Lo Stato della Chiesa
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La costruzione e l’organizzazione di questa nuova realtà territoriale è il risultato di un processo lungo e articolato che procede con la nascita e l’evoluzione del potere dei papi. Se intorno all’VIII secolo i vescovi di Roma si dotano di strumenti ideologici, oltre che giuridici ed economici, per entrare nello scacchiere politico dell’Italia altomedievale, è solo alla fine del XII secolo che giungono a esercitare forme di giurisdizione territoriale.
Occorre ricordare che lo Stato pontificio ha alla sua base un elemento essenziale, i possessi fondiari. Esso è in primo luogo formato da quell’insieme di territori un tempo appartenuti a Bisanzio e donati dai re franchi ai papi nel corso dell’VIII secolo. Formato da nuclei bizantini del ducato romano, oltre a Roma anche gran parte dell’attuale Lazio, del territorio di Perugia, della Pentapoli (le cinque città: Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona), ed esteso a gran parte del ducato longobardo di Spoleto, il complesso territoriale si presenta piuttosto disarticolato e poco coerente anche per l’esistenza di centri di potere locale, rappresentati dai baroni romani, e per le pretese esercitate a più riprese dagli imperatori.
Con i papi riformatori il distacco tra la Chiesa e la società laica, in particolare con i romani, contrari a un papato legato all’impero, rappresenta un punto di svolta che pone il papato “nella necessità quasi automatica di formulare nuove soluzioni per ciò che riguarda [...] le basi territoriali della Santa Sede” (Antonio Sennis, Atlante storico-politico del Lazio, 1996). Leone IX riesce ad assicurarsi un vasto territorio nella regione di Campagna togliendolo alla potente famiglia romana dei Tuscolani. In tal senso procede nella Sabina, anche se con minor successo, sfruttando l’alleanza con la ricca e potente abbazia di Farfa; in ogni caso queste vittorie contribuiscono a indebolire le famiglie baronali romane con centri di potere sparsi nel territorio laziale. Continua sulla sua scia, Niccolò II che ottiene buoni successi in Sabina anche attraverso la fondazione, o rifondazione, di roccaforti militari che diventano basi di potere territoriale. È il caso di Roccantica e Montasola che, precedentemente abbandonati, vengono ripopolati. In cambio della protezione concessa dal pontefice i nuovi abitanti devono pagare un tributo alla Chiesa.
Anche se in modo tutt’altro che lineare i papi impegnati nella riforma portano avanti la politica di accrescimento dei loro possessi anche ricorrendo a falsi documenti, come la famosa presunta Donazione di Costantino (Constitutum Constantini).
Redatta con ogni probabilità a Roma nella seconda metà dell’VIII secolo, diventa il punto di riferimento principale, specie dalla seconda metà dell’XI secolo, “nell’ambito dell’aspirazione pontificia al riconoscimento del diritto a uno spazio politico” (Massimo Miglio, “Progetti di supremazia universalistica”, in Storia medievale, 1998). Gregorio VII ricorre a questo documento per dare fondamento alle sue rivendicazioni sulle “terre di San Pietro” e per ottenere la tanto desiderata libertas ecclesiae. Per rendersi indipendente dai Normanni e in particolare dal loro capo, Roberto il Guiscardo, diventa indispensabile in questo contesto dotarsi di un ampio territorio e dei mezzi temporali necessari al suo governo. L’accordo con gli abitanti del castello di Albinium, vicino a Narni, con il quale si prevede la costruzione di una fortezza dove tenere una guarnigione e aiuti militari da parte degli abitanti del luogo, configura la nascita di un nuovo nucleo dell’autorità papale, sul modello di Roccantica e di Montasola. “Alla fine del secolo XI, in realtà, la situazione territoriale dei papi non risultava molto mutata da cinquanta anni di dura lotta per la riforma, anche se questa aveva raggiunto dei risultati concreti per quanto riguardava l’amministrazione e la riconquista del prestigio papale” (Daniel Waley). Il papato, accerchiato sia dai Normanni che fanno frequenti incursioni nella parte meridionale del Lazio, sia dalle grandi famiglie baronali, per portare avanti la sua politica di estensione territoriale e riaffermare il suo dominio è costretto a ricorrere ora all’appoggio del potere dei grandi proprietari terrieri romani, ora all’aiuto di un’altra entità politica e militare della penisola, e solo raramente è il potere imperiale a intervenire nella situazione come un elemento determinante.
Le tracce di un effettivo funzionamento dell’autorità territoriale svolta dai pontefici sono scarse, almeno fino alla metà del secolo XII, quando si ha notizia della nomina di un funzionario (il rettore) per la Campagna (anche se non si conoscono né le sue funzioni né la sua autorità).
La situazione cambia dal momento in cui la presenza imperiale nell’Italia centrale diventa un fatto incontrovertibile sgombrando il campo dall’opposizione delle altre potenze, fatta eccezione per le potenti casate romane.
