva abdicato rinunciando al suo trono, egli gestì una posizione sociale anomala: senza titolo cardinalizio, celibe e senza eredi diretti, fece del patrocinio delle arti una forma di altissima affermazione personale. Ben lontano dai luoghi comuni che lo hanno via via dipinto come un parvenu, un personaggio passivo trascinato dagli eventi o un accanito manipolatore, Odescalchi riflette un profilo atipico di aristocratico capace, senza essere mediocre né eccellente, di fare della promozione culturale un mezzo di esistenza storico. L’orizzonte moderno in cui si inserì la sua attività si misura nel costante sforzo di adeguamento all’attualità internazionale delle occasioni artistiche o tecnologiche che lo resero uno dei più efficaci promotori della circolazione europea di un’alta cultura materiale.
Baldassarre Erba Odescalchi, suo nipote ed erede, condusse a termine l’insediamento romano del casato con due atti di alto valore simbolico: l’acquisto del palazzo ex Chigi (1745) e il completamento della cappella nella basilica dei Ss. Apostoli.
Fonti e Bibl.: L’Archivio storico Odescalchi, un tempo conservato a palazzo Odescalchi in piazza Ss. Apostoli, è stato ceduto nel 2008 all’Archivio di Stato di Roma. Riguardo ai fondi che vi si possono trovare si rinvia a Costa, 2009. A. Bassani, Viaggio à Roma della S.ra R.le M.tà di Maria Casimira Regina di Polonia ... per il voto di visitare i Luoghi Santi, et il Supremo Pastor della Chiesa Innocenzo XII, Roma 1700; G.M. Crescimbeni, L. O., in Notizie storiche degli Arcadi morti, I, Roma 1720, pp. 308-313; A. Montaiglon, Correspondance des Directeurs de l’Académie de France à Rome avec les Surintendants des Bâtiments, IV, Paris 1893, p. 425, n. 2687; F. de Bojani, Innocent XI: sa correspondance avec ses nonces, I-III, Roma 1910-12, ad ind.; T. Ashby, The Palazzo Odescalchi in Rome, in Papers of the British School at Rome, VIII (1916), pp. 55-90; I. Prada, La collezione di ritratti Odescalchi-Coopmans de Yoldi - San Pietro in Castel Carnasino, Milano 1917; G. Mira, Vicende economiche di una famiglia italiana dal XIV al XVIII secolo, Milano 1940, ad ind.; M. Mahoney, Salvator Rosa provenance Studies: Prince L. O. and Queen Christina, in Master drawings, IV (1965), pp. 383-389; F. Valesio, Diario di Roma, a cura di G. Scano con la collaborazione di G. Graglia, Milano 1977-79, I, p. 18; II, p. 229; III, pp. 171, 313, 554; IV, p. 251; E. de Syrmia, At the head of ration, the rise of the papal and princely house of Odescalchi, New York 1978, pp. 67-92; R. Gueze, L. O. ed il ducato del Sirmio, in Venezia, Italia ed Ungheria tra arcadia e illuminismo. Rapporti italo-ungheresi dalla presa di Buda alla rivoluzione francese, Budapest 1982, pp. 43-57; E. Noè, Le medaglie di L. O., in Medaglia, XXIV (1989), pp. 79-96; R. Ago, Carriere e clientele nella Roma barocca, Roma-Bari 1990, p. 132; A. Menniti Ippolito, Nepotisti e antinepotisti: i conservatori di Curia e i pontefici Odescalchi e Pignatelli, in Riforme, religione e politica durante il pontificato di Innocenzo XII (1691-1700), a cura di B. Pellegrino, Galatina 1994, ad ind.; S. Walker, The sculpture gallery of prince L. O., in Journal of the History of Collection, VI (1994), pp. 189-219; I. Mirnik, L. O. on medals, in Medals, XXV (1995), pp. 50-55; R. Catelli - A. Pini, Gli Odescalchi e il duomo di Como nel secolo XVII (1634-1688), in Periodico della società storica comense, LVII (1995), pp. 63-86; Id., La cappella Odescalchi di S. Giovanni Pedemonte a Como, in Rivista archeologica, dell’antica provincia e diocesi di Como, 178, 1996, pp. 191-231; T. Montanari, Jacob Ferdinand Voet e L. O., in Prospettiva, LXXXI (1996), pp. 52-55; Id., La dispersione della collezione di Cristina di Svezia. Gli Azzolino, gli Ottoboni e gli Odescalchi, in Storia dell’arte, XC (1997), pp. 250-300; M. Pizzo, Andrea Pozzo e la cappella Odescalchi in S. Giovanni Pedemonte a Como: documenti inediti, in Arte lombarda, CXXIV (1998), pp. 71-75; F. Petrucci, Ferdinando de’ ritratti per l’aristocrazia lombarda, ibid., CXXIX (2000), 2, pp. 29-38; M. Pizzo, Far Galleria: collezionismo e mercato artistico tra Venezia e Roma nelle lettere di Quintiliano Rezzonico a L. O., in Bollettino del Museo civico di Padova, LXXXIX (2000), pp. 43-84; Id., La vittoria di Vienna e gli Odescalchi : una lettura iconografica, in L’Europa centro-orientale e il pericolo turco tra Sei e Settecento, Atti…, a cura di G. Platania, Viterbo 2000, pp. 345-359; Id., Il Sirmio, gli Odescalchi e la seta: un tentativo imprenditoriale non riuscito, in Conflitti e compromessi nell’Europa di centro fra XVI e XX secolo Atti..., a cura di G. Platania, Viterbo 2001, pp. 211-222; Id., L. O. e i Rezzonico. Documenti su arte e collezionismo alla fine del XVII secolo, in Saggi e memorie di storia dell’arte, XXVI (2002 [2003]), pp. 119-153; S. Franchi, Il Principe L. O. e l’oratorio politico, in L’Oratorio musicale italiano e i suoi contesti, atti a cura di P. Besutti, Firenze 2002, pp. 141-257; S. Walker, L. O., Pietro Stefano Monnot e Carlo Maratta: una rivalutazione alla luce di nuovi documenti, in Sculture romane del Settecento, la professione dello scultore, a cura di E. Debenedetti, Roma 2002, II, pp. 23-40; A. Spiriti, Giovanni Battista Barberini a Como ed il romanismo figurativo fra i Volpi e gli Odescalchi, in Archivio storico della diocesi di Como, XIV (2003), pp. 315-336; E. Mariani, L’acquedotto Odescalchi di Bracciano, Ronciglione 2003, pp. 7-11, 91; S. Costa, Dans l’intimité d’un collectioneur. L. O. et le faste baroque, Paris 2009.