Con il trattato di Costanza nel 1153 l’imperatore Federico I, detto il Barbarossa, promette al papa la restaurazione del suo potere territoriale. Una promessa non mantenuta, così, di fronte alla prevaricante politica italiana dell’imperatore, il nuovo papa Adriano IV richiede la restituzione di vari territori, fra cui i possessi compresi tra Acquapendente e Roma, il ducato di Spoleto, oltre al riconoscimento dell’esenzione dall’imposta imperiale (il fodrum) sul patrimonio territoriale del papa. Il pontefice continua quindi nella realizzazione di nuovi punti di forza quali centri dell’autorità papale nelle terre patrimoniali; per far questo ricorre ad acquisti fondiari resi possibili grazie al crescente indebitamento dei baroni romani. Tali acquisti sono favoriti da una migliore organizzazione del sistema di tassazione che prevede diversi gettiti fiscali, come le decime (una quota del raccolto, di solito corrispondente alla decima parte) e le annate (il versamento dell’equivalente di un anno delle entrate provenienti da una carica ecclesiastica, versamento effettuato al momento dell’insediamento), che contribuiscono a rimpinguare i fondi della Chiesa. Più di venti castelli sono acquistati e, posti alle dirette dipendenze della Chiesa di Roma (castra specialia Sanctae Romanae Ecclesiae), sono dati in gestione e sotto il controllo dei precedenti signori, ai quali viene affidato anche il delicato compito di difenderli. La più importante di queste roccaforti è Orvieto i cui cittadini prestano il giuramento di fedeltà alla Chiesa. Ben differente il caso di Acquapuzza, nei pressi di Sezze, presa solo dopo un lungo ed estenuante assedio da parte della cavallerie e dalla fanteria romana.
Nella seconda metà del XII secolo sono due le forze che contendono al papato il dominio territoriale della regione: l’impero e il Comune romano. In un periodo così critico la determinazione dei papi riesce a mantenere vive le rivendicazioni sull’Italia centrale. Attraverso un’attenta opera di raccolta di documenti la curia romana riesce a fornire una chiara dimostrazione alle rivendicazioni territoriali (Liber Censuum). Nonostante la debolezza della situazione, sembra procedere una qualche forma di attività amministrativa. Durante il pontificato di Urbano III, dal 1185 al 1187, un cavaliere milanese viene nominato balivo in Campagna con funzioni più militari che amministrative. Egli infatti difende le terre papali minacciate dall’aggressione imperiale e, in breve tempo, conquista Perugia, Orvieto, Narni, Viterbo e quasi l’intera Campagna.
Il processo di ampliamento dello Stato territoriale della Chiesa è favorito anche da un altro fattore: l’aumento di prestigio e potere dei papi indirizzati verso la costruzione della monarchia papale.
L’accordo stipulato da Clemente III con i romani nel maggio del 1188 restituisce al papato la sede romana. Il papa stringe quindi un patto con l’imperatore in base al quale gli vengono riconsegnate le terre e alcune città situate per lo più nella zona della Tuscia. Durante questi anni continua la raccolta dei documenti in grado di fornire una giustificazione ai vantati diritti di dominio territoriale da parte dei pontefici. Il Liber Censuum, opera di compilazione e conservazione, viene utilizzato soprattutto dal momento in cui, prima Celestino III, poi Innocenzo III, si appellano alle donazioni imperiali per giustificare l’autorità papale sull’Italia centrale.
La nascita vera e propria dello Stato papale viene favorita dal vuoto di potere seguito alla morte, giunta improvvisa, dell’imperatore Enrico VI: Celestino III invia rappresentanti nel ducato di Spoleto e nella Marca di Ancona che rivendica in base alle donazioni carolingie. I suoi ufficiali ottengono giuramenti di fedeltà da parte di alcune città, tra le quali Perugia e Spoleto. Consacrato nel 1198, Innocenzo III, membro di una potente famiglia della Campagna, afferma ben presto la sua autorità sulla città di Roma, attraverso l’elezione di un nuovo senatore e, in poco tempo, estende la sua sovranità sui territori circostanti. Riceve il giuramento di fedeltà da città e da baroni, vince la resistenza di altri centri, come Narni, Montefiascone e Orvieto. Riconquistata la Marca di Ancona, dove, appena consacrato, invia due cardinali, riprende rapidamente anche il possesso del ducato di Spoleto, il cui controllo affida al cardinale di Santa Maria in Aquiro, che nomina rettore del ducato. La formazione di una struttura provinciale all’interno dello Stato della Chiesa è così avviata mentre il candidato alla corona imperiale, Ottone di Brunswick, riconosce l’autorità del papa “su tutto il territorio compreso fra Radicofani e Ceprano, l’esarcato di Ravenna, la Pentapoli, la marca di Ancona, il ducato di Spoleto, le terre della contessa Matilde e la contea di Bertinoro, con le altre terre adiacenti” (Registrum de Negotio Imperii, 1947, n. 77 trad. di Daniel Waley).
Si può concludere con una celebre espressione – “il vero erede di Enrico VI fu Innocenzo III” (Leopold von Ranke, Weltgeschichte, Leipzig) – che ben sintetizza la genesi dello Stato della Chiesa, favorito dal crollo imperiale più che dall’iniziativa papale.